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Autore: lapacechenonho    29/12/2020    4 recensioni
Aquilegia: pianta il cui nome deriva dal latino “aquila”
perché i fiori ricordano l’artiglio di un’aquila.
fiorisce in Asia, America, Europa e in alcune zone
delle Alpi e degli Appennini.
Fioriscono in primavera tra aprile e maggio.
Nel linguaggio dei fiori, l’Aquilegia simboleggia
l’amore nascosto.
[Storia partecipante alla challenge "Solo i fiori sanno" indetta da Pampa313 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, James Sirius Potter | Coppie: James Sirius/Dominique
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Seasons of love. '
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Aquilegia: pianta il cui nome deriva dal latino “aquila”
perché i fiori ricordano l’artiglio di un’aquila.
Fiorisce in Asia, America, Europa e in alcune zone
delle Alpi e degli Appennini.
Fioriscono in primavera tra aprile e maggio.

Nel linguaggio dei fiori, l’Aquilegia simboleggia
l’amore nascosto.
 
Dominique chiuse il libro che sua madre teneva sempre a portata di mano fin da quando ne aveva memoria. Era sempre stata innamorata dei fiori e soprattutto del significato che si celava dietro di essi, passione che – inaspettatamente – non aveva trasmesso a nessuno dei suoi figli. Il libro le era caduto a terra mentre prendeva la bacchetta e si era aperto in quella pagina, quasi per caso. Dominique si era fermata a leggere quella spiegazione senza un reale motivo, ma quelle poche righe non avevano fatto altro che farle pensare ad una sola persona, al suo amore nascosto: James.
Non James un compagno di scuola, James Sirius Potter, suo cugino, il figlio di Harry Potter e Ginny Weasley. Provare sentimenti così forti per un suo parente a volte la faceva sentire in colpa, altre volte ricordava che la storia della magia era piena di primi cugini che si erano sposati e avevano dato origine ad una famiglia. Se lo avevano fatto in passato senza dare tanto scalpore, potevano anche farlo adesso, no?
«Dom, tesoro, mi aiuti con la torta di Louis?» la voce gentile della madre la riportò alla realtà. Erano a casa per Pasqua e avevano colto l’occasione per festeggiare il compleanno di Louis con un po’ di parenti. Ovviamente non sarebbe mai mancata la famiglia Potter, croce e delizia per Dominique. Annuì e si diresse in cucina. Le piaceva cucinare, la aiutava a distrarsi e dopo riusciva a pensare più lucidamente. Era efficace quasi sempre, tranne quando si trattava di James e soprattutto tranne quando James appariva dal nulla in cucina facendole prendere un infarto.
«Che ci fai qua?» sibilò lanciando occhiate verso la porta. James sorrise rilassato.
«Rilassati» disse mettendo le mani avanti. «Sono solo entrato nella cucina di casa di mia zia a salutare mia cugina. Non c’è niente di sbagliato» continuò. Le parole sembrarono rilassare Dominique che tornò a dedicarsi alla scritta “Happy birthday Louis” con la sac à poche. «L’hai fatta tu?» domandò il ragazzo vedendo che Dominique non rispondeva.
«No. È passato Babbo Natale e mi ha detto solo di fare la scritta perché lui non ha fatto in tempo. Dice che è in ritardo per dicembre» rispose ironica senza guardare James.
«Ah-ah» ribatté senza allegria. «Siamo simpatiche oggi».
«Sai, il mio ragazzo mi ha dato lezioni di ironia» lo stuzzicò guardandolo in quegli occhi nocciola così simili a quelli della zia Ginny.
«Oh, per favore, il tuo ragazzo non è così pessimo con le battute» si vantò alzando le sopracciglia. Dominique fece una risata leggera ritornando a focalizzare l’attenzione sulla torta. Sentì James muoversi per la cucina ma non ci badò più di tanto. In fondo aveva ragione: era solo James nella cucina della casa dei suoi zii che passava a salutare sua cugina. Nulla di equivoco, nulla di strano. Rimase convinta di questo fin quando non sentì James accostarsi dietro di lei e percorrere tutta la lunghezza del braccio provocandole la pelle d’oca sotto la maglietta di cotone. Le dava dei baci languidi sul collo che Dominique ben sapeva cosa volessero dire.
«James» protestò. «Sei solo a casa dei tuoi zii, nella loro cucina a salutare sua cugina» gli rammentò con fatica.
«Hmm hmm» mugugnò in un verso che doveva essere un sì, ma la bocca era troppo impegnata in altro. «Non ho detto come voglio salutare mia cugina, però» aggiunse con tono furbo, staccandosi da lei e appoggiando il mento sulla spalla di Dominique.
«Be’, non puoi farlo in questo modo, non adesso e non qui» rispose perentoria, cercando di riprendere la “D” di “birthday” che era uscita piuttosto tremolante.
«Sei una guastafeste» si imbronciò abbassando la testa; adesso era la fronte ad essere appoggiata alla sua spalla. Dominique sbuffò. Era sempre il solito James di quando erano bambini: voleva tutto e subito, era impaziente, sbruffone, vanitoso e spavaldo, l’incarnazione perfetta di James Potter e Sirius Black. Eppure Dominique non poteva fare a meno di amarlo. Tra tutti i ragazzi del Castello avrebbe scelto sempre James, non le importava del grado di parentela o di quello che avrebbero potuto dire le loro famiglie, lo amava e avrebbe voluto urlarlo al Mondo Magico e pure a quello Babbano.
Lo amava e forse lo sapeva da quando aveva sette anni e invece di giocare con tutto il resto dei cugini, lei preferiva stare con James e subirsi le sue prese in giro. Solo che prima era stata troppo piccola, poi troppo spaventata del giudizio altrui e solo negli ultimi tempi era riuscita a fare un po’ più di pace con la parte razionale e quella sentimentale che aveva dentro di sé.
Dominique finì la scritta sulla torta e solo in quel momento si rese conto che James era sempre rimasto dietro di lei, le cingeva i fianchi e non faceva nient’altro che fissarla. Alcune volte le era capitato di sorprenderlo a guardarla senza un perché, solo che non si era mai concentrata su quanto spesso accadesse. Quello che sapeva, però, era che la consapevolezza di avere addosso lo sguardo innamorato di James le avrebbe sempre provocato il salto di un battito cardiaco.
«Finito!» annunciò schiarendosi la voce e cercando di darsi un contegno.
«Bellissima» mormorò James e Dominique non sapeva se stesse parlando della torta o di lei.
 
