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Autore: fantaysytrash    24/12/2020    1 recensioni
[Gellert/Albus | Introspettivo/Romantico/Erotico | 3 + 1 | Canon Compliant + Canon Divergence | Multisetting] [Dedicata ad Asmodeus]
Le tre volte in cui Gellert vorrebbe contattare Albus per Natale e la volta in cui è costretto a mettere da parte l’orgoglio per ricongiungersi con l’unica persona in grado di aiutarlo.
Dal testo:
“Era strano pensare che avessero trascorso insieme solamente tre mesi, perché ogni singolo attimo era stato così carico di passione e intesa che pareva che i due si conoscessero da una vita. E ora che erano stati separati – seppur per un tempo ancor minore di quello che avevano condiviso – Gellert veniva costantemente riportato al passato ogniqualvolta scopriva un nuovo indizio e si girava per condividerlo con Albus, restando prontamente deluso dalla sua assenza.”
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note dell’Autrice

Buon Natale, Asmodeus! (E auguri anche a tutti coloro che sono capitati qui!)

Sono molto felice di avere avuto la possibilità di scrivere una storia per te, è da parecchio tempo che seguo il tuo profilo anche se ovviamente non so mai come iniziare una conversazione e quindi non abbiamo interagito tanto quanto avrei voluto. Quindi questa fic è anche l’occasione perfetta per rompere il ghiaccio!

L’idea della storia mi ronzava in testa da un po’, e quando ho visto la Grindeldore nella lista delle tue coppie preferite mi ci sono fiondata immediatamente; spero ne sia uscito qualcosa di soddisfacente! Sicuramente mi fa piacere trovare un altro fiero sostenitore di questa ship suprema, dato che nel fandom italiano non è proprio in prima linea, e in generale ho notato che abbiamo diversi generi/coppie/fandom in comune, perciò spero di poter scrivere presto qualcos’altro per te!

(Tra l’altro siamo pure omonimi, cosa si può volere di più?)

Spero dunque che questa storia possa essere di tuo gradimento e che sia un degno regalo natalizio. C’è giusto una punta di angst – anche se dal mio punto di vista è considerabile più introspettivo per mantenere un IC di fondo – ma ti garantisco che c’è un happy ending più che esplicito (mantenendo una verosimiglianza di fondo, in modo da non incappare in OOC). Ho visto che comunque è un genere che non ti dispiace, quindi credo – o meglio, spero vivamente – che non sia troppo d’impiccio.

La prima e l’ultima parte sono volutamente più lunghe, dato che sono i due momenti principali nella storia di Albus e Gellert, mentre quelli centrali sono più di sottofondo per far intravedere la solitudine e i pensieri di Grindelwald nei relativi periodi.

Il titolo ovviamente proviene da una canzone – ormai è lunico modo in cui li scelgo – ma sorprendentemente non da una di Taylor bensì da “Afterglow” di Ed Sheeran che, sebbene non sia stata uneffettiva ispirazione per la storia, trovo comunque abbastanza in linea con gli eventi che hanno visto questi due protagonisti.

Buona lettura e ancora Buon Natale!

Federica ♛



Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a J.K. Rowling. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.




 

ALONE IN LOVE


 24 dicembre 1899 


Gellert si fermò al limitare della radura oltre la quale si stagliava la casa dei Silente, osservando in silenzio l’abitazione ammantata nell’ombra.

Il vento gelido che soffiava su Godric’s Hollow sarebbe potuto risultare pungente per la maggior parte dei suoi abitanti, ma per Gellert – abituato ai pesanti inverni austriaci – era equiparabile a una leggera brezza, che lo aiutava a mantenere freschi i pensieri in subbuglio.

Erano passati solamente tre mesi da quando aveva lasciato la cittadina alla ricerca dei Doni e sapeva che ritornare così presto non era stata la sua idea più brillante. Non aveva ancora trovato la Bacchetta – in così poco tempo, in realtà, aveva scoperto ben poco in generale, anche se sospettava che la sua distrazione e inquietudine fossero da incolpare più di qualunque altro fattore esterno – e sebbene avesse dovuto approfittare del periodo invernale per approfondire i suoi studi, non riusciva a scacciare il pensiero che era lì che doveva trovarsi.

