Fumetti/Cartoni americani > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Talitha_    07/12/2020    2 recensioni
[I racconti di Arcadia]

Post Wizards. ⁣

« Il calore del sole sulla pelle.⁣
Il profumo invitante di un pasto caldo. ⁣
Il tepore di una morbida mano intrecciata alla sua. ⁣
Queste erano emozioni che James Lake Jr. non provava da tempo, ormai. »
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non pensare… 

 

 

1. 

 

Il calore del sole sulla pelle.

Il profumo invitante di un pasto caldo. 

Il tepore di una morbida mano intrecciata alla sua. 

Queste erano emozioni che James Lake Jr. non provava da tempo. 

Camminava giù per le strade di Arcadia, la testa carica di pensieri e i passi ciondolanti per la stanchezza. 

Gli si strinse il cuore quando passarono vicino a Mr. Benoit, ricordando il loro primo appuntamento ufficiale, al museo e al fast food, e anche davanti alla sua vetrina preferita dell’intera città: file e file di scooter scintillanti, dalla vernice laccata e il sedile in pelle morbida. 

Volse lo sguardo al cielo azzurro, puntellato da qualche solitaria nuvoletta bianca, e inspirò l’aria fresca del tardo pomeriggio di un giorno di fine estate. 

Gli risuonavano in testa le parole che Blinky gli aveva rivolto tanto tempo prima, quando lui era ancora alle primissime armi con la faccenda del Cacciatore di Troll. 

 

“La paura non è altro che il precursore del coraggio.”

 

“Non pensare, diventa.”

 

Cercava di aggrapparsi con tutto se stesso al loro significato, eppure era arrivato a ripeterle talmente tante volte che gli sembravano soltanto un’accozzaglia insensata di lettere scelte a caso. Dopo tutto quello che aveva passato, che aveva vissuto e sofferto, si sentiva come un estraneo nel suo stesso corpo. 

Percepì una stretta più forte alla sua mano. 

“Ehi, tutto bene?” gli chiese la voce premurosa e ancora un po' scossa di Claire. 

Jim fece un profondo respiro, cercando di concentrarsi solo sulla strada davanti a sé. 

Passo dopo passo. 

Come erano piccoli i suoi piedi ora. E come esili e leggere le sue gambe. Non riusciva a capacitarsi di aver vissuto per sedici anni in quel corpo. Gli sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che aveva indossato dei vestiti normali. I suoi vestiti. Credeva non li avrebbe messi mai più. 

Rivolse uno sguardo distratto verso Claire. Aveva paura di quello che lei avrebbe potuto leggere nei suoi occhi. 

Confusione. Paura. Stanchezza. Anche un po' di rabbia. 

Incertezza e smarrimento. 

Strinse più forte la mano aggrappata alla sua. E rabbrividì al pensiero di quella mano che poco prima aveva stretto le mani intorno al collo delicato di lei. Avrebbe potuto ucciderla se soltanto le sue dita avessero esercitato una pressione più forte sulla pelle di Claire. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, e un buco di paura farsi strada nel suo petto. 

Allora Claire gli strattonò leggermente il braccio, invitandolo a fermarsi. 

Gli cinse delicatamente le spalle con le braccia, rifugiando il capo nell’incavo del collo. 

La sua armatura viola brillò sotto la luce del sole. 

Jim rimase immobile, anche piuttosto imbarazzato. Da quand’è che non si faceva una doccia? 

Gli venne da ridere al pensiero che a Claire non sarebbe mai importata una cosa del genere, in quel momento, e poi da sotterrarsi pensando a tutto quello che lei aveva visto di lui. 

Le sue parti peggiori, letteralmente. 

E vedere come lo amasse ancora, come gli fosse rimasto accanto nonostante tutto, come avesse combattuto con tutta se stessa per salvarlo, gli fece rendere conto di quale ragazza fantastica avesse al suo fianco. 

Non che prima non lo sapesse. Semplicemente, non ne aveva mai carpito a pieno l’importanza. Jim rimase così, con le mani abbandonate intorno ai fianchi, mentre cercava di concentrarsi soltanto sul calore del corpo di Claire contro il suo, sul profumo dei suoi capelli, il respiro che gli solleticava delicatamente il collo. 

“Ehi, Jim” gli sussurrò piano “troverò sempre un modo per salvarti. Soprattutto ora che hai più bisogno di noi. Di me, di Toby, di tua madre e di tutti i tuoi amici.” Si aggrappò a lui più forte, la voce leggermente incrinata dal pianto. Scosse la testa con fermezza, mentre ancora si teneva stretta al suo collo. “Non importa quanto tempo ci vorrà, né quanto potrà rivelarsi difficile, tu potrai sempre contare su di noi. Va bene?”

Allentò la presa delle braccia per guardarlo dritto negli occhi. Gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte imperlata di sudore. Gli carezzò dolcemente la guancia col dorso della mano. 

Jim rimase spiazzato da quello sguardo così carico di emozioni, quei due occhioni bellissimi, tristi e sorridenti al contempo.

Notò piccole lacrime iniziare la loro discesa giù per quelle guance morbide, le labbra rosate. 

“Claire…” 

La voce era rauca e spezzata, non riusciva a pronunciare nient’altro. 

Lo sguardo di Claire si addolcì sentendo il suo nome pronunciato da lui. Voleva baciarlo e non lasciarlo andare più, ma sapeva che Jim aveva bisogno del tempo per stare da solo. 

Per pensare e capire. E anche perdonarsi. 

Perché questa volta non gli riusciva di diventare e basta, come se nulla fosse. Improvvisamente si sentiva così fragile. 

 

 

2. 

 

Scorgere la sua casa dopo così tanto tempo passato nel buio gli fece sobbalzare il cuore nel petto. 

Si stupì nel ricordare ogni singolo particolare, come se non fosse trascorso un solo giorno da quando era partito. In realtà erano passati mesi infiniti. 

Nell’aria risuonava il canto familiare delle cicale, e i gemiti di qualche bimbo indispettito. Non sapeva come sarebbe stato accolto dopo tutto quel tempo, né come avrebbe trovato sua madre, o Strickler. 

Una nuova famiglia senza di lui. 

Sentì all’improvviso l’impellente bisogno di scappare nel bosco, rifugiarsi nell’oscurità di una grotta, o sugli accoglienti rami di un albero. 

Poi si ricordò che non era più un troll, e sentì una strana sensazione farsi strada dentro di sé. 

Era confuso. 

Non sapeva più chi fosse. Se sentirsi felice o meno, né quale sarebbe stato il suo ruolo da quel momento in poi. 

Seguire i troll e comportarsi come se fosse ancora il loro leader, o condurre una vita da normale adolescente, i cui unici pensieri sono la scuola, gli amici e la ragazza? 

Ciononostante, anche se così fosse stato, Jim era certo che mai nulla sarebbe tornato come prima. 

Tutto quello che aveva vissuto lo aveva segnato nel profondo, e avrebbe influenzato per sempre le sue scelte e la sua persona. 

Avanzava, passo dopo passo, verso quella che per anni era stata la sua casa. Aveva paura di quello che vi avrebbe trovato, o piuttosto di quello che non ci sarebbe stato. 

Un posto per lui. Il suo posto nel mondo, qualcosa che Jim non era ancora mai riuscito ad afferrare. 

Perché proprio quando aveva accettato il suo ruolo come Cacciatore di Troll, ecco che si era ritrovato a prendere una delle scelte più importanti della sua vita, e aveva sacrificato una parte di sé per il bene delle persone che amava.

E quando gli era sembrato di trovare una parvenza di normalità nella sua vita in New Jersey con Claire, ecco che ancora tutto veniva rimesso in discussione. Ancora una volta. 

Ora era di nuovo un umano. E non aveva più con sé il suo amuleto, nulla che potesse legarlo al mondo dei troll. 

Salì lentamente i pochi scalini che portavano all’ingresso di casa sua. 

Si sorprese nel rendersi conto di non sapere quanti fossero, nonostante li avesse incontrati ogni giorno della sua vita per sedici lunghi anni. 

Si stupì del suono leggero dei suoi piedi, del dolce scricchiolio dei suoi passi sulle assi di legno. 

E ora cosa fare? 

Aveva fatto capire a Claire che preferiva tornare a casa da solo, ma all’improvviso si pentì di non aver ceduto al suo sguardo supplichevole. 

Si sentiva così patetico al pensiero di suonare e aspettare che sua madre gli aprisse la porta. Ma certo non poteva entrare in casa come se nulla fosse. 

Cosa avrebbe detto? Cosa avrebbero pensato di lui? 

Sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti sotto il peso della stanchezza. 

Le ginocchia tremare e le gambe cedere. 

Voleva che Claire fosse lì con lui, a dargli quel coraggio che soltanto i suoi occhi fieri e profondi sapevano fare. 

Avanzò piano, dirigendosi verso la finestra sul portico. Cercò di scorgere qualcosa da dietro le tende tirate, ma l’unica cosa che riusciva a vedere era del fumo uscire dalla vetrata che separava la cucina dalla sala da pranzo. 

Sorrise immaginandosi sua madre in atto di preparare uno dei suoi soliti intrugli e si chiese quanto le fossero mancate le sue omelette speciali appena sveglia, i suoi sacchetti per il pranzo da portare al lavoro. Forse ora era Strickler a prepararglielo. Gli dava l’aria di essere uno di quegli uomini capaci di fare tutto, persino cucinare. 

Nella mente sentiva una tale confusione che gli impediva di respirare. Spossato, si accovacciò dietro la ringhiera del portico davanti casa. Infilò la testa tra le ginocchia, come spesso faceva da piccolo quando gli mancava suo padre, quando vedeva sua madre soffrire, o semplicemente se litigava con i suoi amici. 

Posò la testa sulle ginocchia proprio come un bambino indifeso, mentre sentiva lacrime amare prendere il largo, bagnargli il viso e le mani. 

Rimase così, mentre la luce del sole si affievoliva e il cielo assumeva le tonalità più disparate. Arancione e giallo e viola e blu. Un sottile spicchio di luna emerse nella volta immensa del cielo, mentre il frinire delle cicale lasciava spazio al bubolare dei gufi. 

Jim rimase lì, rannicchiato e spaurito, perso e confuso, la testa poggiata sul tessuto dei jeans che gli pizzicava la fronte. Alzò lo sguardo e notò con la coda dell’occhio uno spostamento di tende dalla casa di fronte. Forse Toby lo aveva spiato fino a quel momento, indeciso se andare o meno ad aiutare il suo amico. Gli era grato per non essere venuto a parlargli. Non ne aveva la minima voglia. 

Si spaventò sentendo l’improvviso cigolio di una porta. Se avesse avuto il suo udito da troll, sarebbe riuscito ad avvertire lo scalpiccio dei passi che si avvicinavano, e avrebbe fatto in tempo a nascondersi dietro la vegetazione del giardino. 

Troppo tardi. 

Uno spicchio di luce si infranse sulle assi della veranda in corrispondenza dell’apertura della porta. Un rumore di fruscii e di imprecazioni pronunciate a fior di labbra. 

Jim si immobilizzò, preda di una trattenuta inquietudine. 

Spalancò gli occhi azzurri, ogni muscolo del corpo teso, mentre si girava lentamente alla sua destra, scorgendo la figura che usciva affaccendata dalla porta. 

Quasi gli scappò da ridere. 

 

 

***

 

Walter Strickler non riusciva a credere ai propri occhi. 

Il suo Giovane Atlante sedeva rannicchiato nell’ombra sotto la finestra. Strizzò le palpebre per accertarsi che quella non fosse un’allucinazione (accudire quattro bambini aveva i suoi effetti collaterali). 

Sarebbe stato sicuramente strano ritrovarsi Troll Jim appena fuori casa. Ma certo non impossibile. Magari una capatina senza avvisare, una sorpresa a Barbara. 

Ma lui. Lui era impossibile. 

Mosse qualche passo scoordinato, mentre tra le mani teneva due bustoni neri di spazzatura. Di quelli grandi. Capaci di contenere i pannolini usati in un giorno da quattro mocciosi urlanti. 

Storse il naso quando un olezzo nauseante gli avvolse le narici, mentre cercava di destreggiarsi alla bell’è meglio per non inciampare. 

Purtroppo, il suo stupore aveva rasentato livelli talmente alti da confondere la percezione dei suoi passi sul pavimento. Quindi sporse il piede destro troppo in là, verso gli scalini. 

