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Autore: SkyDream    22/12/2020    4 recensioni
[Ship!KageHina][Happy B-Day, Tobio!]
C'è un'aria tesa e misteriosa alla Karasuno: Tobio è sparito subito dopo le lezioni senza avvisare nessuno, non risponde al telefono e non è rintracciabile.
Hinata si mette subito in allerta. Non è assolutamente da lui nascondergli qualcosa!
E se lo avessero rapito?
-
Piccola One Shot dai toni velatamente comici e leggeri, senza nulla di troppo complesso.
Scritta semplicemente per farvi passare qualche minuto di leggerezza!
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi è il giorno del Solstizio d'inverno, nonchè il giorno del compleanno di un certo setter...Tanti auguri, Tobio! (Passerai la giornata a coccolarti Shoyo, ammettilo!)

 
 
Non fraintendere! ~
[KageHina]


Tobio, semplicemente, sapeva che sarebbe successo.
Era questione di tempo, ormai ne era cosciente. Aveva ricevuto già parecchie telefonate che aveva bellamente ignorato, anzi, ogni volta affondava il cellulare lì dove non avrebbe potuto sentirlo.
Si tappava la orecchie, come fosse l’unico modo per poter mandare via quei trilli che lo assillavano.
Ma non era servito a nulla.
Loro erano arrivati fin davanti la sua scuola, fissandolo con uno sguardo che non ammetteva repliche.
Così, dopo le lezioni, senza dire niente a nessuno per non destare sospetti, Tobio li seguì.
Si accomodò in quella macchina dai vetri oscurati e osservò la Karasuno scomparire all’orizzonte.


«Ehi, Shoyo, che ci fai lì tutto solo?».
Suga si arrestò di colpo di fronte gli scalini che davano alla palestra. Una zazzera rossa se ne stava seduta con una guancia sorretta dal palmo di una mano.
Fissava il pavimento come se aspettasse qualcuno tremendamente in ritardo.
«Quel traditore di Kageyama sarà andato a pranzare con qualcuno senza dirmi niente e lasciandomi qui! Oh, ma gliela faccio vedere io appena arriva!».
Il tono di Shoyo era arrabbiato - sicuramente - ma era anche ferito e ciò non riuscì a non far scappare un sorriso intenerito al suo senpai.
«Non è che qualcuno qui è geloso?» La buttò lì sedendosi al suo fianco e stirando le gambe come se non attendesse la risposta con gran curiosità.
Le guance del più piccolo si tinsero di rosso a quelle parole, poi si voltò dal lato opposto incrociando le braccia al petto.
«Assolutamente no! Sono solo preoccupato e poi vorrei sapere chi sia questa persona così importante da andarci a pranzo senza avvertirmi!» Borbottò poggiando una guancia su un pugno tremolante.
«Sei geloso».
«Tobio ha sempre pranzato con me, fin dal primo giorno. O dal secondo. Comunque ha sempre mangiato con me a pranzo!».
Suga sorrise e l’occhio gli cadde sul borsone di Hinata, o meglio, dentro.
«Shoyo, quel brick di lat-».
Il ragazzo più piccolo lo afferrò con veemenza e strappò via la cannuccia infilandola nella scatolina e bevendo, in un sol sorso, tutto il contenuto.
Rischiò di soffocarsi almeno una decina di volte, ma trattenne le lacrime e si assicurò di finirlo prima che potessero giungere altre domande.
«Non era per lui. Era per me, adoro il latte!» Annunciò mentre saltava via dagli scalini e raggiungeva il cestino stringendo il brick tra le dita.
«Shoyo, sei intollerante al lattosio».


Tobio si accomodò su quella sedia rigida posta al centro di una stanza altrettanto angusta.
I due uomini si accomodarono dall’altro lato del tavolo senza distogliere lo sguardo dalle sue mani tremanti.
«So cosa state per dirmi, e la mia risposta è no!».
La  voce del setter rimbombò tra i muri grigi, ebbe appena il tempo di ascoltare il suono tornare indietro che qualcosa gli colpì il viso.


