Ciao fanciulle! Mente attendo l'ispiazione per poseguire con "Da Tokyo ad Austin con amore e una 357 magnum" ( e di comprare una tastiera dato che il mio notebokk ha deciso che la r è defunta) Vi lascio questa velocissima shottina, ispiata da quello che in molto, troppi mi dicono: montare un mobile è una cosa da uomini. FALSO: a casa mia i mobili dell'ikea li messi su io!
“Ma
porca miseria, si può sapere perché diavolo non
vuoi entrare in quel maledetto
buco? Brutto affare maledetto, te la faccio vedere io!”
Appena
sentì il rumore di oggetti sbattuti provenire dalla sua
(ex)stanza, ma
soprattutto le urla furibonde di Ryo, Kaori estrasse la pistola che era
stata
del fratello dalla borsetta, e corse nella direzione da cui provenivano
quei
rumori che le facevano congelare il sangue nelle vene.
Sentì
il rumore di un oggetto metallico gettato contro il muro, e tutta una
serie di
imprecazioni- e non solo in giapponese. Era… spagnolo quello
che stava
sentendo? E c’era anche dell’inglese buttato
lì nel mezzo…
Spalancò
la porta, aspettandosi di trovare chissà quale spettacolo
orripilante, Ryo
sanguinante, ferito, una lotta all’ultimo sangue con un
nemico carico di
vendetta, e invece…
E
invece, appena vide di cosa effettivamente si trattasse,
abbassò le spalle,
tirando un sospiro di sollievo. “Dì un
po’, si può sapere cosa credi di fare?”
Seduto
solo in boxer e maglietta sul pavimento, Ryo le lanciò uno
sguardo smaliziato,
facendole uno di quei sorrisetti a cui le donne raramente avevano
resistito in
passato- un sorriso a cui lei stessa faticava a restare immune. Ma non
in quel
momento.
In
quel momento, Ryo era l’uomo più dolce e tenero
che lei avesse mai visto sulla
faccia della terra. Ed era tutto suo. Suo e delle decine di scatoloni
dell’Ikea, alcuni vuoti e altri non, che lo circondavano.
“Sto
cercando di montare this bloody damn piece
of forniture dell’Ikea, ecco
cosa
sto cercando di fare!” Le rispose, incavolato nero,
appallottolando il libretto
delle istruzioni e gettandolo dalla finestra. Era talmente nervoso che
si era
pure fumato mezzo pacchetto di sigarette, Kaori notò, dando
una rapida occhiata
al posacenere che aveva accanto.
“Oh,
tesoro….” Kaori si inginocchiò al suo
fianco, e gli diede un bacio sulla
guancia, carico di tenerezza. Ryo arrossì: non era ancora
abituato a quelle
dimostrazioni di affetto, ad avere una donna che lo trattasse
così… così bene,
con amore, dolcezza, come se il suo cuore fosse una cosa preziosa. Ci
aveva
perso l’abitudine, abituato a saltare da un letto
all’altro, circondato da
sventole siliconate che lo volevano solo per il tempo di un orgasmo e
basta.
Ma
non Kaori. Lei lo voleva perché desiderava una cosa sola
nella vita: prendersi
cura di lui.
“Ryo,
ti avevo detto che ci avrei pensato io a montare i mobili, con Miki. Lo
sappiamo tutti e due che sono io quella più portata per
questo genere di
cose…” Gli
disse, dandogli una leggera
gomitata nel fianco. I suoi occhi si riempirono della figura di Ryo,
del
curioso contrasto di dolcezza, forza, mascolinità e
infantilità che convivevano
in lui.
“Lo
sai quanto ci metto a smontare, pulire e rimontare la Phyton? Un
niente! Ma
vado in crisi per uno stupido mobile dell’Ikea? Io, che sono
sopravvissuto
nella giungla? No, non mi arrendo! Montare i mobili è una
cosa da fidanzato,
e io lo farò, dovessi metterci un anno!”
