Anime & Manga > Violet Evergarden
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Autore: thors    22/12/2020    5 recensioni
[contest] Questa storia partecipa al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite) - Seconda edizione" indetto da BessieB sul forum di EFP.
[contest] Storia partecipante alla challenge "Solo i fiori sanno" indetta da Pampa313 sul forum di EFP.
[note] Questo racconto è stato pensato per essere letto anche da chi non ha nessuna conoscenza dell’anime su cui si basa.
[intro] L’atteggiamento di Violet potrà apparirvi innaturale mentre assiste la giovane vittima di alcuni soldati, ma con un po’ di pazienza scoprirete quanto lei e la sua storia siano particolari. Questo evento, infatti, la farà ripensare al suo passato e le farà comprendere quel che un tempo continuava a sfuggirle.
Vi sarà quindi una scena inedita sia nei ricordi della ragazza che nella sua vita attuale, ma le vicende di una delle più famose Doll di tutto il Leidenschaftlich non sono finite lì.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note introduttive

 

Le Auto Memory Doll sono bambole meccaniche capaci di trascrivere su carta quel che una persona dice. Forse a causa della raffinata tecnologia necessaria per produrle, sembra però che a Leidenschaftlich e negli stati confinanti sia più conveniente impiegare donne in carne ed ossa al loro posto.

Questa incredibile invenzione, tuttavia, nonostante la scarsissima diffusione, ha avuto un impatto tale sulla società che le scrivane più abili sono conosciute ovunque come “Doll.

 

Tralasciando le bambole meccaniche, penso di poter paragonare il livello tecnico-scientifico di questo mondo all’Europa della prima guerra mondiale. Buona parte della popolazione è analfabeta, ma anche chi potrebbe arrangiarsi, sempre che sia in grado di pagare la tariffa, richiede il servizio di una Doll quando deve scrivere una lettera importante, sia che si tratti di affari o di sentimenti.

 

§

 

 

(Al vostro servizio)

 

Era una soleggiata mattinata di primavera, una leggera e piacevole brezza di mare s’era appena alzata, e su tutta Leiden risuonavano le festose sirene delle navi appena arrivate o in partenza. Dentro gli uffici di una piccola compagnia postale, la Auto Memory Doll Service, vi era però un’insolita agitazione. Hodgins, il presidente della società, fissava esterrefatto e arrabbiato una delle sue quattro scrivane, mentre le altre tre assistevano addossate alla porta senza fiatare.

«Violet!» esclamò Hodgins, alzandosi in piedi e appoggiando le mani sul suo tavolo. «Le Doll non devono accettare ogni incarico. Drossel adesso è un campo di battaglia, e la richiesta viene proprio dal fronte di guerra. Poco più di un anno fa sei stata a Campo Menace, mentre in tutta Ctirgall era in corso una guerra civile, e tu ti sei trovata in mezzo ad uno scontro. Non ti lascerò rischiare la vita un’altra volta.»

La Doll davanti a lui, una diciassettenne dai capelli dorati, tanto bella nel suo vestito di seta pieghettata e tanto inespressiva in viso da sembrare una bambola, tenne i suoi occhi azzurri, limpidi e chiari piantati su di lui e gli rispose con voce atona: «Non esiste una lettera che non meriti di essere consegnata. Vi prego, datemi il foglio di richiesta».

Dopo averle rivolto un ultimo sguardo rassegnato, Hodgins si rimise a sedere, aprì un cassetto della scrivania e vi prese un foglietto di carta. «So bene che ci andresti comunque. Almeno così tu sarai ufficialmente in missione, e mi sarà più facile organizzare un servizio di recupero, ma spero davvero non ti caccerai nei guai.» Posò lo sguardo sulle tre ragazze appena fuori dalla stanza, che apparivano preoccupate per Violet ma anche divertite dalla resa del loro capo, e si preparò alla ramanzina che Cattleya, la sua Doll più esperta, gli avrebbe certamente rivolto più tardi. Sbuffò, le porse il foglio e le chiese: «Quando pensi di partire?»