Perso l’equilibrio, Walter Strickler rovinò rumorosamente a terra, sbattendo la schiena sul prato sottostante al portico. 

Jim, che fino a quel momento non aveva saputo cosa fare, si precipitò ad aiutarlo, mentre quello continuava a guardarlo con occhi strabuzzati. 

Si sedette accanto a lui e lo chiamò più volte, mentre gli prendeva tra le mani il viso dalla pelle verde e gli tirava leggeri schiaffetti sulle guance lisce. 

Walter rimase a terra, e non perché non riuscisse a rialzarsi (nonostante la sua caduta fosse stata piuttosto disastrosa), quanto più per l’incredulità di trovarsi davanti il Jim che aveva conosciuto tanto tempo prima. 

Eppure, osservandolo, gli pareva una persona completamente diversa. 

Due piccole cicatrici, una sotto l’occhio destro e l’altra sul sopracciglio sinistro, gli incorniciavano il volto stanco, conferendogli un’aria più matura. Ad una più attenta analisi, potè notare piccole strisce lucide rigargli il viso, e occhi rossi e gonfi che indicavano che avesse pianto.  

“Waalt?” 

Nella foga del momento non aveva percepito i passi di Barbara dirigersi leggeri e frettolosi verso la porta di ingresso. 

“Tutto a posto?”

Sentendo la sua voce, Jim si girò di scatto. Un groppone gli si formò in gola, mentre nuove calde lacrime premevano per uscire. Volse lo sguardo in alto, verso di lei. 

La sua mamma. 

Era proprio come se la ricordava, forse un po' più spettinata del solito. Non portava la divisa dell’ospedale, come soleva fare tutti i giorni quando erano soltanto loro due. 

Quando erano soltanto loro due. 

Quel pensiero fece emergere a galla tanti ricordi, sia belli che brutti, mentre un’acuta nostalgia prese possesso del suo petto, stritolandolo a suo piacimento. 

Jim si portò le mani sul cuore, strinse la felpa blu tra le dita, mentre un senso di dolore mai provato prima si faceva strada dentro di sé. 

Feroce, inarrestabile, inesorabile. 

Gli mancava il fiato. 

Sentì il suo nome pronunciato dalla voce di sua madre. Poi più nulla. 

 

 

3. 

 

La prima cosa di cui ebbe la percezione appena sveglio, fu di essere in un letto. Un letto morbido e accogliente. E il cuscino, oh. Che Cuscino. 

Somigliava decisamente a quello ci casa sua. 

Si sa com’è, il detto: “Nessun cuscino è comodo come quello di casa mia.”

Sorrise nel dormiveglia. 

Forse se lo era reinventato un po' a modo suo, quel detto. Però era vero. 

Fece per stiracchiarsi, e si accorse subito che qualcosa non andava. 

C’era troppa luce. 

Dopo tanto tempo abituato a vivere senza, gli dava inconsapevolmente molto fastidio. Però era piacevole sentire quel tepore sulla pelle, sul viso e le mani. 

Decise di provare ad aprire gli occhi, incerto se continuare a dormire o meno. Era un peccato rovinare quel piacevole dormiveglia. 

In realtà all’inizio era convinto di star sognando, ma quei raggi di sole erano fin troppo veri, così come le lenzuola profumate e le coperte calde. 

Schiuse piano le ciglia scure, e non si sorprese di ritrovarsi nella sua camera. 

In fin dei conti, forse si trattava proprio un sogno. 

Tutto era come lo ricordava, o quasi. La scrivania ai piedi della finestra, la piccola libreria in legno addossata alla parete. I poster dei suoi gruppi preferiti. *

E foto. Foto di sua madre e di una bambina sdentata dai codini riccioluti. 

Di un bricconcello biondo intento a smoccolarsi. 

Di un piccolo monello dai capelli scuri, ma che sicuramente non era lui. 

D’improvviso si ricordò tutto. 

Era stato così strano, come quando ti svegli e non ricordi il giorno della settimana. È domenica o mercoledì?

Jim scattò seduto, talmente veloce che per qualche secondo ci vide tutto nero. Si aggrappò con la mano destra al muro, mentre con l’altra teneva stretta la coperta. 

Chiuse gli occhi e deglutì, facendo respiri profondi. 

Non servì a molto.  

Sentì leggeri colpi alla porta, poi la figura snella di sua madre entrare piano. 

Jim fece per sdraiarsi e fingersi addormentato, ma non fece in tempo. 

“Ehi, tesoro”

La sua voce era rotta dall’emozione, quasi come se stentasse ancora a credere di ritrovarsi di fronte suo figlio, in carne e ossa. 

Jim si passò una mano sulla fronte, scoprendosi tutto sudato. 

Barbara gli si avvicinò piano, cercando di capire cosa fare. Come comportarsi. 

“Come stai?” gli chiese materna, la voce limpida e cristallina. 

Jim rifuggì il suo sguardo, chinando il capo ad osservare le mani che si contorcevano frenetiche. 

“Jim” il suo nome pronunciato da quella voce gli fece salire le lacrime agli occhi. Gli era mancata. Barbara si fece più avanti, cauta, sedendosi goffamente sul letto. Gli liberò i capelli dalla fronte, gli carezzò le guance. 

Lo osservò amorevolmente, e Jim non si sentì a disagio sotto il suo sguardo scrutatore. Anche lui la guardava con quegli occhi profondi, quasi impassibili. 

Sua madre lo strinse a sé dolcemente, mentre calde lacrime le rigavano il volto. 

Quando avvertì la prima goccia del suo pianto bagnargli la fronte, Jim non riuscì più a trattenersi. 

Scoppiò a piangere come non aveva mai fatto prima, singhiozzi gli squassavano il petto e muco caldo gli impediva di respirare. Si fece accogliere da quelle braccia conosciute, ispirò il suo odore, odore di mamma; si fece cullare come quando era piccolo, e consolare con dolci parole. 

Barbara lo teneva stretto stretto, per non lasciarlo andare mai più. Gli disse quello che un figlio ha sempre bisogno di sapere da sua madre, che lo amava, che andava tutto bene, che avrebbe sempre potuto contare su di lei. Sempre. 

Che avrebbero risolto la situazione insieme. 

Jim non disse niente, troppo sconvolto dalla sua stessa reazione per dire qualcosa. Rimase qualche minuto abbracciata a lei, mentre cercava di calmare i singhiozzi. 

Barbara continuava ad accarezzargli la testa, felice di poter nuovamente stringere suo figlio tra le braccia, dopo tutto quel tempo distanti. 

Inspirò a fondo il suo profumo (di muschio, troll e sudaticcio), e gli lasciò una serie di baci sulla testa. 

“Grazie, mamma” fu l’unica cosa che Jim riuscì a mormorarle tra i capelli spettinati. 

Sentendo quelle parole, pronunciate talmente piano da farle dubitare di averle sentite veramente, Barbara percepì il cuore sciogliersi nel petto. 

“Grazie per cosa, tesoro?”

Cercò il suo sguardo, sciogliendo di malavoglia il loro abbraccio. Gli prese le guance tra le mani, mentre lui si stropicciava gli occhi come un bimbo. 

“Così” fece spallucce, fingendo indifferenza. 

A Barbara, però, non sfuggì una smorfia di commozione. 

Gli diede un ultimo bacio sulla fronte, prima di chiedergli: “Allora, scendi o no a fare colazione? Ti preparo le omelette alla Jim!” 

Era talmente eccitata che si mise a sbattere le mani, mentre Jim si lasciò scappare un sorriso. Forse di disperazione. 

“Ma mamma” protestò “tu non le sai fare, le omelette!” 

Lei mise un finto broncio, incrociando le braccia. 

“Guarda che senza di te ho dovuto arrangiarmi e imparare a farle da sola.” Si alzò dal letto puntando le mani sul bordo. “Ormai non sono più così tanto una frana, sai?”

Il sorriso di Jim si allargò un po' di più. 

“Va bene, allora” disse, scostando le coperte “mi sacrificherò”. 

Tese le mani in segno di arresa, mentre Barbara si accostava alla porta per farlo passare. 

“Prima un bel bagno però, signorinello!” E puntò il dito verso la suddetta stanza. 

Lui rise al suo tono canzonatorio. 

“Sissignora” esclamò, con un tono che fece ridere sua madre. 

Barbara lo attirò in un ultimo tenero abbraccio. 

“Ti aspetto di sotto” sussurrò, baciandogli la testa. 

Lui mugugnò in risposta. In realtà stava sorridendo. 

 

 

***

 

Prima di entrare in bagno, bussò. 

Così, per sicurezza. 

Non c’era nessuno. 

Aprì piano la porta, timoroso di qualcosa che non sapeva. 

La stanza era come se la ricordava, più o meno. Qua e là erano sparse piccole paperelle di gomma e altri giochini del genere. 

Sopra il lavandino un bicchiere giallo con un numero spropositato di spazzolini strani, di quelli che i bambini usano quando non hanno ancora tutti i denti. 

Sulla finestra erano attaccati adesivi dei personaggi più svariati, uno, osservò divertito, raffigurante Sdentato*. 

Per il resto, tutto era come prima. Aprì istintivamente l’armadietto a specchio sopra il lavandino, e si sorprese quando trovò ancora il suo spazzolino. 

Si girò verso la vasca, e fece per aprire il getto di acqua calda che l’avrebbe riempita mentre si lavava i denti.

Fu allora che si bloccò. 

Sua madre era riuscita a camuffarla bene, tra paperelle e aggeggi vari, questo lo ammetteva, eppure non potè non pensare all’ultima volta che era stato in quella stanza. Che ciuffi di acqua bollente gli avevano inumidito i capelli e imperlato la fronte di minuscole goccioline di sudore. 

Che aveva visto quei vetri appannati, e ci si era specchiato dentro un’ultima volta, ponderando la sua decisione e imprimendosi bene in mente i lineamenti del suo volto. 

Che si era immerso tra quelle pareti bianche, inghiottito dall’oscurità. 

Si fece pallido in volto, mentre perle di sudore freddo gli ricoprivano il viso. 

Deglutì e chiuse gli occhi, cercando di sconfiggere quei demoni che lo accompagnavano da tempo e che aveva sempre ignorato. 

Gli tremavano le ginocchia. 

Allora fece un respiro profondo e si girò a guardarsi allo specchio. 

Osservò il suo viso stanco, le cicatrici, gli occhi limpidi, il naso leggermente ricurvo. Le labbra sottili e le guance pallide. Si tastò il volto con le mani, ripercorrendone tutto il profilo. Nel frattempo, il vapore aveva iniziato ad inondare la stanza. Così come aveva fatto tanto tempo prima, cancellò la piccola patina che si era venuta a formare sullo specchio, e che gli impediva di distinguere nitidamente i contorni del suo viso. 

Strizzò e strofinò gli occhi ancora e ancora, cercando di convincersi che tutto quello non fosse un sogno. Che lui non fosse un sogno. 

Un rumore di pentole cadute per terra lo ridestò. Insieme allo strillo di disperazione di sua madre. 

Inconsapevolmente, l’ombra di un sorriso gli tinse il volto. 

Prese uno sgabello colorato e lo trascinò fino alla vasca, scostò la tendina di plastica, e si sedette a guardare l’acqua che scorreva. 

Il livello saliva sempre di più, mentre strisce di vapore annebbiavano l’ambiente circostante. 

D’un tratto, gli venne in mente il volto di Claire. Un nodo si sciolse nel petto. Poi un altro ancora. 

Il suo sorriso dolce. 

I suoi occhioni castani. 

La sua tenacia e la sua forza. 

Jim inspirò profondamente, sentendosi un po' meno oppresso. 

Ora aveva voglia di sentire la sua voce, di vederla, anche solo di profilo, di spalle. 

Di osservare tutti quei piccoli gesti che erano suoi e di nessun altro. Quando si metteva nervosamente i capelli dietro l’orecchio, quando imprecava sottovoce. 

Più pensava a lei, più si rendeva conto che tutto quello che avevano erano momenti rubati. 

Avevano sempre anteposto la sicurezza del mondo alla loro relazione. Il loro quasi primo bacio era stato mancato. Persino il primo appuntamento ufficiale era andato a farsi friggere. Anche in New Jersey, nonostante stessero praticamente sempre insieme, era solo per questioni legate alla gestione dei troll, o alla costruzione di un ambiente che tutti potessero chiamare casa. 

Lo scroscio dell’acqua continuava imperterrito. 

