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Autore: BakaChinS    22/08/2009    0 recensioni
- Tu - Indicò tremante con tutta la decisione che le circonstanze gli consentivano - come ti chiami? -
- Non sai neppure chi sono? - Esclamò ridendo - che pena che mi fai... -
- R... - Le parole gli uscivano smorzate, quasi le sputava - Ryoko -
- Bravo - Disse leggermente stupita - Sono proprio io -
- Lo sos... sospettavo - Deglutì un conato di vomito improvviso e proseguì - Sai, forse oggi ti ho vista. In cortile, dico. -
Lei ebbe un tuffo al cuore ma si mantenne impassibile. Solo i suoi occhi erano più attenti.
- Eri dietro... un muro - Rifletté - Che ci facevi dietro... dietro un muro? -
- Niente. Mi trovavo lì per caso, come tutti. -
- Però... tu mi stavi aspettando, vero? -
A quell'affermazione, Ryoko divenne rossa e negò con tutta se stessa, scuotendo il capo furiosa.
- Nono, ti sbagli! Io non stavo aspettando proprio nessuno! Io ero lì per caso! -
- Sai, Ryoko... - Proseguì Taro avvicinandosi a lei - a me dispiace proprio tanto, per oggi intendo -
- E perché ti scusi con me? Forse dovresti farlo con un'altra persona - Tagliò corto arretrando di un passo.
- Sono stato molto stupido questa sera. E, e anche questa mattina, sono stato stupido. Sono anni che sono stupido, forse mi sono ammalato. Tu che ne pensi, Ryoko? -
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Taro saliva le scale che l'avrebbero condotto sul tetto della scuola.
I suoi passi risuonavano nel corridoio vuoto come colpi di martello nell'aula del Tribunale, e scandivano il tempo con un ritmo serrato e implacabile.
Ciuffi di capelli danzavano ribelli davanti al suo viso, seguendo una melodia disegnata su un pentagramma invisibile.
Dalla cartellina blu che il ragazzo teneva stretta sottobraccio, sporgevano fogli opachi su cui era scritto qualcosa, parole che nessuno avrebbe mai letto.
Lo sguardo di Taro era rivolto verso il basso, come fosse umiliato e sconfitto. La sua bocca tradiva un'immensa frustrazione, le gote tese e i denti in parte scoperti.
La divisa di scuola era sgualcita, malferma, sporca e sbottonata. Si notava che aveva partecipato ad una rissa, e dalla sua espressione si capiva anche quale fosse stato l'esito.
Finalmente, la porta.
Con un calcio la spalancò, e rimase sospeso nel tempo e nello spazio finché essa non si aprì completamente e un vento freddo non lo investì in pieno volto, scoprendogli la faccia colma di livore.
In cielo, le nuvole correvano senza sosta verso sud. Era un gelido pomeriggio di inverno.
Rimase a fissare il mondo per qualche secondo, poi lasciò andare la cartellina, che finì a terra con un pacato rumore senza eco. Immediatamente, cacciò fuori un urlo colmo di strazio, portando entrambe le mani alle meningi e premendo la testa per evitare che esplodesse. Il grido si perse nel cielo blu e grigio, e poi tornò il silenzio.
- Dannazione - Disse Taro, e corse verso il bordo del tetto, con i pugni stretti. Terminò la sua breve corsa quando incappò nel davanzale, oppose le sue mani e serrò la presa, così forte che gli si sbiancarono le nocche. Poi si voltò verso la porta, mentre le lacrime cominciavano a scendere dalle gote e  piccoli singhiozzi colmi di ira e vergogna riempirono il silenzio. Si lasciò cadere per terra, raggomitolandosi parzialmente su se stesso, e pianse.


Ryoko camminava lentamente verso i bagni della scuola.
I suoi passi, piccoli e leggeri, producevano un pacato rumore quando si incontravano con il pavimento. Sembravano piume che cadevano al suolo.
I capelli neri le coprivano il viso, ondeggiando lenti con un movimento quasi impercettibile.
