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Autore: suni    23/08/2009    8 recensioni
Seconda classificata al SasuSaku contest indetto da Ainsel e Annaky.
[“Tu devi morireee!” stava urlando Sakura, nello sbattere Madara a terra. Si piegò in avanti, investendolo con una veloce scarica di pugni. Sasuke la raggiunse da dietro e la afferrò per una spalla con la mano sana.
“Sono io che lo devo ammazzare,” affermò sprezzante, forzandola a voltarsi. Lei, in preda al suo violento attacco di collera, ruotò su se stessa con energia, il braccio teso di slancio.]

Vi prego, siate clementi, questa è soltanto la mia 1(00)a fic su EFP. Parla di Sasuke Uchiha, di Sakura Haruno, di un naso rotto, di una vendetta usurpata a cazzotti, di un vecchio balordo a nome Madara, di commozioni cerebrali e naturalmente di jinchuuriki chiassosi. Vi ho incuriositi?
…Come “no”?
E vabbè, pazienza.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Fic in due capitoli, che ha ottenuto un risultato insperato piazzandosi seconda pari merito al contest.

Prima di lasciarvi alla lettura vi dico solo un paio di cose. Prima di tutto, scusatemi. È una vaccata stellare, ma mi è uscita così. Seconda cosa, il titolo: è sgraffignato da una leggenda dei nativi americani. Doppia Faccia o Anuk Ite, figura mitologica del popolo Lakota, era originariamente la più bella delle donne, moglie del Vento (Tate) e figlia del cielo (Skan). La sua vanità la spinse a ripudiare la propria famiglia e a sedurre il Sole, provocando grave offesa alla Luna, sua moglie. Per punizione, a metà del suo viso vennero date sembianze maschili. Mi sembra appropriato per Sakura, che alterna lo stato di delicata fanciulletta sognante ed emotiva a quello di pugile nerboruto che sputa a lato del ring. Inoltre anche la realtà ha una doppia faccia, più lati diversi, e anche le persone, con le loro contraddizioni (tipo, uno a caso, Sasuke). Doppia faccia, dunque, è il titolo per tre ragioni: la doppia faccia di Sakura, l’ambiguità della vita, l’incoerenza umana. In ultimo, grazie mille a sourcreamandonions, somma beta, per aver tentato di arginare i danni col suo eccelso lavoro.

 

 

 

 

 

________________________________________________________

 

 

Parte prima

 

 

 

Lei stessa, in seguito, non avrebbe saputo spiegare il perché di quella sensazione: semplicemente, d’improvviso, Sakura sentì di dover cambiare direzione. Ne avvertì la granitica certezza nel momento in cui il suo corpo stanco, che aveva iniziato a non reagire più con la dovuta efficienza, lo segnalò senza possibili fraintendimenti: il suo piede s’incastrò sbadatamente in un ramo sporgente e la kunoichi si ritrovò  catapultata in avanti, rotolò a terra e attutì il colpo con la naturalezza dovuta all’abitudine. Strinse un gemito tra i denti e chiuse gli occhi per un secondo, prendendo fiato. Quando li riaprì vide il grosso del gruppo trascinarsi avanti, Naruto compreso, sebbene fosse ferito in modo non lieve e stremato dal risveglio di Kyuubi: in una condizione normale non sarebbe riuscito nemmeno a reggersi in piedi, ma era di Sasuke che si trattava e Sakura sapeva bene che il jinchuuriki in quel caso avrebbe fatto di tutto, anche camminare da morto, pur di raggiungerlo.

Socchiuse le labbra per chiamarlo, attirare la sua attenzione e farsi aspettare, ma nel sollevare la testa il suo sguardo cadde quasi per caso su un anfratto del sottobosco, alla sua destra: senza nessun valido motivo sentì di dover andare da quella parte e si raddrizzò sulle gambe, imboccando la direzione prescelta. Riprese a correre senza badare a nient’altro.

Sasuke era lì, da qualche parte. Era ferito in modo grave, l’aveva visto, e forse il confronto col bijuu l’aveva danneggiato irreparabilmente; forse era in pericolo di vita. Forse, se Danzo e i suoi l’avessero trovato prima di lei o Naruto, sarebbe morto sul posto.

