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Autore: akiremirror    25/12/2020    0 recensioni
Attenzione! Spoiler!
Questa storia è stata scritta partendo dalla 15x19, se non l'avete ancora vista NON leggete.
Dopo più di un mese dal finale di Supernatural, io ancora litigo nella mia testa con gli autori.
Questa è una possibile fine alternativa della 15x19, partendo dal presupposto che ignoro la 15x20.
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Jack Kline, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Poche rapide considerazioni.
È passato più di un mese e io ancora mi chiedo come abbiano fatto a scivolare così sul finale.
Ho deciso che la 15x20 per me non esiste, perché non ha senso, riporta tutto indietro di 15 anni ed è così OOC da risultare una caricatura.

Kripke dice che il finale gli piace, perché è così che se lo era immaginato, all’inizio.
Ecco, appunto, un finale adatto per un arco narrativo di 3 anni poi diventati 5. Oggi quel finale non solo non ha senso, ma straccia i potenti messaggi che Supernatural era riuscito a farci arrivare.
Alla faccia del Keep fighting.
Dice anche che Supernatural è nata come serie horror, quindi non poteva avere un happy ending.
Peccato che l’horror sia paura, non morte, e di paura Supernatural non ne faceva più da parecchio. Addirittura, la scazzottata con Dio sotto un luminoso sole in riva a un meraviglioso lago? Horror proprio… così come ho tremato di paura con il finale della 15x19, con i fratelli in macchina sereni, in viaggio verso il tramonto. Vabbè.

Dunque, oltre alla FF lunga che sto scrivendo per consolarmi e cercare di rimediare a un finale che non conclude decentemente nulla, ieri ho pensato che non sarebbe servita proprio la 15x20: se volevano chiudere con il botto potevano farlo con una mossa impopolare ma coerente, facendo morire tutti, facendoli sacrificare per donare al mondo il free will senza poterne però godere.
Tragico, epico, definitivo.

Quella che segue è quindi una possibile conclusione, così come me la sono immaginata.
Le ultime due battute di Sam e Dean le ho messe in inglese intenzionalmente. L'unico accenno a come tutto questo è iniziato che meritasse di essere richiamato.

Disclaimer: I personaggi e i luoghi di questo racconto non mi appartengono.



No Happy ending. Maybe

I pugni di Chuck erano più forti a ogni colpo: Dean ne sentiva la rabbia e la frustrazione, ne sentiva la feroce soddisfazione nel piegarli in quel modo.
Qualcosa gli disse che il fatto che lui e Sam si rialzassero ogni volta da terra fosse una soddisfazione per quel figlio di puttana, che trovava così la scusa per colpirli, ancora e ancora e ancora.
Il sapore del sangue in bocca diventò presto irrilevante, mentre il suo corpo veniva colpito per l’ennesima volta.
Il dolore esplose di nuovo, incontrollabile, mentre una saetta gli partiva da dietro il capo per scuotergli tutta la spina dorsale.
Doveva rialzarsi, doveva rimettersi in piedi, accanto a Sam, e continuare a provocare quel bastardo per permettere a Jack di assorbire quanto più potere possibile.
Così premette le mani a terra e si rialzò, fiero, ostinato e traboccante di dolore.
Aprì gli occhi e si trovò all’interno di una stanza dalle luminose pareti bianche.
Per un attimo rimase pietrificato, poi qualcosa di amaro gli scese giù in gola mentre capiva.
Era morto.
Quell’ultimo colpo, quella saetta dietro il capo…
Chuck gli aveva spezzato il collo.
Si sentì tremare ma strinse i denti.
Sam.
Sam forse stava ancora lottando.
Sam poteva farcela.
Si aggrappò a quel pensiero con tutto se stesso e si sarebbe messo a pregare, in cerca della forza e della pazienza per attendere che tutto si compisse, se non fosse stato che l’unico destinatario di quella preghiera ormai non poteva più sentirlo.
Castiel.
Un nuovo dolore, sordo e totalizzante, lo travolse come uno tsunami.
Serrò di nuovo la mascella, costringendosi a pensare ad altro.
Si guardò attorno e vide che la stanza era assolutamente spoglia, c’era solo una porta verniciata di bianco, chiusa.
Non ebbe il coraggio di andare ad aprirla, riuscì solo a fissarla in attesa che qualcosa cambiasse.
Dopo quelli che gli parvero pochi minuti un lamento lo fece girare di scatto.
Vide Sam, steso a terra, che come lui si ostinava a rimettersi in piedi.
Come era successo a lui, il fratello si rialzò e si paralizzò quando vide dov’era.
“Dean…” disse Sam, incredulo.
Si incontrarono a metà strada, abbracciandosi con disperazione.
“Ci ha…”
“Uccisi. Sì. Jack?”
“Non lo so, ho visto che stava assorbendo il potere di Chuck fino a poco prima che…”
Sam non riuscì a finire la frase e il panico gli piegò i lineamenti del volto.
Dean lo afferrò per le spalle e lo scrollò appena.
“Jack ce la può fare.”
Sam annuì e gli restituì uno sguardo determinato.
Avevano fatto tutto quello che potevano, avevano dato la vita per quel free will che tanto avevano desiderato. E ora di vita non ne avevano più.
Uno scossone li fece cadere a terra e le luci del paradiso si spensero, facendoli sperare.
Per alcuni istanti fu tutto buio, poi la luce tornò, leggermente più fioca, e la porta si aprì.
Una giovane donna fece capolino, guardandoli con uno strano timore negli occhi.
Era un angelo, e aveva paura di loro.
“Credo… credo dovrete avere ancora un po’ di pazienza. Non lo sentiamo bene, ma sta arrivando.”
“Chi?” chiesero Dean e Sam quasi contemporaneamente.
L’angelo si strinse appena tra le spalle.
“Beh… Dio.”