«Il primo treno è tra circa un’ora», rispose Violet. «Finirò di ricopiare la mia lista di indirizzi e poi mi avvierò verso la stazione.» Mise in tasca il documento, allargò la sua gonna, fece un elegante inchino e aggiunse: «Grazie, Hodgins. Tornerò sana e salva, te lo prometto».

 

La regione Nord del Leidenschaftlich era particolarmente ricca di ferro e rame, e questo aveva scatenato diversi conflitti in passato, compresa una guerra che Violet aveva vissuto in prima persona e che si era conclusa solo tre anni prima, poco dopo la battaglia nella città di Intense. Anche Drossel si trovava nella zona settentrionale ed era sempre stata una nazione alleata a Leidenschaftlich. Purtroppo anche lì esisteva una fazione guerrafondaia che non aveva ancora accettato la pace; e questa, supportata da armi e soldati provenienti da Ctirgall, aveva scatenato una guerra civile tanto simile ad altre che avevano già insanguinato i suoli del continente.

A richiedere il servizio di una Doll era stata un’intera compagnia della fazione moderata di Drossel, e Violet voleva con tutto il cuore trascrivere sulla carta i pensieri e le emozioni dei soldati perché potessero giungere alle loro famiglie.

Il treno si fermò nell’ultima stazione sicura quando mancavano un paio d’ore al tramonto, e Violet, sebbene dieci miglia la separassero dal fronte, non ebbe alcuna esitazione: prese la sua valigia, scese dal vagone e camminò spedita verso la caserma dov’era attesa. Ben presto la strada divenne ingombra di macerie, e gli edifici mostrarono le ferite prodotte da spari ed esplosioni. I rari civili che vide camminare a passo spedito sui marciapiedi si voltarono tutti a guardarla, e così fecero anche i soldati sulle camionette, ma nessuno dei primi aveva l’animo per tentare un saluto, mentre i secondi non vollero importunarla perché compresero dagli abiti eleganti quale fosse la sua professione.

Quando poche centinaia di metri la separavano dalla destinazione, sentì chiaramente le deboli urla di una donna. Due uomini troppo vecchi per usare un fucile accelerarono il passo senza curarsi di nulla; lei, invece, puntò dritta nel vicolo dal quale provenivano i lamenti.

Cinque soldati attorniavano una giovane donna, nuda, ferita e terrorizzata. La schiaffeggiavano, l’abbracciavano, le mettevano le mani sui seni e in mezzo alle gambe e poi, colpendola a pedate, la spingevano ad un compagno.

Violet gli arrivò vicino mentre uno dei ragazzi si stava slacciando la cintura.

«Lasciatela subito andare», disse con tono duro e minaccioso.

«E questa che vuole?» domandò con aria divertita quello che doveva essere il capo del gruppo. «Vuoi divertirti anche tu con noi?»

Risero tutti, tranne uno che disse preoccupato: «Deve essere la Doll. Lei scriverà le nostre lettere… non possiamo mancarle di rispetto…»

«Altrimenti mammina non avrà tue notizie?» scherzò uno che gli stava accanto.

«Fate silenzio!» urlo il capo, infastidito. «Dopo quel che ha visto, sarà meglio non darle i nostri indirizzi. Poco male: è una bella ragazzina. Non facciamola scappare!»

Attaccarono Violet tutti insieme, pensando di circondarla e di avere facilmente la meglio su di lei, ma appresero a loro spese quanto fossero in errore. Lei centrò al volto il più vicino con un calcio e lo fece atterrare pesantemente al suolo dopo un volo di cinque passi. Con una mezza piroetta finì tra altri due, li mise fuori combattimento colpendone uno al petto con un pugno e l’altro alla nuca con il taglio della mano. Scattò poi fra i soldati rimasti in piedi, diede una gomitata sulle costole al capo del gruppo, togliendogli il respiro, e parò col braccio sinistro la coltellata infertale dall’ultimo ancora in grado di combattere. Questo, invece di sentire la sua arma affondare nella morbida carne, udì lo stridio del metallo che incontra altro metallo e poi il rumore secco della lama che si spezza; lo stupore che lo colse fu tale che egli, fino a quando non finì a terra, non si accorse neppure di aver ricevuto un pugno devastante sulla mandibola.