Sas’ke-kun. Sas’ke-kun, stiamo arrivando.

Inciampò di nuovo in un rovo, ma riuscì a mantenere l’equilibrio, scagliandosi tra i tronchi di una radura. Li vide, a una trentina di metri di distanza: un paio di quelli che stavano con Sasuke. C’era un tizio, e anche la ragazza coi capelli rossi. Erano a terra, forse esanimi, forse morti.

Il medico eccellente che era Sakura Haruno esitò, invasa dallo scrupolo del mestiere: aveva votato la vita al soccorso di feriti e malati. Ma se si fosse attardata a curare quelli che, in fin dei conti, erano nemici, avrebbe rischiato di perdere Sasuke. Forse era anche troppo tardi per aiutarli. Forse, invece, stava per negare loro la possibilità di sopravvivere.

E chissenefrega. Sas’ke-kun è  più  importante di questi stronzi.

Esitò ancora per qualche secondo, divisa tra il dovere e il desiderio. Infine, con un sottile moto di biasimo verso se stessa, scattò via, allontanandosi.

Nonostante tutto, Sasuke continuava a contare più di qualunque altra cosa.

C’erano segni di lotta ovunque; la foresta ne era devastata. In quelle condizioni era impossibile pensare di rintracciare una qualunque pista. Continuava ad avanzare, ma la speranza le sembrava sempre più fievole. Erano spariti uno dopo l’altro, prima il leader di Akatsuki, Madara Uchiha, poi Sasuke, nonostante lo stato miserando. A dispetto delle domande che affollavano i suoi pensieri – Un altro Uchiha ancora vivo, com’era possibile? E perché lottava contro Konoha? Perché voleva Kyuubi? –, Sakura non riusciva davvero a pensare a qualcosa che non fosse Sasuke. La sua immagine permeava tutto il suo essere, e già stava iniziando a disperare, il respiro tremante, quando udì un suono sordo, come un colpo violento, proveniente da qualche parte alla sua destra. Si buttò da quel lato, spostando rami con energia, nonostante fosse ormai sfinita, e quando la boscaglia si aprì di nuovo in un prato Sakura s’arrestò di scatto, gli occhi spalancati e le gambe tremanti.

Sasuke era sbattuto a terra, là addossato ad una roccia quasi frantumata. A qualche metro da lui, reggendosi a stento in piedi, c’era Madara Uchiha, e stava faticosamente parlando.

“…Molto ingenuo, Sas’ke. Mettersi contro di me non è una grande idea. L’aveva capito Danzo, e l’aveva capito anche Itachi. Nessuno di loro due è stato così stupido da fare apertamente il doppio gioco con me. Per questo hanno contribuito alla distruzione del clan come desideravo, Danzo per il potere e Itachi per amor tuo. Ma tu, tu sei così stupido ed arrogante da non capire chi è il più forte nemmeno quando è più che evidente.”

Sakura lo vide, con orrore, spalancare gli occhi animati dalla luce dello sharingan. Sentì Sasuke urlare straziato e, al di là del panico che la stava invadendo, le sinistre parole di Madara si fecero strada nella sua mente, amplificandosi. Poi Sasuke smise di urlare.

E in quel momento, come se un velo le fosse caduto da davanti agli occhi, rivelando finalmente la realtà nella sua interezza, Sakura Haruno capì. Seppe chi aveva distrutto la vita di Sasuke, chi l’aveva reso un bambino infelice, un adolescente capace solo di odiare, un nukenin e un assassino, e conseguentemente chi aveva privato lei del suo sogno, della semplice possibilità di provare a realizzarlo e di farsi amare. Seppe chi era all’origine di tutta quella sofferenza: non Itachi Uchiha, ma l’uomo che in quel momento si stava avvicinando a Sasuke per finirlo.

L’uomo che aveva infiltrato a Konoha il male nella sua forma più aberrante.

 

 

 

Anuk Ite

 

 

 

Madara barcollò in avanti senza riuscire a trattenere un leggero sorriso velenoso, nonostante il dolore delle ferite. Bilanciò meglio il peso sulle gambe, osservando con freddo sprezzo il corpo esanime del ragazzo, accartocciato malamente contro la roccia in frantumi. Si asciugò un rivolo di sangue dal labbro con il polso e fece un altro passo avanti.

