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Autore: kateausten    01/12/2020    3 recensioni
Fu in quel momento che Dean vide tra l’erba qualcosa che stonava con l’idilliaco paesaggio di fronte a lui. Si avvicinò incuriosito e il suo cuore perse un battito, per poi ricominciare a pompare furiosamente, quando si accorse che cosa era l’oggetto seminascosto: una cassetta.
E non una cassetta qualsiasi; per la precisione il mixtape che aveva regalato a Castiel.
Gli scappò un sorriso. La prese come se fosse di cristallo, guardandola attentamente, riconoscendo la sua calligrafia incasinata e si girò per osservare lo spazio intorno a lui.
“Cas?”, bisbigliò. ”Castiel?”
Niente. Neanche un alito di vento aveva smosso un filo d’erba. Dean si rigirò pensieroso la cassetta fra le dita, poi entrò in macchina e la infilò nella radio. Partì “Ramble On” dei Led Zeppelin.
Sorrise.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le strade sembravano infinite in Paradiso; c’era qualcosa di dolorosamente familiare che richiamava dei bei momenti che Dean ricordava di aver vissuto, quando ad esempio una caccia era andata particolarmente bene e lui e Sam avevano ascoltato buona musica (scelta da lui ovviamente), bevuto buona birra (tenuta al fresco) e mangiato buoni hamburger (beh, lui. Sam continuava con quell’assurda cosa da conigli). Le strade erano soleggiate e c’era talmente tanta tranquillità che certe volte Dean fermava l’Impala, spegneva la radio e saltava giù dalla macchina per assaporare il momento. C’era voluto un po’ di tempo prima che Dean riuscisse a godersi il paesaggio senza l’ansia di un’Apocalisse o di una Madre di tutte le cose pronte a balzargli a dosso e ancora più tempo nello smettere di girarsi con aria colpevole verso lo sportello del passeggero, perché gli sembrava profondamente ingiusto assaporare quel momento senza Sam accanto.
Ma poi un giorno, un qualsiasi giorno paradisiaco come tanti altri, Dean aveva fermato la macchina, si era affacciato a un ponte e aveva sorriso.
L’abbraccio di Sam era stato forte, vigoroso e pieno di affetto. Sam era lì, con lui, senza mostri e altre schifezze da cacciare via, solo loro due pronti a godersi l’eternità insieme.
“Così gli hai dato il mio nome, eh? Ci credo, con uno zio così fico”.
L’occhiata esasperata che Sam gli aveva lanciato aveva fatto pizzicare gli occhi di Dean.
“Sei il solito coglione”, aveva detto Sam con affetto.
“E tu la solita puttana”.
E così erano tutti lì: c’era Sam, Bobby, i suoi genitori, mio Dio, i suoi genitori insieme, la sua macchina continua a scarrozzarlo ovunque volesse; Miracle correva e abbaiava agli scoiattoli nei paraggi e certe volte Dean passava alla RoadHouse cosicché Ellen potesse insultarlo e Jo potesse batterlo a freccette, mentre William Harvell gli diceva che era un onore conoscere il figlio di John. Era tutto perfetto. Tutto.
“Cas ha aiutato”.
Beh. Quasi.



