Fic in due capitoli, che ha
ottenuto un risultato insperato piazzandosi seconda pari merito al
contest.
Prima di lasciarvi alla lettura vi dico solo un paio di
cose. Prima di tutto, scusatemi. È
una vaccata stellare, ma mi è uscita così. Seconda cosa, il
titolo: è sgraffignato da una leggenda dei nativi americani. Doppia Faccia o Anuk Ite,
figura mitologica del popolo Lakota, era
originariamente la più bella delle donne, moglie del Vento (Tate)
e figlia del cielo (Skan). La
sua vanità la spinse a ripudiare la propria famiglia e a sedurre il Sole,
provocando grave offesa alla Luna, sua moglie.
Per punizione, a metà del suo viso vennero date sembianze maschili. Mi
sembra appropriato per Sakura, che alterna lo stato di delicata fanciulletta sognante ed emotiva a quello di pugile
nerboruto che sputa a lato del ring. Inoltre anche la realtà ha una
doppia faccia, più lati diversi, e anche le persone, con le loro
contraddizioni (tipo, uno a caso, Sasuke). Doppia faccia, dunque, è il
titolo per tre ragioni: la doppia faccia di Sakura, l’ambiguità
della vita, l’incoerenza umana. In ultimo, grazie mille a sourcreamandonions,
somma beta, per aver tentato di arginare i danni col suo eccelso lavoro.
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Parte prima
Lei stessa, in seguito, non avrebbe saputo spiegare il
perché di quella sensazione: semplicemente, d’improvviso, Sakura
sentì di dover cambiare direzione. Ne avvertì la granitica
certezza nel momento in cui il suo corpo stanco, che aveva iniziato a non
reagire più con la dovuta efficienza, lo segnalò senza possibili
fraintendimenti: il suo piede s’incastrò sbadatamente in un ramo
sporgente e la kunoichi si ritrovò catapultata in avanti, rotolò a
terra e attutì il colpo con la naturalezza dovuta all’abitudine.
Strinse un gemito tra i denti e chiuse gli occhi per un secondo, prendendo
fiato. Quando li riaprì vide il grosso del gruppo trascinarsi avanti,
Naruto compreso, sebbene fosse ferito in modo non lieve e stremato dal
risveglio di Kyuubi: in una condizione normale non sarebbe riuscito nemmeno a
reggersi in piedi, ma era di Sasuke che si trattava e Sakura sapeva bene che il
jinchuuriki in quel caso avrebbe fatto di tutto, anche camminare da morto, pur
di raggiungerlo.
Socchiuse le labbra per chiamarlo, attirare la sua
attenzione e farsi aspettare, ma nel sollevare la testa il suo sguardo cadde
quasi per caso su un anfratto del sottobosco, alla sua destra: senza nessun
valido motivo sentì di dover andare da quella parte e si
raddrizzò sulle gambe, imboccando la direzione prescelta. Riprese a
correre senza badare a nient’altro.
Sasuke era lì, da qualche parte. Era ferito in
modo grave, l’aveva visto, e forse il confronto col bijuu l’aveva
danneggiato irreparabilmente; forse era in pericolo di vita. Forse, se Danzo e
i suoi l’avessero trovato prima di lei o Naruto, sarebbe morto sul posto.
Sas’ke-kun. Sas’ke-kun, stiamo
arrivando.
Inciampò di nuovo in un rovo, ma riuscì a
mantenere l’equilibrio, scagliandosi tra i tronchi di una radura. Li
vide, a una trentina di metri di distanza: un paio di quelli che stavano con
Sasuke. C’era un tizio, e anche la ragazza coi capelli rossi. Erano a
terra, forse esanimi, forse morti.
Il medico eccellente che era Sakura Haruno esitò,
invasa dallo scrupolo del mestiere: aveva votato la vita al soccorso di feriti e
malati. Ma se si fosse attardata a curare quelli che, in fin dei conti, erano
nemici, avrebbe rischiato di perdere Sasuke. Forse era anche troppo tardi per
aiutarli. Forse, invece, stava per negare loro la possibilità di
sopravvivere.
E chissenefrega.
Sas’ke-kun è più importante di questi stronzi.