“Piccolo idiota,” mormorò con freddezza. “Pensavi veramente di farla a me?”

Un attimo dopo il suo corpo fu sbattuto a lato, investito da qualcosa di una violenza disumana. Il fiato gli mancò, mentre sentiva le proprie costole spezzarsi con un dolore lancinante, sbriciolate dall’impatto violento con quello che sembrava un ariete in acciaio. Rovinò a qualche metro di distanza come fosse stato un fuscello e l’urto del capo col terreno fu tale che il suo naso si spaccò, schizzando sangue e strappandogli un forte lamento. Boccheggiò, intontito, e si girò velocemente su se stesso per parare un eventuale secondo colpo, ma non aveva fatto in tempo nemmeno a finire di voltarsi che un pugno s’insaccò nel suo stomaco come una picca acuminata, comprimendolo contro il terreno tanto che vomitò di riflesso. Alla sua vista annebbiata si presentò il viso, distorto da una furia animale, della ragazzetta che nemmeno un’ora prima li osservava con le lacrime agli occhi, e che ora sembrava posseduta a sua volta da un bijuu.

“TU!” ruggì lei, e Madara si sentì afferrare da una morsa, sollevare come carta e, senza nemmeno poter provare a divincolarsi, sbattere di petto contro un tronco d’albero con una brutalità tale che questo si squarciò alla base. “TU, LURIDO INSETTO!”

Madara avvertì il dolore bruciante della costola rotta che perforava un polmone, insieme a quello acuto della sua caviglia che si spezzava, torcendosi contro la radice. Il terzo pugno, come un uragano, si conficcò nel centro della sua schiena e Madara urlò a pieni polmoni per il frantumarsi della sua colonna vertebrale. Gorgogliò sangue, scivolando a terra, con ogni centimetro del suo corpo che urlava di dolore.

La ragazza continuava a strillare furiosa ma lui non la riusciva più a sentire bene. Tossì sangue, mentre si rannicchiava su se stesso, folgorato dalla consapevolezza che era paralizzato e probabilmente non avrebbe mai più camminato. Poi il pugno mostruoso si abbatté sul lato della sua testa, spappolandogli un orecchio. Vide il sangue schizzare verso l’esterno del suo campo visivo ed udì la propria voce straziata, poi un altro colpo gli sfondò un rene e lui si contorse come poteva, completamente atterrito, mentre lei continuava a colpirlo – il suo gomito si disarticolò ad un’angolazione innaturale, la spalla cedette con una fitta intollerabile. Quando la ragazza lo prese per quel che restava delle sue braccia e lo sbatté contro l’albero, sfondando il suo plesso solare con un pugno che gli fece sputare sangue a fiotti, Madara realizzò agghiacciato che non aveva ragione di preoccuparsi del fatto che non avrebbe più camminato, perché la sua morte era molto più vicina di quanto avesse previsto.

 

Nell’aprire gli occhi Sasuke Uchiha sentì un grido agghiacciante di sofferenza che, con un certo sollievo – a riprova del fatto che non era ancora del tutto alienato –, realizzò se non altro non provenire da se stesso. Strizzò più volte le palpebre per cercare di snebbiarsi la vista e tentò di muovere almeno una mano, ma il suo corpo reagì irradiando in ogni nervo una fitta di dolore che gli tolse il respiro. Dopo qualche secondo prese aria a fondo, cogliendo la collera di una voce femminile terrificante che, in un punto dietro la sua testa, urlava qualcosa come hai finito di vivere, miserabile.

Finalmente riuscì a mettere a fuoco. La prima cosa che vide fu la propria mano insanguinata. Per una qualche bizzarra ragione, dal lato del suo polso ferito spuntava una protuberanza bianchiccia, liscia e bagnata di sangue, che osservò per un paio di secondi senza riuscire a darle una qualificazione. Quindi sbuffò seccato.

Il mio osso, grandioso.