Il suo respiro era breve, ma sembrava quasi assente. Ogni tanto la ragazza tirava su con il naso, e si fermava per un momento nel mezzo del corridoio. Allora alzava lo sguardo al soffitto, gli occhi colmi di lacrime, un'espressione afflitta e mortificata, e si chiedeva il perché di quel che era successo.
Ma non sapeva rispondersi. Così, calava il capo rassegnata e proseguiva il suo lento cammino.
Il pugno sinistro della ragazza celava un anello d'argento con incastonata una piccola pietra verde. Ogni fibra della sua forza era concentrata in quella stretta, per questo il suo passo esa così breve. Minuscoli disegni percorrevano la lustra superficie del metallo creando un intricato labirinto di immagini. Per Ryoko, quell'anello possedeva un valore inestimabile.
Quando arrivò davanti la porta del bagno, rimase qualche secondo a fissarla, come inebetita. Poi l'aprì lentamente, come se non volesse svegliare qualcuno. La richiuse qualche istante dopo alle sue spalle, e si fermò.
Un attimo dopo, qualcosa scattò dentro di lei, un impulso violento e indomabile che la spinse ad avventarsi improvvisamente contro lo specchio, fracassandolo in più punti con il pugno chiuso entro cui si trovava il gioiello d'argento. Imprecazioni smorzate le uscivano dalla bocca, parole impronunciabili e indefinite.
Il vetro le lacerava la carne e le inquinava il sangue sgorgante, ma Ryoko ignorò il dolore, finché ogni frammento di specchio non cadde per terra o dentro i lavandini e la sua mano fu incapace di muoversi, tremante e ferita.
In quel momento, la ragazza scoppiò a piangere, singhiozzando violentemente e lasciandosi cadere al suolo, con il pugno sinistro stretto al petto per placare il dolore e la mano destra sul viso per coprire grottescamente le sue lacrime.
- Dannazione - Furono le uniche parole che pronunciò prima di abbandonarsi pienamente al dolore.


***


- Ebbene? -
Taro fece una smorfia.
- Eiji, non è il momento -
L'amico fissava il ragazzo devastato dal dolore dalla porta di accesso al tetto della scuola, appoggiato ad essa.  Aveva le braccia incrociate sul petto e uno sguardo perplesso di chi non capisce la gravità di qualcosa e giudica il mondo troppo esagerato.
- Non la stai facendo troppo drammatica? - Ipotizzò grattandosi la fronte incerto.
Quelle parole provocarono un moto d'ira in Taro così potente che si costrinse ad alzarsi sulle gambe e a camminare, tremante, verso l'amico. Quando gli fu davanti, gli sventolò in faccia un pugno che avrebbe dovuto essere una minaccia e che ottenne soltanto di farlo scoppiare a ridere.
Divertito, Eiji gli diede una pacca amichevole sulle spalle.
- Coraggio amico mio, nella vita c'è di peggio! - Esclamò allegramente.
Ma Taro scrollò le spalle e si allontanò da lui, fissando il cielo con occhi mesti.
- Vorrei tanto crederci - Rispose dopo qualche secondo di silenzio.
- E allora fallo - Ribatté spazientito - perché è la verità! -
- Ti sbagli! -
Il vento scompigliò i loro capelli. Sospirarono entrambi, per motivi diversi.
- Scusami, ma non riesco proprio a mettermi nei tuoi panni, questa volta. - Si giustificò l'amico un po' imbarazzato - Io non mi sono mai innamorato, quindi... -
- Non devi scusarti - Replicò - Non è colpa tua. Anzi, cominciò a credere che sia tutta colpa mia -
- Non fartene una colpa... ci sei cascato, un po' prima del previsto. Ma capita a tutti, fidati -
Taro si voltò verso Eiji inarcando le sopracciglia.
- Un po'... prima? Che vuoi dire? -
Ridacchiò e gli posò una mano sulla spalla.
- Solitamente la stagione degli amori è la primavera, no? - Gli sussurrò sarcastico all'orecchio, provocandogli i brividi. Il ragazzo sussultò e si allontanò da lui.
- E piantala di prendermi in giro! -
Scoppiò di nuovo a ridere.
