Quindi, ragazzi, questo è per voi tutti! e...
Ritornerà
dicembre con il freddo e i temporali[…]
Sempre, sempre resterai nella mia mente
Sempre, sempre tu sei il mio regalo e sei per sempre
A. Venditti, I Regali di Natale, 2007, di A. Venditti
& C. Fadini
Mentre camminava a passo spedito
attraverso i corridoi gremiti del centro commerciale
all’anti-vigilia di
Natale, Kaori sbuffava, irritata. Era, anche solo lievemente,
soddisfatta che
Ryo l’avesse accompagnata a fare compere- e che per una volta
avessero finalmente i soldi per
passare un Natale
decente? Assolutamente sì.
Ma era felice che Ryo lo avesse fatto
per- per cosa, perché aveva avuto pena
di lei? Perché si sentiva in colpa? Erano passati ormai mesi
dal matrimonio di
Miki e Umi, dal giorno in cui lui le aveva detto che sarebbe vissuto
per la
donna che amava e da cui voleva essere riamato,
quasi sei mesi dal giorno in cui le aveva
fatto credere di aver afferrato parte del bouquet… e cosa
era cambiato
esattamente in quei sei mesi?
Nulla. Come suo solito, Ryo aveva
sparato idiozie e scuse, una dietro le altre, che il suo era un amore generico (qualsiasi cosa volesse dire),
che quel sentimento lui lo intendeva in senso platonico, che le voleva
bene
come fosse stata la sua sorellina, e che comunque, lui una compagna non
poteva
averla, perché avrebbe significato metterla in pericolo,
rischiare che fosse
rapita, minacciata… lui lo faceva per lei. Perché
lei era, “in senso lato e platonico”,
la sua famiglia (ma esattamente, quelle
espressioni da dove le tirava fuori?), che non voleva che lei corresse
rischi…
come se lui non l’avesse salvata quello stesso pomeriggio da
un tizio che
l’aveva rapita. Senza che lei fosse la sua donna. Come
talmente tanti altri
prima di lui che aveva perso il conto.
Così, dopo aver fatto un passo avanti
(se non solo mezzo), ne avevano fatti talmente tanti indietro che le
sembrava
di star giocando a Monopoli, quando si atterra sulla casella del
tornare alla
partenza. Ed il cretino era pure ritornato a rincorrere tutte le
sottane che
vedeva in giro, gironzolare mezzo ubriaco per locali fino
all’alba e importunare
le poche clienti che ancora si fidavano ad affidargli un incarico.
E poi, a parte il fatto che aveva
ancora troppe cose da fare prima della mezzanotte del 24 dicembre,
quando i
loro amici li avrebbero raggiunti per festeggiare- incluso decorare e
cucinare-
per giunta, il
tempo era orribile. Sì,
odiava i temporali, ma le bufere? Quelle, non le apprezzava di certo, e
poi la
Mini non era esattamente l’auto più sicura da
usare con quel tempo…Sospirò,
rammaricata di non aver accettato di fare
spese con Miki- almeno la sua amica aveva una solida Jeep con quattro
ruote
motrici…
“Dì un po’, hai
finito di sbuffare?”
Ryo mugugnò, carico di pacchetti e pacchettini, mentre,
curioso, si guardava
intorno. Non apprezzava particolarmente l’inverno. Punto
primo, era cresciuto
in Centro America, dove il clima era temperato per la gran parte
dell’anno,
quindi, tanto quanto viveva negli Stati Uniti, quanto quando era
“tornato” in
Giappone, la neve gli era sempre rimasta sulle scatole.
E poi… pantaloni lunghi, maglioni
enormi,
cappotti, scarpe che guardavano più
all’utilità che all’aspetto…
le donne erano
decisamente troppo coperte in
inverno, per i suoi gusti.
Entrarono nell’ascensore panoramico,
Ryo per primo, appoggiandosi contro la parete di vetro; alzò
un sopracciglio
quando vide Kaori quasi titubante,
rimanere immobile in mezzo alle porte aperte. “Beh, ti vuoi
dare una mossa?
Guarda che fino a che non entri non possiamo muoverci!”
Ringhiò, e invece di
arrabbiarsi, lei arrossì, mettendogli il broncio.
“Guarda che se potessi lo farei
volentieri, ma il tacco mi è si è infilato in una
fuga e non riesco a
liberarlo!”
Ryo la guardò, abbassando gli occhi su
quelle belle gambe lunghe su cui aveva fin troppo fantasticato nel
corso degli
anni, e notò che lei, spazientita, stava cercando
disperatamente di risolvere
quell’incresciosa situazione, ma invano, colpevole anche il
poco equilibrio
dato dalle braccia cariche.
Ryo sospirò, e si piegò a
terra su un
ginocchio, facendola arrossire- sembrava quasi un cavaliere delle
storie medioevali
del ciclo arturiano, o il principe che stava per calzare la scarpetta
al piede
di Cenerentola. Pose una mano sul polpaccio coperto dal tessuto dello
spesso
collant marrone, facendo scorrere leziosamente, malandrino, i
polpastrelli
sulla stoffa, con un sorrisetto birbante, mentre con l’altra
mano afferrava il
collo del piede di Kaori e liberava dalla trappola il tacco. Rimase in
quella
posizione più a lungo del necessario, tentato di leccarsi le
labbra per il
succulento tocco che si era concesso, e fece scorrere sulla calzatura
un dito,
osservandola per bene.
Erano stivaletti rossi, scamosciati,
chiusi da una cerniera in tinta, con un sottile tacco a spillo non
troppo
esagerato- otto centimetri, gli suggerì la sua vasta
conoscenza dei capi di
abbigliamento femminile.
“Carini. Nuovi?” Le
domandò, alzandosi,
tuttavia continuando quella carezza sensuale con gli occhi, che
indugiavano
sulla gonna di jeans che spuntava da sotto il cappotto di panno beige.
Ryo avvertì come un sussulto, e alzò
gli occhi, constatando il lieve rossore che copriva le gote della sua
partner.
Imbarazzato, volse lo sguardo altrove, e si grattò il collo,
cercando di
alleggerire la tensione. “Un vero peccato, quel bel tacco si
è rovinato tutto,
dovrai trovarti un bravo calzolaio se non vuoi buttarli via…
anche perché a me
fai sempre scenate perché spreco i soldi, e tu cosa fai? Li
butti in scarpe!
Come se un tacco bastasse a renderti femminile!”
Kaori digrignò i denti, pronta a
colpirlo, ma Ryo, quasi avesse presagito cosa stesse per accadere,
iniziò a
sudare freddo. “Ehm… mi sono ricordato di avere un
impegno… ciao ciao! Ti
lascio le chiavi della Mini!” disse, lanciandole mentre si
dirigeva a rotta di
collo verso le scale. “Non aspettarmi per cena, torno
tardi!”
“Ma che… Ryo! Dobbiamo
mettere a posto
casa!” Gli urlò dietro, leggermente delusa. Quando
si rese conto che non l’avrebbe
ascoltata, le spalle le si abbassarono, sconfitta, e sbuffò.
“Uffa, ma perché
deve sempre fare così?”.
Era notte fonda quando Ryo tornò a
casa, dopo aver trascorso la giornata girovagando per informatori prima
e
bazzicando poi i bassifondi del suo amato quartiere nelle forme di
locali di
spogliarello, dove la musica assordante, le luci colorate al neon ed il
fumo
che permeava tutto quanto, i leziosi ed arrendevoli corpi femminili
nudi e
disponibili avrebbero dovuto, in teoria,
allontanare pensieri pericolosi dalla sua anima; ma non era stato
così. Ryo,
con la sigaretta in bocca ed un bicchiere con un pessimo whisky
allungato con
ghiaccio che aveva finito per sciogliersi e annacquare quella
già di per sé
ignobile e schifosa bevanda, aveva passato tutto il tempo a ripensare a
lei, alle parole che le aveva detto
quel
giorno, e alla sensazione che aveva provato mentre le sfiorava la
gamba.
Aveva desiderato posare le labbra su
quella gamba, bramato che non fosse stata coperta da spessi collant ma
nuda, di
poter assaporare ancora una volta la pelle di Kaori.
Aveva provato desiderio e voglia.
La voleva. Desiderava perdersi in lei,
ma soprattutto, voleva che lei fosse felice, completa, appagata.
Una
donna al primo posto… sorrise, dandosi del cretino. Da
quando era
cambiato così tanto?
Sorrise malinconico, appena varcato
l’ingresso, sentendo i profumi che riempivano
l’ambiente- cannella, patate
arrosto, spezie- e con un dito toccò una delle palline
dell’alberello che lei
aveva apparentemente addobbato da sola. Era vecchio, un po’
malridotto e finto,
ma tutti gli anni aggiungevano una o due decorazioni alle altre,
cosicché quel
coso spelacchiato rappresentava un po’ la loro storia.
