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Autore: Signorina Granger    08/12/2020    3 recensioni
“Che cos’ha che non va?”
“Non ha nulla che non vada, Esme, è solo che… Sa fare cose straordinarie. Persino per i canoni della mia famiglia. Due giorni fa ha fatto spuntare dal nulla una quercia, al parco. E quando Iris voleva un abete nuovo per Natale lo ha fatto nascere senza battere ciglio. Ed è solo una bambina, non ha neanche una bacchetta.”
“E’ speciale.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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The Sin of Envy with the serpent symbol


Willow e Iris Evergreen si erano strette insieme nel letto della maggiore per ascoltare la favola che il padre leggeva loro prima di dormire, ascoltandolo rapite mentre leggeva le vicende della Bella Addormentata.
“Anche io voglio che un principe venga a salvarmi!”
Iris si stiracchiò con un sorriso, sognando il principe azzurro mentre la sorella maggiore, accanto a lei, sbuffava asserendo che lei, invece, di certo al posto di Aurora si sarebbe salvata da sola.
“E come avresti fatto, sapientona?”
“Non te lo dico, nanetta!”
 
Le due si fecero reciprocamente la linguaccia mentre il padre chiudeva il libro, sorridendo nell’appoggiarlo sul comodino:
“Va bene signorine, direi che è ora di dormire… Vieni piccola.”
Alexander prese Iris in braccio – già col pigiamino rosa addosso – e la portò sul suo letto, rimboccandole le coperte mentre la primogenita aspettava pazientemente il suo bacio della buonanotte.
 
“Notte papi.”
“Notte Will.”
Willow sorrise con affetto al padre, che si chinò per darle un bacio sulla fronte prima di spegnere la lampada a forma di fiore e uscire dalla stanza. La porta si era appena chiusa quando la vocina di Iris riempì la stanza:
“Ne leggiamo un’altra?”
“Ok, prendi la torcia.”


Iris prese la torcia che nascondeva sempre sotto al letto prima di schizzare di nuovo nel letto della sorella, infilandosi sotto le coperte mentre Willow apriva il libro, sfogliandolo insieme a lei sotto al copriletto.
 
*
 
“Mia madre e mia zia dicono di non aver mai visto niente di simile.”


Alexander sedeva sotto al portico, su una poltroncina di vimini e una coperta sulle gambe. Esmerlada gli passò una tazza di thè con un sorriso, accarezzandogli con dolcezza i capelli scuri prima di chiedergli a cosa si riferisse.
“A Will. Guardala.”
La strega si voltò verso le figlie, che giocavano nel giardino ricoperto di neve con addosso i cappottini, le sciarpe e i berretti col pom pom coordinati.
La maggiore stava riempiendo il prato di fiori secondo le richieste della sorellina, che rideva e saltellava allegra quando ne vedeva alcuni affiorare dalla soffice coperta di neve che quella notte si era posata sul loro prato.
“Che cos’ha che non va?”
“Non ha nulla che non vada, Esme, è solo che… Sa fare cose straordinarie. Persino per i canoni della mia famiglia. Due giorni fa ha fatto spuntare dal nulla una quercia, al parco. E quando Iris voleva un abete nuovo per Natale lo ha fatto nascere senza battere ciglio. Ed è solo una bambina, non ha neanche una bacchetta.”
 
“E’ speciale.”    Esmeralda sorrise con calore mentre guardava le figlie, ma sentire il marito tossire la ridestò, avvicinandosi all’uomo con apprensione:
“Dovresti rientrare, Alex.”
“Sto bene, voglio guardare le bambine.”
 
Alexander scosse la testa con decisione, il tono fermo, e si affrettò a sorridere quando Willow si voltò verso di lui, confusa.
“Sto bene piccola. Forza, fai crescere qualche girasole per me.”
 
La bambina esitò, soffermandosi con lo sguardo sul volto stanco e più pallido del solito di suo padre. Infine però sembrò convincersi delle sue parole perché annuì e, decisa a fargli vedere quanto brava fosse, riempì un’intera parte del giardino di alti fiori dai petali dorati.
 
*
 
“Non mi piace.”
“Smettila di essere paranoica, Will.”
“Non lo sono. Ma non mi piace.”