Esitò ancora per qualche secondo, divisa tra il
dovere e il desiderio. Infine, con un sottile moto di biasimo verso se stessa,
scattò via, allontanandosi.
Nonostante tutto, Sasuke continuava a contare più
di qualunque altra cosa.
C’erano segni di lotta ovunque; la foresta ne era
devastata. In quelle condizioni era impossibile pensare di rintracciare una
qualunque pista. Continuava ad avanzare, ma la speranza le sembrava sempre
più fievole. Erano spariti uno dopo l’altro, prima il leader di
Akatsuki, Madara Uchiha, poi Sasuke, nonostante lo
stato miserando. A dispetto delle domande che affollavano i suoi pensieri
– Un altro Uchiha ancora vivo, com’era possibile? E perché
lottava contro Konoha? Perché voleva Kyuubi? –, Sakura non
riusciva davvero a pensare a qualcosa che non fosse Sasuke. La sua immagine permeava
tutto il suo essere, e già stava iniziando a disperare, il respiro
tremante, quando udì un suono sordo, come un colpo violento, proveniente
da qualche parte alla sua destra. Si buttò da quel lato, spostando rami
con energia, nonostante fosse ormai sfinita, e quando la boscaglia si
aprì di nuovo in un prato Sakura s’arrestò di scatto, gli
occhi spalancati e le gambe tremanti.
Sasuke era sbattuto a terra, là addossato ad una
roccia quasi frantumata. A qualche metro da lui, reggendosi a stento in piedi,
c’era Madara Uchiha, e stava faticosamente
parlando.
“…Molto ingenuo, Sas’ke. Mettersi
contro di me non è una grande idea. L’aveva capito Danzo, e
l’aveva capito anche Itachi. Nessuno di loro due è stato
così stupido da fare apertamente il doppio gioco con me. Per questo
hanno contribuito alla distruzione del clan come desideravo, Danzo per il
potere e Itachi per amor tuo. Ma tu, tu sei così stupido ed arrogante da
non capire chi è il più forte nemmeno quando è più
che evidente.”
Sakura lo vide, con orrore, spalancare gli occhi animati
dalla luce dello sharingan. Sentì Sasuke urlare straziato e, al di
là del panico che la stava invadendo, le sinistre parole di Madara si fecero strada nella sua mente, amplificandosi.
Poi Sasuke smise di urlare.
E in quel momento, come se un velo le fosse caduto da
davanti agli occhi, rivelando finalmente la realtà nella sua interezza,
Sakura Haruno capì. Seppe chi aveva distrutto la vita di Sasuke, chi
l’aveva reso un bambino infelice, un adolescente capace solo di odiare,
un nukenin e un assassino, e conseguentemente chi
aveva privato lei del suo sogno, della semplice possibilità di provare a
realizzarlo e di farsi amare. Seppe chi era all’origine di tutta quella
sofferenza: non Itachi Uchiha, ma l’uomo che in quel momento si stava
avvicinando a Sasuke per finirlo.
L’uomo che aveva infiltrato a Konoha il male nella sua forma più
aberrante.
Anuk Ite
Madara barcollò in avanti senza
riuscire a trattenere un leggero sorriso velenoso, nonostante il dolore delle
ferite. Bilanciò meglio il peso sulle gambe, osservando con freddo
sprezzo il corpo esanime del ragazzo, accartocciato malamente contro la roccia
in frantumi. Si asciugò un rivolo di sangue dal labbro con il polso e
fece un altro passo avanti.
“Piccolo idiota,” mormorò con freddezza.
“Pensavi veramente di farla a me?”
Un attimo dopo il suo corpo fu sbattuto a lato, investito
da qualcosa di una violenza disumana.
Il fiato gli mancò, mentre sentiva le proprie costole spezzarsi con un
dolore lancinante, sbriciolate dall’impatto violento con quello che
sembrava un ariete in acciaio. Rovinò a qualche metro di distanza come
fosse stato un fuscello e l’urto del capo col terreno fu tale che il suo
naso si spaccò, schizzando sangue e strappandogli un forte lamento.