Ricordava i progetti che aveva fatto con Albus l’estate precedente, quando si immaginavano in giro per il mondo a cercare artefatti magici, invece che separati per colpa di un incidente – a parer di Gellert – assolutamente arginabile e superabile.

Se si concentrava intensamente, riusciva ancora a sentire i caldi raggi del sole sulla pelle, mentre lui e Albus erano sdraiati in riva al fiume a raccontarsi aneddoti scolastici e scambiarsi teneri abbracci nonostante l’afa che aleggiava da ormai due mesi costanti.

“A Natale ti porterò a Nurmengard,” aveva detto Gellert sottovoce, per non disturbare l’atmosfera calma che si era andata a creare tra loro. “Il castello conta più di cento stanze, pensi di avere abbastanza stamina?”

Albus l’aveva guardato avvampando, mentre Gellert sollevava le sopracciglia in modo suggestivo, ed entrambi erano scoppiati a ridere. Nonostante le innumerevoli volte in cui i due si erano amati in lunghe notti di sospiri affannosi e corpi sudati, Albus rimaneva ancora pudico e arrossiva con una facilità disarmante, e l’altro non mancava mai di prenderlo in giro e punzecchiarlo.

Gellert sorrise ripensando a quei magnifici mesi in cui tutto era sembrato possibile, pieni di giornate passate a consultare i pesanti e ricchi volumi presenti a casa Bagshot e notti trascorse nel medesimo letto con sempre meno noncuranza di essere scoperti dalle rispettive famiglie.

Era strano pensare che avessero trascorso insieme solamente tre mesi, perché ogni singolo attimo era stato così carico di passione e intesa che pareva che i due si conoscessero da una vita. E ora che erano stati separati – seppur per un tempo ancor minore di quello che avevano condiviso – Gellert veniva costantemente riportato al passato ogniqualvolta scopriva un nuovo indizio e si girava per condividerlo con Albus, restando prontamente deluso dalla sua assenza.

Tornando al presente e concentrandosi nuovamente sulla cupa casa in fondo alla via, il biondo si chiese se Aberforth fosse tornato per le vacanze di Natale o se avesse continuato a fare il caprone e incolpare Albus con supposizioni assurde che si era messo in testa per colmare il proprio senso di colpa.

Gellert lo aveva sempre considerato con sdegno, una mente inferiore che gelosamente cercava di frenare anche il fratello più brillante, e lo avrebbe levato di mezzo tempo prima se Albus non ne fosse stato tanto contrario.

Pensare a un simile scenario portò inevitabilmente a considerazioni più concrete su una reale morte – tanto intenzionale quanto era l’effettivo dispiacere di Gellert – e il giovane fu improvvisamente pervaso da una cocente rabbia.

Avrebbe voluto entrare di forza in quella dimora che tanto conosceva e costringere Albus a guardare in faccia la realtà: Ariana era sempre stata un peso e non c’era alcuna ragione per cui dovesse continuare a tormentarsi su scenari impossibili che non si sarebbero mai avverati. E non c’era motivo di respingerlo in quel modo; potevano proseguire le proprie ricerche senza essere interrotti da futili inconvenienti.

Non ora, mormorò una voce dentro la sua testa. È ancora troppo presto.

Gellert sospirò e si mosse per andare ad appoggiare il piccolo regalo incartato a mano sulla soglia dell’abitazione, privo di biglietto ma inequivocabilmente suo. Non aveva dubbi che Albus sarebbe stato in grado di identificare il mittente, dopotutto nessun altro lo conosceva tanto quanto lui, indipendentemente da quello che certi individui come Elphias Doge erano inclini a pensare.

Mentre si Smaterializzò in fretta percepì una luce accendersi dietro di lui, ma Gellert scomparve prima che il proprietario potesse aprire la porta per investigare.



24 dicembre 1905


La Bacchetta di Sambuco era ancora più potente di quanto Gellert avesse anticipato, nonché estremamente semplice da sottrarre a Gregorovitch. Solo uno stolto sarebbe andato in giro a gridare ai quattro venti la sua nuova scoperta, e per Gellert era stato particolarmente deludente intrufolarsi nella sua bottega e rubare l’artefatto.