Willow, seduta sulla finestra a bovindo della stanza che condivideva con la sorella da quando Iris era nata, scrutò l’alta figura di un uomo attraversare il vialetto di casa e uscire dal cancello di ferro battuto. Sua madre aveva appena presentato a lei e alla sorella il suo nuovo fidanzato. E a lei non era piaciuto affatto.
 
“Lo dici perché ti manca papà.”
La maggiore non potè fare altro che irrigidirsi alle parole della sorella, voltandosi piano verso di lei prima di mormorare che sì, ovviamente le mancava, ma che non lo diceva solamente per quel motivo.
Iris, seduta alla toeletta e impegnata a spazzolarsi i lunghi e setosi capelli scuri, sbuffò e scosse la testa, asserendo che per lei contava solo che la madre fosse felice.
“E’ stata malissimo per anni, Will. Non vuoi vederla felice? Ne ha bisogno, e lo sai.”
“Certo che lo so, e non sto dicendo che deve finire i suoi giorni nel ricordo di papà, ma solo che quell’uomo non mi piace. Avere delle opinioni è lecito.”
 
Iris si alzò e, scoccata un’occhiata torva alla sorella, le intimò di non immischiarsi prima di uscire dalla stanza. Willow, rimasta sola, chinò lo sguardo sul maglione rosso bordeaux a trecce che indossava, un maglione che le stava così largo da farle quasi da vestito. Sua madre lo aveva cucito per il padre durante l’inverno di otto anni prima che se l’era portato via così in fretta da darle a malapena il tempo di realizzare che fosse malato.
Con la mano destra coperta dalla manica di lana spannò il vetro della finestra e scrutò l’uomo finchè non fu sparito in auto. Non le importava ciò che sua sorella diceva o pensava, lei aveva già le idee piuttosto chiare.
E Willow Evergreen, anche coi suoi soli 15 anni, era famosa per essere la strega più testarda mai passata per la Sala Comune di Grifondoro.
 
*
 
Sua madre non faceva che dirle quanto bella fosse diventata crescendo, ma Willow sembrava non darci troppo peso, e camminava per i corridoi di Hogwarts ignorando gli sguardi dei ragazzi.
Ciò non si poteva invece dire di sua sorella, che in effetti agli occhi di tutti era persino più bella di lei e che sembrava gradire particolarmente tutte quelle attenzioni.
Seduta in biblioteca a studiare, Will lanciò un’occhiata torva alla sorella minore di un anno, che appoggiata ad una libreria civettava con alcuni ragazzi del settimo anno che lei conosceva di vista.
 
“Iris, perché non vai a starnazzare più in là? Io starei studiando.”
 
Il sibilo che le rivolse quando le passò accanto sembrò irritare non poco la minore, che le scoccò un’occhiata velenosa mentre la scrutava dall’alto in basso, la spilla di Prefetto di Serpeverde appuntata sulla divisa.


“L’invidia è una brutta malattia, Will. E il verde non ti dona per niente.”
“Non sono invidiosa di te, Iris.”


Willow rispose all’occhiataccia e guardò la minore allontanarsi – seguita dai suoi cagnolini, come era solita chiamarli – prima di tornare al suo libro di Storia della Magia con uno sbuffo. Sua sorella era più bella di lei, aveva voti più alti quasi in tutto e sicuramente più amici. Forse era anche la preferita della madre, ma contrariamente a ciò che tutti pensavano non le importava un bel niente di mettersi a confronto con lei.
 
“Posso?”
“Se devi chiedermi consigli su come conquistare mia sorella, puoi anche girare al largo.”
 
La Grifondoro sollevò la testa per lanciare un’occhiata torva al ragazzo dai riccioli scuri che aveva davanti, ma il Tassorosso scosse la testa e sorrise, gli occhi azzurri luccicanti:
“Giuro che non è mia intenzione.”
“Allora sei il benvenuto.”
 
Fitzroy Vanugan sembrava l’unico esponente della fauna maschile di Hogwarts ad essere poco interessato a sua sorella. Forse era per questo che le stava simpatico, ma non glie l’avrebbe mai detto, così come il suo trovarlo terribilmente bello.
 