Stavolta anche il povero innamorato sorrise, contagiato suo malgrado dall'umorismo dell'amico. Ma fu questione di pochi istanti, prima che la depressione tornasse a incombere su di lui come un avvoltoio.
- Però sto dicendo seriamente - Precisò tossicchiando - Ti sei innamorato troppo presto -
Taro sorrise amaramente, e calò il capo.
- Troppo presto.... eh? - Disse quasi a se stesso.
- In quella rissa sei stato grandioso - Esplose d'un tratto allargando le braccia con sguardo entusiasta - Ancora un po' e avresti battuto quel pallone gonfiato di Toushiro! -
- Già, peccato che alla fine abbia vinto lui - Precisò quasi divertito.
- Dettagli, la fortuna lo ha sostenuto, la prossima vincerai tu - Lo rassicurò circondandogli le spalle con un gesto masculinamente affettuoso.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso l'amico, e gli sorrise. Era un sorriso pacato, tranquillo, di una persona che non si aspetta nulla di che. Si sottrasse gentilmente a quel contatto, e gli diede le spalle.
- Non ci sarà una prossima volta, amico mio. Non in questa vita. -
E, non visto, sorrise ancora.



La campanella era suonata già da diversi minuti ormai, fiumi di adolescenti si erano riversati nelle strade fuori dall’istituto entusiasti, ma Mio camminava a passo rapido fra i corridoi vuoti della scuola.
Dove si era cacciata Ryoko? Impossibile che fosse già tornata a casa, l’avrebbe certamente avvertita.
Mio era la coinquilina di Ryoko, nonché sua amica di infanzia e quella del tornare verso casa insieme raccontandosi a vicenda della giornata appena trascorsa era una tradizione ormai consolidata.
Quindi la giovane si era ritrovata a cercare l’amica dopo la fine delle lezioni, preoccupata. Aveva visitato la terrazza, l’angolo delle macchinette degli snack e la sua classe, ora stava invertendo la rotta dirigendosi ai bagni femminili, situati dalla parte opposta e più remota dell’edificio. Maledisse a fior di labbra l’amica, il suo stomaco cominciava a dare i rumorosi segni della fame e Mio aveva appena passato una giornata scolastica più faticosa del solito. Ad aggiungersi alle sei estenuanti ore di studio le era capitata una cosa al di fuori dell’ordinario.
Era l’intervallo quando uscendo nei giardini della scuola si era imbattuta in un ragazzo che aveva incrociato all’incirca sei volte camminando nei corridoi e che le pareva si chiamasse Taro. Le si era parato davanti con uno sguardo risoluto e tendendo davanti a sé una cartelletta blu, traboccante di foglietti. Mio stava per chiedergli cosa desiderasse quando Toushiro, uno sbruffone con cui era uscita per un paio di settimane, gli aveva sferrato da dietro un pugno in mezzo alle scapole. Il ragazzo aveva tossito rumorosamente piegandosi in avanti e urtando Mio, la quale si era fatta rapidamente da parte osservando Toushiro afferrare la spalla di Taro per voltarlo di forza e assestargli un altro destro sul naso.
Così era scoppiata una rissa e una piccola folla si era andata creando attorno ai due litiganti, piano piano la gente attorno a loro aumentava e all’ultimo pugno praticamente tutta la scuola aveva assistito allo scontro. Toushiro, alla fine, aveva distrutto Taro che era rientrato nell’istituto con uno sguardo colmo di rabbia mista a profondo risentimento. Il motivo della lite era chiaramente Mio, la quale aveva assistito alle ultime due ore di lezione distrattamente, con la mente volta a quel ragazzino che non conosceva.
Ritornò alla realtà affrettando il passo e scostandosi la frangia di capelli tinti di rosa shocking e nero dalla fronte sudata. Gli occhi verdi, chiari e luminosi, emanavano guizzi di impazienza e si chiese mentalmente dove avrebbe potuto trovare Ryoko se non fosse stata nei bagni.
