Videogiochi > The Arcana. A Mystic Romance
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Autore: PaolaBH2O    30/12/2020    1 recensioni
"La vita è noiosa come una storia che raccontata più volte infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato."
Vero. Se ogni evento è già stato narrato completamente, ma queste vicende non sono già scritte. Tutt'altro.
Qualsiasi storia può stravolgersi, se vista da un'altra prospettiva. E' un'occasione per cambiare ruolo, compiere altre scelte, fare nuove scoperte.
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Questa fanfiction è un crossover tra la route di Julian e la fanfction "Fortuna favet fortibus" tratta dal film "I Cavalieri dello Zodiaco - La Leggenda del Grande Tempio" (potrete trovarla nella sezione di Saint Seiya del sito). Può contenere spoiler sulle route degli altri personaggi e sulle scene alternative acquistabili con le monete.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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1 – Dark Was The Night



Magari la notte portasse consiglio. Invece lascia in dote tante domande e solo una persona come risposta a tutte (Cit. CannovaV, Twitter)



Erano passate meno di ventiquattr'ore da quando il brillante mago Asra aveva lasciato Kamya, la sua talentuosa allieva, per partire alla volta di una meta sconosciuta; quando la ragazza aveva messo in discussione la necessità di avviarsi quella sera stessa, Asra le aveva risposto che erano nel pieno di una notte senza luna, il momento perfetto per iniziare un viaggio.
Detto ciò, aveva raccolto gli averi preparati per quell’avventura, il suo fidato famiglio Faust e si era dileguato nella nebbia dell’esotica Vesuvia, lasciando Kamya con nient’altro che il mazzo di tarocchi da lui stesso creato, l’Arcana, delle domande destinate a restare senza risposta e una cliente alquanto insistente e alquanto influente a bussare alla porta del negozio: la Contessa Nadia.
Asserendo che non avrebbe passato un’altra notte insonne, aveva pregato Kamya di dedicarsi a un incarico di rilevanza non indifferente; ulteriori dettagli le sarebbero stati forniti se si fosse recata al suo maniero il giorno seguente, ma la nobildonna le aveva anticipatamente promesso ospitalità e ogni lusso possibile come incentivo. Spinta più dal suo impeccabile senso del dovere che dall’avidità, Kamya aveva acconsentito e dopo un giorno trascorso a viaggiare a fianco della domestica personale di Nadia, Portia, aveva finalmente raggiunto la magione sua meta.
Portia l’aveva fatta accomodare in una ricca ma vuota sala da pranzo in attesa della Contessa e, per quanto stuzzicanti fossero i profumi che impregnavano l’aria, o ricche le pietanze che imbandivano la lunga tavolata, la fame, la stanchezza e l’ansia poggiavano pesantemente sullo stomaco e sulle spalle dell’apprendista, rendendole la schiena rigida e dolorante. La mancanza del suo adorato maestro e la necessità di dover aspettare la Contessa, accentuavano ancora di più il disagio di quella così formale situazione.
Kamya ne tentò di varie per distogliersi da quegli scoraggianti pensieri; si perse ad esaminare ogni angolo della sala da pranzo, allineò le stoviglie già perfettamente posate davanti a lei, tentò di far dondolare i veli che collegavano i lampadari in vetro con la forza del suo soffio e si dilettò a far cambiare colore alle fiamme delle candele che brillavano al centro della tavola, ma ciò che riuscì più di tutto a catturare la sua attenzione, fu un quadro tanto singolare quanto inquietante: il dipinto ritraeva un banchetto a cui partecipavano una serie di ospiti ritratti con teste di animali; tutti si stringevano attorno alla figura che serviva loro quella cena fatta di piccoli animali, un caprone bianco con lunghe e spiraleggianti corna. Una corona di raggi dorati si irradiava dalla sua testa e i suoi profondi occhi rossi sembravano sorprendetemene vivi.
