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Autore: D a k o t a    11/12/2020    3 recensioni
In cui è il compleanno di Dean, ma Sam ha la febbre.
[child!fic - Sam&Dean&John - 8!Sam&12!Dean]
"Le discussioni accese e taglienti non erano poi una novità fra suo fratello e suo padre, nonostante il primo non avesse ancora nemmeno otto anni; eppure nell’ultimo periodo si erano fatte sempre più frequenti, viste le continue domande che Sam non riusciva proprio a tenersi. A volte Dean non può fare a meno di chiedersi quanto tempo abbiano prima che Sammy scopra la verità."
[Scritta per l'Advent Calendar del gruppo facebbok Hurt/Comfort Italia]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Jo, John Winchester, Sam Winchester
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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Movie Night 

 

“Mi dispiace tanto, Dean”

Suo fratello gli parla dal letto in cui è sdraiato. O, per meglio dire, è la montagna di coperte in cui Dean ha sepolto suo fratello - da cui emerge solo la sua frangia - a parlargli. Il maggiore si siede al suo fianco, scostandogli appena le coperte, per incontrare un paio di occhi verde scuro che lo guardano, tristi e colpevoli.

“Smettila, Sammy, ti ho già detto che non è colpa tua” gli risponde bruscamente, per poi scostargli la frangia dalla fronte e appoggiarvi delicatamente una mano. “Ti avevo anche detto che devi stare lontano dai bambini che tossiscono però. Perché non hai usato questa stupida testolina per ascoltarmi?”

La sua temperatura sembra essere un po’ scesa, ma è ancora caldo. Sam corruccia appena la fronte, in un’espressione imbronciata.

“E’ arrivato una settimana dopo di me, Dean. So come ci si sente ad essere quello nuovo” protesta debolmente, mentre il maggiore risponde con un sospiro.

L’empatia di suo fratello andava pari passo a quella stramaledetta testardaggine. Gli passa la mano fra i capelli.

“Bravo, idiota. Ora sai anche come ci si sente ad avere la febbre e l’influenza, fratellino” afferma, per poi continuare, addolcendo appena il tono, in un sospiro. “Come stai?”

Suo fratello si strofina gli occhi, con una smorfia, per poi abbassare lo sguardo sulle coperte, in un improvviso moto di nervosismo.

“Mi fa male la testa” ammette, per poi continuare a macerarsi nei sensi di colpa. “Per una volta che papà era a casa per il tuo compleanno e aveva promesso di portarci al cinema e potevamo essere una famiglia felice, ho rovinato tutto”

Gli occhi di Dean restano per qualche istante fissi su di lui, poi il maggiore dei Winchester scuote il capo, ingoiando il nodo che gli stringe nella gola, davanti a quell’affermazione.

“Noi siamo una famiglia, Sammy.” risponde, con fermezza. “E continueremo ad esserlo, anche se a volte papà ti sgrida, lo sai”

Le discussioni accese e taglienti non erano poi una novità fra suo fratello e suo padre, nonostante il primo non avesse ancora nemmeno otto anni; eppure nell’ultimo periodo si erano fatte sempre più frequenti, viste le continue domande che Sam non riusciva proprio a tenersi. A volte Dean non può fare a meno di chiedersi quanto tempo abbiano prima che Sammy scopra la verità.

“Anche se non abbiamo una mamma?” gli chiede, con gli occhi grandi.

Dean sospira, guardandolo senza dire che in realtà non ha idea di cosa sia una famiglia felice, da cosa si riconosca, come si costruisca; lo guarda senza dire di come l’odore della mamma sembri essere scomparso dalla sua vita, spazzato via da quello del fumo di quella notte di novembre.

“Certo che siamo una famiglia” risponde, senza lasciare che quel pensiero che gli ha sfiorato la mente incrini la sicurezza nella sua voce.

Suo fratello minore lo osserva per un secondo, attento ad intercettare ogni minimo tentennamento, ogni minima debolezza.

“Anche se papà non c’è mai e quando c’è litighiamo sempre?” gli chiede.

Dean ingoia il nodo che ha in gola a quella domanda, traducendolo in uno sbuffo. La temperatura doveva essere decisamente scesa se aveva ancora voglia di fare tutte quelle domande, dannazione.