Provò a issare il peso sull’altro gomito, sebbene l’indolenzimento di tutto il corpo e la debolezza gli facessero girare la testa tanto da dargli una profonda nausea, e con estrema fatica riuscì a poggiarsi contro le macerie rocciose cui era addossato. Lentamente, cercando di nuocere il meno possibile alla svariate fratture che sentiva di avere, si voltò nella direzione da cui provenivano le urla e rimase perfettamente, totalmente immobile, senza nemmeno respirare, il volto inespressivo come pietra nuda. Gli occhi lievemente sgranati erano l’unico indizio dalla sua incredulità.

A una decina di metri da lui la sciocca, inutile, insopportabile, svenevole e petulante Sakura Haruno stava sventolando quella che sembrava essere la carcassa sanguinolenta di Madara contro un albero. Il corpo dell’anziano genio si sarebbe detto un fantoccio pesante quanto un granello di polvere, da come la kunoichi lo sbatacchiava qua e là tartassandolo di pugni in grado, probabilmente, di stendere Kyuubi.

Sono pazzo. Oppure sono morto. O entrambe le cose, in alternativa.

Sasuke riuscì finalmente a sbattere le palpebre e questo lo scosse dallo stato di trance in cui versava. Aprì e richiuse la bocca come una trota prima di realizzare che Sakura stava massacrando la sua vittima, privandolo della sua meritatissima vendetta finale. Gli bastò quel pensiero per ritrovare miracolosamente la forza di issarsi barcollando sulle gambe, legittimamente indignato, e di trascinarsi in quella direzione boccheggiando ingiurie minacciose all’indirizzo di entrambi.

“Tu devi morireee!” stava urlando Sakura, nello sbattere Madara a terra. Si piegò in avanti, investendolo con una veloce scarica di pugni. Sasuke la raggiunse da dietro, afferrandola per una spalla con la mano sana.

“Sono io che lo devo ammazzare,” affermò sprezzante, forzandola a voltarsi. Lei, in preda al suo violento attacco di collera, ruotò su se stessa con energia, il braccio teso di slancio.

“YAAH!” sbraitò, rilasciando il colpo.

Sasuke, sharingan o meno, ebbe giusto il tempo di vedere il suo destro dirigersi a velocità preoccupante contro la propria faccia. Poi un masso, o così gli parve, si abbatté sul suo naso, facendogli esplodere nelle cornee un flash luminoso.

Per la seconda volta in dieci minuti si accasciò indietro, perdendo conoscenza. Il suo corpo malmenato si arcuò graziosamente e rotolò a terra quasi senza fare rumore, mentre Sakura sgranava gli occhi smeraldini e spalancava la bocca, paralizzata da un moto di panico.

“Sas’…ke-kun?” mormorò, intontita. “Sas’ke!” strillò, ritornando alla realtà.

Il genio, stropicciato a terra, versava in condizioni lamentevoli. Aveva ferite e contusioni ovunque, il suo polso sinistro presentava una frattura composita tale che l’osso spezzato aveva lacerato la carne, e adesso aveva anche il naso rotto, che sanguinava copiosamente.

“Oh, Sas’ke-kun, i-io non…” farfugliò Sakura, crollando sulle ginocchia al suo fianco, prima di scoppiare in singhiozzi.

Si lasciò cadere sul suo petto, stringendolo debolmente, mentre balbettava incoerenze. Era invasa dal sollievo, dalla paura, dalla collera, e dall’afflato costante di quell’amore che non era mai stata capace di fermare, tutti insieme. Le servirono svariati secondi perché il medico prendesse il sopravvento e, senza smettere di piangere per tutto quel tumulto che la scuoteva, prendesse a occuparsi almeno delle ossa rotte. Tamponò l’emorragia nasale alla meglio, applicando un sommaria medicazione, poi si soffiò il naso in una benda che avvolse singhiozzando intorno alla sua spalla ferita – dimostrandosi decisamente in stato confusionale. Quindi, mordendosi tormentosamente le labbra, si accinse ad effettuare la dolorosa cura del polso, desiderando ardentemente di non doverlo fare. Concentrò il chakra nelle mani e le impose sull’osso rotto, riposizionando l’estremità fuori sede. Sasuke ritornò alla luce con uno spasmodico urlo di dolore, piegandosi in avanti di scatto. Ansimò ripetutamente, gli occhi sgranati e vagamente vacui, quindi la guardò confuso.