*
 
 
Seduta su una sedia in prima fila, Willow guardò sua madre risposarsi senza alcun sorriso ad illuminarle il volto, a differenza di Iris, che avvolta nel suo abito azzurro sembrava più bella e felice che mai.
A lei Andrè non era mai piaciuto, e anche se vedere sua madre felice le scaldava il cuore, avrebbe preferito in una persona diversa per lei. Esmeralda aveva ereditato un discreto capitale alla morte del marito, e temeva che le si fosse avvicinato solo per quel motivo. Bellissima, rimasta vedova relativamente giovane e molto ricca, Esmeralda era stata una specie di calamita per gli uomini sin dal primo giorno, ma non se ne era mai curata per anni, finchè dal nulla non era arrivato Andrè.
 
 
“Immagino che abbiate pagato tutto coi soldi di mia madre.”
“Tua madre ne ha più che a sufficienza, Willow.”
 
Fasciata in un abito rosso fuoco, Ebe si era accomodata accanto allo sposo mentre sua madre faceva un giro di saluti.  Guardò il mago versarsi del vino, e un amabile sorriso increspò le labbra carnose della giovane strega, che si era diplomata ad Hogwarts ormai un anno prima:
 
“A dire il vero mia madre non dispone di tutti i soldi della famiglia di mio padre, sai.”
“Ah no?”
“Oh, no. Papà ha lasciato più della metà di tutto a me e ad Iris, in due parti uguali. Il resto è della mamma, ovviamente, ma alla maggiore età anche noi abbiamo ereditato la nostra parte.”
Il suo sorriso si fece più dolce che mai mentre lo guardava esitare, la bottiglia in mano. Ma dopo un istante di esitazione l’uomo si riscosse e, sistemandosi i capelli brizzolati, le rivolse un’occhiata in tralice:
“E perché me lo stai dicendo, Willow?”
“A titolo informativo. Vado a prendere un po’ di torta, se non ti dispiace.”


*
 
Iris Evergreen aveva 20 anni, quando morì.
Lei, la sorella maggiore e il patrigno erano soli in casa, ed era tarda sera quando lei e Willow presero a litigare furiosamente nella stanza di quest’ultima, la stessa stanza dove, quindici anni prima, il padre leggeva loro delle storie per farle dormire e che una volta condividevano.
“Non devi dare la tua eredità alla mamma e a… lui, Iris! Sei una stupida, cosa pensi che ne farà?”
“Alla mamma servono, cosa altro dovrei fare?”
“Alla mamma servono perché LUI ha scialacquato tutto in pochi anni, non lo capisci? E se gli dai la tua parte farà altrettanto, non cambierà nulla. Smettila di vivere nel mondo delle favole e CRESCI una buona volta, stupida ragazzina viziata! Il principe azzurro non verrà a salvarti, quando non ti sarà rimasto nulla. E neanche la tua bellezza… se pensi che durerà in eterno, ti sbagli di grosso.”
 
Le parole quasi sprezzanti di Willow sembrarono pungere sul vivo la minore, che deglutì e, strette le mani a pugno, sputò con rabbia qualcosa che mai si era permessa di dirle ad alta voce:
“Lo dici perché sei invidiosa di me da sempre, Willow. Eri la preferita di papà, ma lui se n’è andato da anni. Da allora cosa ti è rimasto? Niente, solo i tuoi… stupidi fiori. Che non sono niente di speciale. Sei solo invidiosa perché agli occhi di tutti sono più bella e più brillante di te, tutti a parte papà preferiscono me a te! Persino la mamma.”
 
“Non lo pensi davvero. E non… non dire quelle cose su quello che possiamo fare. Fa parte della nostra famiglia, Iris.”    Willow deglutì, le mani tremanti e gli occhi scuri spalancati senza riuscire a credere alle sue orecchie, ma Iris incrociò le braccia al petto e quasi rise, sprezzante:
“Non me ne faccio nulla, di delle stupide piantine.”
E’ quello che ci rimane di papà, siamo delle Evergreen, come lui!”


“Ma lui non poteva fare ciò che facciamo noi, no? Forse neanche lui aveva molto di speciale, infondo. Diceva che tu lo fossi più di tutti, ma se ti vedesse ora forse non sarebbe così d’accordo.”
“Non dire… queste cose.”


Willow scosse il capo, gli occhi scuri pieni di lacrime mentre la voce rabbiosa della sorella si faceva sempre più distante, così come era stato per il loro rapporto negli ultimi anni. La giovane strega si portò le mani tremanti alle orecchie mentre chiudeva gli occhi, i ricordi sbiaditi del padre e della famiglia che erano stati che le affollavano la mente.