“Smettila, Sammy. Papà non sarebbe andato a prenderti le medicine, nonostante tutto quel capriccio di stamattina se non fossimo una famiglia, idiota” ribatte, aggiustandogli il piumino sulle spalle.

Il maggiore dei Winchester non può fare a meno di lanciare un’occhiata ansiosa all’orologio. Suo padre se ne era andato da più di un’ora ormai, decisamente troppo per trovare una farmacia vicina al motel in cui alloggiavano. Non può non farsi strada in lui il timore che gli possa essere successo qualcosa o che qualche altra caccia si metta nel mezzo, prima che possa portargli la tachipirina.

Da suo fratello minore arriva un sospiro, che si traduce in un borbottio.

“Volevo solo che tu avessi un bel compleanno, Dean. Papà ha rovinato tutto” si lascia sfuggire alla fine.

Dean sbuffa. Il litigio di quel pomeriggio non aveva riguardato l’ennesimo trasloco o l’assenza di papà, almeno non direttamente. Il nodo centrale della discussione era stato quello stupido fratellino che si ritrovava, che non accettava affatto di avere la febbre così alta da potergli cuocere un uovo sulla testa e aveva reagito con un capriccio interminabile quando papà era stato irremovibile sul rifiutarsi di portarlo al cinema in quelle condizioni.

“Certo, perché papà è stato un pessimo genitore a non portarti al cinema con la febbre, Sammy. In fondo qualsiasi genitore normale ti ci avrebbe portato” ribatte, con un filo di ironia, calcando volutamente il tono sulla parola normale.

Suo fratello risponde con un’occhiataccia eloquente. Esala uno sbuffo piccato, aspettando che Dean smetta di trovare così divertente qualcosa che non lo è affatto, senza accorgersi di quelle occhiate furtive all’orologio da parete che il maggiore dei Winchester non può fare a meno di scoccare.

“Non mi prendere in giro, Dean” ribatte Sam, piccato, per poi abbassare un po’ la voce. “Non avrei insistito così tanto se papà fosse sempre a casa per i tuoi compleanni. Lo sai che l’ho fatto per te, vero?”

E’ difficile essere arrabbiato con un fratellino ammalato che ti guarda in quel modo, dannazione. Lo è anche in quel momento, nonostante abbia il vago sospetto che se papà fosse tornato ancora di malumore, la giornata sarebbe diventata uno schifo per entrambi. Sbuffa, tornando a guardare quegli occhietti da cucciolo indifeso.

“Lo so, Sammy. Ma chiedi la prossima volta che vuoi fare questo genere di cosa per me, fratellino” borbotta ed è davvero l’unico rimprovero che ha cuore di rifilargli.

Il più piccolo fa per rispondergli, prima di esplodere in un attacco di tosse, che non può non far sentire in colpa il maggiore per quel tono stizzito. Sta per chiedergli come mai papà ci stia mettendo tanto, Dean lo vede prima che possa farlo: Sam è come una spugna e sembra non poter fare a meno di accorgersi che c’è qualcosa che non va. Il maggiore dei Winchester sta per cercare una scusa abbastanza convincente, quando sente la porta della stanza del motel e i passi di papà che si avviano verso la loro camera.

“Papà!” non può fare a meno di esclamare Dean, con un filo di sollievo al vederlo rientrare. Subito dopo non può non sentire un filo di colpa per aver dubitato di lui, ma improvvisamente quel compleanno non sembra poi così male.

Poi John apre la porta e accenna un mezzo sorriso. Suo figlio maggiore scatta in piedi, davanti a lui, con gli occhi puntati sulla busta della farmacia.

“Ho preso lo sciroppo e il paracetamolo che mi hai chiesto, Dean” afferma, quando il ragazzino si avvicina per afferrarla. “E poi mi sono fermato a prendere qualcosa da mangiare”

Da suo figlio arriva un’espressione corrucciata e quasi interrogativa, ma John non fa in tempo a chiedersi il perché che Dean abbozza un sorriso piccolo, dopo aver riposto sciroppo e tachipirina sul comodino accanto al letto di Sam.

“C’è qualche problema, Dean?” gli chiede alla fine.

John lo vede esitare solo un momento, come a prendere coraggio per rispondere. Ma la risposta non arriva da lui e questo non è del tutto imprevisto.