Aveva dei tamponi di cotone nel naso, era coperto da una medicazione già sporca, aveva la faccia pesta, infangata e graffiata, i capelli come rovi, un’espressione mediamente ebete e il kimono lurido, rossiccio e pieno di ampi strappi, attraverso i quali s’intraveda il suo torace contuso, ma la prima cosa che Sakura pensò fu che fosse la cosa più bella che avesse mai visto, e le si spezzò il fiato, traboccando in un gemito.

“Sas’ke-kun…” sussurrò, tra le lacrime.

“…Peché no repirho?” chiese lui con voce soffocata, cercando invano di buttare giù aria.

Sakura sorrise teneramente, asciugandosi gli occhi.

“Non respiri perché hai il naso rotto, te l’ho medicato,” spiegò tremula.

Sasuke sgranò gli occhi, ostile.

“Hai ceccato di uccide..bi!” protestò glaciale, scrutandola con odio.

Sakura scrollò enfaticamente la testa.

“Non volevo! Sei tu che mi hai attaccata alle spalle!” affermò accorata.

Sasuke sussultò, riprendendo il filo degli eventi. Cercò di sollevarsi, ma le forze lo tradirono e torse il collo nella ricerca dell’obiettivo del suo rancore.

Badarha?”

“Eh?”

Badarha, ibecidde!”

Madara, imbecille. Imbecille?

Sakura aggrottò la fronte risentita, prima di voltarsi indietro. Aveva il ricordo sommario di aver aggredito lungamente quell’uomo disgustoso e le sfuggì un lamento attonito nello scorgere l’ammasso di carne malmenata che ne aveva ottenuto. Si portò la mano a coprire le labbra, agghiacciata.

“Credo…sia…morto,” esalò, atona.

Sasuke emise un incomprensibile suono strozzato e lei si girò di nuovo a guardarlo. I suoi occhi neri erano spalancati, l’espressione incredula. Nel giro di un istante si accigliò, fosco, e agitò convulsamente la mano illesa verso di lei.

“TU! Baledetta sheccathrice ivadend…” e giù un altro ringhio, mentre si trascinava ginocchioni verso di lei, costringendola a ritrarsi. “Era BIO! Bio! Bio!” ruggì, tirando un pugno all’aria prima di strisciare indietro, verso il corpo di Madara. “Dobevo ucci…” Un altro rantolo, mentre gattonando arrivava ad afferrare il polso del cadavere. “Dovebo esser..e io!” ripeté, chinando la testa fino a poggiarla su quel corpo martoriato e tirandogli un pugno alla cieca.

Le sue spalle tremarono mentre rimaneva in silenzio e Sakura si sentì stringere lo stomaco come se qualcuno la stesse stritolando. Si avvicinò e allungò una mano senza osare toccarlo.

“Hai…una brutta lesione sulla nuca, e forse una commozione cerebrale,” mormorò, dicendosi che quell’ultima in particolare avrebbe spiegato molte cose. “Devo portarti in ospedale.”

“Non ci vengo,” rispose lui freddamente, senza alzare la testa. Si stava abituando allo stato del suo naso, pareva, e riusciva di nuovo a parlare una lingua comprensibile.

“Potrebbe essere grave.”

“Da quaddo Konoha si porhta i nukenin in ospedale?” replicò lui, tagliente.

Sakura aggrottò la fronte. Vedere quel cadavere martoriato la disgustava e il peso di quella notte allucinante la lasciava intorpidita e sconvolta al tempo stesso; non ce la faceva più.

“Finiscila,” intimò. “Ti porto in ospedale e basta,” decise, afferrando il suo braccio per alzarlo da terra.

“Lasciami,” ringhiò lui, ritroso.

“O ti alzi da solo o ti alzo io,” intimò Sakura collerica.

Sasuke sembrò valutare la cosa per un istante. Si rese conto, evidentemente, di essere quello messo peggio dei due e di non poter affrontare un corpo libero come quello che aveva visto soccombere Madara, perché si accigliò con una smorfia tronfia e puntò un ginocchio a terra.

“Non ho bisogno di aiudo,” affermò fiero, alzandosi in piedi.

Immediatamente dopo precipitò lungo tirato in avanti, e se non prese l’ennesima facciata fu soltanto perché Sakura si era aspettata un mancamento e fu abbastanza veloce da sorreggerlo. Sospirando, si poggiò il suo braccio intorno al collo, mentre lui restava fermo con la testa ciondolante.

