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Autore: Evil Daughter    28/11/2020    9 recensioni
Fresco di battaglia contro l'inferno tinto di rosa, Vegeta torna sulla Terra. Dove dovrà affrontare Bulma e soprattutto se stesso.
Per cuori teneri e putridi come il mio.
Attenzione: c'è un alto tasso di zuccheri che incontrerete nel leggerla.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Dedicato a Felinala, senza richiesta, per mia volontà, perché a volte una sola parola può cambiarti l’umore. E a me le sue di parole hanno portato un sorriso e la voglia di scrivere. A ribadire quanto voi lettori siate importanti, che sì, è bello scrivere per piacere ma altrettanto bello è condividere. Non “lesinate” le vostre recensioni, se dai vostri autori preferiti ne volete ancora. E io vi ringrazio in anticipo, so che molti di voi mi seguono con pazienza.

 

 

Transustanziazione. Se non, amare.

 

 

 

 

Non mi stava aspettando.
Non lo credeva possibile. Anche io non ci avevo creduto quando il mio corpo era tornato ad essere un composto di carne e sangue. Ed era stato forse questo il nostro problema in principio: credere, quanto credere. Noi lo avevamo fatto poco.

Quindi, avanzai in quel santuario sorretto nel vuoto dal cielo e che non mi aiutava nel convincermi d’esser davvero tornato in vita.
Seguii Kakaroth, fingendo la sua disinvoltura. Ma scelsi la fermezza. La mia fermezza.
Eppure, incontrarla di nuovo era un dono che non sapevo meritare.
Poi, li sentii crescere, impazzire da lontano: i battiti del suo cuore accolsero la mia presenza.

Bulma mi aveva visto.

Non spettava a me avvicinarmi, lei doveva decidere. Io l’avevo tradita.
Incontrare i suoi occhi puliti, colmi di lacrime trattenute, e sentirmi l’animo ignudo, mi fece vergognare. Però mi ci stavo mettendo io in quella condizione. Da lei non percepivo alcuna sfumatura di biasimo, non v’era minaccia di condanna. E la corsa che iniziò, per raggiungermi, mi spaventò dapprima, dopo, vedendola rallentare e arrestarsi a pochi passi da me, mi ferì.
Forse, ci stava pensando. Poc’anzi, s’era fatta trasportare colta dalla sorpresa di rivedermi, non aveva resistito. Però, adesso, stava riflettendo. Aveva ricordato. Riuscivo ad immaginarla, sicuramente, stava chiedendosi perché suo marito l’aveva abbandonata, perché aveva tentato di ucciderla, perché le aveva spezzato crudelmente il cuore senza salvarla.
Ed io ero lì, pentito, davanti a lei, con nulla più da nascondere e la voglia di urlarle in faccia di perdonarmi.
Non osai.
Mi sentivo troppo codardo per azzardare tanto e pretendere la salvazione.

Lei avanzò, distruggendo le mie convinzioni, piano. Era intimorita. La vidi persino guardarsi intorno, cercare a tentoni la testa di nostro figlio e fermarlo indietro, quasi che, da sola, volesse lei stessa assicurarsi che tutto fosse a posto.
Che io fossi a posto.
Non mi mossi, aspettai che compisse la sua analisi. Era una brava osservatrice, ed era a caccia del mostro.
Se avessi potuto aprirmi le vene per farle comprendere il mio dispiacere e darle prova del mio sangue ripulito dalla malvagità, lo avrei fatto. Se questo fosse bastato a cancellare i ricordi disgustosi mi sarei dissanguato per lei. Ma ero conscio della verità e non speravo, io non ero adatto alla speranza.
Se Bulma avesse deciso alla fine di ripudiarmi, non avrei potuto non essere d’accordo con lei. Mi sarei arreso.

Andò avanti: le sue ciglia folte e nere fremettero guardandomi negli occhi e io mi sentii finire perduto in una foresta cupa da cui difficilmente sarei potuto uscirne vivo.
Ciò che scoprii in fondo all’oscurità del suo limpido sguardo, l’atrocità di cui mi resi conto, mi fece crollare definitivamente.

«Vegeta... »

Mi disse.
Io udii il mio nome in un sussurro uscito appena dalle sue labbra sbiadite prive di rossetto. Ma alle mie orecchie la sua voce esplose come un pianeta al collasso. Nulla a che vedere a confronto di quel che, grazie al Re Kaio, riuscii a percepire durante la preparazione del colpo finale contro il mostro che aveva reso le nostre vite un inferno. In quel caso, la voce di mia moglie m’era giunta felice e ovattata.
Ora però, vibrava dentro e contro di me. Sembrava bruciare, volermi marchiare. Glielo avrei lasciato fare, stavolta.

Bulma compì un altro passo nella mia direzione, non v’era più spazio fra noi.  Lei voleva incontrarmi, in ogni parte del suo minuscolo corpo di terrestre, desiderava farlo. Voleva toccarmi, unirsi a me. Erano il calore emanato dalla sua pelle e l’odore della sua ansia a convincermene. Questo non poteva che spazzare lontano i miei timori. Tuttavia, sembrava ci fosse qualcosa ad impedirle di muoversi ulteriormente. Ed io, maledettamente, sbagliavo a non aiutarla.