Violet passò velocemente dall’uno all’altro, stordì chi cercava di alzarsi e a ciascuno prese pistola e portafoglio, che restituì dopo aver rimosso i tamburi dalle armi e aver memorizzato i loro nomi. Quando ebbe finito, li svegliò e disse loro: «Non so quali fossero le colpe della ragazza, ma di certo non era vostro compito punirla. Ora vi consiglio di recarvi in magazzino, perché le vostre pistole necessitano di una manutenzione straordinaria».

Attese che i soldati se ne fossero andati, quindi si avvicinò alla giovane, che per tutto il tempo era rimasta in ginocchio, rannicchiata contro il muro di una casa abbandonata.

«È tutto finito», le disse Violet con voce rassicurante, ma le sue parole non raggiunsero la poveretta, ancora troppo scossa e spaventata. Si guardò attorno per cercare i suoi vestiti, ma vide che erano stati ridotti a stracci, perciò prese un abito dalla sua valigia e glielo mise sulle spalle, come un mantello.

«Come ti chiami?» le chiese, accucciandosi davanti a lei.

La ragazza, seguitando a piangere, esitò alcuni istanti e poi rispose con un filo di voce: «Elis, Elis è il mio nome».

Dopo aver tirato fuori dal suo bagaglio anche una borsetta con dentro garze e disinfettante, Violet le medicò alcune lievi ferite e continuò a parlarle per calmarla e darle coraggio. Studiò le emozioni che trasparivano da quel volto sconvolto, impietosita e sorpresa nel constatare quanto stesse soffrendo per quel che i soldati le avevano fatto.

Solo quando si fu rivestita d’un abito nuovo, Elis si rasserenò un poco e ringraziò con calore ed occhi velati di nuove lacrime la sua salvatrice. «Se non ci foste stata voi, quei soldati mi avrebbero violentata. Chi siete? E come siete riuscita a farli andar via?»

Lei allargò la gonna con grazia, fece il suo elegante inchino e le rispose: «Auto Memory Doll, Violet Evergarden, al vostro servizio».

Elis notò subito la stoffa tagliata sul braccio sinistro ed esclamò preoccupata: «Anche voi siete stata ferita! Mi dispiace...»

«Non dovete preoccuparvi per me», rispose Violet. Si tolse un guanto e le mostrò una mano fatta d’argento adamantino e cavi d’acciaio. «Le mie bracia sono più dure dei coltelli usati dai soldati. Dovrò solo rammendare la mia veste.»

Immaginandosi che tutto il suo corpo fosse fatto allo stesso modo, la ragazza mormorò: «Siete davvero una bambola…» Poi riconobbe la Doll che poco più di un anno prima aveva servito la principessa ed esclamò con aria stupita: «Voi avete scritto le lettere pubbliche per il matrimonio con il principe di Fluegel! Scusatemi! Siete appena arrivata in città?»

«Sì, sono giunta quest’oggi.»

«Ormai manca poco al tramonto… Posso ospitarvi in casa mia per questa notte? Ne sarei davvero lieta.»

«Avevo programmato di dormire in caserma, così da poter iniziare presto il mio lavoro.»

«Vi prego,» insistette Elis, «accettate la mia offerta. Sarà il mio modo per sdebitarmi con voi. Le caserme sono poco distanti, ed io abito con i miei genitori proprio qui dietro, in un posto ancora sicuro. E poi… mi piacerebbe commissionarvi una lettera per mio fratello.»

«In tal caso permettetemi di presentarmi di nuovo», disse la scrivana, preparandosi a fare un nuovo inchino e a ripetere la formula in modo completo. «Sono lieta di conoscervi. Viaggerò ovunque per accontentarvi. Auto Memory Doll, Violet Evergarden, al vostro servizio.»

 

 

(Un ricordo dimenticato)

 

Anche i cinque soldati che avevano cercato di stuprare Elis entrarono nella stanza dalla Doll quando venne il loro turno. Tenendo lo sguardo sul pavimento, promisero con aria pentita di non far più nulla di simile in futuro e, solo dopo essersi scusati, rivolsero a famiglia e fidanzate i loro pensieri, sapendo che quello poteva essere l’ultimo messaggio che avrebbero inviato ai loro cari.

