Un
futuro di fumo
Astoria
è un’anima candida in un corpo fragile, che giace
coperto da lenzuola che non
ha scelto per sé.
L’Ospedale
San Mungo è un’accoglienza immacolata a cui non
aspirava e lei non può guardare
tutto quel bianco senza ritenerlo irreale. Contempla piuttosto il
colore
sporcato del tormento del nero: grigio, un futuro di fumo –
gli occhi di Draco,
che non si allontana dal posto al suo fianco.
Lui ruba tempo al suo
cuore malato, un giorno alla volta. Lei gli restituisce quel che
può.
Draco adesso
comprende appieno la
sofferenza che può abitare un letto colmo non solo di amore
e di passione.
Al principio
erano malori
passeggeri e spossatezza costante, erano le difficoltà di
giornate semplici. Ha
capito subito che la sua indisposizione avanzava in una direzione che
si
sarebbe augurata di non dover percorrere. Cercava fortuna in un lascito
dettato
meramente dal caso, ha scoperto che non si vince mai a un gioco
d’azzardo.
Astoria gli ha detto, quando si sono
conosciuti, della
maledizione del sangue presente nell’eredità dei
suoi antenati; Draco ha
risposto che non gli importava e lei non ha saputo negargli
l’opportunità di
amarla. Lei è seme e acqua per la sua terra arida e lui ha
colto germogli di
riparazione, nelle nuove parole di tolleranza che hanno appreso insieme.
Draco seguita a
parlare con il
lessico che ha imparato da lei, relegando la tradizione familiare di
odio a
errori del passato.
Ha tentato di
nascondere i
primi sintomi dietro sorrisi rassicuranti e abbracci amorevoli,
negandosi ogni
forma di assistenza, ma chiedendosi nel contempo quando sarebbe
arrivata a
essere troppo debole persino per stringergli il viso tra i palmi,
nell’attimo
prima di posarci le labbra. Non poteva accettare che il periodo a loro
disposizione stesse già per terminare, tuttavia la sabbia
nella clessidra ha continuato
a muoversi inarrestabile, fino a quando è stato lui a
doverla tenere tra le
braccia, per evitare che crollasse a terra, priva di sensi.
Draco non si
cura di quanto il
sentimento che li lega faccia male, ora che è ostacolato da
una gabbia di
malattia, e prosegue a donarglielo pur di provare anche solo
quell’angoscia,
nel tempo che rimane da vivere.
Si
erano promessi un’alcova e un giardino di rose –
Astoria ne vagheggiava già i
petali scarlatti e adesso ne avverte le spine – per
ritrovarsi tra pareti
imbiancate e uniformi verdi. I Medimaghi sorridono quando le domandano
come si
sente e ispezionano il suo stato di salute con riguardo. Sono cordiali
con lei,
lo sono stati anche quando le hanno confermato ciò che si
figurava già, che non
avevano alcuna cura da offrirle.
Alla
fine di ogni visita le danno una pozione che la fa addormentare: Draco
la sorregge
con attenzione per aiutarla a bere, eppure capita che qualche goccia le
sfugga
comunque, macchiando la veste che indossa di un liquido rosso come il
sangue
guasto che le scorre nelle vene.
Il sonno è un’oasi di
pace gradita, perché quando riposa recupera le forze.
Però, prima di cedere al
suo oblio, si accorge delle occhiate grevi rivolte al suo fidanzato e
spera di
non rievocarle in un incubo.
Draco non sposta
mai lo sguardo dalle
sue palpebre abbassate, supplicando senza posa che le apra ancora.
Nei
suoi sogni artificiali sono insieme, le cicatrici non le fanno male e
va tutto
bene. Sono popolati di gioie e desideri ed è prigioniera di
un mondo perfetto,
avviluppata nelle spire tentatrici di fantasie che sono dolorose solo
ad occhi
aperti.
Lei culla al petto un neonato
col nome di una costellazione, lui insegna come volare su una scopa a
un
bambino con
le iridi grigie e la chioma bionda, loro accompagnano al Binario
9¾ un
ragazzino di undici anni e molte aspettative.
La sua mente la protegge dal risveglio, in cui realizzerebbe che il
frutto
acerbo del suo ventre non è mai maturato, avariato, per la
sua debolezza.
Draco ama
scorgere i suoi sorrisi, ma
accade sempre più di rado nella realtà e
più spesso nel finto buio di un
palliativo.
Lui
va via per un po’ soltanto usandole la premura di accertarsi
che ci possa
essere qualcun altro con lei, in sua assenza – i suoi
genitori, sua sorella.
Sua
madre le racconta di aver fatto cambiare la tappezzeria nella sua
camera ed è
sicura che ne adorerà la tonalità di color crema,
quando andrà a trovarli. È
una menzogna gentile; Astoria non tornerà a casa.
Suo
padre le consiglia i libri che ha acquistato e che conserva sugli
scaffali nel
suo studio, certo che possano piacerle. È una
falsità cortese; Astoria non avrà
modo di leggerli.
Daphne
ha iniziato a frequentare un ragazzo e non vede l’ora di
presentarglielo, magari
nel suo ristorante preferito. È una bugia garbata; Astoria
non lo conoscerà
mai.