Boccheggiò, intontito, e si girò velocemente su se stesso per
parare un eventuale secondo colpo, ma non aveva fatto in tempo nemmeno a finire
di voltarsi che un pugno s’insaccò nel suo stomaco come una picca
acuminata, comprimendolo contro il terreno tanto che vomitò di riflesso.
Alla sua vista annebbiata si presentò il viso, distorto da una furia
animale, della ragazzetta che nemmeno un’ora prima li osservava con le
lacrime agli occhi, e che ora sembrava posseduta a sua volta da un bijuu.
“TU!” ruggì lei, e Madara
si sentì afferrare da una morsa, sollevare come carta e, senza nemmeno
poter provare a divincolarsi, sbattere di petto contro un tronco d’albero
con una brutalità tale che questo si squarciò alla base.
“TU, LURIDO INSETTO!”
Madara avvertì il dolore
bruciante della costola rotta che perforava un polmone, insieme a quello acuto
della sua caviglia che si spezzava, torcendosi contro
La ragazza continuava a strillare furiosa ma lui non la
riusciva più a sentire bene. Tossì sangue, mentre si rannicchiava
su se stesso, folgorato dalla consapevolezza che era paralizzato e
probabilmente non avrebbe mai più camminato. Poi il pugno mostruoso si
abbatté sul lato della sua testa, spappolandogli un orecchio. Vide il
sangue schizzare verso l’esterno del suo campo visivo ed udì la
propria voce straziata, poi un altro colpo gli sfondò un rene e lui si
contorse come poteva, completamente atterrito, mentre lei continuava a colpirlo
– il suo gomito si disarticolò ad un’angolazione innaturale,
la spalla cedette con una fitta intollerabile. Quando la ragazza lo prese per
quel che restava delle sue braccia e lo sbatté contro l’albero,
sfondando il suo plesso solare con un pugno che gli fece sputare sangue a
fiotti, Madara realizzò agghiacciato che non
aveva ragione di preoccuparsi del fatto che non avrebbe più camminato,
perché la sua morte era molto
più vicina di quanto avesse previsto.
Nell’aprire gli occhi Sasuke Uchiha sentì un
grido agghiacciante di sofferenza che, con un certo sollievo – a riprova
del fatto che non era ancora del tutto alienato –, realizzò se non
altro non provenire da se stesso. Strizzò più volte le palpebre
per cercare di snebbiarsi la vista e tentò di muovere almeno una mano,
ma il suo corpo reagì irradiando in ogni nervo una fitta di dolore che
gli tolse il respiro. Dopo qualche secondo prese aria a fondo, cogliendo la
collera di una voce femminile terrificante che, in un punto dietro la sua
testa, urlava qualcosa come hai finito di
vivere, miserabile.
Finalmente riuscì a mettere a fuoco. La prima cosa
che vide fu la propria mano insanguinata. Per una qualche bizzarra ragione, dal
lato del suo polso ferito spuntava una protuberanza bianchiccia, liscia e
bagnata di sangue, che osservò per un paio di secondi senza riuscire a
darle una qualificazione. Quindi sbuffò seccato.
Il mio osso,
grandioso.
Provò a issare il peso sull’altro gomito,
sebbene l’indolenzimento di tutto il corpo e la debolezza gli facessero
girare la testa tanto da dargli una profonda nausea, e con estrema fatica
riuscì a poggiarsi contro le macerie rocciose cui era addossato.
Lentamente, cercando di nuocere il meno possibile alla svariate fratture che
sentiva di avere, si voltò nella direzione da cui provenivano le urla e
rimase perfettamente, totalmente immobile, senza nemmeno respirare, il volto
inespressivo come pietra nuda. Gli occhi lievemente sgranati erano l’unico
indizio dalla sua incredulità.
A una decina di metri da lui la sciocca, inutile, insopportabile,
svenevole e petulante Sakura Haruno stava sventolando quella che sembrava
essere la carcassa sanguinolenta di Madara contro un
albero. Il corpo dell’anziano genio si sarebbe detto un fantoccio pesante
quanto un granello di polvere, da come la kunoichi lo
sbatacchiava qua e là tartassandolo di pugni in grado, probabilmente, di
stendere Kyuubi.
Sono pazzo. Oppure
sono morto. O entrambe le cose, in alternativa.