Violet rimase nella caserma per quattro giorni e nessun soldato osò infastidirla dopo aver visto le sue dita metalliche muoversi veloci sui tasti della macchina da scrivere.

Salì sul treno in partenza da Drossel ripensando a Elis. Sebbene la ragazza fosse apparsa allegra mentre tornava a casa, pianse ancora quando raccontò tutto ai suoi genitori, e pianse di nuovo durante la notte.

Sin da bambina, Violet era stata dotata di un’agilità e di una velocità sorprendenti; e questo, quando aveva appena dieci anni, unito al suo cuore totalmente arido e insensibile, le aveva permesso di uccidere con facilità gli uomini del capitano Diethard, che avevano cercato di metterle le mani addosso. L’esercito di Leidenschaftlich l’aveva apprezzata per le sue incredibili qualità e l’aveva messa a combattere tra le sue file, classificandola come “arma” perché il regolamento non permetteva di registrare delle bambine come soldati.

Paradossalmente, fu nei quattro anni di guerra contro l’impero di Ctirgall che il suo cuore iniziò a provare a qualcosa. Venne affidata al maggiore Gilbert, la prima persona gentile che avesse incontrato nella sua vita; e gli si affezionò subito. Lui la portò sempre malvolentieri sul campo di battaglia, le diede un nome, le insegnò a leggere e scrivere, cercò fino all’ultimo momento di far sbocciare in lei la ragazza che un giorno sarebbe stata.

A Intense, dopo esser stati entrambi gravemente feriti, si trascinarono al riparo di una chiesa, ma vennero bersagliati da un bombardamento nemico. Gilbert non aveva più le forze per muoversi, e Violet, pur non potendo più usare le mani, non si rassegnò ad abbandonarlo sino a quando lui non le ordinò di mettersi in salvo. A città conquistata, lei fu trovata ancora viva sotto le macerie, mentre il corpo del maggiore non venne rinvenuto, ed egli fu dato per disperso. Così, proprio la battaglia che decise la fine della guerra privò lui della possibilità di vederla fiorire, e Violet delle sue braccia e dell’unica persona della quale ancora adesso sentiva disperatamente la mancanza.

Lei si risvegliò in un ospedale con due arti di metallo al posto di quelli che aveva perduto, armi che le fornì l’esercito perché potesse continuare a combattere, ma la guerra finì prima dei quattro mesi del suo ricovero. Hodgins, un fedele amico di Gilbert, le offrì una casa quando fu dimessa, e lei capì che lavorando come Doll avrebbe potuto scoprire il senso delle ultime parole del maggiore. In tre anni di lavoro, Violet imparò a riconoscere i sentimenti più diversi sui volti dei suoi committenti, li comprese, li condivise e li trascrisse su lettere cariche di quelle emozioni, ma era la prima volta che assisteva a maltrattamenti e umiliazioni simili a quelli subiti da Elis e osservava una reazione come quelle della ragazza e dei suoi genitori.

Nello scompartimento non vi era nessun altro e nulla che potesse distrarla dai suoi pensieri, così, un poco alla volta, un vago ricordo poté prender forma nella sua mente. Prese una cartellina dalla valigia, l’appoggiò sulle gambe e ne tirò fuori i fogli che aveva collezionato subito dopo essersi portata a casa la macchina da scrivere per la prima volta. Non erano molti, in realtà: un paio di lettere che aveva scritto a Gilbert nutrendo nel suo cuore solo una tenue speranza di poterlo rivedere, più un paio di pagine sulle quali aveva appuntato alcuni episodi della sua vita militare. Questi ultimi fogli li aveva scritti quando il suo animo era tale che nulla sembrava lasciare alcun segno in lei, e lo fece con l’idea di riprenderli in mano e di interpretare quelle annotazioni sfruttando ciò che avesse appreso come Doll nel frattempo, tentando di trovarvi i significati che le erano sfuggiti. Ma le lettere che poi aveva aggiunto avevano reso troppo doloroso riaprire quella custodia, e molto era andato dimenticato.