Eppure non aveva lo stesso suono tetro di prima. All’improvviso, quel vapore asfissiante era diventato come una piccola grande nuvola tutta per lui, per sognare e pensare. E quell’acqua calda un rimedio per liberarsi di tutti i suoi pensieri negativi. 

Spense il rubinetto e iniziò piano a spogliarsi. Si immerse lentamente nell’acqua bollente, che lo rilassò immediatamente. Troppo tempo era passato dal suo ultimo bagno caldo. 

E quelle pareti bianche che fino a qualche minuto prima sembravano minacciare di inghiottirlo, ora parevano così innocue e accoglienti. 

‘Grazie, Claire’ pronunciò mentalmente. ‘Tu trovi sempre un modo per salvarmi.’

Si abbandonò con la testa all’indietro, pensando da dove cominciare per iniziare a mettere un po' d’ordine nella sua vita. 

Si accorse a malincuore che c’era molto lavoro da fare. 

 

 

4. 

 

Claire rimestava pensierosa il contenuto della sua tazza. 

Sedeva in cucina, ancora in pigiama, lo schermo spento del cellulare davanti agli occhi.

Lo chiamo o non lo chiamo?

Lo chiamo o non lo chiamo?

Questo era il dubbio amletico che la attanagliava. *

Quella notte aveva dormito pochissimo. 

Da una parte era contenta, anzi, euforica, che tutto, o quasi, fosse finito per il meglio. 

Jim stava bene. Questo era quello che contava. 

Forse più che star bene, era meglio dire che era tutto intero, fisicamente parlando. 

Dentro era a pezzi. Pezzi così numerosi che neanche quelle pietre che si erano sgretolate ai suoi piedi solo poche ora prima erano lontanamente comparabili, riguardo a numeri. 

Claire era euforica, ma anche infinitamente preoccupata. 

Perché anche se sembrava tutto finito, per Jim era solo l’inizio. E anche per lei, in un certo senso. 

Si era accorta dallo sguardo che le aveva lanciato il giorno prima, mentre la stava riaccompagnando a casa. Dolore e confusione. 

Non voleva lasciarlo solo, ma sapeva che era necessario. 

Ora però voleva parlargli, sapere come stava. Come si sentiva dentro. 

Rimescolò ancora e ancora il tè nella tazza. Ormai si era freddato. 

Si alzò e rovesciò il contenuto rimasto nel lavandino. 

Strinse con forza i bordi del bancone, spremendo le meningi in cerca di una soluzione. 

Qualcosa che potesse aiutarlo, quantomeno distrarlo. 

Ma non voleva essergli di peso. Se lui voleva restare da solo, lei non avrebbe dovuto intromettersi. 

Si diresse svogliatamente verso camera sua, strascicando i piedi mentre saliva le scale. 

Si sentiva da schifo, con le occhiaie, i muscoli di tutto il corpo doloranti. Le gambe stanche. 

Le veniva da piangere. 

Chiuse le tende della sua camera, si sciolse i capelli e si buttò sul letto. Guardando le stelle luminose appiccicate al soffitto, le venne in mente quella sera in cui Jim l’aveva portata a ballare sul belvedere della città. 

Ricordava ancora il suo sguardo di stelle, i movimenti impacciati, la voglia che aveva di baciarlo. E poi ancora tutto era andato a monte. 

Prese le auricolari dal cassetto del comodino e scorse la sua playlist fino a trovare la loro canzone. Probabilmente lui neanche se ne ricordava, eppure per lei, da quella sera, era diventata la sua preferita. 

Schiacciò il triangolino con la freccia puntata verso destra. 

 

Hoy desperté con ganas de besarte, tengo una sed de acariciarte…

 

E si addormentò. 

 

 

5. 

 

“Ce l’hai fatta, finalmente. Credevo quasi ci fossi caduto, nella vasca” la sua voce allegra riempì ben presto la stanza, anche se Jim non potè fare a meno di annusare puzza di bruciato. 

Al sentire quella frase, però, si rabbuiò un poco. Barbara se ne accorse troppo tardi, e corse subito ai ripari. 

“Oh tesoro, scusami io…sono proprio una stupida, non avevo pensato che… insomma…”

“Sta’ tranquilla, mamma. Va tutto bene.” 

Fece per rassicurarla, regalandole un sorriso un po' forzato. 

Lei strinse le labbra, fece per parlare, ma alla fine ci ripensò. 

Gli porse davanti un piatto bello pieno, e lui chiuse subito gli occhi, già rassegnatosi a dover mangiare quella sbobba dall’aspetto dubbioso. 

Aprì un occhio, poi l’altro. 

Mmh, non era poi così male. 

Gli venne l’acquolina in bocca, mentre sentì lo stomaco brontolare. 

Prima di prendere coltello e forchetta, le lanciò uno sguardo interrogativo. 

“Ma sicura che l’hai fatto tu?” le chiese alzando un sopracciglio. 

Lei rimase interdetta, non sapendo se ridere della sua espressione buffa o rimanere offesa dalla sua indelicatezza. 

Annuì con fare filosofico. “Te l’avevo detto, che ero migliorata.”

Lui sghignazzò un poco, mentre osservava il primo pezzo di omelette che aveva infilzato colla forchetta. Più che osservare, lo stava ispezionando da ogni possibile angolazione. 

“È che ho sentito puzza di bruciato” disse alzando lo sguardo su di lei. “Avevo perso le speranze” ammise, con un sorriso sghembo. 

Barbara scoppiò a ridere, protestando dicendo che quello era solo il primo tentativo della giornata. Si sedette di fronte a lui tenendo in mano un altro piatto delle sue favolose Omelette alla Jim. 

“Vuoi che ti porti del materiale da vivisezione o possiamo iniziare a mangiare?”

Lui sorrise imbarazzato, mentre si portava la forchetta alla bocca. 

“Buon appetito!” esclamò sorridente Barbara. 

“Mmmh” mugugnò Jim, mentre masticava il primo boccone. “Pensavo peggio” disse con un tono un po' scherzoso. 

“È che non ho avuto lezioni dirette dal maestro, mi sono potuta basare soltanto sui suoi appunti”

Lui sorrise ancora, rendendosi conto all’improvviso di quanto gli fossero mancati quei momenti di spensieratezza con sua madre. 

Rimasero in silenzio per qualche momento, quando lui le chiese, un po’ per smorzare l’atmosfera: “Allora, come va qui ad Arcadia?”

Lei lo guardò interdetta, non aspettandosi una domanda del genere. 

“Oh, le solite cose. Alieni, mondo da salvare, maghi, mondo da salvare. Arrrgh che ha distrutto una decina di volte lo steccato della signora Domzalski  e il Signor Uhl che ha pianto alla morte del suo Pick-up” fece con noncuranza, agitando qua e là la forchetta per aria. 

“Com’è che si chiamava?” Chiese poi. 

“Cosa?”

“Il Pick-up del Signor Uhl”

Lui fece per pensarci un attimo. “Arianna?” 

Lei sorrise. “Ah, può darsi!”

Restarono in silenzio ancora per qualche istante. 

Lei era incerta se chiedergli o meno qualche dettaglio in più sulle sue avventure delle ultime settimane. 

Lui la guardò con aria dubbiosa. Poi si arrese. 

“Cosa vuoi sapere, mamma?”

Lei diventò rossa come un peperone. 

“Io?” chiese, con un’aria da bimba innocente. Iniziò a rimestare nervosamente il contenuto del piatto, mentre con la mano libera tormentava una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia dietro la nuca. “Niente” aggiunse dopo qualche secondo, vedendo lui che la scrutava con l’aria di uno che non se l’è bevuta. 

“Mamma, guarda che se non ti volevo dire niente non te l’avrei mica chiesto” la rassicurò allora lui, capendo quanto fosse difficile per lei non sapere come fossero davvero andate le cose. 

“Tesoro, capiscimi” gli disse allora, avvicinando una mano verso la sua. Gliela strinse e la carezzò piano, con quelle sue dita lunghe e affusolate. “Non voglio che tu ti senta costretto a rivivere momenti che ehm… non ricordi con piacere. Volevo solo che tu sapessi che a me puoi sempre dire tutto. Qualunque cosa. D’accordo?”

Jim annuì debolmente. Sciolse la mano dalla stretta di sua madre e finì di mangiare. 

Di nuovo quel silenzio imbarazzante. 

“Come sta Strickler?” chiese infine, non senza una vena di nervosismo. 

Sua madre lo guardò stranita. 

“Walter? Oh, benone!”

“È al lavoro?”

“Chi?”

“Strickler.”

“Ah.” Il livello di disagio era alle stelle. “Sì, è al lavoro.”

“Ah.”

“Mmh” fece lei, in un mugugno. 

Lui prese a giocherellare nervosamente con le dita. 

“E vive qui?”

Lei divenne rossa. “Beh, sì.” Si passò una mano tra i capelli. “Sai com’è, con i bambini e… insomma, tutto il resto.”

Lui mise le mani avanti. “Certo, certo, ti capisco.”

“Ah sì?” chiese incredula. 

“Beh, sì.”

Barbara guardò un istante suo figlio. 

“Senti, Jim. Non c’è bisogno che tu ti senta così in imbarazzo con me. Insomma, io sono tua madre e…”

Vedeva lui che la fissava con i suoi profondi occhi azzurri, e sentì un leggero pizzicore agli occhi. Si alzò dalla sedia, e fece il giro del tavolo per sedersi accanto a lui. Gli prese una guancia e la strofinò delicatamente col pollice, mentre lo guardava intensamente in volto. 

“Jim…” le parole le morirono in gola. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto dirgli, eppure sentiva di dover fare qualcosa, perché chiaramente quello non era il suo Jim. 

“Mamma” lui chiuse gli occhi e rifuggì al suo sguardo, roteando leggermente la testa verso sinistra. Lottò con tutte le sue forze per ricacciare le lacrime, quel giorno ne aveva già versate abbastanza. Sempre con lo sguardo verso il basso, mormorò: “Complimenti per le omelette, erano buone quasi quanto le mie.” 

Le regalò un sorriso triste, poi si alzò e si diresse verso la porta di ingresso, lo sguardo assente. 

Sua madre scattò in piedi, e con un tono di pura preoccupazione gli chiese: “Ma dove vai?”

Quando vide i suoi occhi vuoti si spaventò un poco. 

Lui fece spallucce e si richiuse silenzioso la porta alle spalle. 

 

 

6. 

 

“Ciaoo, T.D.!!” Darci si gettò tra le sue braccia corte e paffute. Strofinò allegramente il volto sul suo petto morbido: “Mi sei mancato tantissimo!”

Tobias Domzalski rimase un attimo spiazzato da quella inaspettata reazione, poi arrossì violentemente e ricambiò imbarazzato l’abbraccio della sua ragazza. “Ehm… Ciao, Darci.”

Darci gli scoccò un bacio sulle labbra. “Ero così in pensiero per voi, tu e Steve siete spariti all’improvviso senza avvertire nessuno. Si può sapere cos’è successo?”

Toby prese a grattarsi nervosamente la testa. “Eh, è una lunga storia.” La prese per mano e iniziò ad incamminarsi. “Che ne dici di andare a mangiare qualcosa, mentre ti racconto? Sai che a stomaco vuoto non sono buono a far nulla.”

Darci gli lanciò un sorriso raggiante. “Oh, che dolce che sei!” Gli strinse la mano ed esclamò entusiasta: “Diablo Maximus Burrito, arriviamo!”

 

***

 

Toby guardò euforico il contenuto del sacchetto di carta che teneva tra le mani. Lo scintillio della carta argentata. La crosta croccante del panino. Il sentore di piccante che gli invadeva le narici. Inspirò profondamente quell’odore ormai familiare, come in estasi. 

“Ahh, ora sì che si ragiona!” 

Darci lo guardava con un espressione rapita, mentre dava il primo morso al suo normalissimo burrito. Il Diablo Maximus non faceva per lei. 

Camminavano fianco a fianco come una vera coppietta, anche se, da quando si erano messi insieme, non avevano ancora avuto molte occasioni per comportarsi da due piccioncini. 

“E Jim come sta, in tutto questo?”gli chiese tra un boccone e l’altro, riprendendo il discorso iniziato poco prima. 