-Benvenuta, Kamya- salutò Nadia, riscuotendo l’ospite dalla sua contemplazione -Vedo che stai ammirando il dipinto.-
La maga si girò per prestare attenzione all’elegante padrona di casa; la Contessa era una splendida donna dalla lunga chioma viola raccolta in un’alta coda di cavallo e con occhi rossi che ispiravano una raffinatezza fuori dal comune. Le sue ricche vesti erano costituite da una gonna lunga e da dei drappi candidi che si intrecciavano sul busto; l’immacolato velo che le avviluppava morbidamente le braccia fino ai dorsi delle mani sbucava da un paio di maniche aperte dai gomiti in giù ricavate dalla stessa stoffa celeste e bianca della gonna. Il corsetto verde con ricami dorati che le stringeva la sottile vita si accompagnava allo splendente abbinamento di monili dorati che le adornavano le dita, la fronte, i capelli e i polsi, molti dei quali resi ancora più preziosi dalla lucide perle di giada.
La chiarezza di quelle vesti spiccava contro la pelle scura, risaltandone il tono.
Mentre la donna si accomodava al proprio posto a capotavola, le sue labbra color del vino si incurvarono in un placido sorriso quando il suo sguardo si incrociò con quello della maga.
-Ti piace? Il ritratto, intendo- chiese con curiosità voltando gli occhi verso quella peculiare espressione d’arte.
Kamya si girò a sua volta e finse di soppesarlo di nuovo cercando, in realtà, le giuste parole con cui esprimere la propria opinione senza essere scortese; sfortuna volle che quando fu il momento di rispondere, ciò che le uscì di bocca fu piuttosto rivelatore.
-Ehm- tentennò, nella speranza che un provvidenziale lampo di sofisticatezza la colpisse -Volete la risposta gentile o quella sincera?-
-Quanta onestà!- rise la Contessa facendo tintinnare le piccole perle che dondolavano sotto ai fermagli accanto agli occhi -Devo confessare che non piace nemmeno a me. Allora perché rimane appeso alla parete, potresti chiedere.-
Un servitore apparve accanto a Kamya e adagiò una ciotola colma di zuppa allo yogurt e cetriolo davanti alle due commensali; la ragazza strinse le mani attorno alla ceramica resa calda dalla fumante pietanza e si scaldò le dita fredde per la tensione. La sua risposta aveva allietato la Contessa ma avrebbe dovuto fare pratica su come esprimersi a corte se avesse voluto evitare di “allietare” altri nobili con gaffe più gravi o pesanti.
Appena fu certa di avere una buona presa, sollevò il piatto e ne bevve un sorso con cautela mentre Nadia rispondeva alla sua stessa domanda.
-Valore sentimentale, presumo. Era uno dei preferiti di mio marito.-
Il marito della Contessa Nadia, il Conte Lucio. Come Kamya richiamò il suo nome alla mente, la figura caprina di fronte a lei, divenne in qualche modo familiare; d’improvviso i suoi occhi scarlatti non sembravano soltanto vivi, ma parevano restituirle lo sguardo scrutando nel profondo della sua anima.
-È un rosso magnifico...- commentò quasi senza rendersi conto di averlo detto a voce alta.
-Ah, sì, è una splendida tonalità- annuì la Contessa i cui occhi brillavano di divertimento -Quello al centro è il Conte Lucio, o dovrebbe esserlo, mentre provvede al popolo, come gli piaceva immaginarsi. Di sicuro sapeva come intrattenere gli altri.-
La ciotola vuota di Kamya venne sostituita con un piatto di riso e avena resi dorati dalla presenza di zafferano man mano che Nadia proseguiva nella narrazione dei ricordi sul suo consorte.
-So quanto caramente la persone di questa città ricordino i balli in maschera del Conte. Vi hai mai partecipato, Kamya?- Nadia attese che l’apprendista le rispondesse e nel mentre cominciò a mescolare il proprio riso con la forchetta. I suoi gesti erano studiati come le sue parole e la grazia dei suoi movimenti una gioia per gli occhi.
-Temo di non averne memoria- minimizzò Kamya, ma la verità era che non aveva quasi assolutamente ricordi su come fosse stata la sua vita prima di conoscere Asra.
Tutto ciò che aveva sul suo passato, erano i tre anni appena trascorsi. Ogni volta che provava a ricordare, un forte mal di testa la investiva come un’onda in mezzo a una violenta tempesta.
-Il nostro party annuale per la celebrazione del compleanno di mio marito era una delizia per tutta Vesuvia... È un ricordo venato di amarezza ormai… Dopo che il Conte Lucio è stato assassinato all’ultima mascherata- il tono di Nadia si tinse di rabbia tanto rapidamente quanto poco prima si era tinto di malinconia; la sua voce si spezzò in due modi diversi mentre le sue emozioni si tingevano di un forte odio che mai aveva cessato di bruciare.
