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Autore: D a k o t a    29/12/2020    1 recensioni
[Sam&Dean - post 10x03]
In cui Sam affitta una casa sul lago e Dean ha un incontro ravvicinato con un Rusalka.
"La voce di Sam invade la stanza e sembra arrivare da un altro mondo. Dean prende un respiro profondo, temendo che le voci nella sua testa riprendano a fargli male, che il marchio riprenda a consigliarlo in quel modo che è male."
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Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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In principio è la tenerezza verso un Sam di quattro anni che si aggrappa a lui, cercando di tenersi a galla.

Poi è la paura quando prende confidenza con l’acqua e sparisce per troppo tempo, in apnea.

Infine è l’orrore quando non riemerge ed è la sua mano a premere sulla sua testa.

“Ehi, stai tranquillo. Hai la febbre ed è solo un incubo”

La voce di Sam invade la stanza e sembra arrivare da un altro mondo. Dean prende un respiro profondo, temendo che le voci nella sua testa riprendano a fargli male, che il marchio riprenda a consigliarlo in quel modo che è male.

Eppure quell’incubo, fatto di bisbigli e sussurri evanescenti, si è zittito tempo prima - la voce di Sam è stata come acido lungo le sue corde vocali. Per un attimo può smettere di aver paura.

Si mette a sedere sul letto goffamente, guardandosi intorno. La stanza che Sam ha affittato per quella pausa forzata dalla caccia ha pareti bianche e si affaccia sul lago. Quel fine settimana allungato è ben diverso da come lo aveva immaginato Dean: è pesante di rami di alberi carichi di pioggia e di fango, di una stradina che porta ad una casa per forestieri fredda e umida dove non c’è nient’altro oltre che loro, qualche antibiotico che Sam ha acquistato e le coperte che profumano di naftalina. Non ci sono feste, cocktail, voci che gli facciano dimenticare di avere un peso specifico, un marchio che assomiglia ad un’incudine inesorabile. Non c’è nessun bastardo da fare fuori che possa fargli dimenticare quello che ha fatto.

“Ho preso del paracetamolo in una farmacia di turno” continua poi Sam, con gli occhi fissi su di lui, perché è sempre stato così dannatamente scontato. Poi abbassa la voce, come se dovesse confessarsi. “Credo di aver capito perché papà non ci ha mai portato a nuotare”

La sorpresa nel volto di Dean non tarda a divenire il più aperto terrore, quando quell’immagine di Sam che si dimena sott’acqua gli rimbomba nuovamente nella testa, come un colpo di cannone.

L’umidità sulle sue tempie aumenta, ma non merita di fermarla. Ha smesso di credere di meritare qualcosa molto tempo prima.

“Il rusalka che ci ha aggrediti ieri. Ho trovato un appunto sull’agenda di papà” dice Sam in risposta alla sua domanda muta, ma le sue sopracciglia si piegano in un’espressione di preoccupazione, quando il maggiore si lascia andare ad un sospiro di sollievo e appoggia la testa sul cuscino.

La mente di Dean sembra riscuotersi e tornare rapida al lago, al fatto che nemmeno un week-end normale potesse essere davvero normale e a come fosse finito letteralmente nell’acqua gelida, sulle tracce di uno stupido mostro di lago.

“Ce ne hai messo di tempo. Meglio tardi che mai, fratellino” borbotta, e negli occhi ha un altro lago, altre vittime, in un eco lontano di quasi dieci anni prima, quando aveva appena portato via Sam da Stanford.

Dean parla con voce leggera, ma il tono non riesce ad appianare le linee che gli segnano la fronte, la piega contratta della mascella.

Per un momento il silenzio che c’è nella stanza è riempito solamente dai movimenti di Sam, intento a sciogliere una bustina di paracetamolo in un bicchiere, come se fosse davvero la febbre il loro più grande nemico, come se il marchio sul suo avambraccio non esistesse, come se non avesse cercato di uccidere suo fratello due settimane prima.

“E’ pronto” afferma a bassa voce suo fratello dopo un po’ di tempo.

La sua voce arriva come un sussurro.

Sussurrava anche quel giorno di poche settimane prima, quando erano solo loro due e tutto il resto era solo una macchia irrilevante.

Lo rivede nascondersi nel bunker – nascondersi da lui.

Lo rivede muovere quei pochi passi verso il muro, il volto deformato da una sorpresa che tardava a divenire terrore.

Tutti urlavano, anche le cose.

Sam non ha urlato invece. Sam ha sussurrato.

E questo è stato il motivo per cui in un primo momento non ha compreso di aver quasi ucciso suo fratello. In un primo momento.

Osserva per un momento il bicchiere nelle mani di Sam. La febbre sembra peggiorare le voci nella sua testa, eppure non merita di fermarle. Tutto – persino loro – sembrano fare meno male di quel ricordo.

Sam si siede accanto a lui, sul suo letto, in un gesto di muta comprensione.

“Ha ucciso il suo stupido fratello solo perché Dio non era interessato ai suoi maledetti ortaggi. Quel dannato idiota” sputa alla fine il maggiore, espellendo quelle parole come se fossero pesanti macigni, con gli occhi ancora fissi sul bicchiere, come se guardare suo fratello minore fosse improvvisamente pesantissimo ed insostenibile. “E’ per questo che Dio l’ha condannato ad errare per l’eternità. Era la sua punizione”

Il maggiore dei Winchester non può fare a meno di chiedersi distrattamente se adesso sia anche la sua, perché sarebbe giusto, perché ha quasi ucciso -

Agli occhi di Sam, le parole che sembrano affastellarsi nella bocca di Dean sono l’unica testimonianza di ciò che suo fratello non dice: questa volta penso di non farcela e gli posa la mano libera sulla spalla perché ne ha bisogno, perché ha la gola chiusa come una cassa da morto, ma questo non basta a farlo tacere.