*

I movimenti di Jack erano immutati, era sempre un po’ rigido, sempre un po’ fanciullesco, ma li stava guardando con una strana serenità negli occhi, anche se era dispiaciuto.
“Non volevo che foste voi a morire…”
“Non dirlo, Jack. Eri disposto a dare la tua vita per sconfiggere Chuck. E per noi valeva lo stesso.”
La voce di Dean era stranamente ferma e quieta.
Il fatto che il loro piano avesse funzionato lo stava facendo sentire così felice che quasi non stava facendo caso al fatto di essere morto.
“Io però… vorrei potervi dare quello per cui avete combattuto. Solo che…”
Sam gli mise una mano su una spalla e strinse appena.
“Non devi sentirti in colpa.”
Jack annuì, osservando un attimo il pavimento.
“Amara dice che sono luminoso. Che se cominciassi a cambiare il destino degli uomini diventerei più oscuro, come lui…”
“Amara? È lì con te?” chiese Dean, la voce leggermente tesa.
Jack alzò lo sguardo, una pupilla luminosa e una completamente nera.
Dall’occhio nero uscì il fumo di Amara, che si ricompose sotto i loro occhi.
Il suo sguardo ferito e arrabbiato si posò su Dean, che non fiatò.
“Mi hai mentito!”
“Sì. Mi dispiace, ma lo rifarei.”
“Sfacciato!” sibilò lei, osservandolo con amarezza un attimo dopo. “Ma non sei stato tu. Lo sai, vero?”
Dean la guardò, allibito.
“Vuoi dire che…”
“Chuck mi voleva in sé. E quello è stato il suo modo per arrivare al risultato.”
Per un attimo, Dean desiderò poterla consolare, perché in fin dei conti era stata anche lei una marionetta nelle mani di Chuck, ma non si mosse, non poteva farlo, perché se avesse cominciato a consolare gli altri non gli sarebbe rimasto nulla per tenere in piedi se stesso.
“Loro però hanno sacrificato tanto…” provò a dire Jack, ma Amara scosse la testa.
“No, Jack. Se vuoi essere migliore di Chuck non puoi ridisegnare il fato degli uomini. Puoi cambiare le cose qui, puoi creare nuovi mondi, ma non puoi…”
Amara fece scorrere lo sguardo da Dean a Sam e non finì la frase.
Dean annuì e sollevò un angolo della bocca.
“Come ho detto prima, eravamo pronti a correre il rischio…”
“E almeno siamo in paradiso, no?” convenne Sam, la voce incrinata da un nodo in gola.
Jack li guardò, gli occhi pieni di dispiacere e di qualcosa che a Dean sembrò ammirazione.
“Bene” disse, per evitare di mettersi a urlare. “Per quello che ne so… ci spetta un lungo soggiorno nel nostro ricordo più felice, no?”
Non appena ebbe pronunciato quelle parole, gli sembrò che nel suo petto si fosse appena contratto qualcosa di così pesante e spigoloso da fargli provare un intenso dolore fisico.
Il suo ricordo più felice… non era certo di dove sarebbe finito, ma la parola “felice” gli fece pensare solo a lui, al suo angelo perduto.
Fece uno sforzo per non pensarci, ma non riuscì a togliersi dalla mente l’immagine del sorriso di Castiel mentre veniva inglobato dal Vuoto.
“Sì… però vorrei mi aspettaste qui…” disse Jack, lanciando uno sguardo ad Amara, che annuì, un sorriso quasi materno sul volto. “Nel frattempo…”
La porta della stanza si aprì e l’angelo che aveva preannunciato l’arrivo di Dio fece capolino, osservando Jack con completa devozione.
Jack non disse una parola, le sorrise e lei annuì, scomparendo un attimo dopo.
“Spero non ci impiegheremo molto…” disse poi, guardandoli, mentre Amara lo prendeva per mano. Sorrise ed entrambi si dissolsero in fumo, uno nero come la notte più buia e uno luminoso tanto da costringere Sam e Dean a chiudere gli occhi.