Vertigini, mancanza di equilibrio e nausea, almeno a giudicare dalle contrazioni addominali che avvertiva reggendo il suo fianco: le sarebbe bastato un terzo dell’esperienza che aveva per diagnosticare un’effettiva commozione cerebrale.

“Ce la fai?” chiese, domandandosi come mai quel peso morto le ispirasse una simile dolcezza.

“Perfettamente,” borbottò Sasuke sostenuto.

Sakura levò gli occhi al cielo senza fare commenti, iniziando lentamente a camminare. Per i primi metri le gambe di Sasuke restarono immobili e i suoi piedi strisciarono a terra, poi si accorse che si stavano spostando e prese a sgambettare, cercando di sembrare tranquillamente in grado di muoversi in modo autonomo. Percorsero in quel modo un breve tratto di foresta rasa al suolo, poi lui raddrizzò la testa di scatto, rischiando di sbilanciare entrambi all’indietro.

“Dove sono gli altri?”

Sakura lo guardò perplessa.

Naruto, decisamente malmesso dopo la prova di Kyuubi, si era diretto ad est con il grosso degli indenni per cercare lui, mentre lei prendeva a sud. Ma le parve strano che Sasuke lo chiedesse adesso.

“Chi?”

“Taka. Il mio team.”

Oh, sì. Il tizio un po’ lunatico, lo spadaccino antipatico e la sciacquetta coi capelli rossi.

Aveva visto almeno due di loro poco prima, e non erano in forma smagliante.

“Non ne ho idea,” rispose, secca.

“Devo trovarli. Sono dei perhfetti incapaci.”

Sakura esitò, incerta se lavarsene le mani dei tre piccoli bastardi che avevano usurpato lo spazio del team sette o mostrarsi magnanima. Alla fine decise se non altro di non frustrare quell’acerbo slancio di altruismo di Sasuke, dovuto sicuramente alla botta in testa, e lo trascinò nella direzione in cui ricordava di averli visti.

Che per il ragazzo strano, Juugo, ci fosse poco da fare, le risultò chiaro ad uno sguardo. Sasuke si limitò a serrare le labbra tanto che sparirono, e il pallore del suo viso si fece ancor più intenso davanti al corpo addossato a una roccia. Quando, due metri più indietro, trovarono Karin, videro che invece era cosciente. Ferita, troppo stremata per muoversi, ma viva e lucida.

“Stai bene?” chiese Sasuke spiccio.

“Sas…” mormorò lei, cercando di tendere una mano nella sua direzione.

“Suigetsu?”

Sakura si stava guardando attentamente intorno, cercando di non pensare a quello che gli occhi di Karin potessero trasmettere a quelli di Sasuke, e soprattutto cosa gli occhi di Sasuke avrebbero risposto. Lasciò che lui si piegasse verso la ragazza e mentre si voltava intravide un piede abbandonato oltre un masso. Muovendosi di due passi, scorse anche la gamba cui era attaccato.

“Là,” mormorò, tendendo la mano. “Credo sia…” aggiunse piano.

 Sasuke si raddrizzò talmente di scatto che lei dovette di nuovo sorreggerlo perché non cadesse. Non ebbe bisogno che lui le chiedesse di farlo per trascinarlo da quella parte, ma Karin li sorpassò barcollando.

Suigestu!” guaì, lasciandosi cadere di fianco allo spadaccino.

Quando le furono accanto, davanti al corpo esanime del giovane Hozuki, Sakura dovette tener su Sasuke con entrambe le braccia, perché le sue ginocchia cedettero del tutto.

“Mi dispiace,” mormorò, schietta.

Sasuke non si mosse nemmeno, continuando ad osservare la ragazza che mormorava chissà cosa tra le lacrime. La guardava con una tale intensità che Sakura sentì di odiarla dal profondo di se stessa, con violenza. Distolse lo sguardo serrando i denti e fu così che intravide il drappello di shinobi in rapido avvicinamento. Inquieta, strinse la presa sul fianco di Sasuke quanto più poteva senza fargli male, temendo istintivamente il linciaggio. Avrebbero dovuto ucciderla prima di alzare un solo dito su di lui, e desiderò intensamente che Naruto fosse ancora con loro.