Toby le rivolse uno sguardo triste. “Da schifo” le disse prima di dare un nuovo morso alla sua appetitosa vittima. “Da quando è tornato non lo abbiamo più visto, né io né Claire. Abbiamo chiesto a sua madre se c’era qualcosa che potessimo fare per aiutarlo, ma a quanto pare neanche lei sa cosa gli sia preso. L’ho chiamato al cellulare tantissime volte, ma non mi ha mai risposto.”

Camminava fissando il suo burrito. Pensare a Jim gli aveva fatto passare la fame. “Sono davvero preoccupato.”

Darci lo guardò comprensiva. “E Claire? Cosa ne pensa lei di questa situazione?”

“Credo ne soffra molto anche lei. Da quando sono tornati dal New Jersey, ho come l’impressione che il loro legame sia diventato molto più profondo. Dopo tutto quello che hanno passato, non oso immaginare come debba sentirsi. È stata una vera leonessa, sul campo di battaglia, e temo che senza di lei Jim non sarebbe qui con noi, ora.” Si prese del tempo per masticare un boccone, mentre la sua mente ritornava pensierosa agli eventi degli ultimi giorni. 

Poi aggiunse: “Neanche lei ha la minima idea di cosa passi per la testa di Jim, e non ha ancora avuto il coraggio di chiamarlo. Crede che lui abbia bisogno di stare da solo per un po’, quindi non lo chiama per paura di dargli fastidio.”

“Ma è assurdo!” Darci non riusciva a credere alle sue parole. “Jim è pazzo di lei, non potrebbe mai dargli fastidio. E neanche tu, che da quando vi conosco siete sempre stati pappa e ciccia!”

Toby fece spallucce, in volto un’aria sconsolata. “Non so cosa pensare, Darci. Non mi ha ancora richiamato, e se non lo ha fatto vuol dire che non è pronto per parlare. D’altronde è passato un solo giorno. Magari ha soltanto bisogno di più tempo.”

Darci capì che forse era meglio cambiare argomento. Gli diede un colpo di gomito, indicando con l’indice della mano sinistra l’edificio al di là della strada. “Guarda, hanno riaperto il cinema! Che ne dici di andarci insieme?”

Toby, nonostante non fosse esattamente dell’umore giusto per vedere un film, pensò che almeno così avrebbe potuto distrarsi un po' dai suoi pensieri. Finito di mangiare il suo speciale burrito, buttò la carta nel cestino più vicino e si diresse, mano nella mano con la sua ragazza, verso il cinema di Arcadia Oaks. 

 

 

7.

 

Lo chiamo o non lo chiamo?

Lo chiamo o non lo chiamo?

Erano ore che Claire si poneva sempre la stessa domanda, mentre fissava ansiosa lo schermo del telefono, il numero di Jim, la sua foto. 

Aveva mordicchiato le unghie fino alla carne, attorcigliato i capelli fino a farle venire il mal di testa. 

Spense il telefono. 

 

 

8. 

 

“Eccolo che arriva, l’aereoplanino! Apri la bocca, Enrique. Aaamm! Bravissimo, tesoro!”

Din don. 

La signora Nuñez posò sul vassoio del seggiolone il cucchiaino tutto appiccicaticcio cosparso da qualche strana sbobba biologica, si pulì velocemente le mani con un panno pulito e si diresse in soggiorno, per andare ad aprire. 

“Oh, salve signora Nuñez!” La figura impacciata e nervosa di Darci Scott apparve da dietro la porta. 

Ophelia guardò la ragazzina con aria superiore, squadrandola da capo a piedi. Dall’altra stanza, si sentivano i gemiti giocosi del piccolo Enrique. Alzò un sopracciglio in direzione della sua ospite. 

Darci incrociò le braccia dietro la schiena. Aveva sempre provato una strana reverenza di fronte alla madre di Claire, e cercava di evitarla il più possibile. 

“Ehm, sono venuta per Claire. Insomma, per… salutarla?! Sì, per salutarla e sapere come stava.”

“Ti ha invitata lei?”

Darci iniziava a sudare freddo, quella donna era davvero spaventosa. 

“Sì! Cioè, no. Beh, vede, ho provato a chiamarla ma aveva il telefono spento. Voglio soltanto vederla, va bene anche per un attimo.”

Guardava la signora Nuñez con occhi imploranti e le mani giunte. 

Ophelia sbuffò e roteò gli occhi. “È in camera sua, vado a vedere se dorme. Aspettami qui.”

Darci annuì velocemente, mentre osservava la madre di Claire salire le scale. 

In attesa del suo ritorno, andò in cucina a salutare Enrique. Gli fece qualche smorfia che lo fece sorridere, gli accarezzò le guance paffute. 

Si voltò di scatto quando sentì i passi di Ophelia avvicinarsi. 

“Ti aspetta di sopra.”

Si sorprese quando scorse, nel suo sguardo, una punta di sofferenza. 

Salutò Enrique scompigliandogli i capelli, ringraziò la signora Nuñez e si diresse dalla sua amica. 

 

***

 

“Oh, tesoro!” Darci tese le braccia in avanti e strinse la sua amica in un abbraccio. Aveva subito notato l’aspetto orribile di Claire: le borse sotto agli occhi, il volto pallido, i capelli scarmigliati sciolti sulle spalle. Le poggiò le mani sulle spalle e le rivolse uno sguardo comprensivo. “Come stai?” chiese, anche se sapeva benissimo che la risposta a quella domanda non era delle migliori. 

“Da schifo” rispose infatti l’amica, mentre si dirigeva come afflosciata verso il divanetto sotto la finestra, invitando Darci a sedersi accanto a lei. 

Bussarono alla porta. 

“Claire, tesoro. Scusa il disturbo. Ho pensato di portarvi un po' di guacamole, so che ai tuoi amici piace tanto.” Poggiò il piatto sul tavolo, fece per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. 

“Grazie, mamma” rispose la figlia con un tono spento. 

“Di niente” si guardò intorno alla ricerca di qualcosa di sensato da dire. Rinunciò ancora. “Allora, buon appetito!” E chiuse silenziosamente la porta dietro di sé. 

Darci rabbrividì: “Mamma mia, che donna di ghiaccio!” Poi si volse verso Claire, e quasi si pentì di aver pronunciato quelle parole. In altre circostanze non si sarebbe fatta alcun problema, ma ora improvvisamente si sentiva a disagio. Si alzò per prendere la scodella del guacamole e tornò a sedersi a gambe incrociate sul morbido tappeto ai piedi di Claire. Appoggiò un gomito sul divanetto con fare disinvolto, mentre iniziò a sbocconcellare qua e là il contenuto del piatto. 

Lo porse a Claire, e lei sembrò fare uno sforzo immane per assaggiarne un po’. 

“Ehi” esclamò poi, con un tono forzatissimo “devi stare proprio male per rinunciare al tuo piatto preferito!” 

Claire la guardò di sbieco. “Già” fece. 

Darci si morse il labbro, preda di una risatina isterica. “Scusami, Claire” le prese una mano pallida e ne accarezzò il dorso col pollice “non so davvero come comportarmi, in situazioni del genere. insomma, tu sei sempre così forte e sicura di te, vederti così… vulnerabile mi ha spiazzata. Sono stata proprio una stupida.” 

Le si fece più vicina. “Sappi, però, che per me resterai sempre la mia Bomba C., e se vuoi qualcuno con cui parlare, io ci sono.”

Claire rimase colpita da quelle parole, non se le aspettava proprio dalla sua amica. 

Le rivolse un sorriso di gratitudine. “Grazie, Darci. Lo apprezzo molto.”

Per qualche secondo rimasero in silenzio. Poi lo sguardo di Darci si illuminò. “Senti” le propose “hai proprio l’aria di una che ha bisogno di svagarsi un p…”

“Oh no, Darci. Non ne sono proprio in vena, stasera” la interruppe Claire. 

“Andiamo, non dire sciocchezze!” sventolò la mano per aria “Non c’è niente di meglio che distrarsi un po' di un pigiama-party tra amiche. Vedrai, ci divertiremo un sacco. E poi” aggiunse entusiasta “devo assolutamente aggiornarti sugli ultimi scoop qui ad Arcadia. Ne sono successe davvero delle belle!”

Claire ponderò l’idea. Non era affatto in vena di passare una serata a ridere e spettegolare, però poi pensò che stare tutto il tempo a piangersi addosso non sarebbe servito a nulla, se non a farla sentire ancora peggio, e quindi accettò la sua proposta con un debole sorriso.

Darci le gettò le braccia al collo, iniziò subito a fare un programma dettagliato della serata. 

“Per prima cosa, e non ti offendere, cara Claire, ti ci vuole proprio una doccia. Che me diresti di un bagno insieme? Dai vieni, e non fare la timidona. Ricordati sempre che sei una vera bomba, mia cara!”

 

***

 

“E come vanno le cose con Toby?”

“Siamo usciti insieme proprio oggi pomeriggio.” Darci giocherellava con le dita con la schiuma del sapone, mentre Claire la ascoltava con gli occhi chiusi e le gambe piegate, dall’altro capo della vasca. Si era un po' sciolta da quando la sua amica era arrivata. Darci era sempre stata molto brava a mettere a proprio agio le persone, ed era riuscita in poco tempo a rompere il ghiaccio dei primi minuti.

“Davvero? E com’è andata?” chiese incuriosita, mentre spremeva il tubetto di shampoo sulla mano e lo porgeva a Darci. 

“Oh, benone. È stato bellissimo uscire insieme dopo tutto questo tempo. Nelle ultime settimane era sempre impegnatissimo con la faccenda degli alieni e non abbiamo avuto quasi mai l’occasione di stare un po' soli.” Iniziò a massaggiarsi delicatamente la cute con lo shampoo. “Mmmh, che profumo! Ma cos’è?”

Claire si sporse verso il bordo della vasca e controllò l’etichetta del barattolo. “Aloe vera” recitò mentre leggeva. 

“Proprio buono” ripetè, mentre portò nuovamente il sapone al naso. “Comunque, ti stavo dicendo. Mi sono vista con Toby, prima. Ero contentissima di rivederlo e stare un passare un po' di tempo insieme, però mi è sembrato da subito un po' triste. Allora gli ho offerto un bel Diablo Maximus e l’ho portato al cinema a vedere un film. Uno horror, tant’è che mi è rimasto attaccato al braccio per tutto il tempo” sorrise ripensando a quanto le fosse parso dolce in quel momento. “Poi abbiamo fatto una passeggiata romantica mano nella mano, mi ha riaccompagnata a casa e mi ha dato un bacio mozzafiato e…” 

Claire storse il naso immaginandosi la scena, mentre Darci le illustrava sognante ogni singolo particolare del fantomatico bacio. 

“… e mi ha stretta forte forte, e sarebbe andato avanti ancora per un bel po' se non fosse stato per mio padre. Ahah, dovevi vedere la faccia di Toby in quel momento, sembrava stesse per farsela addosso! Ha balbettato un ‘Buonanotte signor Scott’” lo scimmiottò ridendo “‘come può vedere, ho riportato sua figlia a casa sana e salva, eh eh. Ciao Darci!’ ed è fuggito via!”

Con quella frase, Darci riuscì finalmente a strappare un sorriso a Claire, che si portò una mano davanti alla bocca e ridacchiò spensierata. 

“È sempre la stessa storia, lui che mi accompagna a casa e mio padre che ci sta sempre col fiato sul collo. Io non gli dico niente perché, beh… è mio padre, non posso certo chiedergli un po' più di libertà con Toby, però certe volte mi piacerebbe sederci sul divano di casa in totale spensieratezza e mangiare la pizza mentre ci facciamo un po' di coccole. Non chiedo poi così tanto, no?” 

Claire non sapeva come rispondere, ma non ce ne fu bisogno perché Darci fece per prendere il soffione della doccia e aprire il getto d’acqua per sciacquarsi i capelli. 

“E poi, c’è un’altra cosa di cui ti volevo parlare” riprese appena finito, mentre si strofinava gli occhi per liberare le ciglia dalle goccioline d’acqua che vi si erano depositate “so che penserai che io sia una paranoica, però è una cosa a cui ho fatto caso da un po' e che non mi dà pace.”

“Di cosa si tratta?” le chiese un po' preoccupata Claire, con un tono che cercava di farle capire che aveva tutta la sua attenzione. 

“Ecco, vedi” prese a contorcersi le dita “insomma, Toby non mi ha ancora detto quelle due paroline…” era improvvisamente diventata rossa come un peperone. 

Claire aggrottò le sopracciglia. 