Perché tutti pensavano che fosse invidiosa di sua sorella? Non lo era affatto, poteva tenersi i ragazzi e tutto il resto, non le importava.
Ma forse, se tutti lo pensavano, allora Iris doveva essere davvero migliore di lei. Forse suo padre si sbagliava davvero, quando le ripeteva quanto speciale fosse.
E perché, in quella casa, sembrava essere l’unica a serbare un così vivido ricordo dell’uomo che l’aveva cresciuta?
 
Smettila, per favore.
Iris però non le diede ascolto, e guardò la sorella maggiore versare tutte le lacrime che non era mai stata in grado di piangere mentre s’inginocchiava tremante sul pavimento.
A sua sorella sembrava importare più che mai di ricostruirsi una famiglia perfetta, ma lei avrebbe solo rivoluto indietro suo padre.
 
 
Andrè, al pian terreno, stava guardando la televisione quando sentì l’esplosione. Sobbalzando, l’uomo si voltò di scatto verso il piano superiore e, presa la bacchetta, corse verso le scale:
“Ragazze?! Che diamine succede?”
 
La porta era aperta, e il nuovo padrone di casa si fermò sulla soglia della stanza prima che un’espressione di puro orrore gli oscurasse il viso: la stanza e ciò che conteneva era stata quasi rasa al suolo, con un’enorme foro nella parete e la finestra che si era staccata dai cardini.
Gli occhi chiari di Andrè saettarono sulla figliastra più grande che, tremando, piangeva rannicchiata sul pavimento. Aveva appena realizzato che doveva aver avuto uno scoppio di magia involontario quando il suo sguardo saettò su Iris.
 
“Merlino Willow… cosa hai fatto…”
L’espressione inorridita, però, ebbe vita breve, sostituita ben presto da un accenno di sorriso.
Forse avrebbe potuto approfittarne, con un po’ di fortuna.
 
*
 
 
“S-Signore, dobbiamo trasferire la ragazza ad Azkaban, è… troppo pericolosa. Ha quasi ucciso due dei nostri infermieri, non possiamo rischiare.”
“Non le date qualcosa per farla stare tranquilla, per Morgana?! Mia moglie sborsa molto denaro per farla stare qui, vi ricordo.”
 
“Certo, ma vede… ha un’energia straordinaria, e una grande resistenza ai farmaci, ce ne vogliono davvero molti per assopirla. E’ pericolosa, come le ho detto, ha una grande forza di volontà.”
 
Andrè, seduto nell’ufficio del direttore, sbuffò mentre analizzava quella soluzione: Willow era in clinica da un anno ormai, e sapeva che sua moglie avrebbe fatto di tutto pur di non mandarla ad Azkaban. Sarebbe solo stata un’ulteriore seccatura di cui occuparsi.
“Sì, questo lo so. Ma so anche cosa ha fatto a sua sorella. Terribile. L’ho visto coi miei occhi. Ma se non c’è altra soluzione possibile… di sicuro non può stare a piede libero, no?”
“E’ un pericolo per gli altri e per se stessa, ma come ho detto, penso che dovrebbe stare ad Azkaban.”
 
Uscendo dalla clinica psichiatrica, Andrè si disse che infondo a lui non cambiava poi molto: aveva potuto mettere le mani su tutti i soldi di Iris, che erano tornati di proprietà della madre alla sua mote, e presto avrebbe potuto farlo anche con quelli dell’altra figliastra. Non che fosse felice della sorte della minore, che gli era sempre piaciuta molto più della sorella. Aveva semplicemente colto l’attimo, raccontando di come avesse trovato Willow con la bacchetta puntata contro la sorella prima di perdere conoscenza.
Per un qualche assurdo colpo di fortuna, la mente di Willow aveva cancellato l’episodio, e la giovane non ricordava nulla di quella sera.
E non avrebbe mai dovuto farlo.
 
*
 
 
I primi due mesi coi “Peccati” furono strani, per lei. Nessuno le si avvicinava e nessuno le rivolgeva spesso la parola, lanciandole solo occhiate in tralice mentre la strega se ne stava perennemente in un angolo, senza aprire bocca.
L’unica eccezione era Flagro, che spesso le domandava se volesse compagnia silenziosa o le ricordava di mangiare quando la ragazza saltava troppi pasti di fila.
Si sedeva accanto a lei e scriveva inforcando gli occhiali, senza disturbarla. Ad “Ebe” sembrava che non fosse cambiato molto da quando era un Tassorosso ad Hogwarts, e si domandava spesso cosa avesse fatto per trovarsi lì, con lei e gli altri. Lei, dal canto suo, si sentiva perennemente sotto gli occhi di tutti: sembrava che chiunque sapesse cosa avesse fatto, ma che nessuno osasse chiederle nulla a riguardo.
 