Si riscosse quando Sasuke manifestò l’intenzione di fare un passo in avanti, e lo sostenne, avvicinandosi di nuovo a Karin e Suigetsu.

“…Così cretino, ma fa niente,” stava balbettando disperatamente la ragazza. “E mi dispiace di averti rovesciato la salsa di soia in testa l’altra settimana e…di averti detto che puzzi di pesce m…marcio e…di essere stata a guardare mentre Kabuto ti sforacchiava an-nche se sei uno stupido coso,” singhiozzava annichilita, strattonando la mano dello spadaccino. “E di n…”

Sakura sentì suo malgrado le proprie labbra tremare, mentre gli occhi le si appannavano.

“..On aver mai detto la più vaga cosa carina nei tuoi confronti anche se ti sta solo bene e…”

“È l’elogio funebre più schifoso che sia mai stato pronunciato. Grazie tante, Karin,” gracchiò flebilmente il ragazzo, sarcastico.

Sakura sgranò gli occhi, mentre Sasuke sospirava stizzito. Karin sollevò la testa così di scatto che sembrò sul punto di staccarsi dal suo collo.

“Sei vivo?” singhiozzò, scrollandolo.

“Che intuit…”

Ma Suigetsu non poté mai finire la frase, e forse fu meglio così, perché Karin gli si tuffò addosso e incollò le proprie labbra alle sue, stretta al suo collo tanto da strangolarlo. Sakura avvertì una nuova ondata di tenerezza e fu sul punto di chiedere a Sasuke se non li trovava bellissimi – commento che probabilmente le avrebbe valso un chidori – ma lui, con uno sbuffo, s’era già voltato ed osservava tetro la truppa di shinobi di Konoha ormai a poche decine di metri.

Sakura sorrise, individuando in testa al drappello un’inconfondibile chioma dorata.

“Naruto!” commentò sollevata.

“Oh, allora siamo salvi,” osservò Sasuke, sprezzante. “Smeddila di renderti ridicolo, Suigetsu, e vedi di usare quell’ammasso d’aggua che hai per corpo in modo più indelligente che per fare scenate strappalacribe.”

“Tipo dartele?” ribatté l’altro, tirandosi a sedere con Karin ancora appesa al collo. “Chi ti ha rotto il naso, che gli stringo la mano?” aggiunse ammirato. “Oh. Visite,” concluse cupo, individuando gli ospiti.

Si tirò in piedi giusto in tempo.

Naruto, Shikamaru, Sai. Kakashi, Yamato, Genma. Ino, Shizune, gli ANBU. Danzo.

Stai fermo. E la mano di Sakura si strinse ancora sul fianco di Sasuke. Non fare più il loro gioco, stai fermo, ti prego.

“Sas’ke!” rantolò Naruto, malfermo sulle gambe e cosparso di fasciature. “Sakura…” mormorò incerto. Accennò un sorriso esitante, con fiducia.

“È il nukenin. Prendetelo,” ordinò Danzo autoritario, senza un gesto.

Sakura sentì il corpo di Sasuke irrigidirsi e si rese conto che stava per attaccare. D’istinto scavalcò la sua gamba con la propria, portandosi avanti. Questa volta, decise, sarebbe servita finalmente a qualcosa.

“Non siete tenuti ad ascoltare quell’uomo. È un assassino, ed è un traditore.” Raddrizzò la testa nel silenzio improvviso, risoluta. “Ha ordinato il massacro del ventaglio ed ha complottato con Madara Uchiha per rovesciare Konoha.”

Ci fu un momento d’immobilità sbigottita. I tre ANBU che si stavano muovendo rimasero incerti per un istante, Naruto sgranò gli occhi confuso e Shikamaru aggrottò la fronte, attento. Kakashi voltò uno sguardo penetrante sul Rokudaime, immobile.

Danzo accennò un sorriso di sussiegoso sprezzo, zoppicando di un passo in avanti.

“Detto da una mocciosa che passeggia abbracciata ad un nukenin suona poco credibile, non credi?” commentò noncurante. “È una traditrice anche lei, lo spalleggia.”