Nell’appartamento, le
lucine soffuse danzavano, dando all’ambiente
un’aura come di intimità e pace
che lui era ben lungi dal provare.
Come tutti gli anni, niente presepe:
l’unico Cristiano del gruppo era Mick,
e
per loro, il Natale altro non era che l’ennesima
“scusa” per passare del tempo
tutti insieme e fingere, per qualche ora, di essere persone normali con
lavori
normali. Tutti loro, senza nessuna eccezione.
Salì le scale con passo felpato, senza
fare rumore, e per prima cosa controllò la camera di lei,
com’era sua
abitudine; la aprì, giusto uno spiraglio, e
osservò come incantato la figura
addormentata di Kaori nella penombra, il suo petto che si alzava e
abbassava in
modo regolare sotto le coperte, il suo viso in penombra, illuminato
dalle luci
della strada. Sospirò, scrollando il capo, e tranquillizzato
dall’averla vista
così, si diresse nella sua, di stanza, dove si
spogliò in modo meccanico, gettando a casaccio
i suoi vestiti prima di
lasciarsi cadere sul
materasso, a pancia
in giù, completamente nudo.
“Tu, vestirti, mai eh? Povera Kaori,
cosa le tocca sorbire!” Sentendo quella voce, Ryo si
detestò dal sonno agitato
in cui era sprofondato, e guardò la figura davanti a lui,
trasparente e che
aleggiava ad alcuni centimetri da terra.
Si diede un pizzicotto, poi sbattè le
palpebre una volta. Due. Tre. Un altro pizzicotto. Controllò
ancora. Nulla. La
figura translucida continuava ad aleggiare dinanzi a lui.
“Makimura?” gli
domandò, fissando la
figura dell’amico. Gli stessi capelli scuri, gli occhiali
dalla spessa
montatura, lo stesso impermeabile sgualcito, la stessa figura
ingobbita… “Sei…
sei davvero tu?”
Si appoggiò, avvolto come da una fitta
nebbia spettrale, alla sedia che Ryo teneva in camera, e
sospirò, con i suoi
occhi gentili che sembravano sapere più di quanto desse a
vedere. “Non sembri
stupito…”
Ryo sogghignò. “Beh, ne ho
viste di
cotte e di crude, credimi. E comunque, nel migliore dei casi sei tu, il
mio
vecchio amico, nel peggiore sei una fetta di
manzo andata a male… ma comunque, devo dirtelo,
vecchio mio, mi fa
piacere vederti.”
Makimura sospirò, alzando gli occhi al
cielo. “Ryo, non sono qui per un motivo felice. Io continuo a
tormentarmi qui,
guardandovi ma senza potervi parlare, senza poter intervenire,
perché ho tanti
rimpianti… non ho mai detto a Kaori la verità
sulla sua famiglia, e Saeko… non
sono stato onesto nemmeno con lei. Non le ho mai detto chiaramente cosa
provassi, o che dal primo momento in cui l’avevo vista avevo
desiderato passare
la mia vita con lei. E non sono stato giusto nemmeno con te, ti ho
lasciato
Kaori in eredità senza nemmeno darti la
possibilità di scegliere…”
“Kaori è stata la cosa
migliore che
avresti potuto lasciarmi, amico mio…” Ryo
sospirò, mentre, dal comodino,
prendeva le sue amate Lucky Strike e se ne accendeva una, guardando
pensieroso
il fumo che saliva verso il soffitto.
Makimura non lo criticò. Non lo aveva
mai fatto, nemmeno da vivo, forse perché ogni tanto qualche
sigaretta se l’era
fumata pure lui. Niente rotture dell’anima, da lui, nessun
rimbrotto sulla
salute, sui soldi, sull’odore… al contrario della
sua cara sorellina.
“E allora, perché le fai
così, Ryo?
Perché la allontani da te?
Lei ti ama…
perché ti neghi, quando lei è ciò che
anche tu brami?”
“Perché…”
sospirò, lasciando andare una
boccata di fumo. “Perché se non la lego a me,
sarà libera di scegliere. Di
avere una vita normale…”
“Ryo, lei non vuole una vita normale.
Lei semplicemente vuole una vita…
con
te. Qualunque essa sia.” Makimura gli sorrise, mesto.
“Ascolta, vecchio mio,
sono venuto da te perché tu non debba soffrire
ciò che è capitato a me. I
rimpianti sono una brutta bestia, dammi retta, e stanotte mi
è stato concesso
di farti visita perché
ti mostrassi
delle cose, affinché tu possa capire il peso delle tue
azioni, e come quello
che tu scambi per altruismo è in realtà
paura.”
“Ehi,
ma si può sapere chi ti credi di
essere?” Ryo gli rispose a muro duro. Buttò la
sigaretta sul pavimento, senza
neppure spegnerla, e chiuse la distanza tra lui ed il suo amico.
Tentò di
afferrarlo per il bavero della giacca, ma Makimura gli fece un
sorrisetto furbo
quando la mano dello sweeper gli passò attraverso, cosa che fece andare
ancora di più in bestia
Ryo, che gli ringhiò contro tutto quello che si era tenuto
dentro tanto, troppo
a lungo. “Secondo te, dopo che sei morto, chi è
che si è preso la
responsabilità di lei, uh? Guarda che era solo una
ragazzina, e tu cosa hai
fatto? Hai fatto la stronzata di andare da solo da un cliente che
sapevi essere
pericoloso, per cosa, dimostrare qualcosa a Saeko? A me? Oppure a te
stesso?”
Makimura scosse il capo, ma qualcosa in
lui sembrava essere cambiato, il suo sguarda era quasi come quello di
un uomo
rassegnato alla sua sorte, al crudele suo destino. Sospirò,
nel suo corpo
spettrale. “Non credi che rimpianga quella scelta ogni
sacrosanto istante? Ho
passato gli ultimi anni a vagare per la terra ed i cieli per sfuggire
alle
lacrime di chi mi amava e ai tuoi non troppo velati insulti. Ed
è per questo
che sono qui, Ryo. Il passato non ci cambia, ma il presente, il futuro,
quelli
sono nelle tue mani… e io non voglio che tu o mia sorella
possiate essere
condannati all’eterna infelicità come lo sono
io.”
Lo sguardo di Ryo ricadde sul muro che
separava le loro camere, e lo fissò intensamente, quasi
avesse potuto
percepirla attraverso le sottili pareti. Sospirò, sentendosi
sconfitto, e alzò
gli occhi al cielo- Makimura e la sua sorellina erano più
simili di quanto non
avesse mai voluto ammettere, tutti e due testardi, tutti e due persone
con le
quali lui, alla fine, cedeva. Sempre. Ogni sacrosanta volta.
“Okay, allora,
sentiamo, cos’è che dovrei fare?”
Con un’espressione di malcelato
trionfo, Makimura si alzò in piedi, e si mise dinanzi a Ryo.
Mettendo la mano a
coppa davanti alle proprie labbra, soffiò con decisione,
fino a che una polvere
sberluccicante non si alzò nell’aria, finendo sul
naso di Ryo e facendolo
starnutire diverse volte, a occhi chiusi.
“Ma si può sapere che
diavolo….” Quando
aprì gli occhi, li sbattè diverse volte, stupito,
guardandosi intorno
esterrefatto. Era vestito come suo solito, ed era al poligono, il suo,
personale, nel seminterrato del palazzo, e stava guardando…
sé stesso, parlare
con Kaori.
Lui si stava scrollando i capelli
ribelli dopo che lei, scherzosamente, lo aveva colpito con una pistola
ad
acqua, ed era parecchio seccato ed annoiato. Kaori invece, anche con
quel
ridicolo costume da Babbo Natale, era la cosa più dolce su
cui avesse mai
posato gli occhi. Si vergognò istantaneamente di averla
trattata male, quel
giorno, tanto tempo
prima.
“Beh, non si cambia il futuro se prima
non si dà un’occhiata al passato, non
credi?” Makimura gli rispose, enigmatico
come lo era stato in vita, con le mani nelle tasche
dell’impermeabile.
“Ma si può sapere cosa ti
è saltato in
mente? È Natale solo tra una settimana!” Ryo
sbuffò a denti stretti, mentre lei
non accennava a smettere di sorridere in quel ridicolo outfit.
“Si, lo so, ma è una specie
di prova
generale. Stiamo organizzando una festa all’orfanotrofio,
perché molti di quei
bambini non hanno mai avuto una
vera
festa di Natale…” Lo guardò,
speranzosa, con gli occhi puntati sugli stivali e
le guance arrossate, timide. “Ti andrebbe di partecipare
anche tu, Ryo?”
“Niente da fare, Kaori, sono molto
impegnato nei prossimi giorni,” Fece una risata, un
po’ perfida, e la guardò
dall'alto in basso, con un sopracciglio alzato in tono allusivo.