Sasuke riuscì finalmente a sbattere le palpebre e
questo lo scosse dallo stato di trance in cui versava. Aprì e richiuse
la bocca come una trota prima di realizzare che Sakura stava massacrando la sua vittima, privandolo della sua meritatissima vendetta finale. Gli
bastò quel pensiero per ritrovare miracolosamente la forza di issarsi barcollando
sulle gambe, legittimamente indignato, e di trascinarsi in quella direzione
boccheggiando ingiurie minacciose all’indirizzo di entrambi.
“Tu devi morireee!”
stava urlando Sakura, nello sbattere Madara a terra.
Si piegò in avanti, investendolo con una veloce scarica di pugni. Sasuke
la raggiunse da dietro, afferrandola per una spalla con la mano sana.
“Sono io che lo devo ammazzare,”
affermò sprezzante, forzandola a voltarsi. Lei, in preda al suo violento
attacco di collera, ruotò su se stessa con energia, il braccio teso di
slancio.
“YAAH!” sbraitò, rilasciando il colpo.
Sasuke, sharingan o meno, ebbe giusto il tempo di vedere
il suo destro dirigersi a velocità preoccupante contro la propria
faccia. Poi un masso, o così gli parve, si abbatté sul suo naso,
facendogli esplodere nelle cornee un flash luminoso.
Per la seconda volta in dieci minuti si accasciò
indietro, perdendo conoscenza. Il suo corpo malmenato si arcuò
graziosamente e rotolò a terra quasi senza fare rumore, mentre Sakura
sgranava gli occhi smeraldini e spalancava la bocca, paralizzata da un moto di
panico.
“Sas’…ke-kun?”
mormorò, intontita. “Sas’ke!” strillò,
ritornando alla realtà.
Il genio, stropicciato a terra, versava in condizioni
lamentevoli. Aveva ferite e contusioni ovunque, il suo polso sinistro
presentava una frattura composita tale che l’osso spezzato aveva lacerato
la carne, e adesso aveva anche il
naso rotto, che sanguinava copiosamente.
“Oh, Sas’ke-kun,
i-io non…” farfugliò Sakura, crollando sulle ginocchia al
suo fianco, prima di scoppiare in singhiozzi.
Si lasciò cadere sul suo petto, stringendolo
debolmente, mentre balbettava incoerenze. Era invasa dal sollievo, dalla paura,
dalla collera, e dall’afflato costante di quell’amore che non era
mai stata capace di fermare, tutti insieme. Le servirono svariati secondi
perché il medico prendesse il sopravvento e, senza smettere di piangere
per tutto quel tumulto che la scuoteva, prendesse a occuparsi almeno delle ossa
rotte. Tamponò l’emorragia nasale alla meglio, applicando un sommaria
medicazione, poi si soffiò il naso in una benda che avvolse singhiozzando
intorno alla sua spalla ferita – dimostrandosi decisamente in stato
confusionale. Quindi, mordendosi tormentosamente le labbra, si accinse ad
effettuare la dolorosa cura del polso, desiderando ardentemente di non doverlo
fare. Concentrò il chakra nelle mani e le impose sull’osso rotto, riposizionando
l’estremità fuori sede. Sasuke ritornò alla luce con uno
spasmodico urlo di dolore, piegandosi in avanti di scatto. Ansimò ripetutamente,
gli occhi sgranati e vagamente vacui, quindi la guardò confuso.
Aveva dei tamponi di cotone nel naso, era coperto da una
medicazione già sporca, aveva la faccia pesta, infangata e graffiata, i
capelli come rovi, un’espressione mediamente ebete e il kimono lurido,
rossiccio e pieno di ampi strappi, attraverso i quali s’intraveda il suo
torace contuso, ma la prima cosa che Sakura pensò fu che fosse la cosa
più bella che avesse mai visto, e le si spezzò il fiato,
traboccando in un gemito.
“Sas’ke-kun…”
sussurrò, tra le lacrime.
“…Peché no repirho?” chiese lui con voce soffocata, cercando
invano di buttare giù aria.
Sakura sorrise teneramente, asciugandosi gli occhi.
“Non respiri perché hai il naso rotto, te
l’ho medicato,” spiegò tremula.