Dean calciò un sassolino mentre si avviava verso la macchina al ritorno da una passeggiata in un posto che somigliava curiosamente a un villaggio di cowboy (la sua segreta speranza era quella di vedere qualcosa che somigliasse a Gotham City: forse doveva trovare il modo di fare due chiacchiere con Jack).
Si trovava nel luogo in cui si meritava di stare dopo la vita che aveva vissuto, in cui aveva tutti i suoi affetti, in cui aveva Sam. Certo che Castiel aveva aiutato, solo lui poteva aver creato con Jack quel luogo fatto su misura per lui.
“Mi hai cambiato Dean”.
Cercava di non pensare spesso agli ultimi momenti passati con Castiel perché si sentiva stordito e gli faceva male il petto e gli sembrava sbagliato perché diamine, era in Paradiso, no? Certe volte però era più forte di lui e ripensava a quando gli aveva fatto vedere Dirty Dancing o quando lui e Sam lo portato al mare e lui era troppo ridicolo sempre con quel trench sulle spalle o a quando cucinavano insieme o alle altre mille, centomila giornate passate senza fare nulla di speciale ma che diventavano improvvisamente importantissime perché erano state vissute con Castiel accanto. Come poteva stare in Paradiso senza che ci fosse anche lui?
“Perché suona come un addio?”.
Perché lo è”.
Non era riuscito a spiccicare parola in quel momento, con Castiel davanti a lui in lacrime; sapeva cosa stava per dire Cas ancora prima che aprisse bocca. Non voleva sentire quelle parole perché sembrava così definitiva la situazione: se Cas diceva quello che provava nei suoi confronti, sentiva di non avere più possibilità di scampo ne in quel momento ne in futuro e allora non sarebbe più tornato, mai mai più e Dean come poteva sopravvivere?
Ma Cas lo aveva detto, “Ti amo”, e Dean non aveva avuto reazioni significative a parte quella di guardarlo negli occhi mentre sentiva le tempie pulsare e anche i suoi occhi pienarsi di lacrime. Non lo aveva detto per avere una risposta; anche quella volta Castiel aveva messo Dean al primo posto, lo stava salvando e non chiedeva nulla in cambio.
“Addio Dean”, e poi niente, Castiel era scomparso e lui era rimasto accasciato sul pavimento, mentre il freddo gli penetrava nelle ossa e le lacrime gli rigavano le guance.
Aveva poi fatto quello che gli riusciva meglio: affogato le parole dell’angelo in una bottiglia, preso a calci in culo il gran cattivo di turno e cercato di sopravvivere al meglio che poteva, pensando ogni secondo della vita che quello che era appena passato era solo l’ultimo secondo dei successivi milioni di secondi che avrebbe dovuto vivere senza Castiel.
Sopravvivi senza di lui, Dean. Questa è ora la tua missione.
Fu in quel momento che Dean vide tra l’erba qualcosa che stonava con l’idilliaco paesaggio di fronte a lui. Si avvicinò incuriosito e il suo cuore perse un battito, per poi ricominciare a pompare furiosamente, quando si accorse che cosa era l’oggetto seminascosto: una cassetta. E non una cassetta qualsiasi; per la precisione il mixtape che aveva regalato a Castiel.
Gli scappò un sorriso.
La prese come se fosse di cristallo, guardandola attentamente, riconoscendo la sua calligrafia incasinata e si girò per osservare lo spazio intorno a lui.
“Cas?”, bisbigliò. ”Castiel?”
Niente.
Neanche un alito di vento aveva smosso un filo d’erba. Dean si rigirò pensieroso la cassetta fra le dita, poi entrò in macchina e la infilò nella radio. Partì “Ramble On” dei Led Zeppelin.
Sorrise.



“Dean, tutto bene?”, chiese Jo.
Era alla RoadHouse il giorno dopo (o per lo meno Dean pensava fosse il giorno dopo: non dormiva praticamente mai, era una pratica che faceva più per abitudine che per reale necessità) e Jo era dietro il bancone che lo guardava preoccupata.
“Certo che va tutto bene”.
“Sinceramente non sembra. Hai la faccia di uno costipato”.
Dean si accigliò, mentre buttava giù quello che probabilmente era il wiskey più buono che avesse mai assaggiato.
“Neanche in Paradiso riesci a non insultarmi?”
Jo gli fece una linguaccia e rise.
“Sul serio, sembri preoccupato”.
Dean aprì la bocca per rispondere, anche se non sapeva esattamente cosa, quando una voce lo bloccò.
“Beh, direi che ci vediamo un’altra volta stronzetto”.
Dean si girò di scatto e vide Charlie. Charlie con i capelli corti, come quando l’avevano ritrovata in una pozza di sangue in quella vasca, ma adesso era lì, con un sorriso tutto denti e il solito profumo. “Non ci credo”. Dean la guardava e riguardava. “Sei qui”.
Charlie lo abbracciò (non prima di aver scoccato un’occhiata di apprezzamento a Jo) e sospirò felice.
“Merito di Cas”, bisbigliò poi. “È stato lui a mandarmi qui. Pensava ti mancassi”.
Dean si staccò e la guardò.
“È qui?”, chiese velocemente. “Lo hai visto?”.
Charlie scosse la testa dispiaciuta.
“Non so dove si trovi, non credo sia qui”, rispose. “Ma aveva ragione”.
“Riguardo cosa?”, chiese Dean mentre la delusione lo investiva.
“Il Paradiso ti dona”, rispose sorridendo Charlie carezzandogli la guancia. “Sei sempre più bello”. Dean scosse la testa.
“Che bugiardo”, mormorò con un sorriso.