“Il problema è la tua cucina, papà” risponde sfacciatamente suo figlio minore.

Lo ammonisce con un’occhiataccia che finisce per tingersi di una punta di tenerezza, quando suo figlio esplode in uno starnuto e Dean gli passa velocemente un fazzoletto dalla scatola di Kleenex, su quel comodino che il maggiore dei suoi figli ha trasformato in una farmacia.

“Da quando la mia cucina è un problema, ragazzino?” chiede, ma si rivolge al novello dodicenne che ha davanti, con il solo intento di prenderlo un po’ in castagna.

Quel tipo di divertimento leggero è qualcosa che non hanno quasi mai da quando Mary è morta, ma ci sono momenti in cui la spontaneità di Sammy è un toccasana sulle ferite sue e su quelle di Dean. Ignora il borbottio di suo figlio più piccolo su quella volta in cui, dannazione, era riuscito a bruciare una pentola, per dare un po’ di attenzione al festeggiato, che sembra rilassarsi, una volta compreso il gioco.

“Più o meno da sempre, papà” trova il coraggio di dire alla fine, per poi trovare una scusa per svignarsela, davanti al suo sopracciglio alzato. “Vado a prendere un cucchiaio per lo sciroppo e un bicchiere per sciogliere il paracetamolo”

Dean passa accanto ad entrambi furtivamente, mentre esce dalla stanza, e John non può fare a meno di appioppargli un leggero scappellotto. Quando si gira, con un piccolo sorriso di fossette e di un imbarazzo che non ci dovrebbe essere quando si guarda un genitore, non può fare a meno di osservarlo: sta crescendo velocemente ed è un po’ colpa sua, ha la sensazione di non ricordarsi un ultimo compleanno di suo figlio, dopo la morte di Mary. Ricorda i suoi quattro anni, però; ricorda la sua manina contro la pancia di sua moglie, ricorda quelle paure da bambino sussurrate dopo qualche incubo, i biscotti sul divano di nascosto, la complicità nel coprire qualche sua marachella.

“Faresti meglio ad andare, ragazzino” borbotta, quando si accorge che quello scappellotto si è tradotto in una stretta affettuosa sulla sua spalla. Quando Dean si allontana, John non dice nulla; lascia che sia suo figlio a scoprire le pizze che ha lasciato sul tavolo della cucina e si permette per un attimo di godersi l’entusiasta “Sammy, papà ha preso la pizza!” che arriva dal cucinino.

Poi si lascia andare ad un respiro profondo, avvicinandosi al centro della stanza. Il minore dei Winchester stava sdraiato sul letto, ostinato come sempre nel suo dargli le spalle, chiuso su sé stesso. Sospira pesantemente nel sedersi accanto a lui sul suo letto, dove era stato seduto Dean fino a poco prima.

“Tu hai finito con i capricci?” chiede alla fine, in un sospiro stanco.

Dal minore dei suoi figli arriva uno squittio indignato.

“Non parlo con le tue spalle, ma con te, ragazzino” non può fare a meno di rimproverarlo; da malato era persino più ostinato e non ha dubbi sul fatto che da adolescente sarebbe stata un’impresa tenerlo a freno.

Il bambino è del tutto recalcitrante, ma finalmente sembra accettare di girarsi verso di lui, con un sospiro triste.

“Volevo solo che Dean avesse un buon compleanno e andassimo a vedere un film come avevi promesso”

Da John arriva un respiro pesante. Amava il modo in cui quei due non facessero altro che proteggersi a vicenda, ma il ragazzino ultimamente stava prendendo il brutto vizio di contraddirlo in continuazione.

“Non ho mai detto che non potessimo guardare un film, Sammy” spiega poi, esalando un sospiro stanco. Altro che “per ogni riccio, un capriccio”; per ogni boccolo scuro di suo figlio, sembravano scatenarsi dieci tempeste.

Vuole davvero essere paziente con il ragazzino, ma non è che Sam abbia mai reso le cose particolarmente semplici su quell’aspetto lì. Non è una sorpresa che stia per chiedere nuovamente spiegazioni, quando John lo interrompe.

“Sono passato in videoteca, ho preso un paio di cassette” afferma bruscamente.