*

Dean era convinto che il paradiso fosse il luogo della quiete, si sorprese quando sentì il rumore di passi affrettati che si avvicinavano.
La porta della stanza si spalancò ed Eileen comparve sulla soglia, gli occhi sgranati e le guance arrossate.
Sam la fissò per un attimo, poi si lanciò verso di lei e la prese tra le braccia sollevandola da terra.
Piansero l’uno tra le braccia dell’altro, tenendosi stretti e cercandosi con lo sguardo come se potessero comunicare anche solo tramite quello.
E forse riuscivano a farlo davvero, si disse Dean. Quante volte era bastato mezzo sguardo con Cas per capirsi?
Di nuovo, il dolore al petto lo fece tremare, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Era in paradiso e riusciva a piangere? Forse, in fin dei conti, quello non era il suo posto.
Distolse lo sguardo dalla felicità del fratello per non dover ricordare un altro sorriso, sincero e quieto, che gli aveva strappato il cuore dal petto.
Perché aveva sprecato il suo tempo con Cas? Perché lo aveva trattato con così tanta superficialità? Non se lo meritava… no, il suo angelo decisamente non se lo meritava. Ma lui era uno stronzo, un coglione incapace di proteggere chi amava dal male che poteva fare loro.
E con Cas era stato peggio che con tutti gli altri.
Aveva sempre saputo che l’angelo gli sarebbe stato accanto, ma era convinto che fosse per un tipo di affetto diverso dall’amore. E a lui era andato bene così, perché quella convinzione aiutava a tenere sotto controllo quello che invece provava lui. Lui, Dean, quello sempre arrabbiato, rotto, devastante nella sua furia… Dean, che amava un angelo con una tale disperazione da togliergli la lucidità. Dean, che riversava su un angelo tutte le sue frustrazioni, sapendo che l’altro in qualche modo sarebbe sempre tornato. Dean, che sentiva le cose andare al loro posto solo quando il suo angelo entrava nella stessa stanza in cui era lui.
Eileen incrociò lo sguardo spezzato di Dean e disse qualcosa all’orecchio di Sam, che subito si girò verso il fratello.
Dean seppe solo che in pochi momenti suo fratello era davanti a lui, che lo guardava con apprensione, una domanda silenziosa negli occhi.
“Cas mi ama, Sam… è stata l’ultima cosa che mi ha detto prima di dirmi addio.”
Non aveva idea del perché avesse pronunciato ad alta voce quella cosa.
Era convinto che si sarebbe portato quella verità chiusa dentro sé fin nella tomba. Ma forse era proprio quello il problema, era morto.
Che senso aveva tenere quel segreto.
Aveva bisogno di farlo uscire, aveva bisogno di dirlo, di pronunciare parole taglienti come rasoi e lasciare che il dolore finisse di sbriciolarlo.
Sam lo strinse a sé. Alle sue spalle, Eileen distolse lo sguardo, le mani premute sul cuore.
E Dean crollò.
Pianse tra le braccia del fratello che aveva protetto per una vita, e che ora in morte stava cercando di proteggerlo da un dolore che non se ne sarebbe mai andato.