 

Nel primo foglio aveva scritto:

 

Saltuariamente, il maggiore Gilbert mi riforniva supplementi al rancio ordinario non conformi al regolamento militare.
Dopo due anni di servizio militare ho iniziato a soffrire il mestruo. I dolori addominali e la nasua che l’accompagnavano non potevano costituire una scusa per non completare i normali allenamenti, tuttavia il maggiore Gilbert riduceva ogni volta i miei carichi di lavoro.
 

Col tempo, Violet aveva compreso che Gilbert non era semplicemente gentile, ma le voleva bene, ed era per questo che le aveva riservato tante premure e le aveva regalato la spilla che portava al collo, un gioiello da lei scelto perché la gemma che vi era incastonata aveva lo stesso colore verde smeraldo degli occhi di lui.

“Ti amo”, erano state le sue ultime parole. Non poteva evitare di risentirle – né che le lacrime annebbiassero il suo sguardo – quando pensava a lui troppo intensamente, e ancora non era certa di averle comprese, perché non era sicura di quanto quell’amore fosse romantico.

Si asciugò gli occhi e continuò a leggere.

 

Il maggiore Gilbert, quando gli era possibile, cercava di escludermi dalle missioni, ma io ero un suo soldato, e parteciparvi era mio dovere per servirlo.
 

L’esercito la considerava un’arma, e così facevano tutti i suoi compagni dopo aver visto di cos’era capace negli allenamenti e contro i soldati nemici. Solo Gilbert cercava di trattarla come una ragazzina normale. Lui si era opposto quando dai suoi superiori era arrivato l’ordine di farla combattere in prima linea, aveva cercato di tenerla nelle retrovie, una volta, quando aveva guidato un assalto notturno per distruggere i cannoni dell’esercito di Ctirgall, e lei, a quel tempo, era del tutto indifferente alla morte che seminava nel campo di battaglia. Privava uomini della loro vita, i genitori dei loro figli, le fidanzate delle persone amate, ma tutto questo lei non lo capiva.

Svolgendo il suo lavoro di Doll aveva visto il dolore sui volti di soldati morenti, di padri e madri disperati, e di fidanzate avvilite e angosciate. Pianse per le vite che aveva spezzato e giunse ad odiarsi per quel che aveva fatto come arma dell’esercito. Per molto tempo lei si sentì bruciare da quella consapevolezza, un’afflizione che Gilbert avrebbe voluto evitarle.

 

Sette compagni mi tesero una trappola quando ero nell’esercito da circa un anno, ed io non fui abbastanza efficiente da eludere il loro attacco. Così mi stordirono con un colpo in testa, mi legarono ad un tavolo e a turno abusarono di me. Mi bruciava la schiena ed io provavo rabbia nei loro riguardi perché non avevano il diritto di tenermi ai ceppi, mi facevano male all’inguine e mi impedivano di svolgere la mansione che il maggiore Gilbert mi aveva assegnato.
Quando lui venne a prendermi, capii la sua rabbia verso i soldati, ma non le scuse che mi rivolse.


 

Il vago ricordo che aveva continuato a tormentare Violet era divenuto concreto e doloroso.

Lei non aveva mai accettato che le fosse fatto qualcosa contro la sua volontà, a meno che non si trattasse di un ordine rivoltole da una persona alla quale lei attribuisse l’autorità necessaria per comandarla. Quand’era nell’esercito, e anche nel suo primo periodo come Doll, non aveva nessun senso del pudore, ma provava un istintivo fastidio per il contatto fisico quando andava oltre i normali gesti di affetto o di saluto ai quali si era abituata. E se qualcuno le dava noia, lei reagiva di conseguenza. Così, tutti impararono quanto lei potesse essere feroce e pericolosa, e per questo smisero di infastidirla e anche di avvicinarsi a lei, se potevano evitarlo.

Il primo a provarci dopo che lei serviva Gilbert già da alcuni mesi fu una recluta appena arrivata che si era resa antipatica al soldato sbagliato. Non conosceva Violet, la vedeva solamente come una ragazzina agile e veloce, perciò non dubitò dei suoi compagni quando gli dissero che il giorno precedente al suo primo combattimento aveva il diritto e il dovere di far l’amore con lei. Così l’avvicinò, convinto di potersi sfogare con il suo giovano corpo e finì per sei mesi in infermeria.