Ma, per quanto potesse sembrare imbarazzante, ora non sapeva come utilizzarla. Era un pensiero stupido – perché i suoi progetti a riguardo non erano certo scarsi – ma si era sempre immaginato un risvolto diverso quando finalmente fosse entrato in possesso di un tale oggetto.

Fin da subito aveva percepito la sua alta capacità magica, e anche gli incantesimi più complicati erano realizzabili con un solo sventolo di bacchetta. Tuttavia, sentiva la chiara mancanza di qualcosa – di qualcuno – e nessun numero di frivolezze che aveva evocato era sufficiente a placare il suo animo in agitazione.

Non aveva più cercato di contattare Albus da sei anni, e il piccolo regalo depositato davanti a casa sua era stato l’ultimo segno della loro relazione. E sebbene non si fosse aspettato una risposta, era rimasto ugualmente deluso dal non ricevere alcuna notizia da parte dell’ex amico.

Aveva brevemente intrattenuto l’idea di mandargli un dono ogni anno, ma l’idea era suonata patetica e delirante alle sue stesse orecchie. Lui aveva fatto il primo passo, che fosse Albus a farsi avanti.

Eppure, ora che aveva finalmente ottenuto ciò che aveva – avevano – voluto per così tanto tempo, gli sembrava doveroso rendere partecipe il suo amato, anche se si era dimostrato più testardo che mai.

Senza indugiare ulteriormente, fece apparire un paio di clade calze invernali, simili a quelle che aveva regalato ad Albus l’ultima volta che era andato a Godric’s Hollow. Erano rosse – il colore preferito di Albus – con il ricamo dei Doni della Morte tracciato in nero.

Non si premurò di scrivere un biglietto, né di dire senza mezzi termini di aver trovato la Bacchetta. Ma sapeva che l’animo affine e lo spirito di osservazione del maggiore gli avrebbero senza dubbio consentito di giungere alle giuste conclusioni.

Dopotutto – nonostante quello che era successo, ne era ancora fermamente convinto – lui e Albus erano destinati a stare insieme.



24 dicembre 1927


La battaglia – se così si poteva chiamare l’annientamento senza particolari sforzi degli Auror e di qualche ex-studente di Hogwarts – aveva lasciato Gellert con l’amaro in bocca per una lunga serie di ragioni, che si sarebbe presto ritrovato a sputare addosso ai suoi accoliti.

In primo luogo, non sopportava come il Ministero britannico dovesse sempre intromettersi nei suoi affari, quando i suoi piani di gloria avevano come primo destinatario gli stessi maghi che stavano cercando di fermarlo, senza dubbio troppo ignoranti per comprendere appieno i suoi intenti.

La delusione più grande, tuttavia, era stata l’assenza di Albus, il quale aveva preferito rimanere nella sua fortezza e mandare il suo pupillo a combatterlo. Newt Scamander.

Quel nome ridicolo gli echeggiò nella mente per diverso tempo, finché si ritrovò a lanciare una sedia dall’altro lato della stanza, infastidito dal solo fatto che il giovane si trovasse in un qualche grado di intimità con Albus. Non credeva che un tipo come lui potesse realmente intraprendere una relazione con uno dei suoi studenti, ma la possibilità – per quanto remota – era abbastanza per farlo andare in escandescenza.

Fuori dalla finestra poteva scorgere l’inizio di una bufera di neve, così in concordanza con il suo stato d’animo che lo prese come un insulto personale, come se anche il tempo fosse in grado di fare ciò che Albus si ostinava a evitare: venirgli incontro e unire il suo potere implacabile al proprio.

Decise allora che quell’anno non avrebbe fatto ulteriormente la figura dell’idiota, e scaraventò in un angolo la scatola che aveva impacchettato qualche giorno prima. Il morbido involucro si accasciò contro il muro senza fare rumore, indifferente al frastuono che la porta chiusa con violenza provocò.

Il mattino dopo Gellert lo fece evanescere con un colpo di bacchetta, deciso a mettere una pietra sopra l’intera questione una volta per tutte.



24 dicembre 1932


Gellert si Smaterializzò nella sua stanza imprecando a mezza voce. La ferita alla spalla stava sanguinando profusamente, e nessuno dei suoi incantesimi sembrava funzionare per guarirlo a dovere.