La vidi rinunciare e guardarmi atterrita. In un attimo, che durò meno di un lampo, Bulma cancellò l’istinto febbrile che avevo avvertito possederla e nascose ogni sentimento dietro un sorriso stretto. Abbassò lo sguardo.

«... Sono contenta di rivederti», la voce bassa, impercettibile.

Me ne accorsi in quel momento, per la prima volta, fui conscio di quel che avevo fatto, a cosa l’avevo ridotta, mentre lei aveva sempre pregato per il mio bene nonostante la mia brutalità. E, anche adesso, soffriva per potermi solo sfiorare. Con orrore, mi resi conto a cosa l’aveva piegata il mio orgoglio. Quanto l’aveva annichilita.
Mi conosceva così bene, sapeva quanto il gesto d’amore più semplice fosse per me impossibile, e pur di non mettermi in difficoltà e assecondare quel che ero, continuava a rinunciarvi.

La mia Bulma aveva paura di abbracciare suo marito.

Questo era solo l’aspetto più superficiale a confronto di quanto avevamo passato e di quel che io le avevo fatto subire.
Le ferite che avevo inflitto a quella donna erano più gravi e radicate in profondità da non lasciarci liberi di amarci. Da bloccarci l’uno davanti all’altra, come in quel momento.

Come poteva perdonarmi?

Senza darle mai nulla in cambio.

Decisi che dovevo essere io a disintegrare quella barriera, non v’era nulla di più forte e feroce in me se non stringere il suo corpo fra le mie braccia e tornare a sentire il profumo fresco dei suoi capelli corti quasi impossibili da afferrare.

«Bulma, guardami»

Pronunciai il suo nome e la fissai intensamente. Volevo capire quanto sarebbe potuto piacerle essere sfiorata nuovamente dalle mie dita. Mi accorsi del sangue che subitaneamente le imporporò le gote, rendendole rubiconde. Poi, mi gettai con lo sguardo nei suoi occhi, nei quali riuscii a vedere il riflesso dei miei, così torvi e minacciosi da confermare che solo un miracolo aveva potuto interagire per farla innamorare di una bestia aliena come me.

La mia mano maldestra e troppo rude si appropriò della sua schiena ma, con controllata pressione, la spinse quel poco da farla cadere contro il mio petto.
Infischiandomene di me stesso, di modi che nulla avevano di guerriero saiyan, la strinsi di più. Lei si lasciò andare, facendosi trasportare dal forte turbamento arrivato a renderle il respiro un soffio trafelato e a bagnare parti di quel che restava della mia divisa da combattimento.
Avvertii le sue spalle tremare senza controllo. Era fragile, avrebbe potuto sbriciolarsi se non si fosse fermata.
E io che, per tanti anni, avevo sputato in faccia a quella sua naturale debolezza, ora mi sembrava il tesoro più prezioso da difendere.

Lei mi abbracciò senza fermarsi, priva di esitazione.

«Non te ne andare via, non lasciarci, non lo fare mai più.»

Mi sussurrò, con la voce ridotta a brandelli dal pianto che difficilmente inghiottiva, ma con una sfumatura di rabbia che mi spiazzò completamente. Avvertii le sue unghie graffiarmi le braccia e tentare di stringermi maggiormente. A suo modo, anche lei stava convincendosi del lieto fine: io ero vivo, ero tornato ed ero lì per lei e nostro figlio. Come saiyan puro.


Mai mi sarei dovuto permettere di lasciarla sola, mai più, come mai mi sarei permesso di sfiorarla se lei non lo avesse più voluto. Sentendola avvinghiata a me, capii che mia moglie mi aveva perdonato, o probabilmente non mi aveva mai totalmente accusato di nulla, anteponendo l’amore anche davanti ai miei errori. 

«Non lo farò. Te lo prometto.»

Ero un uomo felice e un saiyan libero, adesso.

 

 

 

 

Note:

Un’altra OS, stavolta siamo alla fine del manga originale, ho provato a descrivere una sequenza di neanche quattro vignette, (Vegeta arriva con Goku e gli altri, sbucano al santuario di Dio, Bulma vede Vegeta e in una minuscola vignetta pare abbracciarlo, ah, di cosa ci siamo accontentati!) ma senza arrivare alla scoperta di Bu in versione buona di nuovo sulla Terra.
Questo è uno di quei momenti di cui il fandom è pieno di storie. Ma io ho voluto farlo a modo mio.
Vegeta a nudo con i suoi pensieri che racconta in prima persona: esperimento mai provato. Però mi sono divertita, ovviamente è un Vegeta molto umano, non voglio dire ammorbidito, ma con le difese ormai abbassate. E, ovviamente, le sue sensazioni e i suoi pensieri restano segreti agli altri. Non ce lo vedo a parlare veramente come pensa. Resta controllato nei gesti, quindi. Io me lo sono immaginato così, l’ho scritta in un paio d’ore.
Spero vi abbia fatto piacere leggerla.
Vi mando un abbraccio. E vi ringrazio.
Per chi fosse interessato alle mie storie vi consiglio la mia pagina autore.
Comunque, qui sotto ve ne linko alcune su questa scia scritte da me.
E qui ve ne metto una dell'autrice Zappa che a me è piaciuta moltissimo e merita d'esser letta - LINK DIRETTO. 

 

 

 

 

 

   
 
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