“Beh, qualsiasi cosa sia,” gli
rispose
lei, fiera, arrabbiata, ma soprattutto delusa, senza volergli mostrare
quanto
il non venire mai per prima nella sua personale scala dei valori e
degli
impegni la facesse star male. “Sono certa che potrebbe
aspettare. Non pensi che
portare un po’ di gioia nei cuori di quei bambini sia
più importante di tutto
il resto?”
“Forse questo varrà per te,
ma io sono
un uomo adulto, Kaori, e ho ben altri interessi che passare delle ore
insieme a
dei mocciosi urlanti.” Ridacchiò, facendole
scivolare il cappello rosso e
bianco sugli occhi. “E comunque, anche io sto organizzando
una festa di Natale…
a cui parteciperemo solo io e tante belle ragazze, e festeggeremo
bevendo e
ballando tutta la notte!”
Kaori strinse i denti, ma tutto nella
sua postura suggeriva che stesse per scoppiare a piangere.
“Per una volta che
ti chiedo un favore potresti farmelo, almeno!”
“Un favore? Ma andiamo!” La
rimproverò,
con le mani nelle tasche dei jeans, parlandole con tono di sufficienza.
“Sei
scorbutica con me, ti arrabbi sempre e non fai che criticare qualunque
cosa io
faccia… non credi che anche io potrei aver bisogno di un
po’ di comprensione?”
Kaori, colpita nel profondo, abbassò
gli occhi, distogliendo lo sguardo da quello di Ryo.
“Guarda che se fossi un po’
più gentile
con me magari potrei soddisfare i tuoi desideri…ma forse
è chiedere troppo,
vero?” continuò lui, prendendole il mento tra le
dita e obbligandola a
guardarlo in quelle iridi scure come la notte. Il respiro le
morì in gola, il
suo cuore si fermò, e Kaori arrossì, chiedendosi
esattamente di quali desideri
Ryo parlasse- che lui smettesse di trattarla come un uomo o una stupida
incapace? Che lui vedesse la giovane donna che stava divenendo? Che la
desiderasse, con la stessa intensità con cui lo desiderava
lei? O forse si
riferiva semplicemente a quella festa, che non sapeva nemmeno
più perché
l’aveva tirata in ballo?
Come se il suo tocco l’avesse bruciata,
Kaori si allontanò da lui, e lo guardò con i
grandi occhi, spalancati, quasi
fosse stata un animale in trappola.
Kaori si voltò, e fece per lasciare la
stanza, ma arrivata alla porta, la aprì, e prima di
chiuderla si voltò
un’ultima volta verso di lui, con gli occhi lucidi.
“Non pensavo avessi un
cuore di pietra, Ryo, ma stai tranquillo, non ti chiederò
mai più nulla!”
“Perché mi hai fatto vedere
questo,
Makimura?” Gli domandò, osservandosi sparare con i
muscoli tesi, mentre
stringeva le labbra e sentiva brividi corrergli lungo la schiena, ma
l’amico
non gli rispose. Scrollò il capo, e schioccò le
dita, passando oltre. Il
paesaggio dinanzi a loro cambiò, seppure si trovassero
sempre alla stessa
latitudine e longitudine; era sempre il loro palazzo, ma stavolta lui e
Kaori
erano sul tetto, in piena notte. Quel giorno, Ryo lo ricordava
benissimo: era
stato uno di quelli che avevano cambiato tutto, per lui, stravolgendo
la sua
intera esistenza.
Fin dal primo giorno in cui l’aveva
incontrata come Kaori Makimura- non il suo Sugar Boy- Ryo era sempre
stato
consapevole di lei. Nonostante avesse già 19 anni, Kaori era
ancora acerba,
innocente ed immatura, prigioniera, nonostante
l’età, di un corpo
adolescenziale. Ma il tempo era stato ben più che magnanimo
con lei, donandole
un corpo meraviglioso ma aggraziato, sensuale senza essere volgare,
elegante e
sinuoso. Con quel suo contrasto di carattere a volte mascolino, i corti
capelli
ma quel corpo delizioso, Kaori era il sogno erotico di tanti, troppi uomini, lui incluso, e nella sua
innocenza non se n’era mai accorta.
Quel giorno, però, quando aveva pianto
nel raggiungerlo davanti all’altare, in quel delicato abito
bianco e gli occhi
celati dal velo, qualcosa era scattato in Ryo.
Lui la voleva- non solo il suo corpo,
ma anche, soprattutto, quel dedicato animo che lui voleva liberare da
ogni
tormento.
Ma lei, lei era così innocente, e
lui…
lui era un uomo che non aveva veramente un nome, senza passato, senza
identità,
che troppo a lungo aveva vissuto di sangue e morte, e lei meritava di
meglio.
“Che sciocca, mi ero quasi scordata che
fosse Natale, e invece… hai visto? È arrivata la
neve a ricordarcelo…” Con
coraggio, ma timida, Kaori lo prese a braccetto, e si strinse contro di
lui,
premendo il proprio seno contro il braccio di Ryo. Non c’era
sensualità in quel
gesto, ma solo tenerezza e affetto e desiderio di calore.
“Già…”
disse lui, alzando gli occhi al
cielo e fingendo di non essere toccato da quel gesto, di non essere
provato
dalla vicinanza di lei. “E non posso nemmeno farti un regalo
perché al
negozio si sono fatti pagare l’intero
costo del vestito quando gliel’ho riportato in quelle
condizioni.. quindi anche
questo mese si va in bolletta… che disdetta.”
Lei si strinse ancora di più a lui, e
poggiò il capo contro la forte spalla di Ryo, con il sorriso
sulle labbra,
appagata ed in pace.
“Perché mi hai fatto vedere
questo
momento, Makimura?” Ryo gli chiese, onestamente curioso e
stupito,
appoggiandosi alla ringhiera con la schiena, incapace di distogliere lo
sguardo
da quel Ryo e quella Kaori, abbracciati come una coppietta, i loro
volti
sorridenti e in pace illuminati dalla luna che si rifletteva in ogni
singolo
fiocco di neve, rendendo quell’atmosfera magica, quasi
surreale. “Capisco il
primo ricordo, lì effettivamente ho fatto del mio peggio,
anche se alla fine ho
rimediato, ma qui… guardala, è così
felice, e anche io!”
“Perché quella
felicità sarebbe potuta
essere più lunga, Ryo, non durare solo una notte.”
Gli rispose l’amico,
chiudendo gli occhi sovrappensiero, rammentando forse qualche occasione
mancata
della sua vita. “Perché lei ti ama, Ryo. Ti amava
da tanto tempo, e quel giorno
tu avresti potuto darle un segnale, farle capire che ricambiavi i suoi
sentimenti. Avreste potuto essere felici insieme da tanto tempo, amico
mio,
invece tu continui ad ostinarti a trincerarti dietro le tue scuse, e
neghi ad
entrambi ciò che è vostro di diritto.”
Ryo sospirò,
alzando gli occhi al cielo. Protese una mano innanzi a sé,
nel tentativo di
afferrare uno di quei fiocchi e stringerli, quasi potesse conservarlo
per
serbare quel prezioso ricordo nell’animo, ma il cristallo di
ghiaccio lo
attraversò come se fosse stato uno spettro come
l’amico defunto. “Lo sai anche
tu, in questo lavoro, non ci si può legare. Diventa
pericoloso, per tutti. Me,
lei…”
Makimura guardò
la sorella, con un’espressione colma di rammarico, ma che
tuttavia denotava
serenità: gli mancava, la sua Kaori- questo, Ryo poteva
comprenderlo- ma il
sapere che lei aveva fatto le sue scelte, e che ogni giorno le faceva
di nuovo
senza pentirsene, ma con forze e coraggio, e che donava tutta
sé stessa agli
altri senza nulla chiedere in cambio, sempre con quel sorriso sulle
labbra,
sempre felice, lo rassicurava.
Aveva scelto
bene, l’aveva lasciata in buone mani. Le migliori, forse.
“Sai, Ryo,
potrei mostrarti tutte le volte che Kaori, senza che tu
l’amassi, è stata in
pericolo, a volte perché legata a te, a volte
perché, diciamocelo, la mia
sorellina è una calamita per i guai, quindi, sai che ti
dico?” Sorrise, e di
nuovo soffiò l’odiata polvere magica sul viso del
compare, facendolo starnutire
ad occhi chiusi.
Il paesaggio
cambiò. Non era più il loro terrazzo, ma il
Cat’s Eye Cafè, e, se la memoria
non lo ingannava… quello era il presente- riconobbe il mazzo
di fiori
prettamente natalizi che Miki aveva disposto per il locale solo il
giorno
prima. Ryo strabuzzò gli occhi, poi, leggermente seccato, si
voltò verso
l’amico con le mani sui fianchi. “Dì un
po’, quindi cosa sarebbe questa
cosa? La mia
personale versione del
Canto di Natale?”
“Eh, lo sai,
Dickens mi è sempre piaciuto, però sul serio, lo
sto facendo per voi, mica per
me eh.” Makimura si grattò il capo, leggermente
imbarazzato, e, ma Ryo non ne
era certo perché non lo riteneva possibile data la sua
natura “spettrale”,
stava arrossendo.