«Dai, Sho! Hai un muso così lungo che tocca terra!» Noya portò le mani sulle sue spalle e saltellò un paio di volte nella speranza di mettergli un po’ di buonumore.
Non servì a nulla e lo sguardo dello schiacciatore lasciò trapelare, ancora una volta, l’infinito sconforto che aleggiava nel suo cuore.
«Sarà perché ha perso tutti i liquidi che aveva in corpo, visto che è rimasto quasi mezz’ora in bagno!» Lo pizzicò Tsukki incrociando le braccia e fissandolo dall’alto dei suoi due metri.
Sugawara, dall’altro lato della palestra scosse la testa sconfortato e portò una mano al viso. Decisamente il brick di latte lo aveva preso per Tobio.
Ma, a proposito, dov’era finito?
Un rumore di porta spalancata lo fece sussultare.
«Ehi, ragazzi! Ci siamo tutti? Scusate il ritardo, ho avuto un contrattempo in segreteria.» Daichi tirò un piccolo pugno sulla spalla del suo vice e si accostò a lui in cerca di aggiornamenti.
Suga continuava a fissare il muro della palestra con aria pensierosa e portò due dita sotto il mento.
«Daichi, non è che hai visto Kageyama stamattina?» Gli chiese con una punta di preoccupazione.
Il capitano della squadra parve pensarci solo un momento, poi scosse la testa e si sedette sulla panchina ad annodare meglio i lacci delle scarpe.
«Pensavo che Hinata sapesse qualcosa a riguardo. L’ho visto salire in macchina con due tipi sconosciuti all’ora di pranzo».
«Salire in macchina?» Lo sguardo di Suga si fece sempre più concentrato e diffidente.
Se n’era andato con della gente estranea senza dire niente a nessuno, tantomeno a Shoyo?
«Con chi?» La voce di Hinata fece voltare entrambi. Il ragazzo sembrava un bambino preoccupato, teneva il pallone stretto tra le braccia e attendeva una risposta guardandoli dal basso.
I ciuffetti rossi gli scivolarono sulla fronte sudata.
«Non lo so, erano due signori adulti e vestiti tutti di nero. Non pensavo ti avesse tenuto all’oscuro di tutto».
Shoyo lasciò cadere il pallone e portò le mani in testa urlando come se fosse del tutto ammattito.
«Lo hanno rapito! Lo hanno RAPITO!» Continuava a urlare in preda all’agitazione. Lo spavento fu tale che lo stomaco cominciò ad aggrovigliarsi fino a costringerlo a correre in bagno.
Senza smettere di strillare.
«Qualcuno lo spenga, vi prego!» Chiese Tsukki portando due dita alla radice del naso.
«Non credo sia stato rapito sul serio.» Esclamò Daichi a voce alta sperando che anche Shoyo, dal bagno, potesse sentirlo.
Yamaguchi entrò con il telefono a mano e annunciando dei tre tentativi di telefonata andati a vuoto. Non riusciva a contattarlo.
«Devi ammettere che la situazione è parecchio strana, non trovi?» Chiese Suga al suo capitano che, ancora seduto in panchina, tranquillo, sembrava immerso in qualche riflessione.
Daichi poteva solo essere il capitano. Aveva quel suo modo di fare così rassicurante e paterno, che nessun altro avrebbe potuto prendere il suo posto.
«Ci sarebbe un modo per trovarlo, ma significherebbe violare la sua privacy».
Si voltarono tutti verso di lui, calò il silenzio tra le mura della palestra e Daichi prese un profondo respiro.
«Ho cambiato telefono qualche settimana fa, è lo stesso modello di Kageyama e gli avevo chiesto il favore di aiutarmi a passare dei dati. Lui ha finito per collegare anche il suo telefono dimenticandosi poi di scollegarlo. Basterebbe accendere il gps …».
«Se non lo ha scollegato è solo l’ennesima prova del fatto che ho ragione! Mi hanno rubato Kageyama e gliela farò vedere io!».
Shoyo, trionfante ma neanche troppo, uscì dal bagno con uno spazzolone per pavimenti.
«Ma se persino quel coso è più alto di te.» Sottolineò a bassa voce Tsukki beccandosi una gomitata da Yamaguchi.
«Shoyo, non puoi pensare di irrompere così negli affari degli altri!» Esclamò Daichi alzandosi e raggiungendolo.
«Sì che posso! Tobio non mi ha nemmeno avvisato che avrei dovuto pranzare da solo, l’unica spiegazione è il rapimento!».
«Perché avrebbero dovuto rapirlo?!».
«Che domande! Stiamo parlando di Kageyama, ma l’hai visto bene?! Lo avranno rapito per torturarlo e costringerlo a fare qualcosa contro il suo volere!».
Daichi portò le mani al viso e pregò che quella giornata finisse presto.
Sentì Suga ridere e portare una mano rassicurante sulle sue spalle.
«Va bene, Shoyo. Ora vediamo dove si è cacciato il tuo Kageyama e decideremo come agire di conseguenza. Sei d’accordo?». Sugawara vide la testolina rossa annuire con convinzione e avvicinarsi, con gli occhi carichi di aspettative, al telefonino del suo capitano.