“Avanti, Claire. Capiscimi. Sono sicura che Jim te l’avrà detto centinaia di volte. Siete una coppia così affiatata. E poi Toby sostiene che da quando siete tornati siate così uniti, molto più di prima. Certo, non che prima non lo foste, però…” alzò lo sguardo verso Claire, che era decisamente in imbarazzo. “Oddio, ma che sto dicendo.” Si passò le mani davanti alla faccia. “Fa’ finta di non aver sentito niente.” 

Claire scosse la testa. In quel momento sentiva che Darci era l’unica con cui potesse parlare del suo rapporto con Jim e delle sue incertezze, per cui prese un respiro e si fece coraggio. “Non ti preoccupare, Darci. Non c’è nessun problema” agitò le mani in avanti per rassicurarla. “Vedi, neanche per me e Jim negli ultimi mesi c’è stato molto tempo per stare da soli. Però abbiamo collaborato molto, e io ho cercato di sostenerlo il più possibile nelle sue scelte” si fermò un momento per prendere un sospiro, mentre con un gesto nervoso si portava la ciocca bianca di capelli dietro l’orecchio. I suoi grandi occhi nocciola si intenerirono pensando a Jim, e il cuore prese a battere più forte. 

“In realtà” si fece coraggio “non mi ha ancora detto che mi ama.”

“Cosa?”

Claire si morse il labbro. 

“Insomma, io credevo che…”

“Non preoccuparti Darci. Forse non è ancora pronto, o non ha trovato l’occasione giusta per dirlo. Dopotutto, le ultime settimane sono state così frenetiche…”

Darci annuì debolmente. 

“Inoltre” continuò Claire “non è scritto da nessuna parte che siccome io gliel’ho detto anche lui automaticamente debba farlo.”

“Tu gliel’hai detto?”

“Beh, sì.”

“E lui cosa ti ha risposto?”

Claire arrossì. “In realtà, tutte le volte che gliel’ho detto o non poteva rispondermi o aveva cose più importanti a cui pensare.”

“Tipo?”

“La salvezza del mondo.”

“Ah.”

“Già.”

Darci non potè fare a meno di notare l’aria sconsolata di Claire. “Allora puoi stare tranquilla, Bomba C.. Vedrai che, quando sarà il momento, Jim farà una dichiarazione da urlo.”

“Tu dici?”

“Certo che sì” sventolò la mano con fare ovvio. “Lui è letteralmente pazzo di te, Claire.”

Lei continuava a guardarla perplessa. “E come lo sai?”

Darci esclamò energica: “Ma se si vede a un miglio di distanza! E poi, me l’ha detto anche Toby. Puoi stare tranquilla.”

“Te l’ha detto Toby?”

Lei annuì. 

Claire sospirò. “Staremo a vedere.”

Darci, per tirarla su, sbatté entusiasta le mani. “Ma ora basta parlare di ragazzi, che a stare dietro a loro diventeremo vecchie. Stasera dobbiamo pensare soltanto a divertirci!”

Claire sorrise con poca convinzione. 

 

 

10. 

 

Era passata una settimana. 

Una settimana di parole non dette, sguardi vuoti e discorsi interrotti. 

Barbara si buttò sospirando sul letto, le ginocchia piegate e le mani in volto. Aveva già riposto con cura gli occhiali sul comodino, la divisa dell’ospedale in lavatrice e i bambini a nanna. 

Si strofinò gli occhi e massaggiò con due dita le pareti del naso, mentre ripensava a tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni. 

“Che cosa devo fare con lui?”

Dall’altro lato della stanza, Walter spogliò il letto dalle coperte, si sedette e allungò i piedi, facendo attenzione, mentre si sdraiava, a sistemare per bene le ali. Si sdraiò sul fianco, e si fece più vicino a Barbara. 

Lei si voltò verso di lui, facendo scivolare il braccio destro sotto il cuscino, e disse: “Non mi dice niente, non ho la minima idea di cosa sia successo. Tutto il giorno fa il tenebroso o l’indifferente, ha i suoi scatti d’ira e se ne va chi sa dove. Rientra tardi e i suoi amici non hanno la minima idea di cosa faccia, visto che sta sempre solo. E quando torna sbatte la porta e se ne va in camera senza mangiare. Non lo vedi quanto è dimagrito?”

Lui continuava ad ascoltarla. 

“Già prima, non che fosse così robusto. Ora è proprio sciupato, tutto pelle e ossa. E ha certe occhiaie, sembra arrivino a terra. Ho chiesto anche a Claire, ma lei, poverina, ne sa meno di me. 

Come faccio ad aiutarlo, se lui non mi dice che gli passa per la testa?”

Walter la strinse a sé, carezzandole piano il braccio con le dita. 

Lei tirò su col naso, mentre alzava il volto verso di lui e gli chiedeva: “Che cosa posso fare?”

Lui la osservò, le guance rosse e gli occhi lucidi, i grandi occhi azzurri e i capelli ramati scompigliati intorno al volto. 

“Dagli tempo, Barbara. C’è qualcosa che non gli dà pace, probabilmente neanche lui sa cosa sia. E non possiamo aiutarlo se prima non capisce lui stesso cosa lo turba così tanto.”

Lei si scostò un poco. 

“Tempo? Quanto? È già passata una settimana!” disse quest’ultima parola con lo stesso tono con cui avrebbe pronunciato secolo. 

Lui prese tra le dita alcune ciocche dei suoi capelli, lisciandoli come fosse una bambina piccola. 

“Barbara, ognuno hai suoi tempi. Magari Jim ha soltanto bisogno di riposo. E di stare un po' da solo con i suoi pensieri…”

“Ma…” lo interruppe lei. 

“Sta’ tranquilla.” Disse quelle parole con un tono talmente intenso e profondo che Barbara si sentì improvvisamente più calma. Si strinse forte a lui, mentre gli sussurrò un ‘grazie’ appena percettibile. 

“Vuoi che ci parli io?” propose lui dopo qualche minuto di silenzio. 

Lei lo guardò incredula. “Lo faresti davvero?”

Lui annuì dolcemente. 

Le soffiò un bacio tra i capelli, si accomodò con la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. 

Lei si accoccolò tra le sue braccia ancor di più, poi mormorò due dolci paroline che risuonarono nella mente di Strickler per tutta la notte. 

‘Ti amo.’

 

***

 

Il sole batteva cocente sulle strade di Arcadia, nonostante l’estate stesse per cedere il posto all’autunno, con il fruscio del vento e i colori delle foglie. 

Si respirava odore di cambiamento nell’aria. 

La scuola era, per l’ennesima volta nel giro di un anno, in via di ricostruzione, così come alcune delle strade principali che erano state protagoniste degli insoliti avvenimenti degli ultimi mesi. 

Erano le due del pomeriggio. La città era deserta, fatta eccezione per quei pochi e coraggiosi vecchietti che, sfidando l’afa settembrina, si erano radunati sotto il portico del parco per un torneo di scacchi. Tra loro vi era anche la signora Domzalski, la campionessa in carica. 

Il canto delle cicale riempiva l’aria, facendo da sottofondo alle colorite espressioni dei giocatori.

In tutto questo, James Lake Jr. passeggiava inquieto, incurante del calore del sole e delle goccioline di sudore sulla fronte. Era uscito di casa subito dopo aver finito di mangiare e di lavare il suo piatto, evitando, come al solito, di informare sua madre della meta della sua passeggiata pomeridiana. 

Sapeva perfettamente che il suo comportamento, da quando… insomma, da quando era tornato, era davvero impossibile, eppure non riusciva in alcun modo a far finta di niente, come se tutto fosse a posto. 

Un ragazzo normale con una vita normale. 

Fino a qualche giorno prima aveva accarezzato con invidia questa idea, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per concretizzarla. Gli sarebbe piaciuto da impazzire vivere spensierato ogni giorno, preoccuparsi solo di quelle che in confronto alla sua vita sembravano piccole bazzecole da adolescente, poter ridere e scherzare in perfetta tranquillità con i suoi amici, passare il tempo libero con la sua ragazza e il pomeriggio a studiare, e permettersi qualche insufficienza solo di rado, dato che non avrebbe avuto impegni più importanti che avrebbero richiesto altrove la sua presenza. 

Poi, dopo quella prima fase di sogno e fantasia, era venuta quella della realizzazione. Una fase piuttosto cruda, doveva essere sincero, che gli aveva sbattuto in faccia la realtà in ogni sua grigia sfumatura. 

Qui, Jim si era reso conto che il passato non poteva essere cancellato, ed era proprio quello che gli impediva di comportarsi come un normalissimo adolescente, che come tutti i suoi coetanei, ha certo bizzeffe di problemi, ma almeno non si ritrova ogni singolo giorno della propria vita col peso del mondo sulle spalle. 

Camminava lentamente, strusciando un passo dopo l’altro, le mani nelle tasche dei soliti jeans, gli occhi fissi sui piedi. 

Era talmente assorto nei suoi pensieri da non essersi accorto che una figura poco distante da lui lo seguiva quatto quatto, facendo di tutto per non essere scoperto. 

Jim procedeva piano, cercando di mettere ordine nella sua mente, occupazione, quella, che aveva impegnato ogni singolo istante degli ultimi giorni. 

Non aveva più sentito Toby, né Claire, né Blinky. E non aveva quasi mai rivolto la parola a sua madre. Dopo quella prima mattina in cui gli sembrava di esser riuscito a trovare uno spiraglio di luce, tutto era diventato di nuovo oscurità. Un buio che lo aveva avvolto e gli impediva di vedere quanto lo circondava. 

Da allora non aveva fatto altro che pensare. Alla sua vita, alle persone a cui voleva bene. Era entrato come in una sorta di circolo vizioso, in cui le sue uniche attività erano soddisfare i suoi bisogni fisiologici e mentali. 

Dormire. Mangiare. Andare in bagno. 

E pensare. 

Gli venne una risatina isterica quando ripensò di nuovo alle parole di Blinky. 

 

Non pensare, diventa. 

 

Ma come faceva a diventare semplicemente, se prima non capiva chi era, né cosa voleva?

Tirò un calcio ad un piccolo sassolino, e per alcuni secondi ne risuonarono in aria i rimbalzi. 

Camminava lentamente, incurante della stanchezza che gli opprimeva le membra. 

Passo dopo passo, attraversava la città in cui era cresciuto, e le cui strade strade racchiudevano alcuni dei ricordi più importanti della sua vita. 

Camminò fino ad arrivare al bosco, passeggiando tra i suoi sentieri, i cespugli, l’erba fresca e morbida e gli alberi possenti, le cui foglie emettevano un fruscio piacevole, come fosse una ninna nanna. 

Arrivò sul promontorio più alto della città, da dove Arcadia poteva essere ammirata in tutto il suo splendore. Si sedette a terra, a gambe incrociate, a contemplare la vastità del mondo sotto di lui. Percorse con lo sguardo le curve delle dolci colline che circondavano i confini della città, delle montagne che si stagliavano fieramente in lontananza. Gli uccelli che volavano spensierati nel cielo, i cui canti venivano trasportati sino a lui dai leggeri rivoli di vento che gli scompigliavano i capelli. 

Chiuse gli occhi e inspirò l’aria fresca dell’ormai tardo pomeriggio, mentre il sole iniziava lento la sua discesa tra i monti. 

Uno scalpiccio di foglie. 

Rumore di passi. 

Jim balzò in piedi, mettendosi inconsapevolmente in posizione di difesa. 

Ma quando si ritrovò davanti la figura slanciata di Strickler, rilassò le braccia e ritornò a sedersi. 

“Ti ha mandato mia madre?” chiese, mentre si circondò le guance con le mani, i gomiti poggiati sulle gambe incrociate. 

“No” fece semplicemente lui. 

Effettivamente, era Walter che aveva avanzato la proposta di parlare con Jim. 

“Cosa vuoi?”

Strickler si sedette accanto a lui. 

“Parlare con te, Giovane Atlante.”

Jim non rispose. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Dal suo tono sembrava che fosse innervosito dal fatto che Stricler lo avesse seguito, in realtà era soltanto nervoso, perché non sapeva cosa dire. 

“Sai bene Jim, che anche Atlante, proprio come te, portava sulle spalle il peso del mondo.”

Lui alzò gli occhi al cielo, gli aveva raccontato mille volte l’origine del suo soprannome. 

“Però non credo che tu sappia che anche Atlante ha commesso i suoi sbagli.”

Jim si voltò a guardarlo, negli occhi una vena di curiosità. 

Strickler continuò. 