“Comunque, su,
andiamo a sentire cos’hanno da dire i tuoi amici,
okay?”
“Bah.” Ryo
sbuffò, leggermente seccato. Si era già stufato
di quella messa in scena,
voleva solo svegliarsi e pensare che non fosse accaduto nulla,
comportarsi come
tutti i giorni e cercare di scacciare dalla propria mente come quel
Natale, sul
tetto, si fosse quasi chinato verso di lei per baciarla, come quel
finto
matrimonio, vederla camminare emozionata verso di lui, con
quell’abito bianco,
avesse acceso in lui un barlume di desiderio, il sogno di una vita
normale e di
un futuro da condividere con lei, fatto di cose semplici e della
quotidianità
delle milioni di coppie che riempivano il mondo.
Con passo da
elefante, leggermente incurvito, Ryo si avvicinò al bancone,
e si sedette, nascostamente
dalla coppia che stava finendo le pulizie, al suo solito sgabello;
notò Falcon
irrigidirsi, come stupito, e puntare il suo sguardo ormai spento verso
prima
lui poi Makimura, ma fu solo questione di un attimo. Allungò
la mano come per
sfiorarlo o colpirlo, poi la ritrasse, scuotendo, lieve, il capo, per
tornare a
dare la sua completa attenzione alla sua amabile sposa.
“Qualcosa non
va, Miki?” le chiese, asciugando un piatto. Lei era seduta
dietro al bancone,
con aria triste, il mento sorretto dal palmo, pensierosa.
“Pensavo a
Kaori. Mi piacerebbe invitarla da noi a Natale, ma so già
che non accetterebbe perché
non vorrebbe mai fare la ruota di scorta…”
Sospirò, persa nei suoi pensieri. “E
se li invitassimo tutti e due allo chalet? Potremmo passare tutti e
quattro un
bel Natale. Potremmo brindare da loro e poi prendere la macchina e
passare
qualche giorno come delle persone normali…”
“Miki…” la
avvertì il marito, con tono deciso. “Non possiamo
imporre a quei due delle
scelte. Devono deciderlo loro cosa fare della loro
vita…”
“Ma non è
giusto!” si infervorò lei, saltando in piedi.
Digrignava i denti, e guardava il
marito con una determinazione tale che tolse il respiro a Ryo, e gli
conficcò
tante piccole spine nel cuore. “Kaori sta sprecando la sua
vita dietro ad un
uomo che si rifiuta di ammettere che l’ama! Avrebbe potuto
avere tutto dalla
vita, fare qualsiasi cosa, e invece no, lei lo ha seguito, e lo ha
fatto ancora
e ancora e ancora, e cosa ne ha ottenuto? Lui continua a fare il
cretino dietro
a tutte le belle donne che incontra, e mentre lui si fa la sua vita e
se la
spassa, lei si comporta come se fosse la sua donna di
servizio!”
“Miki…” Falcon
si tolse gli occhiai, e li pulì con il grembiule. Erano
grandi, scuri… e
tristi. Quasi rassegnati. “Ryo ha la sua testa. Fino a che
non capirà che a
fare così fa più male
a sé stesso che a
lei, fino a che non sbatterà la testa contro un muro, non
accetterà di amarla
alla luce del sole.”
“Male a lui? Ma per favore!”
Miki
sbottò. “Quel cretino si comporta come se Kaori
fosse sua moglie, con
la sola differenza che non hanno una
relazione… però la casa, le finanze e le altre
incombenze sono tutte sulle
spalle di lei, e lui ha pure il coraggio di essere geloso se qualcuno
anche
solo la guarda!”
Falcon sospirò, pizzicandosi il naso,
quasi
fosse esasperato. Fece quasi strano a Ryo, vederlo
così… spazientito.
Era segno che non era la prima volta che quell’argomento
veniva toccato, anzi, sembrava che lo avessero ripassato ancora e
ancora, fino
allo sfinimento.
Miki alzò gli occhi al cielo, e
sbuffò,
mettendo il broncio al marito, ma poi, un piccolo sorriso le
graziò le labbra.
“Va bene, va bene, la smetto, e
cercherò di non intromettermi troppo.” Gli diede
un bacio, casto, veloce eppure
ricolmo di dolcezza sulla guancia, facendolo divenire rosso come un
pomodoro
maturo pronto solamente da cogliere. “Tu, marito mio, sei
troppo buono. Quel
cretino non merita un amico come te!”
Si tolse il grembiule e prese le scale,
diretta all’appartamento sovrastante, ma Falcon non la
seguì subito.
“Già…”
Pensieroso, fissava il punto in
cui Makimura e Ryo si trovavano “Certe cose, Saeba, tu non te
le meriteresti
proprio…”
Ryo di nuovo rimase di stucco, stupito
che il suo amico avesse percepito le loro presenze, ma prima che
potesse aprire
bocca per parlare, Makimura gli pose una mano sulla spalla, ed in
vertice di
vento freddo e neve sparirono, lasciandosi alle spalle il
Cat’s Eye Cafè per
approdare in un altro posto ben noto a Ryo- il salotto di casa di Mick,
da cui
si godeva una discreta visuale della cucina di casa Saeba.
Kazue doveva essere addormentata; nella
stanza c’era solo Mick. Era ancora vestito, anche se si era
messo leggermente
più comodo, niente cravatta, un paio di bottoni sbottonati,
maniche leggermente
arrotolate- ed era avvolto nella penombra della stanza. Sospirava,
disteso sul
divano con la sigaretta in bocca, mentre fissava la finestra, ed
allungò la
mano verso di essa, come se avesse potuto toccarla, raggiungerla con le
punta
delle dita…
Scosso come da una forte corrente
elettrica, l’americano strinse i denti, e la mano
tremò. Mick sospirò,
scuotendo il capo e volgendo lo sguardo verso lo schienale del divano,
portandosi la mano dolorante al cuore e stringendola con
l’altra, come se
questo avesse potuto alleviare il suo dolore e la sua angoscia.
“Se avessi fatto quello per cui ero
venuto qui…” sospirò, con la mente che
vagava al passato, ricolma di se e ma e
mondi possibili.
“Se avesse amato meno mia sorella, se
fosse stata solo una delle tante, lo avrebbe fatto. Amico o meno, ti
avrebbe
ucciso. E lei sarebbe stata sua…”
Con le mani in tasca, Ryo si appoggiò,
sconsolato, al muro, cercando di distogliere lo sguardo
dall’ex partner, a cui
il suo stesso padre aveva tolto il futuro.
“Credi che sarebbero stati felici
insieme?” Chiese a Makimura. “Tu… puoi
vederlo? Sai dirmi se le cose sarebbero
andate meglio per lei?” Non riusciva nemmeno a pronunciare il
suo nome. La sua
sofferenza era troppa, il solo pensiero di Kaori e Mick insieme erano
come una
fredda morsa di ghiaccio che gli attanagliava il cuore.
“Non lo so, Ryo, ci sono cose,
possibilità che anche a me non è concesso vedere,
ma posso dirti che ci sono
cose che Mick rimpiange. Ama Kazue, ma Kaori è stata il suo
primo amore, la
donna che l’ha convinto a voltare pagina, a smettere di
essere un assassino e
puntare più in alto. Le vuole molto bene, perché
sa che senza di lei oggi non
sarebbe qui, e sapere che tu sei troppo stupido o orgoglioso per
afferrare una
felicità per cui lui farebbe carte false, che i tuoi passi
indietro fanno
soffrire Kaori e la riempiono di dubbi ed insicurezze, non lo rende
certo
felice. D’altronde, non rende felice nemmeno me.”
“Mi spiace Makimura. La colpa
è mia.
Non ho saputo mantenere la promessa che ti ho fatto.” Ryo
distolse lo sguardo,
cercando la finestra di casa. Chissà dov’era, lei,
se era ancora a letto, o se
si stava già svegliando, chissà cosa pensava,
cosa desiderava…
“Ryo, se tu ti fossi limitato a darle
quei soldi, allora sì che sarei stato arrabbiato. Ma tu
l’hai presa con te, le
hai dato una vera casa, e una famiglia. Credimi vecchio mio,”
Gli disse,
posandogli una mano sulla spalla, sorridente. “Non potrei
essere più orgoglioso
di voi due, e se tu decidessi di passare il resto dei tuoi giorni al
suo fianco
come compagno di vita, puoi star certo che non ti maledirei,
anzi…”
Ci
sono passato anche io, Mick ed io siamo più simili di quello
che vogliamo
ammettere…Ryo ammise tra sé e sé,
sorridendo. Anche lui aveva smesso di essere
così. Diversi avevano incontrato la canna della sua pistola
da quando lei era
entrata nella sua vita, ma mai per denaro, mai alla leggera, se lo
faceva, era
perché non aveva altra scelta, mai come prima opzione.
“Mia sorella vi ha reso tutti migliori.