Considerò l’idea di andarsene e iniziò a prepararsi nella testa la ramanzina che le avrebbe rifilato non appena si fossero viste. Persa in questi pensieri si ritrovò davanti alla porta sporca e rovinata dei bagni, la cui un tempo aveva voluto essere bianca. Spinse con rabbia la maniglia e si trovò davanti agli occhi la stanza piena di vetri rotti e acqua mista a sangue, opera di Ryoko. La giovane era raggomitolata su se stessa vicino a un lavandino arrossato dall’emoglobina. Spaventata Mio urlò forte, inascoltata, e si gettò carponi accanto al corpo di Ryoko, inerme.
- Ryo, piccola! Che cazzo è successo qui dentro? RYO! -, le gridò associando alle sue parole dei leggeri schiaffi sul viso della ragazza. Aveva paura a chiamare qualcuno, temeva che l’amica potesse essersi cacciata in qualche pasticcio e non voleva rischiare di aggravare inavvertitamente la situazione, allora le sentì il polso e prese a controllarle la mano sinistra per estrarre ogni scaglia di specchio. Le lacrime le scendevano lungo il viso pallido mischiandosi al sudore freddo, incapaci di fermarsi e un violento tremore cominciava a scuoterla. Per tre quarti d’ora restò ad esaminare il palmo, le dita e il polso di Ryoko, per poi sciacquarle viso e corpo con dell’acqua fresca.
Dopo alcuni minuti la ragazza mosse il viso e aprì un poco gli occhi, quel tanto che bastava per riconoscere la sua migliore amica, sporca e spettinata. Spalancò le palpebre e si sforzò di alzarsi seduta provando un dolore lancinante alla mano che, si guardò, era fasciata dalla manica della divisa di Mio. Con la mano destra si diede la spinta per alzarsi in piedi e prima ancora che Mio potesse domandarle qualcosa le sferrò un violento calcio nello stomaco. L’amica, che per un secondo si era illuminata vedendo aprirsi gli occhi della compagna, si accovacciò su se stessa stringendosi il ventre. Ryoko afferrò la sua borsa e l’anello che era rotolato vicino ad un water ed uscì, ancora sanguinante.


***


Taro si stava dirigendo verso casa con ancora la sua cartelletta sotto al braccio, indifferente alle risa e alle urla dei ragazzi attorno a lui. Si sentiva totalmente svuotato e continuava imperterrito a darsi mentalmente dell’incapace. Lungo la strada si ritrovò per tre volte in vie a lui sconosciute che lo portarono a dover tornare indietro sulla strada giusta più volte. Non riusciva a pensare a nulla che non fosse la rissa che aveva avuto con Toushiro e allo sguardo perplesso di Mio a cui non aveva potuto dare alcuna risposta. Amava quella ragazza con tutto se stesso, ogni fibra del suo corpo era persa e ogni suo pensiero, alla lunga, ricadeva su di lei. Era dall’inizio della seconda media che teneva dentro di sé questo sentimento, l’aveva vista correre nel cortile della scuola con due ragazzine, con i suoi capelli striati di azzurro ed era stato quel che si dice un “colpo di fulmine” in piena regola. Nel frattempo lei aveva cambiato diciassette tinte e tre ragazzi, ma mai Taro aveva avuto il coraggio di confessarle il suo amore.
Taro arrivò a casa alle quattro del pomeriggio, per fortuna sua madre non era in casa, altrimenti si sarebbe dovuto sorbire anche il suo solito interrogatorio su dove fosse stato e con chi. Appoggiò lo zaino a terra e salì lentamente le scale, con la cartelletta blu in mano, pronto a tentare di eliminare Mio dalla sua vita, sebbene consapevole che sarebbe stato impossibile. Aprì la porta di camera sua, spossato e stanco, si sdraiò sul letto dopo aver sbattuto con forza la cartelletta e tutte le frasi, poesie, fotografie che aveva raccolto nel tempo per la ragazza che amava, nel cestino.
Si addormentò all’istante e inaspettatamente dormì di un sonno profondo e senza sogni.