Lei, quando era a casa, passava quasi tutto il tempo seduta vicino ad una finestra a guardare fuori, ringraziando con voce flebile Mackenzie quando la strega le dava qualcosa da mettere sotto i denti e scostandosi ogni volta in cui qualcuno la sfiorava.
Un giorno Flagro le mise accidentalmente una mano sulla spalla cogliendola di sorpresa, e la strega sobbalzò scattando in piedi, mormorando che non gradiva che gli uomini la toccassero senza il suo permesso.
 
“Scusa. Mi dispiace, giuro.”
L’espressione e il tono di scuse del mago furono così sinceri che Ebe non potè far altro che accoglierli con un debole sorriso, mormorando che non aveva importanza.
Ad Hogwarts ricordava di trovarlo attraente. Effettivamente, lo era ancora parecchio.
 
*
 
“Signor Finch, posso sapere perché mi mette sempre in coppia con Loki? Non andiamo molto d’accordo, sa.”
“Sì, l’ho notato. Posso chiederle perché?”
“Beh, ha sempre l’aria da so-tutto-io, e mi legge nella mente, mi infastidisce. Puzza di fumo. E poi fa un sacco di battute sconce!”
Il Ministro si tolse gli occhiali ridacchiando e, piegato il giornale, sorrise bonario alla strega che gli era seduta di fronte. Se non altro, gli faceva piacere che dopo cinque mesi Ebe avesse preso a rapportarsi normalmente con i suoi compagni, anche se le scaramucce con la Lussuria erano frequenti.
“Beh, a parte quando litigate insieme lavorate bene. Magari un giorno andrete anche più d’accordo.”
“Io e quell’elegantone? Pf, giammai! Non mi fraintenda, ovviamente non mi fa paura, figuriamoci, ma è molto snervante!”
 
 
“Non la sopporto, quella streghetta! E’ bella quanto ingestibile, Ministro. Posso lavorare con Alanis?”
“No, le cose vanno bene così. Prima o poi imparerete ad andare d’accordo.”
“Sì, quando il fuoco e l’acqua impareranno a convivere.”
 
*
 
Se le avessero chiesto quando aveva iniziato a considerare Loki – alias Louis Murray, di cui aveva un chiaro ricordo dei tempi di Hogwarts, rammentando chiaramente che non le fosse mai piaciuto, all’epoca – un suo amico, Ebe non avrebbe saputo rispondere.
Avevano pian piano iniziato a sopportare la reciproca compagnia, e tra una presa in giro e l’altra aveva quasi iniziato a considerarlo quasi piacevole, a volte. Aveva sentito storie di ogni sorta su di lui, ma lei aveva ucciso sua sorella. Come avrebbe potuto giudicare quel mago dai penetranti occhi azzurri?
Con lei però, quando non la guardava sogghignando dopo averla derisa per qualcosa, a volte era quasi vagamente gentile.
 
Provava qualcosa per Flagro, ma con Loki era diverso. Fu lui a farla ridere per la prima volta dopo anni, quando si ritrovò a deriderlo per i suoi modellini. E fu con lui che una volta organizzò un clamoroso scherzo al Capitano, con lui litigava per cosa guardare in televisione e per i suoi tempi biblici in bagno, definendolo una donnetta vanesia sotto le mentite spoglie di bel ragazzo.
Un giorno, mentre gli tagliava i capelli neri ignorando deliberatamente i suoi commenti e le sue raccomandazioni, realizzò che quello strano mago dagli zigomi pronunciati e la pessima reputazione ai suoi occhi non era poi così male.
Se non altro, aveva trovato qualcuno con cui fare shopping.
 
*
 
In piedi sul marciapiede, guardava immobile l’edificio dall’altro lato della strada.
Che cosa ci faceva lì? Non le aveva idea. Aveva ancora gli incubi per l’anno che aveva trascorso lì dentro, perennemente inchiodata dentro una stanza fredda e su un letto scomodo.
 