“Oh, certo. Atlante non perse l’occasione di delegare il suo compito a qualcun altro, in modo da potersi finalmente liberare dall’insostenibile peso del mondo. Quando Eracle passò lì in Africa per compiere una delle sue dodici fatiche, raccogliere le mele d’oro da un albero dai frutti magici sorvegliato da un drago dalle cento teste, Atlante accettò di buon grado la proposta dell’eroe: Eracle avrebbe mantenuto il mondo al posto suo, mentre Atlante gli avrebbe procurato quelle mele. Purtroppo non finì certo bene per Atlante, che fu ingannato da Eracle e costretto a portare in groppa il mondo fino a quando non venne trasformato in pietra dalla testa di Medusa.”

Jim lo guardò malissimo. 

“Grazie per l’incoraggiamento.”

Strickler gli rivolse uno sguardo affettuoso, pronunciando con tono divertito: “Guarda che tu di pietra ci sei già diventato, eppure sei ancora qui.”

Jim non potè fare a meno di sorridere, effettivamente aveva ragione. 

“Con questo volevo dirti, Jim, che gli eroi non sono perfetti. Non sono quel modello di altruismo e bontà che noi crediamo, perché tutti sbagliano, anche gli eroi più impavidi e coraggiosi. Tutti commettono errori, e sono costretti a pagarne le conseguenze. E a portarsi i demoni delle loro avventure sino alla fine dei loro giorni. Quello di Atlante è solo uno dei tanti esempi. Vedi Eracle stesso, descritto da alcuni come un bruto e un folle, o Teseo, un vero e proprio donnaiolo, per non usare un termine più dispregiativo. La storia è piena di persone che hanno compiuto imprese eroiche, ma che avevano, aldilà delle loro gesta, una vita normale, una personalità tutt’altro che perfetta, e i problemi di qualsiasi altra persona.” 

Quelle parole catturarono l’attenzione di Jim. 

Dopo qualche istante passato a ponderarne il significato, chiese rivolto a Strickler: “E come si fa a conciliare la vita di tutti i giorni con quella da… eroe? Dopo tutto questo tempo, non sono ancora riuscito a capirlo.”

Walter tirò un sospiro profondo, felice di vedere che Jim si stesse finalmente aprendo. 

“Giovane Atlante, a differenza del titano che sorreggeva il mondo, tu non sei da solo. Hai tua madre, che farebbe qualsiasi cosa per te. Hai Tobias e Claire, che negli ultimi giorni hanno chiamato centinaia di volte per sapere come stavi. Hai Blinky, Arrrgh. E… beh, me, se accetterai il mio aiuto.”

Il tono della sua voce aveva assunto una tinta di imbarazzo. 

Jim non rispose a quelle parole. Cercò il più possibile di imprimerle nella sua mente. 

“Solo che non possiamo aiutarti se non sappiamo quello che ti passa per quella testolina” gli scompigliò delicatamente i capelli con una mano. Jim chinò la testa, sorpreso da quel gesto così… affettuoso? Si rese conto, però, che non lo aveva infastidito. 

Si girò verso di lui, regalandogli un sorriso appena accennato. 

“Nonostante tutto, Strickler” gli disse poi di getto, senza sapere esattamente da dove venissero quelle parole “credo che sarai un buon padre, per quei bambini.”

Walter rimase interdetto, fissandolo come chiedendosi se le sue orecchie da mutante avessero sentito bene.  

Jim distolse subito lo sguardo, rosso come un peperone. 

“Ma non ti ci abituare però, a certi complimenti” aggiunse nervoso, cercando di rilassare l’atmosfera che si era venuta a creare. Allora Strickler sorrise, puntando i piedi a terra per alzarsi. Gli tese una mano per aiutarlo a fare lo stesso, e quando i loro sguardi si incrociarono disse: “Potresti iniziare chiamandomi per nome” si grattò il mento con la mano libera. “Certo, in classe rimarrò sempre il Professor Strickler.”

Jim ritrasse la mano, prendendo il sentiero per tornare a casa. 

“Muoviti, Walter. È quasi ora di cena” esclamò allegramente dandogli la schiena. 

Walter non se lo fece ripetere due volte.

 

 

8. 

 

Jim menò un fendente con lo stelo di una lampada, a mo’ di spada. L’aria fischiò sotto il suo colpo rapido e preciso. Era mattina presto, l’aria fresca e limpida delle prime ore del giorno, il cielo punteggiato ancora dai colori tenui dell’alba. 

Prima regola dei Cacciatori di Troll. 

Abbi sempre paura. 

Oh, lui ne aveva di paura, e anche tanta. Paura di fallire, di fare la scelta sbagliata, di non essere all’altezza dei suoi compiti e delle aspettative degli altri. 

Ma col tempo aveva imparato che la paura poteva essere sfruttata anche a proprio vantaggio, come gli aveva sempre detto Blinky. 

Negli ultimi giorni i suoi insegnamenti erano come finiti nel dimenticatoio, ma le parole di Strickler gli avevano risvegliato come una strana sensazione nel petto. 

Tirò un altro colpo. Goccioline di sudore gli imperlavano la fronte. 

Le foglioline di un cespuglio lì accanto sussultarono leggermente, emettendo uno strano fruscio. 

Da quando era diventato un Cacciatore di Troll, Jim aveva sempre cercato di applicare al meglio tutto quello che Blinky gli aveva insegnato. Doveva cercare di sfruttare le sue parole anche in quel momento. 

Abbi sempre paura. 

Jim aveva più volte ragionato sul senso di quelle tre semplici parole, e aveva capito che avere paura non significava per forza farsi dominare da una forza più grande di sé, bensì imparare come sfruttarla a proprio vantaggio. 

Lui aveva paura, certo, ma come poteva far sì che questa sua debolezza diventasse un punto di forza?

Seconda regola: Finisci sempre il combattimento. 

Una volta che ti sei prefissato il tuo obiettivo, non perderlo mai di vista. Porta sempre a conclusione quello che ti sei prefissato di fare, allora sì che sarai un vero guerriero. Per fare ciò, sfrutta tutti gli elementi a tua disposizione, primo di tutti, la paura. 

Nel dubbio, colpisci le Gronk Nacks. 

C’è sempre una via d’uscita. Anche quella che sembra la più banale, la più scontata, può aiutare a finire il combattimento e a dominare la paura. 

A sconfiggere i propri demoni e continuare per la propria strada. 

Jim piantò il bastone nell’erba del giardino di casa sua. Si passò il dorso della mano sulla fronte per asciugarsi dal sudore, mentre cercava di regolarizzare il respiro. 

‘Non hai bisogno dell’Amuleto per essere il Cacciatore di Troll’

Quanto voleva che quelle parole fossero vere. Molte volte aveva desiderato non aver mai trovato l’Amuleto. Adesso però si sentiva opprimere da una strana nostalgia al pensiero che tutto fosse finito. 

Ma, d’altronde, chi era stato a decidere che tutto era finito? 

Se c’era una cosa che Jim aveva imparato subito dopo aver trovato il proprio Amuleto, era che non si diventa automaticamente Cacciatori di Troll indossando una semplice armatura. 

Quindi, la vera domanda, la questione attorno cui girava tutto, la sua inquietudine, le sue incertezze, i suoi scatti di rabbia era: 

Voglio continuare ad essere il Cacciatore di Troll?

L’ombra di un sorriso tinse il volto di Jim. 

Oh, certo. Certo che lo voglio.

E non importava quante peripezie dovesse ancora affrontare, Jim sentiva che quella era la cosa che voleva più di ogni altra. 

All’improvviso si rese conto che tutti quei giorni passati a rimuginare e a tormentarsi non erano serviti a nulla, perché aveva già davanti tutte le risposte che gli servivano. 

E anche se gli eventi degli ultimi mesi lo avevano profondamente scosso e cambiato, c’era qualcosa che sarebbe sempre rimasto uguale. 

A differenza di Atlante, lui non era solo. 

Perché lui non era IL Cacciatore di Troll

Insieme, erano I Cacciatori di Troll

 

 

… diventa. 

 

 

1. 

 

Entrò in casa come preda di una crisi euforica. 

La testa di Barbara spuntò dalla porta della cucina, le ciglia aggrottate mentre guardava incredula suo figlio ridere come un pazzo e dirigersi di corsa verso il piano di sopra. 

“Tesoro, tutto bene?” chiese, appoggiando una mano sullo stipite. 

Jim si aggrappò al corrimano e le rivolse un sorriso a trentadue denti: “Benissimo, mamma!”

Poi prese a salire rumorosamente le scale. 

Barbara guardava perplessa il punto in cui suo figlio si trovava fino a pochi secondi prima. Fece per raggiungerlo, quando un piagnucolio l’attirò dall’altra parte della stanza. Si voltò verso il piccolo Walt, mentre sentiva Jim ridiscendere in tutta fretta e dirigersi in cucina. Parlava animatamente al telefono. 

“Cosa? No, Tobes” scosse la testa con disappunto, mentre oltrepassava la porta. Barbara si scostò per lasciarlo passare. Guardava imbambolata suo figlio parlare con una tale disinvoltura, come se nulla fosse accaduto. 

Certo, da quando Walter aveva parlato con lui, un paio di giorni prima, le cose erano nettamente migliorate, eppure soltanto in quel momento le sembrò di trovarsi davanti il Jim di sempre. Il suo Jim. 

Jim aprì il frigo e iniziò a rovistare in cerca degli ingredienti giusti. “Non serve il tuo martello da guerra. Chiama Arrrgh e tieniti pronto. Ti passo a prendere tra dieci minuti.”

Prese le uova e il formaggio e le poggiò sul bancone, mentre reggeva il telefono tra la spalla e l’orecchio. “Ah, posso chiederti un altro favore?”

Barbara continuava a fissarlo dall’ingresso della cucina, mentre lo vedeva frugare tra le pentole e accendere il gas. 

“Potresti, ehm… avvisare anche Claire? Sai, non ci siamo più sentiti e… Oh, grazie. Sei un vero amico, Tobes. La colazione la porto io, a dopo!” e riagganciò. 

Iniziò con nonchalance a sbattere le uova in una scodella. Sentendosi osservato, si voltò verso sua madre che lo fissava inebetita. Persino il piccolo Walter aveva smesso di frignare. 

“Che c’è?” chiese con aria innocente.  

Sua madre scosse la testa, rossa in volto. 

“Oh, niente. Sicuro di stare bene?”

“Benissimo, te l’ho già detto” e strusciò il burro su tutta la superficie della padella.

“Starò fuori per tutta la mattina. Vado con Toby e…”

“E Claire?” Chiese sua madre con un’aria da bimba innocente, mentre si sedeva davanti al seggiolone di Walt e riprendeva ad imboccarlo. 

“… e Claire” rispose lui arrossendo. 

Versò le uova in padella e iniziò ad affettare il formaggio. 

Barbara sghignazzò, cantilenando al bambino di fronte a lei, che sbatteva sorridente le mani sul tavolino: “Jim è innamorato. Jim è innam…”

“Eddai, mamma…” Lui la guardò imbarazzatissimo, anche se sotto sotto era divertito da quell’atmosfera giocosa che si respirava nell’aria. 

Lei lo fissò con aria innocente. “Perché, non è forse vero?”

Jim divenne rosso fino alla punta delle orecchie. 

Fece finta di non aver sentito, mentre preparava i tre sacchetti per la colazione.

Quando ebbe finito, schizzò fuori dalla porta e fece per scendere in seminterrato. 

Barbara lo canzonò: “Jim, non mi dai neanche un bacio? O li conservi tutti per la tua ragazza?” Lui ricomparve da dietro la porta. Camminava guardandosi i piedi. Biascicò un ‘ti voglio bene’ e le scoccò un bacio frettoloso sulla guancia. Lei rise di gusto, mentre lo osservava prendere le scale per il garage. 

“A dopo!”

 

***

 

“Pronto?”

“Claire?”

“Toby?”

“Oh, Claire… non puoi credere a… il telefono squillava e… Oh, Deya! Insomma…”

“Toby, ma si può sapere cos’è successo?”

“Jim mi ha app…”

“Jim?! Cos’è successo? Sta bene? Oh, Santo shish-kebab!”

“Claire, tutto apposto? Cos’era quel rumore?”

“Niente, niente. Era solo un bicchiere. Ma Jim, gli è successo qualcosa?”

“E che ne so io! Mi ha appena chiamato e…”

“Ti ha chiamato?”