Si risvegliò attorno alle sette e trovò sul display del suo cellulare un messaggio da sua madre che gli comunicava che non avrebbe rincasato quella notte. Taro ripensò a Mio, decise improvvisamente che la vita era una e non poteva rovinarsela per una ragazza a sedici anni. Si alzò dal letto, si rivestì e corse giù per le scale, fuori, intenzionato ad andare al primo pub e bere. Mentre camminava con l’aria gelida della sera che gli pungeva il viso e le mani scoperte pensò fra sé che era proprio vero che si beve per dimenticare, e si vergognò.
Ciò non lo fece però tornare indietro e alla vista della prima insegna luminosa prese a correre e si infilò nel locale, ansioso di riscaldarsi. La musica era alta e gli pulsava nelle tempie, ragazze poco vestite ballavano su un palco con un grande palo al centro e sette uomini ubriachi stavano lì sotto ad ammirare il panorama delle loro mutandine luccicanti. Non era certo un locale affidabile, ma Taro non se ne preoccupò e si diresse rapidamente al bancone, ordinando al cameriere una birra media. Quest’ultimo lo guardò con aria diffidente e sospettosa, ma non gli chiese l’età. Gli servì la sua birra per poi rivolgersi a una signorina che ordinò per lei un superalcolico e un’altra birra per Taro, sedendosi vicino a lui e accavallando maliziosamente le gambe. Il ragazzo non ci fece nemmeno caso, ma accettò di buon grado la birra. Le bevve entrambe nel giro di cinque minuti e, perfettamente sobrio, decise di chiedere qualcosa di un po’ più forte. Ordinò al barista un cocktail con una dose di Vodka doppia, mentre la signorina si toglieva la giacca, lasciando scoperti ventre e collo. Si sistemò vistosamente il seno prosperoso e si avvicinò alla sedia di Taro, sfiorando il suo polpaccio con il tacco a spillo. Taro non voleva avere nulla a che fare con lei e cercò di metterlo in chiaro ma la donna gli mise un indice sulla bocca e afferrò il bicchiere del cocktail di Taro, portandoglielo alle labbra. Taro, ubbidiente, bevve. Il bruciore lungo la gola si era fatto un poco più forte e ordinò altri due alcolici. La donna accanto a lui glieli fece bere entrambi mentre si passava eloquentemente la lingua sulle labbra. A Taro cominciava a girare la testa, ma fingendo fermezza bevve e bevve ancora, fino a tarda sera. Attorno alle undici non capiva più nulla di ciò che gli accadeva attorno, un’ora dopo era svenuto nel retro del pub.


***


Ryoko aspettava dalle otto e mezzo di quella sera fuori da casa di Taro, aveva citofonato più volte, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Era ormai mezzanotte passata, non era possibile che non fosse ancora rincasato, il giorno dopo era un giorno scolastico. La pressione cominciò a salire assieme alla preoccupazione e senza accorgersene stava già camminando nei dintorni guardandosi ansiosamente in giro, sperando di vedere Taro da qualche parte. Fu attratta dalla stessa insegna luminosa che aveva catturato l’attenzione del giovane e entrò nel pub, tappandosi il naso per l’odore acre di alcool. Chiese al barista di un ragazzo e fornì la descrizione di Taro. Il barista, indifferente, indicò la porta che dava sul retro. Ryoko chiese se poteva accedervi e non ottenendo risposta fece il giro del bancone e afferrò la maniglia, domandandosi in che stato avrebbe visto Taro. Aprì e lo trovò svenuto, con la zip dei pantaloni abbassata e un preservativo usato al suo fianco.
- T... - Biascicò portando le mani alla bocca - TARO! -
Il ragazzo si mosse impercettibilmente e mugolò qualcosa di poco consistente.
- Santo cielo, chi ti ha ridotto così?! - Urlò inorridita avvicinandosi a lui e inginocchiandosi accanto al ragazzo, senza osare toccarlo. Sembrava quasi in catalessi, ed emanava un orrido puzzo di acido.
- Mmh... -
- Taro, riprenditi! - Scongiurò Ryoko sollevandogli la testa e scuotendola. Lacrime incoerenti si stavano già formando ai lati dei suoi occhi azzurri. Le respinse con rabbia, decisa più che mai a non abbandonarsi al pianto una seconda volta.