Gli occhi del più piccolo dei Winchester per la prima volta si intingono di una punta di senso di colpa, come se non potesse fare a meno di chiedersi se Dean non avesse ragione sul fatto che papà questa volta ci avesse davvero provato. John gli lancia un’occhiata in tralice.

“Com’è adesso? Nessun’altra protesta, ragazzino?”lo provoca allora.

Ma suo figlio sembra aver cambiato totalmente tattica e sfodera il suo migliore sguardo da cucciolo. John sospira, non vacillando. Non è davvero arrabbiato con suo figlio, ma sente l’obbligo morale di non ammorbidirsi.

“Ho la febbre, papà” spiega ad un certo punto, con un tono decisamente più remissivo, rispetto a quello che aveva usato in precedenza.

John lo guarda con un sopracciglio inarcato e trattiene a malapena un sorriso divertito, in un’ espressione che per un istante a Sam ricorda Dean e gli fa venire voglia di arrabbiarsi ancora di più. Suo padre però gli appoggia una mano sulla fronte, mentre Sam sente i passi di suo fratello avvicinarsi per poi vedere Dean comparire poco dopo sulla porta.

“Sei caldo, Sammy” borbotta poi John, sfiorandogli i capelli. “Magari dovresti semplicemente stare a letto, vista la febbre e il tuo comportamento”

Il modo in cui suo figlio minore sgrana gli occhi per poi guardare verso la porta e cercare soccorso in suo fratello non è affatto qualcosa che sconvolge particolarmente John, anzi. E’ quasi un automatismo in Sam, ormai.

“No, papà!” sbotta poi, in un moto di terrore, per poi cercare di spiegarsi con più chiarezza. “Dean non sarebbe felice di guardare un film senza di me. Vero, Dean?”

Gli occhi di entrambi scivolano sul ragazzino sulla porta e John è ben presto felice di aver distolto lo sguardo, perché nascondere un sorriso sarebbe stato più difficile di quello che aveva previsto, davanti a quell’uscita. Suo figlio maggiore per tutta risposta alza gli occhi al cielo.

“La febbre lo fa delirare, papà” gli risponde semplicemente, ma sta reclamando con gli occhi il posto in cui si era seduto sul letto di Sam, pronto a dargli non solo qualsiasi medicina, ma qualsiasi cosa necessaria a farlo sentire meglio.

John si alza dal letto, con un’ultima occhiata di ammonimento rivolta al piccolo dei suoi figli.

“Vado a mettere la tavola. Guai a te se Dean mi riferisce che hai fatto i capricci per prendere le medicine” lo avverte.

Lo sguardo che rivolge a Dean completa la frase ed è un muto “Guai a te se lo copri”, a cui suo figlio risponde annuendo, ma non è che il cacciatore abbia troppi dubbi riguardo al fatto che Sam dovrebbe morderlo a sangue, prima che suo figlio maggiore decida di fare la spia.

 

***

“Dean, questo sciroppo ha un sapore orribile” pigola il minore dei Winchester, quando dopo la tachipirina e dopo un intero cucchiaio di quella roba, suo fratello ne riempie un altro, aspettandosi che apra la bocca.

Dean sbuffa. Non è che sia una novità l’essere recalcitrante di Sammy, ma per una volta che possono festeggiare il suo compleanno in maniera normale, non può non sperare che si sbrighi almeno un po’.

“Hai sentito papà, Sammy: niente capricci” risponde, con il cucchiaio ancora a mezz’aria.

Lo sguardo che Sam gli rivolge però gli fa capire che si è giocato la possibilità di far sembrare quella minaccia sottesa seria una delle decine di volte in cui aveva coperto una delle sue marachelle.

“Tu mi dai sempre una caramella al latte quando devo prendere questo sciroppo, Dean ” gli ricorda il più piccolo, in tono vagamente petulante.

A volte non è difficile per Dean capire perché papà dica che l’ha viziato. Anzi, è dannatamente semplice capire perché; gli basta sempre un’occhiata da cucciolo di troppo del mostriciattolo per arrendersi.

“Va bene, Sammy. Ma prima della caramella, prendi questo sciroppo o ti prendo a calci io stesso, fratellino.” cede alla fine, attento a non far scivolare alcuna goccia di sciroppo sulla trapunta, nell’avvicinarglielo alla bocca.