“Vedi di non accomunarmi a quest’oca, Danzo,” intervenne Sasuke atono. Le labbra serrate, lo sguardo fiammeggiante, il pugno stretto. Non camminava, ma Sakura sapeva che si sarebbe mosso lo stesso da un istante all’altro.

E invece, sentendosi evidentemente ormai in trappola – il jinchuuriki era vivo, l’Akatsuki caduta – Danzo commise l’errore più stupido che avrebbe potuto commettere.

“Non prenderti confidenze, Uchiha. Non mi sembra che ci conosciamo.”

Sasuke cercò di raddrizzarsi, fiero.

“Oh, tu mi conosci. Mi conosci molto bene.” La sua voce era sforzata, certo nell’intento di non storpiare le parole proprio in quel momento. “Hai persino mandato un tuo lecchino a Oto per uccidermi.”

“Giusto! Sai!” abbaiò Naruto con foga.

Il giovane ANBU lo guardò vagamente perplesso, prima di accennare un sorriso in direzione di Sasuke.

“Oh, il lecchino sono io?” chiese placido. “Scusami, Sas’ke-kun, non avevo capito,” continuò pacifico, con noncuranza.

Il genio non lo degnò d’uno sguardo, piegando semplicemente le labbra verso il basso.

“Sai, e diglielo!” sbottò Sakura rabbiosa.

“È vero. Danzo sama mi aveva mandato a Oto con il team sette perché eliminassi Sas’ke Uchiha. Ma ho deciso di non farlo, perché mi fido di Naruto,” confermò soavemente Sai, col suo perpetuo, artefatto sorriso.

“Bell’affare,” borbottò Sasuke, scettico.

“Curioso,” intervenne Kakashi vago, gravemente. “Credevo che il mio team fosse andato a Oto per riportarlo indietro. Vivo.” Infilò le mani in tasca, calmo. “Certo, i nukenin sono feccia spregevole,” aggiunse fermo, “ma forse avete qualcosa da spiegarci, Rokudaime sama?”

Sasuke distolse lo sguardo a quell’intervento e Sakura si domandò se fornire tale pittoresca descrizione dei traditori fosse sembrato al sensei strettamente necessario.

“Mi stai accusando, Hatake?”

“Ho lasciato la divisione ANBU perché mi avete impedito d’indagare sul nukenin S Itachi Uchiha. Forse  c’era più di una ragione per cui non dovevo farlo. Forse avere contro due sharingan al posto di uno vi avrebbe dato problemi.”

Sasuke tornò a mostrare un barlume d’interesse, attento.

Danzo rimase fermo per qualche istante senza muoversi, poi voltò lo sguardo sul jonin, aggressivo.

“Non avresti capito, Kakashi,” affermò sicuro. “Per questo saresti un pessimo Hokage. Non comprendi che per il bene di una nazione occorre talvolta fare piccoli sacrifici.”

“Adesso io ti ammazzo, bastardo.”

Sakura non fece in tempo ad anticiparlo: quando strinse la presa la sua mano si serrò sul vuoto e il corpo di Sasuke era già sgusciato via. Socchiuse le labbra per urlare, vedendolo scattare in avanti, ma il genio sbatté contro l’ostacolo in movimento della schiena di Naruto, immobile di fronte all’Hokage.

“Un momento,” mormorò il jinchuuriki grave, a testa bassa. “Vuol dire che sei stato tu a far uccidere gli Uchiha? È per causa tua che ho passato tre anni d’inferno? È colpa tua se è successo tutto questo? Se Jiraiya è morto, se il villaggio è distrutto…?” E la sua voce si faceva sempre più alta, vibrante di collera, mentre le sue mani si serravano a pugno. “Sei stato tu a rovinare la vita del mio migliore amico, vero? Vero, Danzo?” sbottò, irato.

Sakura realizzò cosa sarebbe accaduto nel momento in cui vide l’aura rossastra emessa dal suo corpo. Sapeva esattamente che ora sarebbero uscite le code, forse una, forse tutte, e sapeva che Danzo sarebbe morto. Sapeva che Sasuke non lo avrebbe impedito, sempre che avesse avuto abbastanza forza per opporsi, ma sperava che avrebbe vegliato affinché Naruto non si facesse del male.

 

   
 
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