A volte guardo questo folle mondo e penso che lei sia il collante che
vi tiene
uniti tutti… anche Saeko la rispetta, sai? A volte la
sorprendo a guardare
Kaori di sfuggita e sorride, un po’ triste, pensando che
sarebbero potute
essere come sorelle, che magari avrebbe preferito lei a Reika e le
pesti…” Anche
Makimura fissava quelle finestre, con
gli occhi malinconici e sfuggenti che anche in vita lo avevano
caratterizzato.
Per Ryo, fu come se il tempo si fosse fermato, o fosse tornato
indietro, a
quella mattina nel parco quando si erano visti per l’ultima
volta.
“Cosa ti passa per la testa?”
Ryo gli
chiese, con il cuore che gli scoppiava nel petto, con il suo martellio
incessante.
Makimura chiuse gli occhi per un
istante, stringendo i pugni ai fianchi. Quando li riaprì,
aveva distolto lo
sguardo da quella famigliare casa dai mattoni rossi, ed era tornato a
fissare
Mick. C’era qualcosa in lui che terrorizzava Ryo, che
spezzava il suo animo in
un modo che nessuno, prima di allora, era riuscito a fare, nemmeno il
tradimento
dell’uomo che considerava come un padre.
“Conosci l’effetto Farfalla,
Ryo? A
volte c’è anche in quei film di fantascienza che
ti piacciono tanto… Può,
il batter d'ali di una farfalla in
Brasile, provocare un tornado in Texas? Dice proprio
così. Piccoli fatti
che causano grandi cambiamenti…”
Ryo iniziò a guardare prima
l’amico,
poi la propria casa, sentendosi morire piano, piano. Temeva dove
volesse
arrivare Makimura, non sapeva esattamente cosa potesse essere, ma
sapeva che
sarebbe stata come una rovina per lui, loro, tutti quanti. Kaori.
Makimura si tolse gli occhiali, e li
ripulì con un sospiro mesto e carico di sofferenza e
rimpianti. Dopo averli
inforcati nuovamente, emise un labile lamento, e pose ancora una volta
la mano
sulla spalla di Ryo, soffiandogli la polverina fatata sul viso; di
nuovo
sparirono, nel freddo vortice nevoso, e stavolta, fu in un vicolo che
si
ritrovarono.
Ryo si guardò attorno, attonito.
Riconosceva quel luogo, era un vicolo non troppo lontano da casa, nei
dintorni
di uno dei suoi locali preferiti, in cui, più di una volta,
si era addormentato
mezzo ubriaco alle prime luci del mattino. Mugugnò,
chiedendosi a cosa avrebbe
assistito questa volta… avrebbe visto Kaori che lo trovava,
ma invece di
aiutarlo, di rimbeccarlo, lo avrebbe abbandonato al suo destino?
“Mi spiace doverlo fare, Ryo, ma devi
vedere tutto… il passato, il presente… ed il
futuro.” Makimura gli mise una
mano sulla spalla, e lo spinse all’interno del vicolo.
Nevicava, c’era un vento
gelido che entrava nelle ossa, e Ryo tremò,
forse più per paura che altro, e inconsciamente
si strinse nelle proprie
spalle.
Al fondo del vicolo, avvolto nelle
tenebre, lo vide.
Anzi… si vide.
Leggermente più vecchio, ubriaco fradicio, mezzo
addormentato, gli occhi vitrei, persi nel vuoto, la barba lunga e i
vestiti
malridotti tipici di chi non si cambiava da giorni e giorni. Era
accasciato a
terra, coperto solo dal sottile spolverino, con la neve che gli si
accumulava
sul corpo e sembrava che non gliene importasse nulla.
E poi, e poi, l’altro alzò
gli occhi, e
fece un sorrisetto di circostanza, quasi avesse voluto schernire chi
aveva
davanti. Ryo non vedeva chi fosse, solo un’ombra, una figura
illuminata alle
spalle dalle luci dei lampioni.
E poi, gli fu davanti, la mano sul
fianco e lo sguardo torvo, di chi è in pena ma è
al contempo deluso.
Saeko.
“Sei patetico, Ryo.”
Sibilò, severa,
guardandolo dall’alto in basso. “Sei tornato
proprio quello di una volta, una
sfilza di donne da una botta e via e ogni sera te ne vai a bere in uno
dei tuoi
localini. Dì un po’, non ti vergogni?”
Lui alzò lo sguardo, in tono di sfida,
strascicando le parole. “Se ti faccio tanto pena,
perché non ci pensi tu a me,
Saeko?”
“Cretino..” lei
sussurrò, scuotendo il
capo e alzando gli occhi al cielo. Poi, lei fece un sorriso triste, di
quelli
che Ryo aveva visto tante volte di sfuggita quando pensava a Makimura e credeva che
nessuno la stesse
osservando. Si
inginocchiò davanti a
lui, e gli scompigliò i capelli, il pollice che sfiorava la
cicatrice lasciata
da Falcon durante il loro duello al cimitero anni prima.
“Ryo, capisco perché
tu faccia di tutto per fingere di essere lo stesso di tanto tempo fa,
ma questo
non mi fa sentire meno triste per te.”
Gli diede un bacio sulla fronte, non
c’era nulla di sensuale in quel gesto, ma un profondo
affetto, quasi
materno, ma Ryo
sentì che il cuore
dell’altro non lo percepiva, come se quella neve lo avesse
congelato per
sempre. Lei gli diede la mano e lo aiutò ad alzarsi, e
l’altro, quasi a
malincuore, la accettò, quasi avesse preferito rimanere a morire sotto quella
coltre gelida…
“Non capisco, perché Saeko si
comporta
così? Non è da lei…” Ryo li
guardò allontanarsi, stupito, con quella sensazione
di terrore che non sembrava volerlo abbandonare, e che minuto dopo
minuto si
faceva sempre più forte e prorompente nel suo petto. Fece
per seguirli, ma
l’amico lo fermò, posandogli la mano sulla spalla,
e portandolo altrove… erano
di nuovo al Cat’s Eye Cafè, ma doveva essere
passato poco dalla precedente
visione, perché riconobbe il medesimo Ryo seduto davanti al
bancone del bar,
stesso aspetto, stessi abiti sgualciti.
Il locale era a festa, ma ancora vuoto,
e solo un paio di luci erano accese, rendendo l’atmosfera
intima ma al contempo
quasi spettrale. L’altro era seduto al suo solito posto,
aveva una tazza di
caffè davanti a sé, dall’aspetto
sembrava ormai fredda, e il posacenere ricolmo
di mozziconi. Falcon era dietro al bancone, stava risistemando dei
piattini e
delle tazzine, e sembrava non fare a caso a lui, anche se Ryo sapeva
che non
era così: Umibozu era all’apparenza freddo e
distaccato, ma in realtà era uno
dei migliori amici che una persona potesse chiedere. Sincero, leale,
onesto…
non lo avrebbe ammesso mai, ma Ryo era, se non felice, almeno grato che
lui e
Falcon avessero sotterrato l’ascia di guerra per lasciar
spazio a un velato
cameratismo.
“Allora Ryo…come ti va la
vita?” Falcon
gli chiese all’improvviso, appoggiando gli avambracci sul
bancone.
“Non so a cosa tu ti
riferisca….”
L’altro sbuffò, accendendosi l’ennesima
sigaretta, e guardando triste lo
sgabello al suo fianco, quello che Kaori amava occupare. Falcon
sembrò seguire
il suo sguardo, sebbene, dietro gli occhiali scuri, la luce gli fosse
ormai
divenuta sconosciuta.
“Ryo, ci conosciamo da tanti anni ormai.
Il tempo passa anche per te… e poi, dato quello che
è successo… non credi che
sarebbe ora che ti ritirassi dal giro?” L’atro
sbuffò di nuovo; una nuvola di
fumo lasciò le sue labbra, e la guardò avanzare
verso il soffitto.
“Kaori era la tua partner di lavoro, e
tu l’amavi, anche se non lo hai mai ammesso apertamente se
non al mio
matrimonio…” L’amico lo
guardò, e nonostante gli occhiali, Ryo poteva percepire
la tristezza, il rammarico, la pena. “Sei come un aquilone a
cui è stato
tagliato il filo… avanti di questo passo, rischi di
scivolare sempre più in
basso… ed il capolinea è la morte!”
Stizzito, l’altro digrignò i
denti, e
fissò Falcon ricolmo di odio e disprezzo; le parole che
lasciarono la sua bocca
furono come veleno, come tante coltellate atte a torturare e prolungare
l’agonia di chi veniva colpito. “E quindi, cosa
dovrei fare, arrendermi e
morire dietro al bancone di un bar, come te? Grazie, ma non
è il mio stile!”