Mentre ripone il cucchiaio sul comodino, l’espressione vagamente disgustata del minore dei Winchester si trasforma nel sorriso di chi esige quel premio e non ha dimenticato la promessa di prima. E, davvero, Dean odia quel sentirsi incapace di negargli qualsiasi cosa. Afferra comunque una caramella nel pacchetto che ha nascosto nella tasca dei pantaloni – dannazione, gli sembra quasi di sentire papà dire che suo fratello deve obbedire perché deve obbedire e non per avere qualcosa in cambio.

“Tieni, idiota” borbotta, cercando di non addolcirsi troppo.

Sam prende quella caramella e comincia a scartarla, ma esita nel mangiarla. Abbassa il capo e si rabbuia: sembra tormentato da un brutto pensiero, che lo coglie come un fulmine a ciel sereno. Il maggiore dei Winchester non può non chiedersi cosa gli stia passando adesso, in quella stupida testolina.

“Cosa c’è adesso? Guarda che se non la vuoi, posso sempre mangiarla io” prova a dirgli, nel tentativo di strappargli un sorriso.

Sam gli dedica uno sguardo, prima di riportarlo fra le coperte e girarsi quella caramella fra le mani.

“Papà è tornato a casa per il tuo compleanno” dice piano.

C’è una punta di qualcosa – tristezza, forse – nella sua voce.

Dean sbuffa.

“E tu non volevi, Sammy?” risponde, lasciandosi andare ad una smorfia stizzita. “Dannazione, quante volte ti ho detto...”

Suo fratello lo interrompe immediatamente, terrorizzato dall’idea che Dean possa fraintenderlo su quel punto.

“No, Dean!Voglio che tu abbia un buon compleanno” dice velocemente, per poi abbassare la voce e guardare nuovamente in basso. “Ma papà non è tornato a casa per il mio. Pensi che sia perché sono cattivo?”

Dean si passa stancamente una mano sul volto. A volte lo sorprende che Sam, lo stesso piccolo idiota che non può fare a meno di attaccare un litigio ogni volta che papà è a casa, si preoccupi poi della percezione che John ha di lui.

“Ehi, idiota, guardami” lo chiama alla fine, un po’ spazientito. Attende che gli occhi di suo fratello si posino sui suoi, prima di parlare. “Papà non era a casa per il tuo compleanno perché aveva un impegno al lavoro, non perché sei cattivo, idiota. Sai che il suo lavoro è importante, Sammy.”

Sam annuisce e Dean non ha dubbi: non è riuscito a convincerlo, non del tutto, ci sta riflettendo. Spera almeno che sia abbastanza per superare la serata senza drammi.

“Più importante di noi?” chiede, dando voce a quel timore che non può fare a meno di avere.

Dean sospira, alzando agli occhi al cielo. E’ che odia il fatto che faccia quelle domande: lo fa sentire inutile e impotente, come se nessuna risposta potesse mai accontentarlo. Lancia uno sguardo alla caramella ancora fra le sue mani.

“Sbrigati a mangiarla, Sammy” borbotta semplicemente, distogliendo lo sguardo, improvvisamente a disagio. “Dobbiamo andare in sala”

Sam annuisce e Dean si augura che non si accorga della risposta che non gli ha dato, dell’elefante nella stanza.

 

 

***

Un’ora dopo sono seduti sul divano: Sam è sdraiato con la testa appoggiata sul grembo di Dean, mentre John è seduto sull’altro estremo e dannazione, mentirebbe se dicesse di non notare il modo in cui entrambi i suoi figli fanno attenzione a non toccarlo, a non disturbarlo, come se la sua sola presenza fosse qualcosa di eccezionale. In televisione c’è la videocassetta di Star Wars che ha preso in videoteca e né Sam né Dean hanno obiettato qualcosa sul fatto di averlo già visto cinquecento volte. Dean si è limitato ad un piccolo sorriso, con la riconoscenza di chi nota che suo padre ha almeno fatto caso al titolo della saga che stavano guardando in quel periodo. Non è molto, ma è qualcosa.

“Sammy si sta addormentando, papà” osserva Dean, passando una mano fra i capelli del ragazzino. Suo fratello esala un mugolio troppo esausto per assumere le forme di una protesta, mugolio che il maggiore dei Winchester ignora prontamente.

C’è una richiesta muta in quella esternazione di Dean. John alza un sopracciglio.