«Non ho intenzione di accettare».
Tobio sentì il sudore corrergli lungo le tempie. Sentiva il matto desiderio di alzarsi e correre via di lì.
L’uomo di fronte a sé spostò gli occhiali da sole rivelando una profonda cicatrice al livello dell’occhio.
Tobio deglutì. Sul tavolo, di fronte a lui, vi era una valigia nera.


«Lo sapevo! Sono un pugno di delinquenti!» Hinata portò le mani tra i capelli e cominciò ad agitarsi di nuovo.
Tsukki guardò l’orologio chiedendosi, mentalmente, quanto ci avrebbe messo prima di scappare nuovamente in bagno.
«Ma che delinquenti, Shoyo. Aspetta un momento e ragioniamo!» Daichi continuava a fissare lo schermo. Il telefono di Tobio si trovava all’interno di una vecchia agenzia poco distante dalla loro scuola, sembrava essere fermo lì ormai da parecchio tempo e neanche su internet riuscivano a capire di cosa trattasse.
«Magari ci lavorano i suoi genitori?» Provò Yamaguchi sperando di tranquillizzare il suo amico. Nessuno di loro era convinto.
«Perché non rispondere alle chiamate allora? Sono quasi due ore che ci proviamo.» Fece notare Noya continuando a far rotolare un pallone tra le mani.
«Io non sono assolutamente d’accordo con l’irrompere così nelle questioni degli altri! Shoyo? Che diavolo-».
Lo schiacciatore aveva tolto le scarpe sportive e aveva infilato le vecchie converse, prese la felpa scura della squadra e se la buttò sulle spalle prima di uscire.
«Se dovesse succedergli qualcosa, non me lo perdonerei mai! Nel peggiore dei casi mi ritroverò un suo pugno in testa e non sarà nemmeno la prima volta!».


«Fatemi spiegare almeno!» Tobio strinse i pugni così forte da far sbiancare le nocche.
«Il tempo sta per scadere, Kageyama-kun».