Scaraventando la sua bacchetta sul letto, maledicendola tanto quanto gli Auror responsabili, arrancò verso la sua libreria personale, cercando di trovare un volume che fosse in grado di spiegare gli strani effetti dell’incantesimo che lo aveva colpito. Mentre scandagliava rapidamente i numerosi volumi, sentì un insistente ticchettio che lo fece voltare e immediatamente aggrottare le sopracciglia non appena vide di cosa si trattava. Una fenice rossa si stava librando fuori dalla sua finestra, la testa inclinata come in un silenzioso rimprovero e uno sguardo determinato nei piccoli occhi scuri.

Gellert esitò solo per un attimo, prima di aprire il vetro e farla entrare. Se non stesse sanguinando su qualsiasi superficie si trovasse nelle vicinanze, sarebbe rimasto meravigliato alla vista di una simile creatura. Le fenici erano nobili e antichi animali, che pochissimi esseri umani avevano il privilegio di osservare dal vivo e ancora meno di interagirvi così da vicino. Prima che potesse esprimere qualsiasi stupore, tuttavia, la bestiola emise un suono acuto e lo afferrò per il bavero del lungo cappotto, spiccando il volo e trascinando dietro di sé un Gellert decisamente sbigottito.

Per qualche istante, mentre sorvolavano il paesaggio, Gellert si chiese cosa stesse succedendo. Lo scenario cambiava troppo rapidamente per prendere nota di qualsiasi dettaglio, confermando i suoi sospetti che la fenice lo stesse portando ben più lontano di quanto un mago meno capace potrebbe pensare.

Non riusciva a comprendere la situazione nella quale si trovava e la perdita di sangue lo stava rendendo lento e abbastanza stordito. Proprio quando iniziò a domandarsi se sarebbe morto a mezz’aria, impigliato tra le grinfie di una fenice e senza alcuna consapevolezza su ciò che stava accadendo, Gellert venne gettato senza troppa delicatezza oltre un’ampia vetrata aperta, candendo su un tappetto rosso e ritrovandosi di fronte Albus Silente.

Se l’uomo era sorpreso di vederlo, non lo lasciò vedere; piuttosto, dopo averlo fissato per pochi secondi, iniziò a raccogliere diversi oggetti sparsi per la stanza. Guardandosi attorno, Gellert realizzò di trovarsi a Hogwarts, nelle camere private del Professore, dove le decorazioni natalizie abbondavano e quella combinazione di colori così aberrante regnava sovrana.

Gellert sorrise nel vedere le tende rosse del grande letto a baldacchino che sventolavano a causa del vento che entrava dalla finestra, mentre una coperta color oro faceva a pugni con i muri ancora bianchi dello spazio.

Un bruciore improvviso gli fece riportare l’attenzione sulla sua ferita, e sull’uomo che la stava guarendo. Con dita abili e svelte Albus stava spalmando un intruglio verdastro sul profondo taglio, e fu solo allora che Gellert si rese conto di essere mezzo nudo. In circostanze diverse, avrebbe senz’altro trovato la situazione a metà tra il divertente – per l’espressione corrucciata di Albus – e il preoccupante – per il fatto di essere ancora talmente abituato al tocco dell’altro da non essersi accorto di nulla – ma in quel momento il dolore lo costrinse a chiudere gli occhi e a concentrarsi sul suo respiro.

“Scusa per il sangue,” disse dopo qualche istante, rompendo il silenzio per la prima volta in oltre trent’anni.

Albus non rispose, evitando il suo sguardo e continuando il suo lavoro meticoloso e preciso. Le sue dita si muovevano con agilità e delicatezza, ma aveva la mascella serrata e un’aria di tensione prevedeva l’intera stanza.

“Hai una fenice,” riprese Gellert, accennando vagamente verso la finestra, sebbene la creatura non fosse più nel suo campo visivo.

“E tu hai un desiderio di morte, Grindelwald,” fu la risposta concisa e irritata dell’altro.

Il biondo sorrise mestamente. “Oh, sono Grindelwald ora? Interessante.”

Quando Albus non disse nient’altro, Gellert allungò una mano, accarezzandogli piano una guancia, particolarmente orgoglioso quando questi inspirò con forza, quasi involontariamente. Applicando una leggera forza, il minore costrinse l’altro a guardarlo; gli occhi cerulei che tanto amava erano ricoperti da un sottile strato lucido, come se Albus si stesse trattenendo dal far divampare la miriade di sentimenti che stava senza dubbio provando in quel momento.