“Non ho visto Cas, te lo giuro”, disse Sam in tono esasperato.
Dean voleva andare al lago a pescare, Sam si era voluto unire a lui e Dean non poteva dire di no al suo fratellino, non ora che potevano stare insieme. Solo che Dean voleva andare da solo, dato che sapeva che con Sam e infinite ore di silenzio davanti, gli sarebbe potuta scappare qualche parola da ragazzina nei confronti di Castiel.
Sam non sapeva degli ultimi momenti con Cas, del suo enorme senso di colpa nei suoi confronti e Dean non sapeva se voleva farglielo sapere.
“Ti credo Sammy”.
“E allora perché fai quell’espressione?”.
Quale espressione?”.
“Questa”.
Dean si girò controvoglia e guardò suo fratello, che esibiva un broncio esagerato.
“Ma quanto siamo simpatici da morti”.
Sam gli diede una spinta e guardò il lago davanti a lui.
“Prima o poi si farà.. Uh.. Vivo?”.
Dean sbuffò.
“È che non capisco”, disse muovendo un po’ la canna.”Io sono qui, tu sei qui. Jack è da qualche parte, ma comunque alla portata”.
Il sorriso di Sam era diventato un po’ troppo comprensivo per i gusti di Dean.
“Sarà impegnato”.
“Già”, commentò amaramente Dean. “Come sempre”. 



Stava per entrare in casa di Bobby quando vide un oggetto sulla sedia a dondolo che Bobby teneva nel porticato. SORRY era un gioco veramente inutile per i gusti di Dean, ma quando lo riconobbe lo annoverò nei tre giochi da tavolo migliori del mondo e fu investito da una sensazione alla bocca dello stomaco talmente forte da procurargli quasi la nausea.
“Non c’è nulla per cui tu debba chiedere scusa Cas”, bisbigliò. “Nulla”.
In quel momento sentì un rumore dietro di lui e si immobilizzò, con il cuore in gola e la mani sudate. Si girò.
Bobby, con una birra in mano, osservava perplesso lui e il gioco.
“Idiota”, disse scuotendo la testa.




La volta dopo fu la cravatta. Dean stava correndo con Miracle in qualche parco verdissimo dopo aver parlato con Benny.
“Castiel ha convinto Jack”, disse vedendo l’espressione scioccata di Dean quando gli era comparso davanti. “Ha detto che forse..”.
“Mi mancavi”, completò Dean con voce sommessa, mentre tirava in un forte abbraccio Benny. “Anche tu fratello, anche tu”.
Stava tirando la palla a Miracle quando tra l’erbe notò la cravatta blu di Castiel. La prese in mano, ma non disse nulla. 



“Non capisco perché fa così”, mormorò seduto con la testa nascosta tra le mani e i gomiti poggiati sul tavolo. “È come se stesse cercando di riempire il Paradiso di persone che amato quando ero in vita”.
Mary gli accarezzò i capelli.
“Forse vuole solo vederti felice”.
Dean alzò la testa e guardò sua madre. John era con Sam; passavano un mucchio di tempo insieme.
“Forse vuole farmi avere più persone possibili intorno”.
Mary sospirò.
“E quale sarebbe lo scopo?”.
Dean chiuse gli occhi.