Sasuke sgranò gli occhi, ostile.
“Hai ceccato di uccide..bi!”
protestò glaciale, scrutandola con odio.
Sakura scrollò enfaticamente la testa.
“Non volevo! Sei tu che mi hai attaccata alle
spalle!” affermò accorata.
Sasuke sussultò, riprendendo il filo degli eventi.
Cercò di sollevarsi, ma le forze lo tradirono e torse il collo nella
ricerca dell’obiettivo del suo rancore.
“Badarha?”
“Eh?”
“Badarha, ibecidde!”
Madara,
imbecille. Imbecille?
Sakura aggrottò la fronte risentita, prima di
voltarsi indietro. Aveva il ricordo sommario di aver aggredito lungamente
quell’uomo disgustoso e le sfuggì un lamento attonito nello
scorgere l’ammasso di carne malmenata che ne aveva ottenuto. Si
portò la mano a coprire le labbra, agghiacciata.
“Credo…sia…morto,” esalò,
atona.
Sasuke emise un incomprensibile suono strozzato e lei si
girò di nuovo a guardarlo. I suoi occhi neri erano spalancati,
l’espressione incredula. Nel giro di un istante si accigliò,
fosco, e agitò convulsamente la mano illesa verso di lei.
“TU! Baledetta sheccathrice ivadend…”
e giù un altro ringhio, mentre si trascinava ginocchioni verso di lei,
costringendola a ritrarsi. “Era BIO! Bio! Bio!” ruggì, tirando un pugno all’aria
prima di strisciare indietro, verso il corpo di Madara.
“Dobevo ucci…”
Un altro rantolo, mentre gattonando arrivava ad afferrare il polso del
cadavere. “Dovebo esser..e io!”
ripeté, chinando la testa fino a poggiarla su quel corpo martoriato e
tirandogli un pugno alla cieca.
Le sue spalle tremarono mentre rimaneva in silenzio e
Sakura si sentì stringere lo stomaco come se qualcuno la stesse
stritolando. Si avvicinò e allungò una mano senza osare toccarlo.
“Hai…una brutta lesione sulla nuca, e forse
una commozione cerebrale,” mormorò, dicendosi che
quell’ultima in particolare avrebbe spiegato molte cose. “Devo
portarti in ospedale.”
“Non ci vengo,” rispose lui freddamente,
senza alzare la testa. Si stava abituando allo stato del suo naso, pareva, e
riusciva di nuovo a parlare una lingua comprensibile.
“Potrebbe essere grave.”
“Da quaddo Konoha si porhta i nukenin in
ospedale?” replicò lui, tagliente.
Sakura aggrottò la fronte. Vedere quel cadavere
martoriato la disgustava e il peso di quella notte allucinante la lasciava
intorpidita e sconvolta al tempo stesso; non ce la faceva più.
“Finiscila,” intimò. “Ti porto
in ospedale e basta,” decise, afferrando il suo braccio per alzarlo da
terra.
“Lasciami,” ringhiò lui, ritroso.
“O ti alzi da solo o ti alzo io,”
intimò Sakura collerica.
Sasuke sembrò valutare la cosa per un istante. Si
rese conto, evidentemente, di essere quello messo peggio dei due e di non poter
affrontare un corpo libero come quello che aveva visto soccombere Madara, perché si accigliò con una smorfia
tronfia e puntò un ginocchio a terra.
“Non ho bisogno di aiudo,”
affermò fiero, alzandosi in piedi.
Immediatamente dopo precipitò lungo tirato in
avanti, e se non prese l’ennesima facciata fu soltanto perché
Sakura si era aspettata un mancamento e fu abbastanza veloce da sorreggerlo.
Sospirando, si poggiò il suo braccio intorno al collo, mentre lui
restava fermo con la testa ciondolante.
Vertigini, mancanza di equilibrio e nausea, almeno a
giudicare dalle contrazioni addominali che avvertiva reggendo il suo fianco: le
sarebbe bastato un terzo dell’esperienza che aveva per diagnosticare
un’effettiva commozione cerebrale.
“Ce la fai?” chiese, domandandosi come mai
quel peso morto le ispirasse una simile dolcezza.