Taro aprì leggermente la bocca e si liberò un puzzo di alcool così maleodorante e prepotente che le fece girare la testa. Capì che doveva aver bevuto e senza pensarci gli ficcò due dita in gola per provocargli il vomito liberatorio, che non tardò ad arrivare.
Il ragazzo rigettò su di sé e sul braccio sinistro di Ryoko, sollevando il busto in uno spasmo innaturale e spalancando gli occhi come fosse posseduto; riacquistò in brevissimo tempo un quarto della sua lucidità e portò le mani alla bocca respingendo bruscamente quella della ragazza, che la ritirò con una smorfia.
Le budella di Taro si contersero e si capovolsero e sembravano intenzionate a fuggire dalla sua bocca, e persino la sua anima sembrava disgustata di appartenergli e voleva prendere il volo verso il cielo. Quest'orrenda sensazione di abbandono e rifiutò perdurò per circa un quarto d'ora, prima di arrestarsi completamente.
Stremato, si lasciò cadere sul pavimento, ignorando ogni cosa all'infuori di sé.
Ryoko lo osservava, ed era stupidamente felice. Avrebbe voluto piangere di gioia, ma anche picchiarlo per quel che aveva fatto. Inoltre, una piccola parte lei sapeva per quale motivo probabilmente aveva agito in quel modo e non poteva perdonarglielo.
- Come... come ti senti? -Chiese dopo un po', imbarazzata.
Solo in quel momento Taro si rese veramente conto di non essere solo. Metà delle sue facoltà mentali erano ritornate al loro posto, ma le altre stavano ancora vagando nel subconscio più profondo. Si voltò verso di lei vedendola per la prima volta, o almeno fu quello che credette.
- M-male... - Borbottò pulendosi la bocca con il dorso della mano.
- Eh beh, certo, non deve essere piacevole vomitare dopo una... sbronza. -
I suoi occhi, più veloci di lui, corsero al preservativo, ma finsero di non vederlo.
- Già... ehm, ci conosciamo per caso? - Domandò con tono perplesso tentando di rimettersi in piedi.
- No aspetta! Non alzarti da solo, ti aiuto io! - Si offrì, e lui mugolò un sì poco convinto.
Zoppicarono verso l'uscita di quella stanzetta, e aprì la porta. Quando si ritrovarono di nuovo immersi nella musica del locale, il barista si voltò verso di loro senza dire una parola né modificare la sua impertubabile espressione. Quasi immediatamente spostò altrove la sua attenzione.
- Ma dove stiamo andando? - Protestò Taro - Io voglio restare qui a divertirmi! -
- Divertirti! - Esclamò Ryoko di rimando accelerando il passo - E questo tu lo chiamo divertirsi? -
Il rumore che producevano le grossolane risate degli ubriachi e i malevoli sussurri delle donne di facili costumi, uniti alla musica assordante del luogo, suscitavano in lei un moto di nervosismo che a stento teneva a freno.
Era sempre più difficile proseguire, perché il ragazzo opponeva sempre maggiore resistenza e qualche donna che passava di là tentava di attirarlo con sguardo ammaliante.
- Fottetevi, ludire puttane - Sibilò fra i denti, e con un ultimo scatto finale raggiunse l'uscita del pub e la richiuse alle loro spalle, esausta.
Spazientita, si allontano bruscamente da Taro che senza supporto cadde a terra barcollando.
- Ehi, stronza - Lamentò con voce rauca - Mi hai fatto cadere! -
- Bah! - Disse lei, e sputò per terra. Si sentiva frustrata, puzzava di vomito e moriva di freddo. Voleva andare a casa ma prima avrebbe dovuto riaccompagnare il ragazzo a casa.
E non voleva.
Avrebbe tanto desiderato poterlo lasciare lì in balia degli eventi, ma non ne aveva il coraggio. E poi pensò a Mio.
Non c'entrava nulla in quella situazione, se ne rendeva conto. Ma non riusciva comunque a farsene una ragione.