“Sì, e…”

“E cosa ti ha detto??"

“Se mi fai parlare te lo dico.” 

“Sì. Scusa. Sputa il rospo.”

“Prima siediti e lascia tutto quello che hai in mano.” 

“Per Bular, Toby. Così mi fai morire d’ansia. Ma si può sapere che cosa ti ha detto?!"

“Sei seduta?”

“Sì, sì. Sono seduta.” 

“Allora. Mi ha chiamato e mi ha detto che mi viene a prendere tra dieci minuti e che prepara il pranzo e di non prendere il martello e di chiamare Arrrgh e anche te perché non vi sentite più da dieci giorni e si imbarazza a parlarti e…”

“Oddio, Toby. Non ci sto capendo niente. Ma che significa che ci viene a prendere? Per andare dove?” 

“Ma non lo so…”

“E perché diamine non glielo hai chiesto?!”

“Claire, sta’ calma.” 

“Io sono calma.”

“Ehm, sì. Va bene. Comunque…”

“Comunque…?”

“Mi è sembrato strano.” 

“Strano come?”

“Tipo… euforico?”

“Euforico.” 

“Sì, euforico.” 

“Toby, non mi stai prendendo in giro, vero? Perché se è così non è affatto divertente.”

“Ma che dici, Claire? Sai che non sono un tipo da scher…”

“Ma in che senso si imbarazza a parlarmi?”

“Senti, Claire… Oddio, eccolo!”

“Eccolo chi?"

“Jim!”

“Jim?”

“Sì, sta uscendo dal garage proprio adesso.”

“Ma io non ho ancora capito perc…”

“Claire. Jimbo ha bisogno di noi. Sicuramente avrà una spiegazione da darci. Ora vado. Arriviamo tra cinque minuti. Ciao!”

“Toby, aspetta… ecco, mi ha riattaccato in faccia!”

 

***

 

“Jimbo…aspettami!” 

Un Toby ansante e senza fiato cercava di pedalare con tutte le sue forze per raggiungere l’amico metri più avanti. “Ma si può sapere che cosa ti prende? Sicuro di stare bene?”

Jim sbuffò. “Certo che sto bene. Perché me lo chiedete tutti?”

Toby, mentre cercava invano di raggiungerlo, gli rispose tra un respiro e l’altro. “Beh, perché… sono giorni che… non parli più con nessuno e… Oh, per tutti i Cacciatori di troll! Ma non puoi rallentare? Mi sto spolmonando, qui dietro!”

Jim rise al tono con cui Toby pronunciò quella frase. 

Vedendolo felice, Toby dimenticò all’istante tutte le domande che voleva fargli. 

Cercò di velocizzare il movimento delle sue sottili gambe, ma niente da fare. 

“Hai… ehm. Avvertito Claire?”

“Sì, l’ho chiamata prima. Preparati perché…”

Jim rallentò di colpo. “È arrabbiata?”

Toby prese fiato, cogliendo l’occasione per raggiungerlo. “No. Beh, non proprio. È solo che… era preoccupatissima per te… e avrà sicuramente mille domande da farti. Non potrai eluderle come fai con le mie. Ah, che caldo!” si passò una mano sulla fronte. “Lo sai come sono, le donne.”

Jim inspirò come per infondersi coraggio. 

“Ma Arrrgh, dov’è?” chiese, per sviare l’argomento. 

“Ha detto che ci raggiunge.”

Girarono insieme l’angolo e si ritrovarono di fronte alla casa dei Nuñez. 

“Oh, finalmente!” esclamò Toby, mentre smontava dalla bici e si posava le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. 

“Jim!” 

Quando la vide dopo tutti quei giorni, Jim si sentì mancare. Nonostante le occhiaie e i capelli spettinati, le parve più bella di come la ricordasse. 

Gli mancò un battito quando la osservò scendere le scale di casa e corrergli in contro gettandogli le braccia al collo. Il suo profumo gli pervase le narici, i sospiri gli solleticavano il collo.

Claire lo strinse fortissimo, ancora incredula di averlo davanti a sé. 

Toby tossì. 

Claire sciolse l’abbraccio nervosa e imbarazzata. Gli poggiò le mani sulle spalle, domandando con un tono che a Jim fece tremare le gambe: “Stai bene?”

Lui arrossì, mentre si portava una mano dietro la testa con fare impacciato. 

“Io? Sì, sto benissimo!”

Toby sbuffò: “Ma se quando te l’ho chiesto io mi hai detto che…” li guardò ormai completamente persi l’uno negli occhi dell’altra. Alzò le mani. “Come non detto…” 

Claire fece scivolare le mani dalle spalle di Jim lungo le sue braccia fino a raggiungere le sue dita lunghe e affusolate. “Sicuro? Insomma…”

Toby si sentiva decisamente a disagio. Quindi prese la bicicletta per i manubri e montò. “Sentite, piccioncini. Vi lascio un po' di tempo soli per parlare. Se Jimbo mi dice dove ha tutta questa fretta di andare intanto mi avvio.”

Jim e Claire lo guardarono, in volto un’espressione di puro imbarazzo. 

“Ehm, non ce n’è bisogno, Tobes. Grazie.” Jim si scostò dalla presa di lei e risalì in bici. “Possiamo parlare, beh… più tardi. Ok?”

Claire annuì, anche se non aveva la minima voglia di aspettare chissà quanto tempo prima di parlare da sola con lui. Comunque, si diresse verso la bicicletta che aveva appoggiato sulla veranda e, insieme, partirono. 

“Ma quindi dove stiamo andando?” il grido di Toby, che già era rimasto indietro, risuonò per tutta la strada. 

 

 

2. 

 

“Ehi, amici! State calmi, per favore. Vedrete che presto troveremo una soluz…”

“Eh no, mio caro!” la voce infastidita di Botticella risuonò per tutta la grotta. “Sono dieci giorni ormai che viviamo in questa caverna puzzolente, non ce la faccio più. E tutto per i comodi del Cacciatore di Troll umano. Che tra l’altro ha anche distrutto l’Amuleto, quindi non so proprio cosa stiamo aspettando, visto che non esiste più, un Cacciatore di Troll! Non è vero, amici?”

Tutta la folla ruggì in risposta. 

Blinky si fece spazio tra le dozzine di troll che si erano accalcati nella sala più grande della grotta in cui avevano trovato rifugio dopo il loro ritorno dal New Jersey. Emise un gemito quando gli arrivò una gomitata dritta al suo terzo occhio sinistro.  

“Per Deya, non spingete!” urlò, massaggiandosi il suddetto occhio con la mano. “Il Cacciatore di Troll ha soltanto bisogno di un po' di tempo per pensare. Vorrei proprio vedere voi, se foste nella sua stessa situazione.” Si erse su un masso di roccia che sporgeva dalla parete, in modo che tutti potessero vederlo. 

“Vi siete già dimenticati di tutto quello che ha fatto per voi? Di tutto quello che ha sacrificato, soltanto per assicurare la vostra sicurezza e un tetto sopra la testa?!”

Tutti si zittirono. 

“E tu, Botticella” la apostrofò puntandole l’indice contro “ti sei già dimenticata di tutte le volte in cui quel poverello ha dovuto farsi in quattro, no anzi, in otto, per esaudire le tue assurde richieste?!”

Lei strinse le labbra. 

“E allora, smettetela di piangervi addosso e di inveire contro Padron Jim, perché se non fosse per…”

Si bloccò di colpo. 

“Padron Jim!” esclamò, portandosi la mano libera alla bocca (con l’altra teneva ancora l’occhio viola). 

Tutti lo guardavano con aria perplessa. Blinky era come pietrificato. 

“Padron Jim!” gridò di nuovo, questa volta puntando un dito verso l’altro capo della grotta. 

Tutti i troll seguirono il punto indicato e girarono la testa, scorgendo le figure di Jim, Arrrgh, Toby e Claire. 

“Padron Jim!” Blinky si buttò tra la folla, sgomitando e spingendo per farsi spazio. Arrivato di fronte al suo ragazzo, lo avvolse in un caloroso abbraccio a sei mani, cercando a tutti i costi di trattenere le lacrime. 

L’esito non fu dei migliori. 

“Oh, Padron Jim! Finalmente sei tornato!” Una scia di moccio colò giù per la spalla del Cacciatore di Troll, che cercava di tranquillizzare il suo maestro nella maniera meno impacciata che potè. 

Anche lui, non che riuscì così bene nel suo intento. 

Nell’aria risuonò la risata cristallina di Claire. 

“Fa’ piano, Blinky. Così lo strozzi!”

Blinky si tirò subito indietro, asciugandosi uno ad uno tutti gli occhi. “Sì, scusami Padron Jim. Solo che, beh… sono così contento!”

Jim sorrise, ancora un po' scosso (e commosso) dalla reazione di Blinky. 

Non aveva mai pensato che la sua assenza potesse causare così tante preoccupazioni. 

Tirò un respiro profondo, sentendo nel petto una strana sensazione di benessere. Era così bello sentirsi amati. 

D’improvviso l’ansia che aveva provato fino a qualche minuto prima scomparve. 

Si guardò attorno in cerca di un appiglio, e si erse tra la folla proprio come aveva fatto il suo mentore poco prima. 

“Ma che succede?” chiese in un sussurro Blinky. Toby e Claire fecero spallucce. 

Tutti quanti si zittirono all’istante, pronti a sentire le parole del Cacciatore di Troll. Non un solo borbottio uscì dalle loro labbra, non un piede sbattuto a terra. 

Jim rivolse nervoso lo sguardo verso le persone sotto di sé. Tutti aspettavano di sentire le sue parole. Lo guardavano come si guarda un capo, con rispetto e curiosità. 

Poi si voltò a osservare i suoi amici. Lo sguardo incoraggiante di Blinky, quello comprensivo di Claire. L’occhiolino di Toby, il sorriso di Arrrgh. 

Prese un profondo respiro. 

“Io, ehm” farfugliò contorcendosi le mani. Cercò nuovamente gli occhi di Claire, e  vi trovò approvazione, amore e fiducia. 

“In questi ultimi giorni ho pensato molto a… beh, a tutto quello che è accaduto da quando siamo stati attaccati dal Cavaliere Verde. Ho ripercorso con la mente ogni singolo istante. Quando sono stato… colpito. Quando la nostra casa è andata distrutta. Mi sentivo così impotente. Io, che ho sempre avuto tante responsabilità, ho avuto come l’impressione che…” abbassò gli occhi a guardarsi le mani sudate “… che forse non ero poi la persona adatta, per essere il Cacciatore di Troll.” 

Un brusio di disappunto si diffuse per la sala. Claire fece per parlare, ma una strana sensazione la trattenne, e le parole le morirono in gola. 

“So che potrà sembrare una cosa stupida da dire” continuò con un sorrisino nervoso stampato sulle labbra “eppure è… è stato più forte di me. Poi, beh… il mio Amuleto è andato distrutto, e allora mi è sembrato come avere la conferma che forse era meglio per me e per tutti se io mi facessi da parte.”

La folla era sconvolta. 

“Ma che sta dicendo?”

“È forse impazzito?” 

“Abbandonarci così?!”
Claire si morse un labbro, e istintivamente si aggrappò al braccio di Blinky, alla sua sinistra. 

“Per favore” irruppe Jim, le mani davanti a sé “fatemi finire.”

Attese qualche istante che gli animi dei presenti si calmassero. 

“Dicevo” riprese “che forse era meglio rinunciare e lasciare il posto a qualcuno più adatto. D’altronde, senza la mia armatura ero soltanto un insulso sacco di carne.”

Ridacchiò con fare nervoso. 

“Poi però” i suoi occhi si illuminarono, mentre si soffermavano su ognuno dei troll presenti nella sala “ho ricordato quello che una persona mi disse tanto tempo fa.” 

Jim posò infine lo sguardo su Blinky, e poi chiuse le palpebre. 

“Regola numero uno” recitò “Abbi sempre paura.” 

Blinky lo guardò con un’espressione d’orgoglio stampata in volto. 

Regola numero due: Finisci sempre il combattimento.” Tutti, nella sala, lanciarono un grido d’approvazione.  

“E ultima, ma non per importanza” sorrise “Regola numero tre: Nel dubbio, colpisci le Gronk Nacks.

 Un coro di risa si diffuse per la sala, insieme a qualche applauso che risuonava qua e là. 