«Per Merlino, quanto ci hai messo?!» protestò Bill Weasley mentre osservava la figlia uscire dalla cucina seguita da James. Dominique provò una fitta di senso di colpa a pensare a cosa era successo nella cucina, ai pensieri che aveva avuto e poi tornare in salotto come niente fosse.
«Zio Bill, tua figlia è una perfettina, lo sai che deve avere tutto sotto controllo. Mi sembra di averla sentita rimproverare uno strato di cioccolato perché era troppo cioccolatoso» la prese in giro James allargando le braccia. Suo padre rise e Dominique assottigliò gli occhi in uno sguardo omicida. James, però, ricambiò ammiccando. In fondo sapeva che lei non lo avrebbe mai ucciso. Fece una linguaccia e poi appoggiò la torta sul tavolo.
Il salotto era pieno di parenti e – come sempre quando era in quelle situazioni familiari – cercò di creare una distanza fisica da James andando a parlare con Roxanne e Molly. Evitava lo sguardo di James, provava a non cercarlo tra la folla di parenti, anche quando sentiva lo sguardo brucente di lui addosso.
«Credo che James voglia dirti qualcosa» si interruppe ad un certo punto Molly. Con l’indice indicava il lato opposto della casa dove James la guardava senza un apparente perché.
«Oh, non fa niente, può aspettare» rispose con un’alzata di spalle tornando al discorso di prima.
 