*

La stanza si era riempita di qualche comfort, un divano e due poltrone, una finestra che dava su un paesaggio verde e rigoglioso, un giardino zen in miniatura.
Dean lo osservò con perplessità, mentre il tempo perdeva significato. Da quanto tempo erano lì? Perché non li avevano ancora mandati nelle loro stanze paradisiache?
Eileen non era tornata nella sua, era ancora accanto a Sam, e a Dean sembrò strano.
Che cosa stava succedendo?
Dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare, l’angelo a guardia di quella porta si introdusse discretamente nella stanza e fece cenno a Eileen e Sam di seguirla.
“E mio fratello?” chiese Sam, tenendo Eileen per mano.
“Sammy…” sospirò Dean, sorridendogli.
Lo sguardo terrorizzato di Sam gli strinse il cuore, ma continuò a sorridere.
“Se vi faranno stare insieme, veramente insieme e non solo nell’illusione di un ricordo, posso dirmi soddisfatto di questo paradiso.”
Lo pensava davvero, il suo Sammy meritava quel tipo di serenità e di amore, al di fuori del nido che erano stati l’uno per l’altro per tutti quegli anni.
Sam annuì e abbozzò un sorriso, ma non accennò a muoversi.
Dean allora lo raggiunse e gli diede una pacca sulla schiena.
“È ora, Sammy” disse, abbracciandolo. “Sii felice. È tutto quello che voglio.”
“Cerca… Dean, cerca di esserlo anche tu.”
Dean sciolse l’abbraccio e annuì, evitando lo sguardo del fratello. Preferì cercare gli occhi di Eileen.
Le sorrise e lei ricambiò, annuendo appena.
Sapeva che si sarebbe presa cura di suo fratello e tanto gli bastò.
A passo incerto, Sam uscì dalla stanza, e quando Dean rimase da solo si appoggiò al muro, poi scivolò giù, realizzando che ora era davvero solo.
Rimase così per poco perché quella posizione era peggio di una lama piantata nel cuore; aveva passato in quella stessa posizione una notte intera piangendo per Cas e ora non poteva pensarci.
Perché Jack aveva detto che dovevano aspettarlo lì e poi Sam era stato fatto allontanare?
Il terrore che qualcosa stesse andando storto gli fece provare di nuovo paura.
Doveva capire che cosa stava succedendo.
E che gli dicessero pure di non uscire da lì, lui lo avrebbe fatto lo stesso.
Allungò la mano verso la maniglia della porta ma quella scattò dall’esterno e la porta si aprì.
Sollevando gli occhi Dean rimase immobile, gli occhi sbarrati e la bocca appena spalancata, come se volesse usarla per parlare ma all’improvviso non gli fosse possibile dire nemmeno mezza lettera.
Sulla soglia, a pochi passi da lui, Castiel lo stava guardando con aria incerta.
Rimasero fermi a fissarsi per un secondo di troppo rispetto a quello che Dean era disposto ad aspettare.
Allungò le mani per afferrare il trench dell’angelo, sorprendendosi nel sentire veramente il tessuto tra le sue mani. Non se lo stava immaginando!
“Ciao, Dean” bisbigliò Castiel, capendo la sua confusione. “Jack e Amara… mi hanno liberato.”
Dean continuò a fissarlo, sbigottito. Lo vide avanzare verso di lui e osservarlo con attenzione.
“Dean…”
La voce di Castiel era come una strana musica che riusciva ad accarezzare ogni angolo della sua anima. Era sempre stato così, ma in quel momento valeva il doppio.
Era lì davanti a lui. Il suo angelo.