Lo stesso soldato sbagliato decise che la recluta andava vendicata, pianificò l’assaltò assieme a sei commilitoni ed agì quanto tutto fu pronto.

Le truppe si trovavano allora in un paese semidistrutto, ma la palestra era rimasta intatta e lì arrivava ancora l’acqua corrente. Violet si stava lavando quando sentì il rumore di passi in avvicinamento, si copri allora con l’asciugamano e cercò di scappare, ma non aveva previsto che qualcuno fosse già in agguato con fucili caricati a sale grosso. Sfuggì a tre soldati, ma un quarto che si era ben nascosto le sparò alla schiena. Mentre cercava di ignorare il dolore e di rialzarsi, la colpirono in testa con il calcio del fucile e, approfittando del suo stato di incoscienza, la legarono a un tavolo di legno, a pancia in giù e con le gambe allargate.

La reazione di Gilbert a quel che i sette soldati le avevano poi fatto, lei iniziava a comprenderla solo adesso, dopo aver assistito agli sfoghi emotivi di Elis e a quelli dei suoi genitori. Nel rivivere ora quel ricordo, fu invasa da una sofferenza che allora non si sarebbe mai immaginata, e pianse domandandosi perché i suoi compagni le avessero fatto una cosa simile, quando lei non si era mai risparmiata per combattere dalla loro parte.

 

 

(La lettera misteriosa)

 

Passarono poche settimane dal suo ritorno a Leiden, quando una sera, al suo rientro dalla sede dagli uffici dell’Auto Memory Doll Service, trovò una lettera sotto la porta. Il mittente era Diethard Bougainvillea, il capitano di marina che l’aveva trovata, un uomo che aveva imparato a rispettarla come persona dopo averla considerata per quasi sei anni sempre e soltanto come uno strumento di morte.

All’interno della busta vi era un foglio, e su questo solo un indirizzo scritto a mano con una grafia tesa e spigolosa. Lei fissò a lungo quel breve messaggio senza sapere cosa pensarne, percependo però chiaramente l’odio con cui era stato scritto.

Quella notte non riuscì a dormire e già prima dell’alba era in stazione, in attesa del primo treno per Capria, la capitale del Bociaccia. Vi arrivò a mezzogiorno, con un peso tanto opprimente in petto da soffocarle ogni altra sensazione: doveva esserci lui a quell’indirizzo, non trovava altra spiegazione, ma la paura di sbagliarsi la tormentava e avvelenava ogni sua speranza. Mangiò qualcosa solo perché la disciplina militare, che ancora non si era scrollata di dosso, le imponeva di sfamarsi e di idratarsi, e lei aveva già saltato la colazione. Iniziò a organizzare il resto del viaggio mentre pranzava, così, non appena ebbe finito, la camionetta di un contadino già l’aspettava per farle raggiungere un villaggio lungo il suo itinerario. Per superare le circa cinquanta miglia che la separavano dalla sua meta dovette trovarsi un altro passaggio e poi percorrere a piedi otto leghe, ma un’ora prima del tramonto era davanti alla casa indicata nella lettera.

Bussò alla porta col cuore che le palpitava in gola, cercò di sentire se dall’interno provenisse qualche rumore, ma l’unica cosa che riusciva a percepire era il martellare incessante nelle sue tempie.

La porta venne aperta, e una donna di mezza età vi si affacciò sorridendo. Violet si sentì come se avesse ricevuto una fucilata in pieno petto, barcollò indietro, sentendosi persa, e cercò di scusarsi senza riuscire ad articolare una sola parola. La signora sull’uscio si voltò indietro urlando qualcosa, quindi prese la ragazzina di peso, la portò in casa e la fece sedere su una semplice sedia di legno. Poi si allontanò per qualche istante, le porse un bicchier d’acqua e le disse: «Calmatevi, signorina. Avete l’aria di aver camminato a lungo, e il sole può avervi dato alla testa. Bevete e riposatevi. Io devo scappare, ma vedrete che Albert saprà occuparsi di voi. Tornerò a vedere come state più tardi. Se però doveste aver bisogno di qualcosa, allora potrete trovarmi dall’altra parte della strada. Riguardatevi, mi raccomando».