Passò un po’ di tempo: rivide Kevin e la signora Train; rivide Lisa, santo cielo Lisa e si ricordava di lui (“Ben è diventato un dottore, ci credi?”); rivide un sacco di persone alle quali aveva voluto bene, ma dopo un po’ la felicità venne sostituita da una profonda rabbia che lo investiva con la forza di un camion.
“E va bene”, si disse una sera, dopo aver salutato Adam. “Va bene”.
Montò in macchina e guidò fino a quando non trovò uno spazio aperto ; il cielo era sgombro da nuvole, pieno di stelle e l’aria era mite e delicata. Sembrava la notte in cui lo aveva conosciuto. Spense il motore e marciò fino a che non si trovò nel mezzo del prato.
“Va bene!”, urlò rivolto al cielo. “Dove sei?? Dove cazzo sei?”.
Niente.
“Castiel? Maledetto figlio di puttana ingessato, dove sei?”. Dean camminava praticamente su se stesso, con i pugni chiusi e l’espressione feroce. “Non puoi continuare a ignorarmi. Smettila di mandarmi altre persone! Non voglio altre persone, non possono compensare la tua assenza.. Non.. non puoi pensare che così non sentirò la tua mancanza, Cas!”.
Dean si fermò a riprendere fiato. Ancora nulla.
“Ah sì? Lo sai cosa c’è allora? Ti odio, ti detesto, non farti vedere ne ora ne mai più, vaffanculo! Hai capito? Vaffanculo!”.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, respirando con affanno, pensando che fosse una fortuna che fosse già morto, altrimenti probabilmente gli sarebbe venuto un infarto.
Aspettò un altro po’.
“Ti sto pregando Castiel”, mormorò. “Mi stai facendo pregare un’altra volta. Torna.” Fece una pausa. “Torna da me”.
Dean aspettò ancora e ancora, senza muoversi, quasi non osando respirare, ma niente cambiò. Si alzò barcollando, con il cuore pesante e un macigno sullo stomaco e lui era lì.
Un attimo prima non c’era e l’attimo dopo era accanto all’Impala, con il trench stropicciato e le braccia conserte, Dean sbattè gli occhi, non osando muoversi, pensando che fosse un sogno o un allucinazione, perché nel profondo era convinto che non avrebbe più visto Castiel, anche se avesse pregato fino all’eternità.
Si potevano avere allucinazioni in Paradiso?
“Ciao Dean”.
Dean si incamminò verso di lui e quando fu vicino si fermò per osservarlo bene. Mi sei mancato brutto bastardo voleva dirgli, ma l‘unica cosa che gli venne fuori fu:
“Ti manca la cravatta”.
Castiel sorrise, fece il più grande sorriso che Dean gli avesse mai visto sul volto e sciolse le braccia da quella postura impostata.
Dean si aggrappò al trench senza staccargli gli occhi di dosso.
“Sei qui? Sei veramente qui?”, chiese stringendogli le spalle. Cas annuì, deglutendo velocemente. “Jack ce l’ha fatta a salvarmi dal Vuoto a patto però che non ti avrei potuto rivedere fino a quando saresti stato vivo”. La voce di Castiel era rauca e Dean aggrottò la fronte.
“Sono morto da un pezzo raggio di sole”, disse. “Purché diamine non sei apparso prima? Continuavi a lasciarmi indizi e messaggi subliminali come un maledetto piccione viaggiatore. Sono quasi impazzito”.
Castiel abbassò lo sguardo, colpevole.
“Pensavo.. Non volessi più vedermi”, spiegò a bassa voce. “Non dopo quello che avevo detto l’ultima volta che ci siamo visti”.
Dean lasciò la presa, mentre sentiva il cuore esplodere di speranza.
“Ma davvero?”.
“Già”.
“Cas, guardami”.
Castiel alzò lo sguardo e piantò gli occhi in quelli di Dean.
“Era vero? Quello che mi hai detto?”, chiese dolcemente. L’angelo annuì.
E allora Dean sorrise, fece quel genere di sorriso che Castiel gli aveva visto poche volte, lontano dai sorrisetti ammiccanti o pieni di sarcasmo che era solito fare. Lontano dall’ultima espressione che gli aveva visto sul volto, piena di dolore e angoscia.
Dean gli prese il volto fra le mani e sentì Cas trattenere il respiro.
“Sono ancora il coglione che fa fatica a esprimere i propri sentimenti”, mormorò Dean, la fronte contro quella di Castiel. “Ma sappi che ero morto in quella stanza ancora prima di esserlo veramente”.
“Oh Dean”.
E Dean lo baciò, prima che potesse dire altro. Profondamente, dolcemente, lentamente, senza fretta. Come se avessero avuto tutto il tempo del mondo, E beh, ora ce lo avevano. Lo baciò come aveva sempre voluto baciarlo. 



Quando si staccarono, Dean stette un paio di secondi con gli occhi chiusi, cercando di calmarsi. “Direi che sei molto meglio nei fatti rispetto alla teoria”, commentò Castiel guardandolo attentamente, come capire la reazione che avrebbe avuto.
Dean rise.
“È uno dei miei tanti pregi”.
“Insieme a una certa dose di modestia”.
“E la bellezza”.
"E l'esperienza".
“Anni e anni di pratica per arrivare a questo momento”.
Dean lo ribaciò, come per provarlo.
“Hai capito, vero?”, chiese poi piano. “Che puoi avere quello che pensavi di non poter avere”.
Castiel annuì, gli occhi lucidi e Dean sospirò.
“Perché è sempre stato tuo. Fin dall‘inizio".
Castiel sembrava senza parole, gli occhi sgranati e il viso pallido.
Dean scosse la testa sorridendo.
“Ok, ok. Basta con questi momenti da ragazzine. Per i prossimi diecimila anni siamo a posto direi”. “Mi sembra giusto”, concordò Castiel con voce lieta.
Dean, con l’animo improvvisamente leggero, gli passò il braccio sulle spalle come aveva fatto tante volte quando era vivo.
“Vieni”, disse. “Abbiamo tante esperienze da recuperare”. Castiel roteò gli occhi al cielo con un sorriso.
“Ci avrei scommesso”.
“Ehi, che c’è?”, esclamò Dean aprendo la portiera. “In fin dei conti sono sempre io”.
Castiel sorrise apertamente.
“Si”, rispose con palese sollievo nella voce. “Sei sempre tu”.
E montò sull’Impala, chiudendo lo sportello contemporaneamente a quello di Dean.
  
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