“Cas…” bisbigliò, gli occhi incollati a quelli azzurro come il cielo dell’altro. Ci si sarebbe potuto perdere in quegli occhi. Gli era capitato così spesso, in vita… aveva perso il conto di quante volte aveva fatto una fatica terribile a ritornare il sé dopo essersi immerso in quell’oceano cristallino.
Castiel annuì, gli occhi sfuggenti.
E Dean capì che di nuovo si stava comportando come un idiota.
Strinse la presa sul tessuto del trench e lo attirò a sé, senza incontrare alcuna resistenza. Erano così vicini da non riuscire a guardarsi ancora negli occhi, ma non era quello che Dean voleva fare.
Gli sfiorò le labbra con un bacio, galvanizzato dalla reazione di Cas.
Cas, Cas, Cas!
Era lì, tra le sue braccia, sulle sue labbra, e Dean era certo che, se fosse stato ancora vivo, gli sarebbe scoppiato il cuore.
Baciò ancora la sua anima gemella, perso in qualcosa che era convinto di non meritare fino in fondo ma che ora sembrava così ovvia e naturale che calde lacrime liberatorie gli rigarono le guance.
“Ti amo anch’io, Cas…”
Castiel tremò contro di lui, un sorriso stordito sulle labbra. Dean lo strinse e rise, il cuore sollevato dal posto buio in cui era caduto da quando il Vuoto si era preso il suo angelo.
Attorno a loro i muri si fecero via via sempre più trasparenti, facendoli scattare allerta.
Uscirono dalla stanza e Jack li osservò con uno strano sorriso compiaciuto in volto.
Sam ed Eileen erano ancora lì, nel luminoso corridoio su cui affacciavano infinite porte verniciate di bianco.
“Abbiamo cambiato il mondo” disse Jack, rimanendo accanto ad Amara. “Che ne dite di cambiare anche il paradiso? Non sono del tutto convinto che così funzioni bene.”
Amara lo osservò con attenzione, poi fece correre lo sguardo su quello che avevano attorno.
“Hai già in mente come ricrearlo?”
Jack si strinse nelle spalle, l’espressione innocente di un bimbo entusiasta in volto.
“A dire il vero penso che prima dovremmo distruggere un po’, se ti va di aiutarmi. Ci sono troppi muri. Non credo che le anime dovrebbero stare isolate.”
Amara sorrise e annuì, avviandosi lungo il corridoio.
“E noi?” chiese Sam.
“Voi potete aiutarmi. Ci sono tante cose che ancora mi sfuggono. Ora vedo e comprendo molto, ma questi poteri… sono lontani dalla complessità dell’anima umana. Vorrei che mi aiutaste a capire bene le esigenze di chi arriva qui.”
Dean lanciò uno sguardo a Castiel, che sorrise e annuì, facendo cenno a Eileen di raggiungerlo.
Qualcosa di meraviglioso esplose nel petto di Dean: sì, bastava davvero mezza occhiata per capirsi.
“Credo che la cosa di cui le anime umane hanno più bisogno sia l’amore” disse Castiel, osservando Jack, che lo raggiunse ascoltandolo con la massima attenzione. “Quindi, sì, l’idea di eliminare i muri è quella giusta.”
Dean lasciò che Castiel portasse Jack ed Eileen qualche passo oltre a lui, poi si girò verso Sam e lo guardò come non aveva mai fatto. Libero.
“Quindi questo è quanto?” chiese Sam, in un sospiro.
Dean annuì, osservando la sua strana famiglia camminare lungo i corridoi del paradiso.
“Questo è quanto. Abbiamo sconfitto Dio e ora facciamo da consulenti al nuovo Dio.”
Sam sorrise e gli passò un braccio attorno alle spalle.
“È stato un viaggio incredibile, no?”
“Sì, un viaggio incredibile.”
Si avviarono sui passi di Castiel ed Eileen, poi Dean spintonò appena Sam, sorridendo.
“Bitch.”
“Jerk.”
  
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