“Ah, eccoti qui. Abbiamo da fare, piccoletta.”
Una voce profonda velata da un accento tipico dei sobborghi di Birmingham giunse alle sue orecchie, ma Ebe parve non averla sentita e continuò a guardare la clinica senza muovere un muscolo, lo sguardo vitreo.
“Ebe?”
Loki, una sigaretta tra le labbra, aggrottò la fronte mentre le si fermava accanto, spostando lo sguardo sull’edificio a sua volta. L’insegna non lasciava spazio a molti dubbi, e la Lussuria intuì di cosa si trattasse prima di guardare di nuovo la strega, chiedendosi perché fosse lì.
 
“Perché vuoi ricordare questo posto?”
“Perché immagino di aver meritato quello che ho passato. No?”
“Dipende.”
“Ho ucciso mia sorella, Loki. Tu hai fatto cose terribili, ma hai ucciso un tuo consanguineo diretto? La persona con cui sei cresciuto?”
La strega si voltò verso di lui e il mago esitò prima di scuotere la testa, pensando di sfuggita alla sorella Camille prima che il suo ricordo svanisse rapidamente così com’era apparso.
“Forse sei migliore di me.”
“Non lo reputo possibile.”
Loki la guardò e si domandò ancora una volta che cosa ci fosse, in lei, della criminale che tutti ritenevano fosse. A lui a primo acchito era sembrata solo un cucciolo spaventato che non voleva neanche essere guardata. Forse gli faceva persino tenerezza, ma ovviamente non l’avrebbe mai detto ad anima viva.
Aveva una reputazione da difendere, dopotutto.
Ebe scosse la testa, gli occhi lucidi, e quando scorse un paio di uomini con addosso dei camici uscire dalla struttura si irrigidì, facendo istintivamente un passo indietro.
“Cosa c’è?”
Loki non ricevette alcuna risposta verbale dalla strega, che sembrava aver momentaneamente perso la facoltà di parola, ma la ottenne comunque. Quasi senza volerlo.
 
 
Cosa le avevano dato, ancora?
Non ne aveva idea, e forse neanche voleva saperlo. Il soffitto grigio sopra la sua testa si muoveva davvero, o era frutto della sua immaginazione?
No, probabilmente era la seconda.
 
Willow sbattè le palpebre, confusa, e cercò di mettersi a sedere sul letto, ma una pressione alla testa la fece gemere piano, portandosi una mano alla fronte mentre si rimetteva supina sul sottile materasso del letto che occupava, ormai, da quasi otto mesi.
Così le dicevano i medici, almeno, perché a lei sembrava di aver passato la sua intera esistenza chiusa in quella stanza.
Merlino, come le faceva male la testa.
 
“Non mi sento molto bene.”


Un uomo, probabilmente un medico, apparve nella visuale di Loki. Capelli rossi corti, camice bianco addosso, piuttosto giovane, non doveva avere che una decina d’anni in più rispetto alla ragazza di 21 che giaceva sul letto, i lunghi capelli scuri sparsi sul cuscino bianco.
 
“Mi lasci.”
La voce di Willow non uscì che in un flebile sussurro dalle sue labbra, e Loki guardò l’uomo prenderle e stringerle i polsi sopra la testa conscio che ciò che stava guardando era già avvenuto e di non poter fare assolutamente niente.
“Per favore.”
Sentirlo dirle di stare zitta gli fece venire una voglia disperata di usare una Maledizione senza Perdono, ma era solo un ricordo. Guardò una Ebe più giovane di qualche anno piangere piano senza divincolarsi, forse incapace di farlo, mentre l’altra mano del medico scostava il lenzuolo, e s’insinuava sotto il camice della ragazza violando la sua intimità.
 
“Mi fa male.”
Il mormorio strozzato della strega in lacrime fu troppo persino per lui, che era certo di aver visto fare le cose più atroci. E la cosa peggiore fu la sensazione che quel ricordo fosse solo il primo di una lunga serie.
Loki chiuse gli occhi, rifiutandosi di vedere e sentire altro, e si ridestò all’improvviso, uscendo dalla sua testa quasi sentendosi in colpa.
Lui? Sentirsi in colpa?
Loki sfoggiò una smorfia, ordinandosi mentalmente di non rammollirsi prima di sentire la strega vicino a lui singhiozzare, la mano destra a coprirle la bocca mentre dagli occhi scuri di Ebe scorrevano fiumi di lacrime.
 