Un rumore di vetri che cadevano al
suolo, sfracellandosi in mille pezzi, destò la loro
attenzione, e seguendo lo
sguardo dell’altro e di Falcon Ryo si trovò
davanti Miki. I capelli erano
tagliati sopra le spalle, le punte girate all’insù, e sul suo viso si potevano
notare alcune
rughette d’espressione. Tuttavia, non fu questo a colpirlo,
scatenando in lui
un moto d’invidia e un desiderio quasi bruciante che non
credeva possibile, ma
allo stesso tempo, ciò che vedeva lo riempiva di calore e
tenerezza, quasi di
una curiosità infantile.
Si mosse verso di lei, e arrivato al
sua fianco allungò la mano, timido, insicuro, quasi avesse
avuto paura di
rompere qualcosa, e con la punta delle dita le sfiorò il
ventre… Miki era
incinta.
“Nascerà a marzo, una
bambina.”
Makimura sospirò, parlando quasi distrattamente, neanche
quelle parole fossero
state dirette a sé stesso. “Miki vorrebbe
chiamarla Kaori, come la mia
sorellina…”
“Brutto idiota!” Miki
urlò a denti
stretti, schiaffeggiando l’altro con talmente tanta forza che
Ryo vide la
guancia tremare sotto all’impronta rossa. “Stai
correndo tra le braccia della
morte e neanche te ne rendi conto! Non è questo quello che
Kaori avrebbe
voluto!”
L’altro si limitò ad alzarsi,
e senza
spiccare parola, con gli occhi bassi persi nel fondo della sua anima,
lasciò il
locale; una volta uscito dalla porta, Miki crollò, e sotto
al peso del dolore,
scoppiò a piangere, trovando rifugio tra le braccia del
marito.
“No…” Ryo si
voltò verso Makimura,
sconvolto. la sensazione di terrore che aveva provato
dall’inizio di quel
curioso e ottenebrante viaggio aveva ora un nome, e aveva trovato casa
nel
profondo del suo animo, destinata a rimanervi forse fino alla fine dei
tempi, o
almeno fino a che egli non avesse esalato il suo ultimo respiro.
Kaori era morta.
Questa consapevolezza lo colpì nel
petto, con la forza di un colpo di pistola, e Ryo si
accasciò a terra, guardando
le proprie mani come se su di esse avesse potuto trovare il sangue
della tanto
amata donna. “Avrei…. Avrei dovuto allontanarla da
me quando ne ho avuto la
possibilità…” Disse fra sé e
sé. Tremando.
“È morta a causa
mia…io…. non ho mantenuto la promessa che ti
avevo
fatto... io…”
Ryo tentò di finire la frase,
aggiungere qualcosa a ciò che voleva dire al suo
più caro amico, ma ogni
respiro, ogni sillaba gli morivano in gola. Comprendeva ora la vuotezza
degli
occhi dell’altro sé: quegli occhi erano morti
perché quello era ciò che era
accaduto ad una parte di lui, la migliore, il suo cuore. Lei.
“Ryo, ascoltami.” Makimura,
nello
stesso modo che aveva fatto Saeko con l’altro, si
chinò su di lui, mettendogli
una mano sulla spalla, e guardandolo con occhi gentili, colmi di
affetto e
amicizia. “Ryo, non è andata come pensi. Non
è stata uccisa da dei delinquenti,
è stato… il caso.”
E poi… e poi, Ryo alzò il
viso, di
scatto, con un solo pensiero martellante nella testa, una
verità che aveva
compreso solo in quell’istante, come se un velo fosse stato
rimosso tra lui e
la sua coscienza.
Quello, il mondo in cui Kaori era
morta, era il futuro; ma nel suo presente, lei era ancora viva.
Aveva ancora una chance. Poteva
salvarla.
“Makimura…” Ryo lo
guardò negli occhi,
terrorizzato, ma al contempo ricolmo di speranza. Alzò una
mano, e coprì quella
dell’amico sulla sua spalla, stringendola con forza.
“Io… c’è una
possibilità
che io possa cambiare la storia? Posso salvare Kaori?”
Makimura fece cenno di sì, il suo viso
graziato da un triste sorriso, su cui però si poteva leggere
la speranza. “Ascoltami,
Ryo, puoi salvarla. Ma devo
mostrati cosa succederà, e soprattutto… devi
capire una cosa. Se la vuoi
davvero salvare, dovrai accettare la tue responsabilità,
verso entrambi. Se non
sarai disposto ad essere onesto, la perderai comunque. Sei disposto a
fare
questo sacrificio?”
“Amare tua sorella non potrebbe mai
essere un sacrificio, vecchio mio.” Ryo gli strinse la mano,
sorridendo, e
prese un profondo respiro, la luce della determinazione e della
fermezza era
tornata a risplendere in lui; era un uomo con una missione, aveva un
caso tra
la mani e non avrebbe fallito, mai, per nulla al mondo.
“Andiamo.”
Makimura acconsentì, e di nuovo
soffiò
la polvere sul viso dell’eterno amico, che chiuse gli occhi,
concentrandosi e
cercando di tenere a bada il suo cuore, conscio di ciò che
avrebbe visto da lì
a poco. Di nuovo avvertì una sensazione di freddo ed umido
pungente, ma almeno,
stavolta non nevicava più.
Era a Tokyo, nella sua amata Shinjuku,
in pieno inverno. Si guardò intorno, preparandosi per il
momento tanto temuto,
chiedendosi cosa sarebbe accaduto, come la sua amata Kaori avrebbe
incontrato
il suo atroce destino.
Fu allora che la vide, ed il respiro
gli morì in gola, lo riempì di tale emozione che
anche Hideyuki ne fu commosso,
stava spettinando i capelli ad una bambina che aveva giocato nella
neve,
abbassandosi per poterla vedere negli occhi mentre faceva i complimenti
alla
madre. Negli occhi aveva una luce particolare, pareva risplendere, e a
Ryo
tornò in mente l’orfanotrofio. Lei non vi aveva
passato tanto tempo solo perché
era buona, ma perché amava i bambini, dal più
profondo del suo cuore. Sarebbe
stata un’ottima madre, e una moglie a cui ogni uomo avrebbe
voluto far ritorno.
In quel mondo, Ryo sapeva che a Kaori questa possibilità era
stata negata, ma
si ripromise di cambiare il futuro, e renderla felice, fare in modo che
tutti i
suoi sogni potessero, un giorno, divenire realtà.
Kaori si alzò per continuare a
chiacchierare con la gentile signora- tutti le volevano bene, a
Shinjuku, tutti
tenevano a lei come lei teneva alla “sua” gente, e
Ryo la guardò da lontano,
beandosi della sua presenza che era come un balsamo per la sua anima.
“Sai,”
disse a Makimura, senza mai distogliere lo sguardo. “Hideyuki
Saeba non suona
tanto male, vero?”
“Non corri un po’ troppo,
vecchio mio?”
Makimura gli rispose, mettendosi al suo fianco per osservare meglio la
sorella
tanto amata, quella bambina che dal primo istante che era entrata dalla
porta
di casa sua gli aveva rubato il cuore.
“Prima vedi di far capitolare la ragazza, poi,
magari, si parlerà di
figli. Ma guarda solo di fare della mia sorellina una donna
onesta!”
“Quindi niente maledizione?”
Gli
chiese, scherzando, sorridendo dolce quando udì il suono
della risata argentina
di lei, così femminile e delicata a dispetto di quello che
le diceva sempre.;
Makimura si limitò a scuotere il capo, ridacchiando
sommessamente.
E poi… e poi fu come se tutto stesse
accadendo al rallentatore, uno spettacolo che Ryo sapeva si sarebbe
impresso
nella sua memoria per sempre. Un camion stava sopraggiungendo ad alta
velocità,
sbandando da una parte all’altra della strada sdrucciolevole,
e fu in quel
momento che alla bambina sfuggì il pallone di mano. Kaori
vide cosa stesse
accadendo con la coda dell’occhio, e chiamò con
tutto il fiato che aveva in
gola la piccola, che però, terrorizzata, non si mosse.
Guidata dal coraggio e
dall’istinto, Kaori si lanciò verso la creatura,
spostandola con forza e
decisione; tuttavia lei non si alzò, la gamba dolente in una
posizione
innaturale ed il tacco spezzato che penzolava dalla
calzatura… ed il furgone la
travolse, colpendola in pieno.
Le sirene della polizia e dei
soccorritori riempirono l’etere, mentre attorno a lei, che
guardava con occhi
vitrei, spenti, il cielo da cui di nuovo ricadeva la neve, una folla di
curiosi
si stava velocemente formando. Si misero a cerchio intorno alla donna,
formando
quasi una cupola di protezione, mentre sussurravano, parlavano,
piangevano,
scuotevano il capo, cercavano di distogliere
l’attenzione…
Tutti la amavano, a Shinjuku.
Fu allora che l’altro arrivò.
Ryo poté
udire il suo grido di dolore mentre la chiamava, la voce spezzata che
pareva
avere poco o nulla di umano. Si fece strada tra coloro che la
circondavano, e
cadde sulle ginocchia mentre stringeva il suo corpo esanime e
sanguinante tra
le mani, macchiando i propri vestiti.