“Perfettamente,” borbottò Sasuke
sostenuto.
Sakura levò gli occhi al cielo senza fare
commenti, iniziando lentamente a camminare. Per i primi metri le gambe di
Sasuke restarono immobili e i suoi piedi strisciarono a terra, poi si accorse
che si stavano spostando e prese a sgambettare, cercando di sembrare
tranquillamente in grado di muoversi in modo autonomo. Percorsero in quel modo
un breve tratto di foresta rasa al suolo, poi lui raddrizzò la testa di
scatto, rischiando di sbilanciare entrambi all’indietro.
“Dove sono gli altri?”
Sakura lo guardò perplessa.
Naruto, decisamente malmesso dopo la prova di Kyuubi, si
era diretto ad est con il grosso degli indenni per cercare lui, mentre lei
prendeva a sud. Ma le parve strano che Sasuke lo chiedesse adesso.
“Chi?”
“Taka. Il mio team.”
Oh, sì. Il
tizio un po’ lunatico, lo spadaccino antipatico e la sciacquetta coi
capelli rossi.
Aveva visto almeno due di loro poco prima, e non erano in
forma smagliante.
“Non ne ho idea,” rispose, secca.
“Devo trovarli. Sono dei perhfetti
incapaci.”
Sakura esitò, incerta se lavarsene le mani dei tre
piccoli bastardi che avevano usurpato lo spazio del team sette o mostrarsi
magnanima. Alla fine decise se non altro di non frustrare quell’acerbo
slancio di altruismo di Sasuke, dovuto sicuramente alla botta in testa, e lo
trascinò nella direzione in cui ricordava di averli visti.
Che per il ragazzo strano, Juugo, ci fosse poco da fare,
le risultò chiaro ad uno sguardo. Sasuke si limitò a serrare le
labbra tanto che sparirono, e il pallore del suo viso si fece ancor più
intenso davanti al corpo addossato a una roccia. Quando, due metri più
indietro, trovarono Karin, videro che invece era cosciente. Ferita, troppo
stremata per muoversi, ma viva e lucida.
“Stai bene?” chiese Sasuke spiccio.
“Sas…” mormorò lei, cercando di
tendere una mano nella sua direzione.
“Suigetsu?”
Sakura si stava guardando attentamente intorno, cercando
di non pensare a quello che gli occhi di Karin potessero trasmettere a quelli
di Sasuke, e soprattutto cosa gli occhi di Sasuke avrebbero risposto.
Lasciò che lui si piegasse verso la ragazza e mentre si voltava
intravide un piede abbandonato oltre un masso. Muovendosi di due passi, scorse anche
la gamba cui era attaccato.
“Là,” mormorò, tendendo la
mano. “Credo sia…” aggiunse piano.
Sasuke si
raddrizzò talmente di scatto che lei dovette di nuovo sorreggerlo
perché non cadesse. Non ebbe bisogno che lui le chiedesse di farlo per
trascinarlo da quella parte, ma Karin li sorpassò barcollando.
“Suigestu!”
guaì, lasciandosi cadere di fianco allo spadaccino.
Quando le furono accanto, davanti al corpo esanime del
giovane Hozuki, Sakura dovette tener su Sasuke con
entrambe le braccia, perché le sue ginocchia cedettero del tutto.
“Mi dispiace,” mormorò, schietta.
Sasuke non si mosse nemmeno, continuando ad osservare la
ragazza che mormorava chissà cosa tra le lacrime. La guardava con una
tale intensità che Sakura sentì di odiarla dal profondo di se
stessa, con violenza. Distolse lo sguardo serrando i denti e fu così che
intravide il drappello di shinobi in rapido avvicinamento. Inquieta, strinse la
presa sul fianco di Sasuke quanto più poteva senza fargli male, temendo
istintivamente il linciaggio. Avrebbero dovuto ucciderla prima di alzare un
solo dito su di lui, e desiderò intensamente che Naruto fosse ancora con
loro.
Si riscosse quando Sasuke manifestò
l’intenzione di fare un passo in avanti, e lo sostenne, avvicinandosi di
nuovo a Karin e Suigetsu.