“E allora, mi sono ricordato dell’inizio, del giorno in cui l’Amuleto mi ha chiamato e sono diventato il Cacciatore di Troll. Nonostante fossi stato scelto, e possedessi un’armatura scintillante e una spada fantasmagorica” Toby sorrise “non mi sentivo certo pronto per sconfiggere Bular o Gunmar. Perché non è stato l’Amuleto a trasformarmi in ciò che sono oggi. Merlino me ne ha soltanto offerto la possibilità, e io ho ho imparato a coglierla (non senza ripensamenti, questo è ovvio). Quindi, sono arrivato alla conclusione che se non fosse stato per le avventure che ho vissuto e per le bellissime persone che ho incontrato, non sarei mai diventato la persona che sono oggi. E se ho fatto tutto quello che ho fatto, non è stato soltanto per merito mio, perché senza di voi” disse con il mento tremante, guardando intensamente Claire, poi Toby, Blinky e infine Arrrgh “non ce l’avrei mai fatta.”

Quelle ultime parole gli uscirono più strozzate di quanto avesse voluto, quindi si prese qualche istante per cacciare indietro le lacrime. 

“E mi dispiace con tutto il cuore se mi ci è voluto tutto questo tempo per capirlo un’altra volta, se vi ho fatto soffrire e preoccupare mentre vi sarebbe bastato un mio gesto, o una semplice parola, per farvi stare meglio. Però, ero talmente scosso e confuso da tutto quello che era appena accaduto per prendere subito in mano le redini della situazione.”

Jim continuava a contorcersi le mani, nonostante man mano che il suo discorso procedeva avesse iniziato a sentirsi più spigliato. 

“Quindi, appena mi sono reso conto dei miei errori, sono subito corso qui a scusarmi, e a dirvi che, sempre se mi vorrete” si passò una mano dietro i capelli “io sarò il vostro Cacciatore di Troll, con o senza Amuleto, e che farò il possibile per proteggervi e aiutarvi e…”

Un urlo di giubilo scosse la folla, e surclassò completamente le parole del Cacciatore di Troll. Qualcuno lo prese per i piedi e per le gambe e per i fianchi, e Jim sentì dozzine di mani trasportarlo e maneggiarlo, proprio come fosse un sacco di carne. 

Rise di gioia, come da tempo non faceva più, cogli occhi rivolti al soffitto della caverna, e gli sembrò quasi di vedere un’esplosione di luci accoglierlo, tante piccola pagliuzze colorate riflettersi nei suoi occhi, avvolgerlo e coccolarlo, e si sentì felice. 

E allora, senza neanche accorgersene, venne fatto scendere giù, e si trovò davanti proprio Claire. Con i suoi occhioni nocciola, le guance rosate. 

“Claire, io…” 

Un lampo gli passò nella mente. 

Si voltò di scatto, verso quella roccia su cui si trovava fino a pochi istanti prima. Fece per arrampicarsi, stando attendo a non scivolare con le mani sudate. 

“Jim, ma cosa…?” mormorò Claire, confusa, mentre osservava il suo ragazzo cercare di placare la folla. 

“Aspettate un momento, non ho ancora finito.”

In pochi istanti si ritrovò ad avere la totale attenzione del suo pubblico. 

‘Jim, ma cosa diamine stai combinando?’ 

Il suo cervello cercava di farlo ragionare, ma il cuore ebbe la meglio. Si voltò verso Claire, e guardò soltanto lei mentre diceva: “Ho un’ultima cosa da dire… una” deglutì nervoso “confessione da fare.”

Tutti quanti pendevano dalle sue labbra, curiosi di ciò che il loro Cacciatore di Troll aveva da dire. 

“Claire…” iniziò, un groppo gli salì in gola, ma non se ne curò. Strinse i pugni e andò avanti. 

“Sin dalla prima volta che ti ho vista, mi sei sempre sembrata una ragazza incredibilmente forte, dolce e determinata. Passavo intere ore a pensare a te e a osservarti e…” un’altra risatina nervosa “… a fantasticare su come sarebbe stato uscire con te e…” arrossì violentemente, eppure non distolse neanche per un secondo il suo sguardo da lei. 

Claire era come impietrita, il cuore le batteva all’impazzata, eppure non riusciva a muovere un muscolo. 

“Ho… ho sempre saputo, sin dal primo istante, che eri una persona straordinaria. Eppure non te l’ho mai detto. È stato perché mi imbarazzavo, e forse perché, nonostante lo sapessi benissimo, non me ne ero ancora reso completamente conto.”

Nella sala tutti tenevano il fiato sospeso. Non si sentivano tutti i giorni dichiarazioni come quella. 

“Però, soprattutto da quando sono diventato un troll, mi hai dimostrato in tutti i modi possibili che persona meravigliosa tu fossi. Ogni volta che avevo un dubbio, tu c’eri. Ogni volta che ne avevo bisogno, tu c’eri. Sempre. E quando mi sentivo impotente e non potevo fare nulla per proteggerti, hai pensato tu a farlo per entrambi. E quando sembrava che ogni speranza fosse svanita, tu hai sempre, sempre creduto in me.”

Claire si sentiva mancare. Afferrò nuovamente con forza il braccio di Blinky. 

Jim continuava a guardarla, mentre mani e piedi lo prendevano una seconda volta e lo fecero scendere. E lo spinsero verso di lei. 

Sentiva il mento tremare, le gambe molli. Lacrime premevano per uscire. 

“Claire, volevo dirti che…” 

Lei sbatté le palpebre, e due sottili gocce sgorgarono dai suoi occhi, e percorsero veloci il profilo delle guance e della gola.

“… che…”

Le parole gli morirono in gola. Guardarla così, vulnerabile sotto i suoi occhi, lo fece immobilizzare e gli bloccò il respiro nel petto. 

“…che… ti sono infinitamente grato per tutto quello che hai fatto per me, per… per avermi sostenuto sempre e per non aver mai perso la speranza. Perché…” le sue parole erano via diventate un sussurro, che solo loro due potevano sentire. “Perché senza di te, Claire” le prese le mani sudaticce, una prima lacrima gli bagnò il volto “non sarei qui, adesso.” 

Jim abbassò la testa, a guardare le loro mani intrecciate, nervose e tremolanti. Gli era mancato il coraggio, non ce l’aveva fatta a dirle che era perdutamente innamorato di lei, che l’amava da sempre e che sempre lo avrebbe fatto. E lei ne era rimasta delusa, anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Ma lui aveva notato il leggero sfarfallio delle sue ciglia, l’impercettibile tremolio delle labbra. 

Sentiva caldo, oh, caldissimo. Si diede mentalmente dello stupido, mentre continuava a sentire mille occhi puntati su di loro. E allora, per un istante, per un insulso piccolo istante, distolse lo sguardo dagli occhi di Claire per guardarsi attorno. Erano tutti lì, col fiato sospeso, a sentire quello che le avrebbe detto, se lo avesse detto, e a fissarli, e a guardarli e giudicarli e…

“Jim.”

Un sussurro. 

Un richiamo. 

Jim tornò sui suoi occhi, e ne rimase completamente spiazzato. 

E allora tutto si annullò. 

I respiri sul collo, gli occhi puntati. 

Il rumore dell’aria. 

E rimasero soltanto loro due, mani tra mani, sguardi intrecciati e sospiri affannati. 

Battiti di cuori che risuonavano sin nelle orecchie. 

E Jim si perse nel suo sguardo, e Claire nel suo. E si sorrisero. 

E Jim prese fiato, e schiuse le labbra, e sussurrò nel più dolce dei sussurri: “Ti amo, Claire.”

Lei sentì le gambe cedere, e si aggrappò alle sue braccia. Un brivido le corse sulla schiena, quando percepì le dita di Jim sui fianchi, il suo respiro sul volto. 

E poi si rifugiò con la testa sul suo petto, inspirò il suo profumo, ed esplose in un pianto liberatorio. Sentiva le lacrime scorrere veloci, infinite, il naso bloccarsi e impedirle di respirare. 

Le mani di Jim stringerla forte, il suo volto poggiato sulla spalla. 

E grida di gioia ovattate in sottofondo. 

“Ti amo anch’io, Jim” mormorò.  

 

 

Fine. 

 

O meglio, l’inizio di qualcosa di nuovo. Lo spazio per una nuova avventura, di cui non sono degna di narrare le vicende. A questo proposito, ci penseranno le menti geniali di Guillermo del Toro e di tutti i suoi collaboratori.

 

 

 

 

 

 

 

N. d. A. 

* Tutto era come lo ricordava, o quasi. La scrivania ai piedi della finestra, la piccola libreria in legno addossata alla parete. I poster dei suoi gruppi preferiti.: In “3 in mezzo a noi” c’è una scena in cui si vede chiaramente che Barbara e Strickler hanno trasformato la camera di Jim in una nursery improvvisata. Nella storia ho preferito non inserire questo dettaglio, sia per esigenza di trama (dove lo mettevano a dormire, sul divano? xD) che per non far sentire il nostro Jimbo ancora più una schifezza.

  

* Sulla finestra erano attaccati adesivi dei personaggi più svariati, uno, osservò divertito, raffigurante Sdentato: In un episodio di Trollhunters (al momento non ricordo proprio quale, scusatemi xD), si vede di striscio la televisione accesa del salotto di Jim con su l’immagine di Sdentato. Essendo una fan sfegatata di Dragon Trainer, questo era un piccolo particolare che mi sono divertita ad inserire anche qui, nulla più!

 

* Questo era il dubbio amletico che la attanagliava.: Ahah, scusate per il riferimento involontario, magari non l’ha neanche notato nessuno. (Nella serie, la maglia viola di Claire ha su stampato la scritta Hamlet). Per quelli che se ne sono accorti, però, sappiate che me ne sono resa conto soltanto dopo averlo scritto, e ho deciso di lasciarlo lì perché mi sembrava un peccato tagliarlo ^^’

 

 

 

Convenevoli finali:

 

Bene, prodi lettori. Se siete qui a leggere le mie parole, sono già più che contenta. Purtroppo questa serie meravigliosa in Italia è decisamente scacata sottovalutata, quindi sapere che qualcuno la conosce e ha avuto la briga di venire a cercare qualcosa per fomentare i propri scleri, mi rende immensamente felice. 

 

In realtà, la stesura di questa os è stata molto travagliata. Ho impiegato tantissimo per scriverla, e sì che è la storia più lunga che abbia mai portato a termine. Più che altro il motivo per cui ci ho impiegato così tanto è stato un altro. Molti passaggi sono stati veramente difficili da scrivere: essendo questa una storia molto complicata, mi sono scervellata cercando di capire come descrivere al meglio i sentimenti di Jim dopo il finale di Wizards, e spero di esserci riuscita nel modo migliore. 

Perdonatemi, comunque, le varie incongruenze che possono esservi tra la serie e la storia (e anche se non ho fatto per niente riferimento a personaggi come Douxie), causa i tanti mesi che sono passati da quando ho iniziato a scriverla, ovvero subito dopo aver visto Wizards, e quando l’ho effettivamente portata a termine.

 

Inoltre, vi starete forse chiedendo perché abbia deciso di pubblicarla tutta insieme e non di dividerla in capitoli. Ebbene, l’idea di partenza per questa os non era così articolata, anzi, era piuttosto semplice, e prevedeva non molte scene. Quando ho iniziato a scriverla, però, mi sono resa conto che in realtà mi sarebbe servito molto più spazio per dare un’idea di completezza a ciò che avevo in mente, che comunque figuravo nella mia mente ancora come un solo capitolo. Dopo tanti giorni passati a scrivere, ho effettivamente pensato di dividerla, almeno in due parti, ma non riuscivo proprio a capire dove staccare la storia, cercando comunque di non far capire che lo stacco non era previsto xD Per farla breve, alla fine ho deciso di lasciarla tutta intera, anche perché ormai l’avevo quasi finita e non mi allettava molto l’idea di pubblicarla a sprazzi, poi. Quindi, se siete ancora qui dopo aver letto quattordicimilaseicentocinquantadue parole, allora avete tutta la mia stima. 

 

Spero tanto di esser riuscita nel mio intento, ovvero di dare l’opportunità a noi fan di questa bellissima stupenda fantasmagorica serie animata di vivere scene che magari non vedremo mai, per questione di tempo e, anche qui, per queste maledette esigenze di trama. 

 

Se volete lasciare un commentino o semplicemente sclerare insieme, sono prontissima a fangirlare insieme a voi. Fatevi sotto!

 

Talitha_ 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Talitha_