Non è mai da sola, e lo è
sempre.
Draco divide gli
ultimi istanti di
Astoria con la famiglia di lei e gli sembra di strapparsi il cuore dal
petto, quando
rinuncia ai pochi attimi preziosissimi in sua compagnia.
Lui la sostiene
tra le
braccia, mentre le descrive il lavoro che ha cominciato al Ministero
della
Magia, una partita di Quidditch con gli amici, una passeggiata a Diagon
Alley
con Narcissa. Riempie la conversazione di dettagli e a lei pare quasi
di
accompagnarlo durante le sue giornate, nonostante, da qualche
settimana,
l’unico angolo di mondo esterno concessole è uno
sprazzo di luce che, fuori dalla
finestra della stanza, illumina un ramo carico di pioggia che non ha
paura di
cadere e abbandonarsi al vuoto.
Quando dorme c’è sempre il sole.
Draco vorrebbe
tenerla con sé,
portandola per mano nella sua quotidianità, ma gli resta
solo da stringerle tra
le sue, mentre si fanno gelide.
Il pianto
è per i momenti
in cui il dolore è troppo duro da sopportare. Le sue lacrime
urlano l’ingiustizia
dell’inevitabilità della sua condizione e
continuano a scendere, perché,
intanto che le scivolano sulle guance, almeno Draco trattiene le sue.
Non può considerarsi
egoista, nell’auspicare che le sia risparmiata la vista della
sua afflizione,
quando ha da patire la propria.
C’è una singola goccia solitaria incastrata nelle
sue ciglia chiare. Lui inspira
tra i suoi capelli e le bacia piano la fronte febbricitante; Astoria
percepisce
un sollievo effimero al contatto con le sue labbra fredde. Non esiste
conforto
possibile, nemmeno nella dolcezza agognata del suo tocco.
Draco non ha
dimenticato la
sensazione della bocca premuta sulla sua, nelle serate che bruciano di
desiderio, tuttavia rifugge il supplizio di memorie ormai
irraggiungibili.
La collera
sopraggiunge
quando realizza ciò che sta per perdere, ma diventa sempre
più gravosa da
esprimere: un grido di ineluttabile avvilimento le spezza il fiato e si
deprime
nella sua gola. Piani, aspettative, progetti si compiono esclusivamente
nei suoi
pensieri fumosi; non si concretizzeranno mai. Astoria si strugge di
nostalgia
per ciò che non potrà avere: voti nuziali
pronunciati davanti a parenti
emozionati, Natali riscaldati da un focolare domestico addobbato, notti
insonni
rischiarate da candele accese. Draco è famiglia,
l’amore della sua vita, e lei
non ne ha avuto abbastanza, però non può esigerne
ancora.
Draco
preferirebbe risparmiarle ogni pena
prendendola su di sé, liberandola dalle catene del sangue
che la condannano al
suo destino.
L’accettazione
reca l’urgenza di lasciargli l’esortazione
affaticata a fare ammenda per tutte
le volte in cui il suo cognome ha ferito qualcuno. La sua esistenza
senza di
lei è avvolta dalla fitta nebbia dell’ignoto, ma
la sua richiesta le permette
di immaginare di diradarla in un futuro pulito.
«Promettimi»,
il respiro affannato, «che non riprenderai il comportamento
di un tempo.» Una
preghiera ansimata. «E se ne avrai occasione, chiederai
scusa.»
Non
ha mai pronunciato così tante parole di fila da quando
è distesa in quel letto:
Astoria è stanca, ma solamente dopo aver ricevuto il suo
assenso si permette di
chiudere gli occhi.
Non li avrebbe
più riaperti.
Astoria
è andata via e Draco piange alle stelle il suo lutto.
Note:
Ho pensato
alla “pozione che la fa addormentare” come una
versione magica delle cure
palliative per i malati terminali.
“Le
cicatrici non le fanno male e va tutto bene” riprende la
conclusione
dell’epilogo di Harry Potter e i
Doni
della Morte.
Secondo
la biografia di Draco Malfoy scritta da J.K. Rowling, Astoria da adulta
ha
sviluppato un punto di vista più tollerante riguardo
Mezzosangue e Babbani, che
ha condiviso con Draco, nonostante il disappunto dei suoceri.
La
maledizione del sangue che è trasmessa nella famiglia
Greengrass, presentandosi
in alcuni membri dopo generazioni, e che ha portato Astoria alla morte
è citata
in Harry Potter e la Maledizione
dell’Erede; ho immaginato la descrizione dei
sintomi e del decorso della
malattia all’incirca come una neoplasia ematologica.
In
questa fanfiction Scorpius Malfoy non esiste, è ambientata
prima che Draco e
Astoria si sposino e non sono riusciti ad avere un figlio per le
precarie
condizioni di salute di lei.
Questa
storia, anche se si può leggere senza problemi come
stand-alone, nella mia
mente è ambientata prima della mia mini-long Dramione A Tale of Grey and Repay, a cui
vi invito a dare un’occhiata,
se vi piace la coppia.
Vi
ringrazio tanto per la lettura!
Legar