“Kaori….Kaori, devi
sopravvivere...” La
supplicava, nonostante ormai non ci fosse più nulla da fare,
calde lacrime che
gli scorrevano sul viso, che non riusciva a controllare, non poteva
né voleva
fermare. “Fallo per me.. per noi…. Non voglio
separami da te…”
La strinse a sé, urlando il suo nome
con tutta la sua forza, tutta la sua anima, ancora, e ancora e ancora,
fino a
che ebbe voce, fino a che ebbe lacrime da versare, i loro amici, la
loro gente
che si avvicinava a
lui, che gli metteva
una mano sulle spalle, cercava di dividerlo dal suo amore, i loro occhi
pieni
di pietà e pena mentre, dal piede di Kaori, scivolava via
una calzatura… uno
stivaletto rosso scamosciato dal tacco spezzato.
“Mi spiace, Ryo, ma dovevi
vederlo.”
Makimura gli sussurrò, mettendogli una mano sulla spalla e
stringendola, la
voce spezzata, incrinata dalla sofferenza, dal panico,
dall’aver visto cosa
sarebbe successo alla sua amata sorella.
Cosa sarebbe potuto succedere. Cosa poteva
ancora accadere.
Cosa Ryo aveva intenzione di fermare,
costasse quel che costasse.
“Quando… quando
accadrà?” gli chiese,
la voce spezzata. Il suo volto era solcato dalle lacrime, non dissimile
da
quello del suo altro.
“Non sta a me dirtelo, Ryo,
ma… ma
quello che posso dirti,” gli sussurrò, e sul volto
di Makimura tornò un lieve
sorriso. “è che le decisioni degli uomini hanno
delle conseguenze, anche
terribili se le persone non sono disposte a cambiare… ma se
abbracciano il
cambiamento, allora anche il loro destino può essere
mutato.”
Ryo sospirò, tranquillizzato, come se
quelle parole avessero sollevato un peso che gli opprimeva la
coscienza, e con
lacrime di gioia, ed il cuore colmo di amore, guardo l’altro
stringere a sé la
donna amata, cercando di donarle un respiro vitale. “Mi
ricorderò per sempre di
ciò che mi hai mostrato, amico mio- il passato, il presente,
il futuro- e ne
trarrò insegnamento, te lo giuro.”
Makimura non rispose; tuttavia, lo
guardò severo, come a obbligarlo a rammentare
quell’ennesima promessa per i
giorni, mesi, anni a venire, e con tutta la forza che poteva avere, lo
spinse,
gettandolo a terra, facendolo cadere sul freddo asfalto…
che, quando Ryo si
alzò nuovamente in piedi, non era null’altro che
il parquet della sua stanza.
Un sogno. Era stato tutto un
dannatissimo sogno. Alcol, cibo e frustrazioni e senso di colpa gli
avevano
giocato un brutto scherzo.
Si guardò intorno, frastornato, il corpo nudo, sudato, avvolto
nelle lenzuola. Tutto
era come quando si era apprestato ad andare a letto, quando
“Makimura” era
andato a fargli visita, eppure, eppure c’era qualcosa di
diverso: lui.
Poteva ancora ravvedersi, cambiare, e donare
a Kaori la possibilità di una lunga vita felice al suo
fianco. Madido di
sudore, con il corpo ancora nudo, Ryo corse nella stanza di lei, per
tutta la
casa, chiamandola con disperazione, irrequieto, col cuore tuttavia
ricolmo di
speranza e determinazione: tuttavia, non ricevette risposta alcuna.
“Cazzo!” Sibilò a
denti stretti; lei,
non era in casa. Quel giorno, proprio come nel suo sogno, era uscita...
Ryo sapeva di non essere stato
razionale, ma dopo l’incubo, dopo aver visto che per davvero
lei non era dove
lui si aspettava, si era messo i primi capi che aveva trovato sotto
mano, e si
era diretto nella strada che lo “spettro” di
Makimura gli aveva mostrato, il
luogo dove, in quella orripilante visione, Kaori aveva trovato la
morte,
guidato dall’istinto e dalla paura.
Era lì. Vestita con quei ridicoli
stivali col tacchetto rossi, jeans e un cappotto di panno sopra al
maglione a
collo alto bianco, proprio come il giorno prima.
Vide Kaori, chiacchierare amicalmente
con la bambina con il pallone in mano e sua madre, e sorrise, decidendo
di non
disturbarla e di godersi ancora un po’ lo spettacolo- Kaori
quando era felice
era di una bellezza incredibile, era a suo agio, ed irradiava una luce
che gli
riempiva l’anima. Sospirò, perso in quei pensieri,
beandosi della sua presenza
da lontano, un balsamo per la sua anima, quando avvertì
qualcosa di sinistro
avvicinarsi, e Ryo fu scosso da brividi, non di freddo ma di terrore.
Un camion – quel
camion- stava
sopraggiungendo ad alta velocità, sbandando da una parte
all’altra della strada
sdrucciolevole, e fu in quel momento che alla bambina sfuggì
il pallone di
mano, e Ryo si sentì il sangue ribollire nelle vene, fu
colto da un profondo
senso di angoscia e terrore mentre la sua mente era invasa dal ricordo
straziante di quell’incubo.
Non
era un sogno. Era qualcosa di peggio. Perché stava
accadendo davvero. Lì, in quel momento. Proprio come glielo
aveva mostrato
Makimura.
Come se stesse osservando la scena al
rallentatore, vide Kaori lanciarsi verso la creatura, spostandola con
forza e
decisione; tuttavia lei non si alzò, la gamba dolente in una
posizione
innaturale ed il tacco spezzato che penzolava dalla calzatura.
Ci mise pochi secondi a reagire, eppure,
gli parvero una vita intera, e con decisione e determinazione
tirò fuori dalla
fondina l’amata Python. E poi…
E poi, due spari- uno al penumatico,
uno al semiasse- con la sua fidata Magnum 357, e si lanciò
di corsa verso di lei,
prendendola tra le braccia e rotolando oltre il guardrail, il corpo di
Kaori
premuto contro il suo, i loro cuori che battevano
all’unisono, pazzi, come lo
scalpitio di una mandria scalpitante.
“Tutto bene, Partner?” Le
chiese con un
lieve sorriso, prendendole il volto tra le mani e disegnando arabeschi
con i
pollici sulla pelle della donna. Kaori stava tenendo una mano stretta
al petto,
e guardava con terrore il camion che, colpito dalle pallottole di Ryo,
aveva
deviato la sua folle corsa, evitandola per puro miracolo.
No, si corresse. Non per miracolo. Era
stato lui a salvarla. Ancora una
volta.
Scoppiò a piangere, calde lacrime
traditrici che non fu in grado di contenere, e tra i sommessi
singhiozzi, lo
cercò, gettandogli le braccia al collo e nascondendo il suo
viso nella
maglietta rossa uguale alla decina di altre che indossava dodici mesi
all’anno,
e mentre ringraziava qualsiasi potere superiore lo avesse portato sulla
sua
strada, mentre sussurrava grazie all’amato
fratello per averla affidata a quell’uomo straordinario,
Kaori trovò pace e
tranquillità in quella fragranza che conosceva bene e che
aveva imparato se non
ad apprezzare, per lo meno ad amare- era Ryo, con il suo profumo di
polvere da
sparo, bourbon, sigaretta e dopobarba Denim, era casa e pace e
sicurezza e
completa fiducia.
“Su, calma, Kaori, va tutto bene. Sono
o non sono qui, uh?” Le chiese, mentre spostava le mani e
prendeva ad
accarezzarle i capelli, inspirando il suo profumo di miele e vaniglia,
gli
occhi socchiusi ed un piccolo sorriso malandrino sulle labbra, nella
speranza
di stemperare il terrore nell’animo di entrambi; i loro cuori si placarono,
i loro battiti
quasi sincronizzati, e Ryo si sentì avvolto da un calore ed
una pace che gli
erano stati quasi totalmente sconosciuti fino ad allora, e che aveva
tentato
invano di allontanare negli anni.
Quel calore era casa, era lei, con la
sua presenza, il suo amore, il suo cuore. La donna che non voleva ma
che gli
era capitata tra capo e collo, la donna che rifuggiva ma che, invece di
rincorrerlo, lo attendeva paziente con un sorriso timido sulle belle
labbra. La
donna di cui non sapeva di avere bisogno, ma che senza di cui sarebbe
divenuto
solo l’ombra di se stesso.
Basta
fuggire, si disse, mentre Kaori giocherellava con un ciuffo
dei suoi capelli
alla base del collo e lui si limitava a stringerla a sé, per
essere certo che
fosse vero- che si fosse salvata. Che lui
l’avesse salvata.
Avrebbe desiderato rimanere lì per ore,
bearsi della scoperta che anche l’angelo della morte non solo
poteva amare, ma
anche essere riamato e provare gioia e pace, ma entrambi sobbalzarono
quando
avvertirono un rumore di sirene in lontananza.