“Ascolta, piccoletta.”
La prese per le spalle, costringendola a guardarlo mentre la scrutava, più serio e perentorio che mai:
“Dammi retta, io ho fatto e visto molte cose spiacevoli. Conosco persone che ne hanno fatte altrettante. Non so di preciso cos’abbia fatto TU, ma penso che nessuno si meritasse qualcosa del genere. Perciò non piagnucolare e… e non pensarlo. Ok? Non lo meritavi.”
Ebe, sorpresa, lo ascoltò con gli occhi scuri sgranati e si limitò ad annuire prima di guardarlo sbuffare e borbottare che in quelle condizioni non gli sarebbe stata di nessuna utilità.
“Ti porto a casa, piccoletta, ci dovrò pensare da solo. Ma solo per questa volta, non ti ci abituare!”
 
Presa per una spalla, la pilotò lontano dalla vista dell’edificio dove la giovane doveva aver passato uno dei peggiori anni della sua vita. Per una volta Ebe lo lasciò fare, priva della forza necessaria per opporglisi, ma Loki si voltò a scrutare l’uomo dai corti capelli rossi che aveva visto nei ricordi della strega appena prima di Smaterializzarsi insieme a lei, gli occhi ridotti a due fessure.
 
 
 
Quella sera stessa, quando tornò, la trovò rannicchiata sul divano lontana da tutti come era sempre stato per le prime settimane sotto lo stesso tetto.
Le si avvicinò e le domandò con un borbottio come stesse, e la strega lo guardò, perplessa, prima di mormorare di sentirsi meglio.
“Bene, perché domani non sarai esonerata, sappilo. Vado di sopra, dì agli altri di non disturbarmi, per favore.”
 
“Loki?”
“Mh?”
“… Grazie.”
 
La Lussuria sbuffò e borbottò qualcosa di incomprensibile prima di sparire sulle scale, ignorando lo sguardo confuso della strega su di sé.
 
Giunto in camera, si chiuse la porta alle spalle ed estrasse un coltellino insanguinato dalla tasca, pulendolo con un rapido Gratta e Netta prima di gettarlo in un cassetto del comodino.
 
A diversi chilometri di distanza un’infermiera della clinica psichiatrica Ostroff piangeva avvolta in una coperta, raccontando con balbettii ai Cavalieri Sacri, in totale stato di shock, di aver trovato il Dottor Neeson disteso sul pavimento del suo ufficio in una pozza di sangue.
 
*
 
“Puoi fare una cosa per me?”
“Cioè?”
“C’è un… un ricordo. Un ricordo che la mia mente ha rimosso. Ne ho bisogno. Puoi aiutarmi?”


Loki, seduto davanti al camino acceso, annuì dopo un istante di esitazione, facendole cenno di avvicinarsi. La strega obbedì senza fiatare e sedette accanto a lui sul divano mentre il mago gettava la sigaretta nel camino, guardandola con la fronte aggrottata:
 
“Cosa devo cercare?”
“La morte di mia sorella. Non me la ricordo, me ne hanno solo parlato… e devo sapere, non ce la faccio più.”
“Sei sicura?”
Ebe annuì, gli occhi già lucidi, e Loki non obbiettò mentre le prendeva delicatamente il viso tra le mani pallide, mormorandole di chiudere gli occhi mentre lui faceva altrettanto, sfiorandole le tempie.
Vagò in un susseguirsi di ricordi confusi, dai due anni ad Azkaban della strega ai mesi passati in clinica, che superò in fretta. Infine, giunse ad un litigio con quella che lui stesso ricordava come Iris Evergreen, una strega della sua età con cui aveva condiviso lezioni ad Hogwarts e anche molti dei festini che aveva personalmente organizzato.
 
Pochi istanti dopo le mani del mago lasciarono il suo viso di scatto, ed Ebe aprì gli occhi per guardarlo, speranzosa, mentre Loki deglutiva.
“Tu hai… ucciso tua sorella, Ebe. Ma non volontariamente. Hai avuto uno scoppio enorme di magia involontaria, direi. Non hai mai neanche toccato la tua bacchetta.”
“Dici sul serio?”
Loki annuì ed Ebe si asciugò le lacrime con la manica del maglione rosso a trecce che indossava prima di irrigidirsi, mormorando qualcosa a bassa voce:
“Ma… il mio patrigno… lui disse ai Cavalieri…”
“Immagino che abbia mentito, Ebe. So quello che ho visto. E io non mi sbaglio.”