La torta che aveva preparato in fin dei conti era uscita bene, solitamente non era mai contenta delle sue ricette, ma stavolta ne era abbastanza soddisfatta. Dopo averla consumata, appoggiò il piattino di carta sul primo ripiano disponibile, chiese scusa alle cugine, e si recò fuori da Villa Conchiglia. Appoggiò le mani alla balaustra stringendola forte, facendo diventare le nocche bianche. Stare nella stessa stanza di James e non poterlo toccare o baciare o fare finta che lui non esistesse stava diventando insopportabile.
Il rumore della porta la fece girare di scatto. Era James.
«Si accorgeranno che manchiamo» osservò cercando di rientrare. James la bloccò per un braccio e Dominique fissò i suoi occhi castani così belli. Le ricordavano il cioccolato di tutte le sue ricette che lui aveva sempre assaggiato prima di tutti.
«Andiamo a fare una passeggiata».
Non era una domanda ma non era manco un ordine. Era un’affermazione. Era come se avesse comunicato ad una terza persona che si sarebbero allontanati per fare due passi. Dominique sospirò e scese i tre gradini della veranda affondando le scarpe nella sabbia. Sua madre avrebbe fatto questioni al ritorno ma poco le importava.
Camminarono in silenzio per un po’, il vento faceva mulinare i capelli biondi e lunghi di Dominique e sorridere James della smorfia infastidita sul volto della ragazza. Si tenevano mano nella mano e passeggiavano senza una meta precisa, volevano solo stare insieme e godersi quell’attimo di pace in cui non c’erano parenti e loro non erano cugini. Solo due ragazzi profondamente innamorati l’uno dell’altra.
«Spegni quel cervello» disse James di punto in bianco sedendosi sulla sabbia fredda di aprile. Dominique lo imitò e si sedette al suo fianco. Lo guardava confusa. «Spegni la mente, non pensare se ci vedono, se lo scoprono, a cosa direbbero, al giudizio degli altri. Goditi quello che abbiamo».
Dominique fissò l’oceano davanti a sé. Le parole di James erano vere, se le era ripetute più volte anche lei da quando stavano insieme. Eppure c’era quella parte profondamente logica che le impediva di lasciarsi andare del tutto. «Forse non diremo mai ai nostri genitori che stiamo insieme o forse sì e litigheremo di brutto. Onestamente non lo so. Ma ti prego, per il momento viviamo quello che abbiamo» la incitò. La ragazza rimase in un silenzio tombale, fissando le onde e la loro risacca.
Aveva sempre trovato affascinante come le onde continuassero a sbattere sulla riva, con l’unica aspettativa di infrangersi sulla sabbia o sugli scogli. L’aveva sempre paragonato alla passione che spinge la gente a farsi male senza curarsene più di tanto, perché è quella passione a farla restare in vita.
Furono le onde a suggerirle di lanciarsi verso James e baciarlo con così tanta foga da farlo cadere all’indietro e ritrovarsi sopra di lui. Dovettero staccarsi perché l’ossigeno ormai era troppo poco. «Per Godric, non pensavo di essere un motivatore così bravo» commentò annaspando. Dominique rise e gli diede un pizzicotto sul braccio.
«Non è merito tuo. Hanno fatto tutto le onde» lo avvisò. James aggrottò la fronte.
«Le onde?»
«Storia lunga» rispose con una strana allegria. Loro malgrado, però, dovettero tornare a casa. Si stava facendo buio e probabilmente la gente stava per iniziare ad andare via.
Quanto tornarono, videro Fleur piegata su un vaso di ceramica che analizzava un piccolo fiore appena nato. Era aperto ma rivolto verso il basso, come se volesse nascondersi agli occhi altrui.
«Mamma, che stai facendo?» chiese.
«Oh, niente Dom. James, i tuoi sono ondati via ma ho lasciato il camino attivo così puoi tornare a casa quando vuoi» rispose guardando il nipote.
«Gentili…» mormorò James leggermente infastidito. Poi guardò Dominique per un attimo. «Allora vado, altrimenti chi la sente mia madre» aggiunse baciando Dominique sulla guancia e correndo verso l’interno. Quel gesto la fece impercettibilmente arrossire. Insomma, erano andati ben oltre i baci sulla guancia, eppure quel gesto così infantile era in grado di imbarazzarla.
«Che strono» continuò a mormorare Fleur mentre girava intorno a quel vaso. Dominique pensò si riferisse al gesto di James e si allarmò.
«Che cosa?» chiese con una voce leggermente stridula.
«Quosto fiore» rispose senza guardare la figlia che sospirò sollevata. «Non capisco. In quosti giorni ha fatto caldo, dovrebbe essere morto…»
Dominique alzò le spalle rassegnata ai dubbi della madre sui fiori. «Che fiore è?» domandò cercando di apparire interessata.
«Un’Aquilegia. Resiste alle basse temperature ma non a quelle alte…» spiegò. Dominique rimase ferma sul posto a fissare quel piccolo fiore giallo appena nato. Ricordava di aver letto il nome sul libro di sua madre quella stessa mattina.
«Nel linguaggio dei fiori simboleggia l’amore nascosto…» mormorò come se fosse in trance, riportando le parole del libro. La madre alzò il capo dal fiorellino per la prima volta da quando Dominique era tornata. Annuì con un pizzico di orgoglio, di certo non poteva sapere che la figlia non avesse sviluppato la passione per le piante all’improvviso, ma che quel fiore le ricordava suo cugino, quello che doveva amare di nascosto dagli altri, dagli amici e dai parenti.
«Vado a dare un’occhiata al libro per vedere se dice qualcosa» affermò lasciando il fiore e sua figlia all’esterno della casa. Dominique guardò quel fiore spelacchiato e pensò che se il fiore dell’amore nascosto era sopravvissuto alle temperature inusuali e torride di quei giorni, forse anche lei e James avrebbero potuto coltivare il loro amore. Magari lontano da tutti, per un po’, ma ci sarebbero riusciti. Ne era certa.
 
Bella si erge l’aquilegia e china il suo capo.
È emozione? O è spavalderia?”
(J. W. Goethe)
 
 
Angolo autrice:
Non chiedetemi come sia nata questa storia perché non ne ho idea. Stamattina stavo dando un’occhiata al bando della challenge, ho letto di questo fiore e poi la storia è nata da sé. Tutte le informazioni che trovate sul fiore in questione le ho prese da internet, tra siti di giardinaggio e Wikipedia. Anche la frase l’ho trovata mentre approfondivo la mia cultura botanica praticamente inesistente.
È l’ultima storia della serie che riguarda la coppia James Sirius e Dominique, ma non penso che sarà l’ultima volta che scriverò di loro. Ho in mente di creare una serie simile ma con il punto di vista di James. Tuttavia non è una cosa certa, dipende tutto da come lavora l’ispirazione che – come sapete bene – è indipendente dalla volontà dell’autore/autrice.
Spero con tutto il cuore che vi piaccia.
A presto,
Chiara.
 
Ps. Vi giuro su quello che volete che la passione dei fiori di Fleur non è dovuta al suo nome. Mi sono accorta della cosa solo quando ho scritto per la prima volta il nome di Fleur e ormai era troppo tardi per cambiare tutto ahahah.
   
 
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