“Può benissimo camminare” borbotta, ma quando Dean distoglie lo sguardo e Sam si sistema più comodamente su di lui, qualcosa si smuove e si lascia andare ad un sospiro. “Lo porto a letto”

Dean abbozza un mezzo sorriso, mentre suo padre si avvicina a prendere Sam, che accenna una piccola protesta, ritraendosi.

“Papà, voglio finire il film” inizia, ma quella protesta si traduce presto in uno sbadiglio.

John gli scocca un’occhiata di ammonimento: proprio quando sembra che non vi sia alcuna lotta rimasta nel ragazzino, eccolo lì a protestare di nuovo. Non ha troppi dubbi sul fatto che possa aver preso da lui, su quell’aspetto.

“Hai la febbre e ti stavi addormentando qui. Se vuoi, puoi camminare, ma andrai a dormire adesso, ragazzino” ribatte.

Dean non si trattiene dal sussurrare un “Ascolta papà, Sammy”, dopo aver messo in pausa il film. Per un attimo, John si aspetta che Sam si alzi in piedi, pianti un capriccio e decida di pestare i piedi ed andare a letto da solo, ma non lo fa. Si limita ad aprire le braccia per facilitargli la presa, sbadigliare e appoggiare la testa sulla sua spalla. Mentre lo accoglie fra le sue braccia, non sa se preoccuparsi e pensare che stia peggio di quello che dice o semplicemente registrare il fatto che ha ancora bisogno di lui, a prescindere dalla voglia di combatterlo.

Qualunque sia la verità, non è qualcosa che ha voglia di affrontare adesso; si avvia verso la camera da letto con suo figlio più piccolo in braccio che stranamente non dice una parola, anche se ecco, quello non è del tutto un sollievo.

Non dura molto, però.

“Papà?” prova a dire alla fine, quando arrivano a destinazione e John lo ripone nel suo letto. “Questa sera non è stata così male.”

Sam è seduto sul letto con la schiena appoggiata al cuscino, ma ha ancora quello sguardo da lente di ingrandimento ipercritica, sebbene la febbre renda i suoi occhi un po’ più lucidi. John inarca un sopracciglio, ma quella frase colpisce più di quanto vorrebbe e di quanto ammetterebbe, però. C’è una consapevolezza che l’ha raggiunto molto presto: la maggior parte dei ricordi che avrebbero avuto i suoi figli di lui sono ricordi che hanno l’odore della polvere da sparo e l’immagine di lui di spalle che chiudeva una porta. E’ necessario ed è giusto ed è l’unico modo che hanno di sopravvivere, ma forse proprio per quello, quella frase di Sam che parla di un ricordo normale è quasi un sollievo.

“Contento che abbia incontrato le tue aspettative, ragazzino” borbotta, ma un angolo della sua bocca si piega in un sorriso, mentre con un gesto alza la coperta per invitarlo a sdraiarsi.

Sam esita per un istante perché quello è generalmente qualcosa che fa Dean, ma obbedisce, scoccandogli un’occhiata curiosa.

“C’è qualche possibilità di rifarlo, papà? Voglio dire, se non sono cattivo...” abbassa lo sguardo sulle coperte, perché no, quel pensiero non l’ha mai abbandonato.

Non gli chiede se è per quello – perché è cattivo - che non lo considera mai e se è per quello che quando chiama vuole parlare solo con Dean: non glielo chiede, solo ed esclusivamente perché ha un po’ paura della risposta.

Il volto di suo padre pare, per un istante, restare incastrato nel tempo. Restare immobile, deformato dalla sorpresa e da qualcos’altro – il pensiero che Sam possa percepire quel marchio che si porta nelle vene come una maledizione, il pensiero che possa attivamente pensare di essere cattivo. Recupera subito il controllo perduto.

“Nessuno dei miei figli è cattivo. Non voglio più sentirtelo dire, è chiaro, Sam?” chiede alla fine, mantenendo fermo il tono della voce.

Suo figlio lo guarda confuso per un istante, spaventato da quell’improvvisa urgenza nella sua voce. Poi annuisce e John si dice che è ancora troppo presto per pretendere una risposta verbale.

“Bene. C’è qualche possibilità che tu riesca ad obbedire ad un ordine senza fartelo ripetere cento volte?” borbotta alla fine, riprendendo la sua domanda.