“…Così cretino, ma fa niente,”
stava balbettando disperatamente la ragazza. “E mi dispiace di averti
rovesciato la salsa di soia in testa l’altra settimana e…di averti
detto che puzzi di pesce m…marcio e…di essere stata a guardare
mentre Kabuto ti sforacchiava an-nche
se sei uno stupido coso,” singhiozzava annichilita, strattonando la mano
dello spadaccino. “E di n…”
Sakura sentì suo malgrado le proprie labbra
tremare, mentre gli occhi le si appannavano.
“..On aver mai detto la più vaga cosa carina
nei tuoi confronti anche se ti sta solo bene e…”
“È l’elogio funebre più
schifoso che sia mai stato pronunciato. Grazie tante, Karin,”
gracchiò flebilmente il ragazzo, sarcastico.
Sakura sgranò gli occhi, mentre Sasuke sospirava
stizzito. Karin sollevò la testa così di scatto che sembrò
sul punto di staccarsi dal suo collo.
“Sei vivo?” singhiozzò, scrollandolo.
“Che intuit…”
Ma Suigetsu non poté mai finire la frase, e forse
fu meglio così, perché Karin gli si tuffò addosso e
incollò le proprie labbra alle sue, stretta al suo collo tanto da strangolarlo.
Sakura avvertì una nuova ondata di tenerezza e fu sul punto di chiedere
a Sasuke se non li trovava bellissimi – commento che probabilmente le
avrebbe valso un chidori – ma lui, con uno
sbuffo, s’era già voltato ed osservava tetro la truppa di shinobi
di Konoha ormai a poche decine di metri.
Sakura sorrise, individuando in testa al drappello
un’inconfondibile chioma dorata.
“Naruto!” commentò sollevata.
“Oh, allora siamo salvi,” osservò
Sasuke, sprezzante. “Smeddila di renderti
ridicolo, Suigetsu, e vedi di usare quell’ammasso d’aggua che hai per corpo in modo più indelligente che per fare scenate strappalacribe.”
“Tipo dartele?” ribatté l’altro,
tirandosi a sedere con Karin ancora appesa al collo. “Chi ti ha rotto il
naso, che gli stringo la mano?” aggiunse ammirato. “Oh.
Visite,” concluse cupo, individuando gli ospiti.
Si tirò in piedi giusto in tempo.
Naruto, Shikamaru, Sai. Kakashi, Yamato, Genma. Ino, Shizune,
gli ANBU. Danzo.
Stai fermo. E la mano di Sakura si
strinse ancora sul fianco di Sasuke. Non
fare più il loro gioco, stai fermo, ti prego.
“Sas’ke!” rantolò Naruto,
malfermo sulle gambe e cosparso di fasciature. “Sakura…”
mormorò incerto. Accennò un sorriso esitante, con fiducia.
“È il nukenin.
Prendetelo,” ordinò Danzo autoritario, senza un gesto.
Sakura sentì il corpo di Sasuke irrigidirsi e si
rese conto che stava per attaccare. D’istinto scavalcò la sua
gamba con la propria, portandosi avanti. Questa volta, decise, sarebbe servita
finalmente a qualcosa.
“Non siete tenuti ad ascoltare quell’uomo.
È un assassino, ed è un traditore.” Raddrizzò la
testa nel silenzio improvviso, risoluta. “Ha ordinato il massacro del
ventaglio ed ha complottato con Madara Uchiha per
rovesciare Konoha.”
Ci fu un momento d’immobilità sbigottita. I
tre ANBU che si stavano muovendo rimasero incerti per un istante, Naruto
sgranò gli occhi confuso e Shikamaru aggrottò la fronte, attento.
Kakashi voltò uno sguardo penetrante sul Rokudaime, immobile.
Danzo accennò un sorriso di sussiegoso sprezzo,
zoppicando di un passo in avanti.
“Detto da una mocciosa che passeggia abbracciata ad
un nukenin suona poco credibile, non credi?”
commentò noncurante. “È una traditrice anche lei, lo
spalleggia.”
“Vedi di non accomunarmi a quest’oca,
Danzo,” intervenne Sasuke atono. Le labbra serrate, lo sguardo
fiammeggiante, il pugno stretto. Non camminava, ma Sakura sapeva che si sarebbe
mosso lo stesso da un istante all’altro.