Mugolò, spostando con un piede quella
che immaginava essere una brugola, e si lasciò ricadere sul
pavimento.
Kaori
gli si mise accanto, e mentre Ryo si metteva comodo contro il suo
ventre, gli
passò una mano fra i capelli, facendogli fare le fusa. Era
così bello, il suo
Ryo, quando era così tranquillo, ed in pace…
“Ryo,
tutti noi se fossimo nei guai correremmo da te. Ma non puoi paragonare
montare
un mobile a eliminare una banda di criminali!” Gli sorrise,
dolce, allegra. “E
poi, scusa, non ti sembra una cosa un po’ sessista da dire?
Solo perché sono
una donna non dovrei sapere come si monta un mobile?”
“Non
è questo, è.. è una specie di scherzo
che ci facevamo io e Maki. Io li
conoscevo già, ma lui era ancora in polizia, e moriva dietro
a Saeko, e lei, lo
sai com’è, tutta promesse ma non mantiene nulla,
già allora. Un giorno gli
chiede se per favore può andarle a montare un mobile,
perché c’è stato un
errore e nella bolla era indicata solo la consegna e lei non sapeva
cosa fare,
ed è tutta sorrisetti e moine, come suo solito, no? E io gli
dico: Maki, non
farlo. Quella donna si sta approfittando di te. Ti sta facendo fare
tutte
quelle robe da fidanzato ma non credere che ti darà mai
alcuna ricompensa…
fatti desiderare per bene se vuoi ottenere qualcosa da lei!”
“Ah,
certo che tu e mio fratello sapevate essere proprio profondi, eh? Ma
dì un po’,
cos’è, hai fatto della tua missione di vita
traviare tutti i membri della
famiglia Makimura?” Il suo riso riempì la stanza
di calore e gioia. Era così
bello, finalmente, pensare a Hide in quel modo, alla sua gioia, al suo
sorriso,
al modo in cui non sapeva come gestire la sua sorellina, o una
relazione…
“Quando
mi sono svegliato, tu non c’eri, e sono venuto qui a dare
un’occhiata, e quando
ho visto tutte le scatole mi è venuta in mente quella volta,
e mi è venuta
voglia di darci sotto con sta roba…”
giocherellò con l’anello che aveva alla
mano. Era il rubino che le aveva acquistato la madre, quello che il
fratellastro avrebbe voluto donarle, e che alla fine, era stato Ryo a
infilarle
al dito- all’anulare sinistro, al ritorno dalla radura,
mentre in casa non
c’era la luce e fuori imperversava la tempesta.
“E
poi, non voglio che ti sforzi o ti stanchi. Devi mantenere le forze, e
fare
attenzione…” Girò il capo, e diede un
veloce bacio al suo ventre, mentre lei,
ad occhi chiusi, continuava ad accarezzarlo e godersi la sensazione
della pelle
di lui sotto alle dita.
“Accidenti,
tutto questo parlare mi ha messo una fame! Perché non
telefoniamo da qualche
parte e ordiniamo? Poi vado da Mick e gli chiedo se mi può
dare una mano… lui
ci è già passato e magari ne capisce qualcosa di
più… a te, al massimo, lascio
leggere le istruzioni, se proprio vuoi…”
Ryo
si alzò, ed offrì la sua mano alla compagna,
aiutandola a rimettersi in piedi.
Le circondò la vita con un braccio, e camminando con il naso
dentro quella
cascata di capelli rosso fuoco, chiuse la porta della stanza alle sue
spalle,
conscio che dopotutto Kaori aveva ragione: c’era tempo per
montare i mobili.
Magari non un anno, ma quattro mesi, quelli sì,
c’erano tutti.
E
poi… e poi, Hideyuki Ichigo Saeba sarebbe finalmente entrato
nelle loro vite. (*)
(*)Ichigo,
nome proprio maschile il cui significato è
“Angelo”.