Un’espressione indispettita si dipinge sul volto di suo figlio, ma John lo interrompe prima che possa obiettare.

“Stai zitto e vai a dormire, ragazzino” dice semplicemente.

Sarà quella parvenza di ordinarietà, sarà quel mezzo sorriso di Sam, sarà Dean che sembra appena un po’ più rilassato, ma sembra la serata sbagliata per fargli l’ennesima falsa promessa, che - in fondo John lo sa benissimo - non dipende affatto dal suo comportamento.

 

***

Quando torna in sala, Dean è in piedi e ha spento la televisione, lasciando il film a poco più della metà. John gli rivolge uno sguardo interrogativo, girandosi fra le mani una scatolina bianca – le sue mani, così abituate e abili nel maneggiare un’arma, sembrano completamente incapaci, quando devono essere impiegate per compiti più delicati, come impacchettare un regalo e sistemare un nastro. Lo sguardo di suo figlio indugia per un attimo sul pacchetto, senza però osare chiedere.

“Buona notte, papà” mormora alla fine, un po’ incerto.

Suo figlio esita e azzarda un sorriso che assomiglia ad una smorfia, mentre fa per dirigersi verso la sua camera da letto.

“Vai già a dormire? Puoi finire il film, se vuoi” tenta, e per la prima volta sembra incerto su come trattare la questione, come se quell’improvvisa ritirata l’avesse preso in contropiede.

Dean esita, perché non è proprio tipico di papà dargli una scelta su qualcosa, ma gli regala comunque un mezzo sorriso riconoscente per avergliene garantita una, almeno questa volta.

“Grazie, papà, ma Sammy sta male. Devo prendermi cura di lui, ha un sacco di incubi stupidi quando ha la febbre” risponde poi, convinto.

Ci vuole un attimo perché il cacciatore riprenda il controllo della situazione. Le sue dita si muovono in maniera insicura sul pacchetto che ha fra le mani, come se stessero cercando di ricordare come si apre qualcosa che non è un lucchetto o una serratura. Dean sembra immediatamente accorgersene.

“Papà, va tutto bene?” inizia suo figlio, con una traccia di allarme nella sua voce.

Il ritornare nei ruoli a cui Dean è più abituato è quasi una reazione immediata. John si schiarisce la voce, ingoiando un nodo che fino a quel momento sembrava stringergli la gola.

“Sì. Vai da tuo fratello” gli ordina alla fine, per poi vederlo annuire vigorosamente. “Ma prima prendi questo”

John gli passa il regalo e Dean gli rivolge un’espressione curiosa e un po’ sorpresa, l’espressione di chi non se lo aspettava. E no, non importa davvero che sia il suo compleanno, perché ci sono state volte in cui suo padre si è persino dimenticato di chiamare a casa per i loro compleanni – non che Dean glielo abbia comunque mai rinfacciato, a dire il vero. Il cacciatore rimane in silenzio, ma quando un sorriso taglia le labbra del maggiore dei Winchester alla vista di quell’orologio, l’uomo tira un sospiro di sollievo perché allora non è così grave, allora non è irrecuperabile.

“Grazie. Papà, non avresti dovuto spendere soldi o usare le carte di credito per...” inizia, ma John lo interrompe bruscamente.

“Non dirmi come devo usarle, ragazzino” lo riprende, ma il rimprovero non ha nemmeno la metà della forza che avrebbe in altre situazioni, forse perché può immaginarsi Dean non togliersi mai di dosso quell’orologio, come se fosse un cimelio del loro rapporto. “Vai da tuo fratello”

Dean gli regala un altro timido sorriso di scuse, mormora un veloce “Sì, signore” e si dirige verso la sua camera, mentre una consapevolezza colpisce immediatamente John Winchester: per Dean dare sarà sempre più facile che ricevere. Non sa ancora se il fatto che sia il suo modo di fare il genitore ad essere responsabile di ciò sia qualcosa di cui essere orgogliosi. Non sa ancora se ciò sarà una fortuna oppure la sua condanna.



NDA. 
Un'altra piccola weechester. Partecipa all'Advent Calendar del gruppo FB Hurt&Comfort Italia - Fanart and Fanfiction. 

 

 

   
 
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