E invece, sentendosi evidentemente ormai in trappola
– il jinchuuriki era vivo, l’Akatsuki caduta – Danzo commise
l’errore più stupido che avrebbe potuto commettere.
“Non prenderti confidenze, Uchiha. Non mi sembra
che ci conosciamo.”
Sasuke cercò di raddrizzarsi, fiero.
“Oh, tu mi conosci. Mi conosci molto bene.”
La sua voce era sforzata, certo nell’intento di non storpiare le parole
proprio in quel momento. “Hai persino mandato un tuo lecchino a Oto per uccidermi.”
“Giusto! Sai!” abbaiò Naruto con foga.
Il giovane ANBU lo guardò vagamente perplesso,
prima di accennare un sorriso in direzione di Sasuke.
“Oh, il lecchino sono io?” chiese placido.
“Scusami, Sas’ke-kun, non avevo
capito,” continuò pacifico, con noncuranza.
Il genio non lo degnò d’uno sguardo,
piegando semplicemente le labbra verso il basso.
“Sai, e diglielo!” sbottò Sakura
rabbiosa.
“È vero. Danzo sama mi aveva mandato a Oto con il team sette perché eliminassi Sas’ke
Uchiha. Ma ho deciso di non farlo, perché mi fido di Naruto,”
confermò soavemente Sai, col suo perpetuo, artefatto sorriso.
“Bell’affare,” borbottò Sasuke,
scettico.
“Curioso,” intervenne Kakashi vago,
gravemente. “Credevo che il mio team fosse andato a Oto
per riportarlo indietro. Vivo.” Infilò le mani in tasca, calmo.
“Certo, i nukenin sono feccia
spregevole,” aggiunse fermo, “ma forse avete qualcosa da spiegarci,
Rokudaime sama?”
Sasuke distolse lo sguardo a quell’intervento e Sakura
si domandò se fornire tale pittoresca descrizione dei traditori fosse
sembrato al sensei strettamente necessario.
“Mi stai accusando, Hatake?”
“Ho lasciato la divisione ANBU perché mi
avete impedito d’indagare sul nukenin S Itachi
Uchiha. Forse c’era
più di una ragione per cui non dovevo farlo. Forse avere contro due
sharingan al posto di uno vi avrebbe dato problemi.”
Sasuke tornò a mostrare un barlume
d’interesse, attento.
Danzo rimase fermo per qualche istante senza muoversi,
poi voltò lo sguardo sul jonin, aggressivo.
“Non avresti capito, Kakashi,” affermò
sicuro. “Per questo saresti un pessimo Hokage. Non comprendi che per il
bene di una nazione occorre talvolta fare piccoli sacrifici.”
“Adesso io ti ammazzo, bastardo.”
Sakura non fece in tempo ad anticiparlo: quando strinse
la presa la sua mano si serrò sul vuoto e il corpo di Sasuke era
già sgusciato via. Socchiuse le labbra per urlare, vedendolo scattare in
avanti, ma il genio sbatté contro l’ostacolo in movimento della
schiena di Naruto, immobile di fronte all’Hokage.
“Un momento,” mormorò il jinchuuriki
grave, a testa bassa. “Vuol dire che sei stato tu a far uccidere gli
Uchiha? È per causa tua che ho passato tre anni d’inferno?
È colpa tua se è successo tutto questo? Se Jiraiya è
morto, se il villaggio è distrutto…?” E la sua voce si
faceva sempre più alta, vibrante di collera, mentre le sue mani si
serravano a pugno. “Sei stato tu a rovinare la vita del mio migliore
amico, vero? Vero, Danzo?” sbottò, irato.
Sakura realizzò cosa sarebbe accaduto nel momento
in cui vide l’aura rossastra emessa dal suo corpo. Sapeva esattamente che
ora sarebbero uscite le code, forse una, forse tutte, e sapeva che Danzo
sarebbe morto. Sapeva che Sasuke non lo avrebbe impedito, sempre che avesse
avuto abbastanza forza per opporsi, ma sperava che avrebbe vegliato affinché
Naruto non si facesse del male.