Hinata scese dalla bicicletta senza curarsi di metter giù il cavalletto. Le ruote rotearono su loro stesse mentre il proprietario si fiondava all’ingresso.
«Kageyama! Kageyama rispondi!».
Correva e saltava in ogni corridoi dell’ edificio un po’ malandato che sicuramente aveva visto tempi migliori.
Shoyo adocchiò un bagno e il rispettivo spazzolone per i pavimenti - senz’altro l’unica arma a sua disposizione - e si gettò a capofitto nella ricerca del suo amico.
Quale organizzazione malefica poteva averlo rapito e costringerlo a non dire nulla?  Magari sotto minaccia?
Il solo pensiero che potesse essere ferito gli diede la nausea.
“Non posso permettermi di stare male adesso!” Pensò mentre continuava a correre.
Una voce catturò la sua attenzione.
Era Tobio.
«Fatemi spiegare almeno!» Aveva appena detto con la voce tremolante.
Era ancora in tempo!
Shoyo prese un respiro profondo e, nonostante una leggera voglia di fuggire a gambe levate, tirò un calcio alla porta costringendola ad aprirsi.
«Non osate torcere un solo capello al mio Kageyama o giuro che ve le do con questo!».
Tobio si voltò con il viso corrucciato in una smorfia di confusione. Il suo amico era appena entrato con i vestiti dell’allenamento - pantaloncini e felpa annessi - e impugnava uno spazzolone come se fosse una spada.
Inoltre non aveva aperto gli occhi, anzi, sembrava tremasse.
«Avete capito?!» Urlò poi sollevando una palpebra.
Solo allora capì di aver frainteso.
Prima di tutto, Tobio stava bene (menomale!).
Secondariamente, i due uomini non sembravano volerlo pestare.
Terzo, sul tavolo risaltava una valigia colma di soldi.
Quarto, il viso di Tobio - stretto in una smorfia di rabbia - era la cosa più spaventosa nella stanza.
«Hinata, razza di idiota, si può sapere cosa ci fai qui?» Sbottò solo in quel momento Tobio diventando paonazzo.
Che figura gli faceva fare?!
«Idiota ci sarai tu, Kageyama! Sono venuto a salvarti, che domande sono?!».
«A salvarmi? Mi hanno fatto una proposta di lavoro, mica una minaccia di morte!».
«E cosa ne posso sapere io, visto che non ti sei nemmeno degnato di avvisarmi?!».
«Era per evitare scenate del genere che avevo preferito non dirti nulla, boke!».
«Boke tu! Ci hai fatto preoccupare tutti!».
I due uomini, fattisi sempre più distanti da quelle bombe ad orologeria, si erano rintanati in un angolo della stanza seguendo il dibattito con gli occhi, come se stessero guardando  una partita di ping pong.
Kageyama continuava ad agitare le mani, il nano dai capelli rossi agitava invece lo spazzolone.
Nel complesso erano davvero una coppia mal assortita.
«Comunque avevo appena finito di parlare con loro, aspettami fuori così facciamo i conti per bene!» Tobio gli indicò il corridoio con un dito e Hinata, indispettito, eseguì l’ordine dopo avergli fatto una linguaccia.
Ma come si permetteva di rivolgersi in quel modo a lui che si era preoccupato così tanto?
Kageyama richiuse la porta, senza sapere che la curiosità del suo amico aveva appena avuto la meglio, convincendolo ad origliare.
«Mi dispiace per la scena a cui avete assistito - si era sicuramente inchinato - e anche per la mia risposta. La vostra offerta è senz’altro valida e capisco la voglia di far decollare la vostra vecchia squadra di pallavolo, ma non sono disposto ad accettare. Ho intrapreso già un percorso con i miei compagni della Karasuno e ho intenzione di rimanere con loro fino alla fine. Con permesso». Tobio si inchinò e voltò senza dare nemmeno un’occhiata alla valigia colma di banconote di fronte a lui.
La Karasuno non valeva nemmeno dieci volte quella somma, non lo avrebbe mai fatto.
Per anni aveva desiderato una squadra in cui sentirsi finalmente libero di volare, e non l’avrebbe di certo abbandonata per dei motivi così futili, inoltre …
«So che hai ascoltato».
Tobio uscì nel corridoio sospirando e cominciando a camminare, Hinata lo seguì accelerando leggermente il passo.
«Kageyama, erano un sacco di soldi!» Sussurrò sorpreso l’altro guardandolo con grande ammirazione. La gente era davvero disposta a tanto pur di averlo con se?
Tobio abbassò lo sguardo su quella piccola testa rossa e su quei polpacci scoperti. Doveva essersi catapultato direttamente dalla palestra senza nemmeno cambiarsi o premurarsi di coprirsi a dovere.
Per fortuna l’aria fresca doveva ancora arrivare.
«Si può sapere da dove ti è saltata in mente l’idea del rapimento?» Chiese cercando di non tirargli un pugno preventivo in testa.
«Mi hai lasciato solo a pranzo e pensavo fossi con qualcuno, poi non sei nemmeno venuto all’allenamento e Daichi ti aveva visto entrare in un macchina con due uomini insoliti, così mi sono spaventato.» Hinata era decisamente arrossito e aveva cominciato a torturarsi le dita delle mani come se solo in quel momento avesse realizzato di aver fatto irruzione con uno scopettone e urlando durante un colloquio di lavoro. Di Kageyama, per inciso.
Tobio cercò di nascondere una risata e guardò le guance rosse del suo amico con una tenerezza infinita.
Si era preoccupato per lui e aveva finito per fraintendere tutto. Come poteva non volergli davvero bene?
«Sei proprio un idiota, lo sai?».
Hinata sollevò lo sguardo e si perse a contemplare il sorrisetto felice che si era dipinto sul volto del suo amico. Fu solo una frazione di secondo ma bastò a segnare per sempre quell’immagine nel suo cuore.
«Ah, a proposito, Shoyo…» Tobio riacquistò il suo volto serio e lo guardò con gli occhi ridotti a due spilli.
«Sì?» Rispose l’altro mentre rimetteva in piedi la sua bici.
«Hai detto “Il mio Kageyama”? Sono diventato il tuo setter, ma non significa che sono di tua proprietà!».
«Avrai sentito male, magari devi pulirti meglio le orecchie.» Ipotizzò l’altro cercando di mantenere la naturalezza che lo contraddistingueva.  Si posizionò sul sellino senza sollevare lo sguardo.
«Avrò sentito male? Dici?».
«Mhh mhh» Annuì ancora mentre cercava di capire se il suo amico lo avrebbe seguito fino alla Karasuno o se avrebbe preso un’altra strada.
Kageyama si mise al suo fianco continuando a ridere.
«Grazie, idiota» Sussurrò arrossendo leggermente.
«Cosa hai detto? Non ho sentito bene, aspetta che registro un attimo!».
«Pensa a pedalare prima che becchi un’altra buca!».
«Ma è un’occasione imperdibile, non lo dici mai!».
«Cosa non dico? La parola idiota? Certo che te la ripeto, tutte le volte che vuoi, idiota!».
 
I due uomini li seguirono con lo sguardo.
Kageyama aveva rifiutato più di una volta la loro offerta.
Ma finalmente avevano capito il perché.
   
 
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