Le mise una mano sulla spalla, incerto su come comportarsi, e la guardò sbattere le palpebre prima di appoggiarsi, lentamente, allo schienale del divano.
Non aveva ucciso volontariamente Iris? Allora forse non aveva poi così tante cose che non andavano.
Ma perché Andrè aveva mentito per liberarsi di lei?
 
“I soldi…”
“Cosa?”
“L’ha fatto per i miei soldi. I soldi di mio padre… non ci posso credere. Sono andata lì… per colpa sua. Sono stata ad Azkaban per colpa sua.”
La strega deglutì, prendendo a tremare, e Loki lanciò un’occhiata in tralice alle piante disposte sul davanzale della finestra – che presero ad appassire – appena in tempo per suggerirle di prendere un bel respiro e di calmarsi.
“Immagino che tu sia arrabbiata, ma… magari dovresti dormirci su.”
“Tu non sei stato lì.”
 
Il sussurro rabbioso della strega, che riprese a piangere in silenzio mentre fissava le fiamme del camino, lo colpirono e lo costrinsero a ricordare ciò che aveva visto, nella sua testa, qualche mese prima.
Si convinse a non pensarci e annuì, avvicinandosi alla collega:
 
“Sì. E io a differenza tua ho meritato la mia pena. Mi dispiace, Ebe. Ma adesso dormi.”
La strega, senza proferire parola, si sdraiò lentamente sul divano, gli occhi spalancati e pieni di lacrime come ogni notte che aveva trascorso sul letto di ferro della clinica psichiatrica.
 
Conscio del fatto che non avrebbe chiuso occhio, Loki le sfiorò la fronte con la mano, facendola cadere in un sonno profondo e senza sogni prima di farle scivolare una coperta sulle spalle. Poi tornò a guardare le fiamme ardere i pezzi di legno, e pensò a come dovesse essere sapere di aver scontato una pena tanto lunga per niente.
 
*
 
Quando sentì una mano premergli con forza le labbra, Andrè spalancò gli occhi, spaventato.
Non fiatare, Andrè.”
Il sibilo provenne dalla persona che, accovacciata sopra di lui sul letto, gli stava tappando le labbra. Era notte fonda e l’oscurità gli impediva di scorgerne chiaramente il volto, ma la voce gli riportò ben presto alla mente il ricordo della figliastra.
Quando aveva saputo del suo rilascio aveva temuto che potesse rintracciarlo, ma per sua fortuna Esmeralda non era intenzionata a vedere la figlia minore, e si era convinto che Willow sarebbe rimasta alla larga da lui e dalla moglie.
E così era stato, fino a quella notte.
 
“Volevo complimentarti con te per tutti i soldi che hai vinto in un colpo solo, quando mi hai accusata di aver ucciso volontariamente mia sorella. Sì, so tutto quanto. E volevo dirti, papino, che anche se sono distante vedo e sento tutto. E se dovesse succedere qualcosa a mia madre per tenerti tutto il denaro, ti assicuro che questa volta ucciderò davvero qualcuno di mia spontanea volontà senza riserve. Chiaro?”
 
Ebe lanciò un’occhiata alla madre, che mugugnò qualcosa e si mosse nel sonno, e rivolse un’ultima occhiata traboccante d’odio al patrigno prima di sparire, rapida e silenziosa, fuori dalla finestra così come era entrata, lasciando che un ramo dell’olivo che le stava davanti la prendesse e la portasse delicatamente fino a terra, sul prato che anni prima riempiva di fiori per compiacere la sua famiglia.
 
Sua madre non voleva più saperne di lei, ora che era stata rilasciata da Azkaban. Ma non le importava. Era l’unica cosa che le rimaneva della sua famiglia, e avrebbe difeso Esmeralda ad ogni costo.
 






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Angolo Autrice:
E dopo secoli, rieccomi con un'altra OS dedicata ad uno dei protagonisti di TVOS. 
Spero che vi sia piaciuta, scriverla è stata una mezza sofferenza, per la prossima metterò come la scorsa settimana un sondaggio su Instagram... e giuro che cercherò di farla arrivare in fretta. 
Buonanotte!
Signorina Granger 

 
   
 
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