La salutò con un sorriso e se ne uscì dalla porta.

Violet sorseggiava l’acqua distrattamente, ancora scombussolata dalle emozioni che l’avevano travolta, quando il padrone di casa scese dal piano superiore. Si alzò di scatto, senza preoccuparsi del bicchiere che si rompeva per terra, e corse ad abbracciare l’unica persona che avesse mai amato.

Con una sorpresa sempre più dolorosa, si accorse però che Gilbert non ricambiava il suo abbraccio. Fece un passo indietro, rivolgendogli uno sguardo smarrito, mentre il suo volto si rigava di lacrime e la mente gli si riempiva del pensiero che l’aveva attanagliata ogni giorno in ospedale, quando si chiedeva perché lui non fosse ancora venuto da lei con nuovi ordini. «Vi ho forse deluso?»

Solo allora si accorse di quanto lui apparisse invecchiato e notò con quali ferite avesse pagato la battaglia di Intense: l’occhio destro era coperto da una benda nera, e la manica sinistra della sua maglia pendeva vuota poco sotto la spalla.

«No, Violet, tu non mi hai mai deluso», rispose lui con tono cupo. «Come hai fatto a trovarmi?»

«Tuo fratello mi ha mandato una lettera… Vi aveva scritto l’indirizzo di questa casa.»

Dopo un tempo che a Violet parve un’eternità, Gilbert mormorò: «Pensavo avesse ormai smesso di cercarmi, ma, a quanto pare, mi sono sbagliato. Sicuramente sarà furioso con me». Poi, accalorandosi, aggiunse: «Ma perché ha mandato te? Prendi forse ordini…»

«No!» lo interruppe Violet, sentendosi morire. «Sono diventata una Doll… non prendo più ordini da nessuno, come tu volevi…»

«Scusami… Io lo sapevo… ho letto di te nei giornali. Solo non mi aspettavo di vederti.» Le mostrò un sorriso amaro e aggiunse: «Sei stata bravissima, Violet».

«Ma allora perché… perché mi stai trattando così? E perché sei scomparso per tre anni senza dirmi nulla?»

«Perché quell’ultima sera, il giorno prima dell’attacco al centro di comando di Insane, ho capito che Hodgins aveva ragione e che io ho sbagliato a tenerti nell’esercito.»

Violet afferrò il gioiello che portava al collo e, incredula nel sentire nella sua voce un tono tanto duro che mai aveva usato prima con lei, replicò piangendo: «Ve ne ricordate? Mi piaceva perché aveva lo stesso colore dei vostri occhi. Da quando me l’avete regalato, io non ho mai smesso di portarlo e non c’è nulla di più prezioso che io possegga. Ho già sofferto e soffrirò ancora per quel che ho fatto come soldato, ma non rimpiangerò mai il tempo che ho passato con voi».

«Tu ancora non capisci», disse Gilbert, sedendosi stancamente su un gradino. «È stato Hodgins a permetterti di diventare quel che sei ora; io, invece, ti ho solo fatto del male. Ti ho sacrificata anch’io per vincere la guerra, lo comprendi? Avrei dovuto scappare con te il giorno stesso che ti ho vista per la prima volta. Avrei dovuto portarti via da soldati e battaglie…» Si portò la mano destra al volto, e prese a piangere anche lui. «Invece ho lasciato che tu mi accompagnassi anche nell’ultima battaglia… Quanto sono stato stupido allora… Ti ho detto che ti amavo, ed era vero, era questo che sentivo… ma non avevo il diritto di amarti! È solo colpa mia se sei stata violentata dai tuoi compagni! È colpa mia se hai perso le tue braccia nel tentativo di salvarmi. È stata colpa mia! Solo colpa mia! Io… Mi dispiace, Violet…»

Il suo pianto si fece disperato, e lei gli si inginocchiò davanti e lo abbracciò di nuovo, mescolando le sue lacrime a quelle di lui. «Hodgins mi ha tenuto nascosto a lungo che tu fossi disperso. Quando l’ho saputo… ho cercato di togliermi la vita. La tua assenza non ha mai smesso di pesarmi sul cuore.