- Ehi, stronza, dico a te! -
- Che ironia; Ryoko ama Taro, Taro ama Mio, e Mio chi ama? - Esclamò quasi come fosse una canzoncina da imparare a memoria, una filastrocca per bambini sentita e risentita - ... e nessuno sa chi Mio ama, chi ama Mio, chi Mio ama -
In quelle parole c'era un che di troppo duro perché Taro non se ne accorgesse. E poi qualcosa nel suo cervello gli fece notare che era preso in causa, e si sentì in dovere di approfondire la questione. Con uno sforzo notevole, si alzò da terra e si mosse verso Ryoko, che continuava a canticchiare quella nenia malinconica e sarcastica.
- Tu - Indicò tremante con tutta la decisione che le circonstanze gli consentivano - come ti chiami? -
- Non sai neppure chi sono? - Esclamò ridendo - che pena che mi fai... -
- R... - Le parole gli uscivano smorzate, quasi le sputava - Ryoko -
- Bravo - Disse leggermente stupita - Sono proprio io -
- Lo sos... sospettavo - Deglutì un conato di vomito improvviso e proseguì - Sai, forse oggi ti ho vista. In cortile, dico. -
Lei ebbe un tuffo al cuore ma si mantenne impassibile. Solo i suoi occhi erano più attenti.
- Eri dietro... un muro - Rifletté - Che ci facevi dietro... dietro un muro? -
- Niente. Mi trovavo lì per caso, come tutti. -
- Però... tu mi stavi aspettando, vero? -
A quell'affermazione, Ryoko divenne rossa e negò con tutta se stessa, scuotendo il capo furiosa.
- Nono, ti sbagli! Io non stavo aspettando proprio nessuno! Io ero lì per caso! -
- Sai, Ryoko... - Proseguì Taro avvicinandosi a lei - a me dispiace proprio tanto, per oggi intendo -
- E perché ti scusi con me? Forse dovresti farlo con un'altra persona - Tagliò corto arretrando di un passo.
- Sono stato molto stupido questa sera. E, e anche questa mattina, sono stato stupido. Sono anni che sono stupido, forse mi sono ammalato. Tu che ne pensi, Ryoko? -
Per un momento, si sentì smarrita. Ritornò con il cuore a parecchie ore prima, quando sotto casa di lui citofonava imperterrita, con il viso accigliato ma preoccupato, quasi intimorito. Ripensò alle sue preoccupazioni quando non l'aveva trovato e alla paura quando lo aveva fatto, in quel lurido stanzino, sbronzo e con un preservativo accanto. Chissà dov'era la puttana che lo aveva incastrato, si chiese.
E chissà anche perché sono così acida quando tutto quello che vorrei è amarlo.
- Siamo tutti un po' stupidi a volte - Rispose e fece spallucce, senza saper che altro dire.
- Mi... - Cominciò, quasi con un sospiro.
Lei fu certa che stesse per dire Mio.
- Mi... dispiace, tanto - Ammise invece il ragazzo grattandosi il capo - Io non ho visto niente, io non... ho capito. Niente. -
Ryoko sgranò gli occhi incredula. Non poteva essere vero, anche lei doveva essere sbronza. Tutto il mondo non stava bene e stava girando a rovescio, perché lui si stava scusando con lei ed era quello che segretamente avrebbe desiderato da parte sua, e non poteva credere che stesse accadendo davvero perché il suo era stato un desiderio egoistico. E invece...
Non disse niente. Le mancava qualunque forma di espressione. Solo il suo cuore pulsava nella notte gelida di Tokyo.
- Perdonami... Ryoko. - Disse infine, prima le che sue gambe cedessero e crollasse sopra di lei, profondamente addormentato.
Spalancò gli occhi e arrossì, così forte che il sangue se uscì quasi dalle orecchie, e sorrise così stupidamente che quasi scoppiò a ridere. E poi, senza dire una parola, se lo mise in spalla e lo accompagnò a casa, pensando nel frattempo alla giornata che sarebbe venuta e alle scuse che avrebbe porto a Mio.





Non sappiamo quando sarà il prossimo capitolo, probabilmente quando riceveremo commenti e apprezzamenti a sufficienza xD
  
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