“È Natale,” disse Gellert, come se quello giustificasse qualsiasi cosa.

“Mi hai mandato dei regali,” rammentò quindi Albus. “Due paia di calze. È stato… inaspettato.”

“Sempre meglio dei tuoi, non ti pare?”

Albus ebbe la decenza di apparire imbarazzato, ma prima che potesse spiegare i motivi della sua mancanza – non che ce ne fosse realmente bisogno – il biondo si sporse in avanti. Albus pronunciò un secco “Gellert” che avrebbe dovuto fungere da avvertimento, ma il giovane non si fermò finché la sua bocca incontrò quella del compagno, trascinandolo in un turbinio di passione e necessità improvvisa. Di stare vicini, di non lasciarsi andare un’altra volta, di sentirsi insieme almeno per quel momento.

Quando Gellert fece per mettersi a cavalcioni sull’altro, però, sussultò profondamente per via del dolore che ancora gli faceva pulsare la spalla. Quello che non si aspettava, tuttavia, fu Albus stesso che lo sollevò dal punto in cui si era accasciato e lo trasportò fino al letto, adagiandolo delicatamente e avvicinandosi tanto da fugare ogni dubbio sulle sue intenzioni.

“Albus…”

Sta’ zitto.”

Albus prese a baciare ogni centimetro del suo corpo, facendo attenzione a non disturbare la ferita ancora semi-aperta, mentre con gesti fugaci accarezzava distrattamente quello che gli capitava sotto tiro: la linea del collo, un braccio, per poi arrivare a un fianco e posarvi lì il palmo caldo della sua mano.

Ogni tocco era ben più intenso di quello che Gellert ricordava, come se tutti gli anni che avevano trascorso lontani si stessero accumulando nello stesso momento, risultando in un concerto di melodie che per troppo tempo entrambi avevano fatto finto di non amare.

Albus riportò brevemente il suo sguardo sul volto di Gellert e, leggendovi qualcosa che nemmeno lui stesso avrebbe saputo identificare, sfilò i pantaloni ormai rovinati dal sangue e dal forte vento, gettandoli a terra in maniera disordinata.

Prima che Gellert potesse dire qualcosa – anche se, di fatto, non aveva idea di come avrebbe commentato se anche ne avesse avuto la possibilità – Albus si posizionò in ginocchio tra le sue gambe e iniziò a depositare piccoli baci sul suo interno coscia, avvicinandosi sempre di più verso il centro senza realmente toccare quello che avrebbe dovuto, nonostante i tentativi del minore di indirizzarlo nella giusta direzione.

Dopo qualche attimo, divenne chiaro che non aveva alcuna intenzione di soddisfare le esigenze di Gellert, quanto piuttosto di continuare a tormentarlo. La cosa avrebbe dovuto infastidirlo, ma Gellert suppose che probabilmente se l’era meritato.

Quando, dopo quelle che parvero ore, Albus si staccò dal suo corpo, depositando un unico bacio sul suo membro, Gellert si permise di dargli uno schiaffo amichevole sulla nuca, borbottando un “Sei rimasto il solito bastardo” prima di raggomitolarsi sotto le coperte. L’altro lo raggiunse subito dopo, avvolgendolo in uno stretto abbraccio e facendogli posare la testa sulla sua spalla, per poi inspirare profondamente il suo odore.

“Domani mattina dovremo parlare,” disse prima di chiudere gli occhi.

Gellert lo fissò per qualche secondo, prendendo nota di tutti quei particolari che si erano andati a formare nel corso del tempo e promettendo a se stesso di non far trascorrere altri tre decenni prima di interagire nuovamente con l’uomo che amava.

“Come vuoi,” rispose infine, ben consapevole che avrebbe invece restituito il piccolo favore come speciale regalo di Natale non appena il sole fosse sorto e avesse recuperato le energie.

Forse avrebbero persino potuto usufruire dei regali precedenti; fare l’amore in nient’altro che un paio di soffici calze di lana sembrava proprio il tipo di peculiarità che Albus avrebbe approvato.

   
 
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