Ryo non le chiese nemmeno se potesse
camminare, si limitò a prenderla tra le braccia come uno
sposo con la sua
novella compagna, e corse a perdifiato alla ricerca di qualche vicolo
scuro,
magari la casa di qualche informatore che gli dovesse un favore, con
lei che
gli stringeva le braccia al collo, arrossendo lieve, accoccolandosi
contro di
lui, inspirando lieve il suo profumo tutto maschile. Ryo
trovò un nascondiglio
che facesse al caso loro, ed entrò in uno stretto vicolo tra
due palazzine di
mattoni rossi, non troppo dissimile da quella in cui vivevano loro; si
allontanò dalla strada, e poi la posò a terra,
appoggiandosi con la schiena
contro le sudicie pareti, e rifoderò la sua amata arma che
ancora aveva in mano.
“Stai bene?” si
limitò a chiederle,
incerto se guardarla negli occhi, certo che tutte le sue difese, tutti
i muri
che negli anni aveva eretto tra loro per metterla al sicuro e
allontanarla un
giorno da sé sarebbero crollati se lo avesse fatto.
“Sì…” si
limitò a dire lei. Sorrise,
Kaori- un sorriso dato dalla certezza che Ryo per lei ci sarebbe sempre
stato,
che avrebbe fatto di tutto per salvarla. Cercò la sua mano,
ed intrecciò le
dita a quelle dell’uomo, e si perse in quella curiosa
visione, in quel
contrasto di bianco e scuro.
Timidamente, Ryo ricambiò il gesto,
arrossendo lieve, mordendosi il labro e guardando altrove, quasi fosse
stato un
ragazzino impacciato alle prese con l’amore per la prima
volta.
E chissà, pensò lei, forse
era così. I
bambini imparavano a relazionarsi col loro prossimo nei primi cinque
anni di
vita, e Ryo dei suoi primi anni non ricordava nulla, e poi…
poi, era finito in
mano ad un gruppo di uomini che lo avevano trasformato in un bambino
soldato.
Lui poteva lodare Kaibara, Kenny e tutta la loro banda quanto voleva-
sì, anche
il Professore- ma loro gli avevano negato la possibilità di
una vita normale
tenendolo con sé, invece di lasciarlo a chi si sarebbe preso
amorevolmente cura
di lui, dandogli magari una nuova famiglia- o scoprendo magari chi
fosse in
realtà.
Ryo non era cresciuto con veri modelli,
aveva conosciuto la guerra, il sangue, la morte, la violenza, il
tradimento e
la dissolutezza. Non si era mai donato a nessuno, perché
aveva passato la vita
a guardarsi le spalle, mollando la gente quando non gli era
più di alcuna
utilità, o quando minacciavano di divenire un ostacolo alla
sua freddezza. Con
suo fratello e lei, però… era scattato qualcosa.
Lui era l’uomo che aveva conosciuto
sedicenne, eppure, allo stesso tempo, non lo era, perché era
cambiato. In meglio.
“Sai, Ryo, io sono una ragazza
semplice…” iniziò a dire Kaori,
arrossendo, guardandosi i piedi- il tacco di
uno degli stivali si era spezzato, rendendoli del tutto inservibili-
non voglio
grandi dichiarazioni, né un uomo che combatta le mie
battaglie, o che
intraprenda chissà quali imprese in mio
nome. Io… vorrei essere al tuo fianco, che tu tornassi da
me, sempre, per poter
avere la nostra versione del felice e contenti, che non deve essere per
forza
quella delle favole, perché lo so che tu lungi
dall’essere il classico principe
azzurro, ma, beh, io non sono nemmeno la classica principessa,
no?”
“Dì un po’, mi stai
facendo la
proposta, Kaori?” Scherzò, finalmente volgendo lo
sguardo verso di lei.
Nonostante l’ora non fosse eccessivamente tarda, stava
già calando il buio, i
lampioni gettavano la loro luce soffusa su di loro e la neve
iniziò a cadere,
soffice, come se fossero in una favola. “Perché,
sai, prima normalmente ci
dovrebbe essere un po’ di corteggiamento, o almeno dei
preliminari…”
La strattonò, facendola di nuovo cadere
nelle sue braccia, e le diede un velocissimo bacio a fior di labbra,
una
carezza quasi, e le sorrise quando lei lo fissò stupita, con
i suoi grandi
occhi castani spalancati. “Ma non ti avevo insegnato a
chiudere gli occhi quando
si bacia?”
Kaori sorrise, sentendo gli occhi colmi
di lacrime di gioia. Ryo l’aveva sempre saputo, che era lei
la misteriosa
Cenerentola con cui aveva passato una notte da favola fingendo di
essere una
coppietta innamorata alla scoperta della grande città.
L’aveva riconosciuta fin
da subito. Kaori non ne aveva avuto la certezza fino a quel momento, ma
lo
aveva sospettato, complice quell’orecchino smarrito che era
misteriosamente
riapparso nella tasca dei suoi jeans.
Riprese a giocare con la ciocca scura
mentre con l’altra mano stringeva, languida, quella di Ryo,
che se ne stava
bellamente appoggiato contro il muro con totale naturalezza, la mano
libera in
tasca. “E com’è che poi non mi hai
baciata, eh stallone?” lo canzonò, cercando
di stemperare un po’ dell’emozione che le
impregnava il cuore.
“Che domande. Perché quelli
non eravamo
noi, quelli erano il principe azzurro e Cenerentola, e non volevo che
ti
facessi chissà che viaggi mentali chiedendoti
perché ti baciavo se ti mettevi
un vestitino e ti truccavi, ma facevo lo stronzo tutti gli altri
trecento
sessantaquattro giorni all’anno. E poi, scusa,
perché baciare lei…” liberò
la
mano dalla tasca, sollevandole il mento così che lo
guardasse negli occhi. “Se,
con un po’ di pazienza, avrei potuto baciare te?”
Si chinò verso di lei nel medesimo
istante in cui lei si mise in un punta di piedi per diminuire la loro
differenza in altezza, e finalmente, le loro labbra si incontrarono;
timida,
Kaori rispose alle sensuali provocazioni di Ryo, imitandone i gesti in
quell’erotico intreccio di lingue, quel sensuale accarezzarsi
di labbra, ma
quando avvertì il sorriso di lui, e sentì che il
suo cuore era finalmente in
pace, dovette staccarsi, sopraffatta dalla potenza dei loro sentimenti
e
dall’emozione.
“Ryo…” gli chiese,
trepidante, volgendo
lo sguardo altrove, incerta se fosse perché avesse paura
della potenza del suo
amore, o perché temesse la risposta di lui.
“Perché?...”
Lui si limitò a scrollare le spalle.
“Perché non volevo passare un altro attimo lontano
da te, Kaori, e perché, se
tu sei una donna semplice, io sono un uomo ancora più
basico: voglio tornare
alla sera a casa con te, mangiare insieme, magari ordinare una pizza e
mangiarla sul divano mentre facciamo finta di voler guardare un film e
finiamo
invece per baciarci e fare l’amore… e voglio
stringerti ogni sacrosanta notte,
donna. Fino a che avrò respiro.” La
guardò, lascivo, alzando un sopracciglio,
facendola arrossire, prima di scoppiare a ridere, felice e sollevato.
“Obbligatoriamente completamente nudi- anzi, se fosse
possibile, dovresti stare
nuda in casa, sempre. Abbiamo tanto, tanto, tanto tempo da recuperare,
e io non
vedo l’ora di mettermi al lavoro, dolcezza.”
Mentre la neve imbiancava le vie di
Shinjuku, Ryo le strappò un altro bacio, e, prendendola per
mano, si incamminò
verso la loro casa- il loro nido, e lei si strinse a lui, appagata e
felice di
poter finalmente avere ciò che non avrebbe mai creduto
possibile, che riteneva
appartenere solo ad altre. All’improvviso, però,
Ryo si fermò, ed iniziò a
fissarle le gambe, e senza aggiungere una sola parola, si
chinò a terra, e le
sfilò le scarpe, gettandole nel vicolo vicino ad un
cassonetto dell’immondizia,
lasciando Kaori solamente con le spesse calzamaglia.
“Questi ci hanno dato fin troppi
problemi. Meglio sbarazzarsene… ti compro un paio di
scarpette nuove per il tuo
compleanno!” Dichiarò mentre le faceva
l’occhiolino a la prendeva nuovamente
per mano.
“Però
c’è una cosa che non
capisco…”
Kaori sospirò, mordendosi le labbra. “Stamattina
non ti ho detto dove andavo,
non ti ho nemmeno lasciato un biglietto perché ero ancora
arrabbiata con te…
come facevi a sapere che ero qui?”
Le diede un veloce bacio nei capelli,
sorridendo. “In realtà, Kaori, questa è
una storiella davvero interessante… la
vuoi sapere davanti a una bella tazza di cioccolata calda?”