«È vero, quattro anni di guerra mi hanno lasciato cicatrici terribili, ma se dovessi affrontare tutto daccapo per incontrarti di nuovo, io lo farei senza esitare un solo istante. Tu hai già pagato per quello che pensi di avermi fatto, ed io non voglio che tu ti senta in colpa per me. Mi hai sempre trattata come una persona, quando nessun altro lo faceva, e sei stato il primo ad insegnarmi come non essere solo uno strumento. Senza di te non avrei mai capito cos’è l’amore. Non avrei mai capito di amarti.»

Scosso e sorpreso da quelle parole, Gilbert l’allontanò per guardarla negli occhi. «Davvero… vorresti amare uno storpio come me? Sei ancora giovane e…»

Lei lo zittì toccandogli delicatamente le labbra con due dita, si posò la mano sinistra sul cuore e annuì. Poi, col volto oscurato da una nuova tristezza, si tolse i guanti con modi impacciati e nervosi, gli mostrò le sue mani di metallo e disse: «Io… però… potrei toccarti solo con queste…»

Un bacio la interruppe, il primo che Gilbert le avesse mai dato. Lui le strinse una mano e le rispose: «Se davvero puoi perdonarmi… Io ti amo, Violet. Non ho mai smesso di amarti».

Per un momento abbastanza lungo da farlo preoccupare, lei apparve irrigidita e confusa. Poi, gli mostrò un sorriso dolcissimo e lo baciò a sua volta, stringendolo ancora più forte e bagnandogli il viso con lacrime calde e gioiose.

Rimasero così a lungo, parlarono sussurrando appena, si baciarono ancora e, di tanto, risero di una felicità che riempiva i loro cuori.

 

Quando la vicina tornò per sincerarsi delle condizioni delle ragazza, li trovò ancora abbracciati sulla scala, sorrise loro mentre si rialzavano imbarazzati e disse con tono allegro: «Caro Albert, sono lieta di non veder stampata sulla tua faccia la solita espressione triste e noiosa e penso che questa giovane forestiera non avrà problemi a farsi ospitare da te. Se vi servisse un vestito da signorina o qualunque altra cosa, sapete dove trovarmi».

Detto questo, li salutò con un cenno della mano e se ne andò di nuovo.

«Ha ragione», disse Violet. «Ho davvero bisogno di un bagno e di un cambio di vestiti, ma non necessito di abiti femminili.»

Lui le rivolse uno sguardo turbato. «Sarà meglio accettare il suo aiuto, invece. Entro domani mattina tutto il paese saprà che una ragazza bella come una bambola è mia ospite e verrà a conoscerti. Il bagno è di sopra: va’ pure a lavarti. Ti lascerò degli abiti puliti.»

«E domani cosa faremo? Vorrei tornare a Leiden, ma solo se tu verrai con me.»

«Dovrei affrontare Hodgins e mio fratello…»

«Lo so, ma abbiamo combattuto battaglia più dure, ed io sarò di nuovo al tuo fianco.»

 

Altre note dell’autore

 

Questa storia è dedicata a BellaLuna95, dato che è nata come regalo di Natale per lei in seno al Secret Santa Challenge su EFP e si base sull’anime intitolato “Violet Evergarden”. Molte vicende appartengono alla narrazione originale e sono qui riportate per dare al mio racconto una completezza che ritenevo necessaria.

Totalmente inventati da me sono la cartellina, i fogli in essa contenuti (tranne le lettere a Gilbert), le vicende lì appuntate (tranne l’esser stata esclusa da una missione), quasi tutto quanto concerne il viaggio a Drossel e tutta la parte relativa alla missiva di Diethard e al ricongiungimento con Gilbert.

 

Le parole in corsivo nelle frasi pronunciate dalla protagonista sono effettivamente dette da lei anche nell’anime.

 

Infine, mi accorgo di non aver spiegato come Gilbert sia riuscito a salvarsi e a far perdere le sue tracce. Le motivazioni per cui non si sia più fatto rivedere dovrebbero essere intuibili, ma forse potrei chiarire meglio questi aspetti in un altro breve racconto incentrato su di lui e sui suoi tre anni di vita segreta.

   
 
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