“Stai zitto e bevi. Hai la febbre e stai delirando” ribatte bruscamente ed eccolo il fuoco dei Winchester.

Sam gli ha chiesto più volte come stesse in quei giorni, come andasse, e Dean non sa come trovare le parole per dire – perché sono passate due settimane, perché vi erano dei momenti in cui era quasi sereno, perché ha avuto altri pensieri e oh, voci per la testa – la mancanza e la colpa che gli riempe lo stomaco. Le fine che, come un segno inesorabile sul suo corpo, gli appesantisce le ossa.

Afferra il bicchiere, ma senza bere. Lancia una lunga occhiata a suo fratello, mentre si sposta sul letto di fronte al suo.

“Smettila di guardarmi così” sbotta alla fine il minore dei Winchester.

Dean alza le spalle.

“Così come?”protesta, distogliendo lo sguardo.

Gli occhi di Sam gli si posano addosso come serpenti a sonagli, prima che scuota la testa. I capelli gli ricadono morbidi sulle spalle e Dean si trova a pensare, non per la prima volta, che fossero l’unica cosa duttile di Sam Winchester.

“Come se tu abbia paura che io esploda e sparisca da un momento all’altro. Non succederà, Dean” gli risponde con fermezza il minore e Dean non l’ha mai – mai – visto così protettivo.

Dean non gli risponde che non teme nulla, che non c’è più nulla da temere, che non c’è più nulla di cui discutere perché il mondo è crollato, ed ha quasi ammazzato suo fratello e non c’è nessuna parola che riporterà la rotazione terrestre indietro sul suo asse.

Beve. Poi appoggia il bicchiere sul comodino e resta seduto in silenzio per qualche secondo, a contemplare l’immagine di quel bambino cianotico nella sua testa.

Se succedesse di nuovo qualcosa del genere… Quando succederà qualcosa del genere...” inizia a parlare, ma senza riuscire a proseguire.

Sam si alza, sedendosi a lato del suo letto, e gli avvolge le braccia intorno alla schiena e se lo stringe addosso con un sospiro, che non riesce ad arrestare il flusso del suo borbottio.

“Dean” dice solamente.

Da suo fratello arriva un altro flusso di parole sconclusionato.

“Hai mai avuto paura che facessi qualcosa che ti facesse male quando eri piccolo? Voglio dire, non come quella volta a sedici anni che ti ho prestato l’Impala di nascosto da papà per riportare a casa quella ragazza – come si chiamava? - e hai fatto un incidente perché non hai mai imparato a guidare, fratellino, ma quando eravamo nell’acqua e ...”

Sam si lascia sfuggire un sorriso perché Dean non può vederlo e sarebbe divertente, se non fosse tragico. Si allontana da suo fratello, esalando un verso di dissenso di cui non sembra neanche accorgersi.

“No, non è mai successo” chiarisce, con fermezza, per poi continuare con voce più morbida. “Dean, non c’è nulla da perdonare, non eri tu. Ma se hai bisogno che dica che ti ho già perdonato, te lo dirò. Posso ripeterlo in eterno, se è quello che servirà per fartelo entrare nella testa”

Conclude quel discorso annuendo con convinzione, osservando Dean. Gli sarebbe piaciuto sentirlo ridere, ma sa benissimo che non succederà, e decide che può accontentarsi del respiro tremulo che suo fratello si lascia scappare, con la testa appoggiata contro il cuscino.

“Adesso dormi” continua, tirandogli addosso il lenzuolo fino alle spalle, per poi tornare a sedersi sul suo letto, di fronte a lui.

Da Dean arriva un’altra debole protesta.

“Sammy, quando succederà di nuovo - “ tenta di ricominciare.

La sua voce sembra dilaniata da mille pezzi di vetro.

Se succedesse di nuovo, lo affronteremo insieme, come una famiglia. Me lo hai insegnato tu.” ribatte, cercando di arginare quel fiume autodistruttivo in cui suo fratello si sta cacciando.

Dean inspira sonoramente con il naso, come l’avesse appena schiaffeggiato. Poi abbassa lo sguardo e, quando lo rialza, Sam vede qualcosa nei suoi occhi, come se insieme all’aria anche le sue parole gli fossero penetrate nei polmoni e da lì fossero passate nel suo sangue e in ogni angolo del suo corpo. Sam gli sorride quasi timidamente e vede le labbra dell’uomo piegarsi all’insù, nella triste imitazione di un sorriso, ma è pur sempre qualcosa. E’ qualcosa, si dice.

“Davvero? Devo averlo preso da qualche stupida pubblicità progresso” borbotta, lasciando cadere nuovamente la testa sul cuscino.

Sam scuote la testa.

“Adesso riposati, scemo” risponde, chiudendo l’abat-jour. “Quando ti sentirai meglio, torneremo a casa”

Dean tenta di dire qualcosa sul fatto che condividere la stanza con lui non gli sia mancato affatto, ma quell’obiezione si traduce in uno sbadiglio distorto.

“Buona notte, idiota” riesce a dire alla fine.

E nonostante condividere la stanza con suo fratello non gli sia mancato davvero, ha la sensazione che sentire il suo respiro cullarlo nel sonno, condividere il calore della stufa a gas come era giusto che fosse, non sia poi così male. E mentre sorride al vuoto, nascosto nel buio interrotto solo da uno spiraglio di luce della luna, si trova a pensare che c’è un’equazione talmente pura, talmente perfetta, che persino lui riesce a capire, nonostante non abbia studiato a Stanford o in qualche altra università da secchioni. Casa è uguale a Sam. Semplice.

NDA. 
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