Kamya quasi si soffocò col riso cercando pietosamente di ricomporsi ma il battito del suo cuore accelerava lo stesso in beffa ai suoi tentativi.
-Fu un terribile shock per gli ospiti, una feroce ingiustizia giace su questa casa.-
Nadia era così immersa nel suo racconto da non badare alla momentanea scompostezza di Kamya e quella comprese che non si trattava di un racconto per puro piacere o sfogo personale: la sua presenza al castello si stava spiegando proprio nel racconto della donna. Gli ultimi istanti di vita di Lucio custodivano il perché della sua missione.
-Assassinare il padrone di casa mentre festeggia, condividere la sua gioia e la sua prosperità a porte aperte?- sibilò la Contessa stringendo lo stelo del sottile calice così forte da farle sbiancare le nocche.
Kamya avrebbe voluto dire qualcosa per distrarla, ma in difficoltà com’era, non poteva altro che far saettare gli occhi dal quadro al suo cibo senza riuscire davvero a focalizzarsi. Aveva già sentito vociferare sulla morte di Lucio ma quei racconti erano pieni di buchi, resi torbidi da voci non confermate e domande prive di risposte. Il finale, però, era sempre lo stesso: il Conte si era ritirato nelle proprie stanze e, per mezzanotte, lui e la sua camera da letto erano stati travolti dalle fiamme. Il colpevole era stato colto in flagrante ma prima che la giustizia avesse potuto prevalere, era riuscito a fuggire.
Da allora gli ospiti accettati a palazzo erano stati molti pochi.
Lo sguardo della maga si incontrò ancora una volta con quello perspicace della Contessa.
-Contessa, che cos’ha a che fare tutto questo con me? Non fraintendetemi, adoro i racconti di mistero e fantasmi ma non riesco proprio a vedere come possano riguardarmi- ammise Kamya, consapevole di dove in realtà volesse andare a parare Nadia ma insicura di essere adatta a quel ruolo.
-Kamya, la Mascherata è precisamente il motivo per cui ti ho chiamata qui- dichiarò Nadia posando con delicatezza la propria mano su quella della maga e sporgendosi verso di lei con fare disinvolto e pieno di sicurezza -Quest’anno intendo ospitarla un’altra volta.-
Sia la sua ospite che ogni servitore nella stanza fissarono la donna con grande stupore.
-I festeggiamenti in memoria di Lucio saranno i più stravaganti di sempre, c’è solo un’ultima questione da sistemare. L’assassino del Conte vaga ancora a piede libero: il dottor Julian Devorak, il precedente medico di mio marito- dichiarò colma di intensa solennità.
Kamya si sentì gelare il sangue nelle vene, ritrovandosi improvvisamente bloccata sulla sedia.
Aveva già incontrato quell’uomo e come poter dimenticare il loro primo incontro? Il medico si era infilato nel negozio di magia poco dopo che l’apprendista aveva salutato Nadia la notte scorsa, e aveva preteso di vedere Asra; appena aveva scorto la sua inquietante persona, col suo nodo di capelli rossi e la maschera a becco che si stagliavano contro il nero dei vestiti, a Kamya era preso un colpo al cuore ma, nonostante l’agitazione, aveva lo stesso cercato di liberarsene con la diplomazia. Ciò che l’aveva stupita era stato vedere come Julian, capendo che il suo viaggio fosse stato a vuoto e che non fosse possibile avere altre informazioni riguardanti il mago, avesse accettato la situazione senza ricorrere a minacce o all’uso della violenza.
A onor del vero, aveva pure proposto un’alternativa.
Consultare l’Arcana avrebbe potuto dargli una risposta più o meno concreta e invece ciò che gli aveva dato era stato soltanto un’occasione per la perfetta uscita drammatica; sulla dichiarazione di “La morte non è interessata a un mascalzone come me. Ha poggiato lo sguardo sull’abominio che sono e ha voltato lo sguardo” aveva abbandonato il negozio con la coda tra le gambe.
La Morte non indicava effettivamente la fine di un ciclo vitale, ma Julian non aveva voluto lasciare il tempo a Kamya di spiegarlo; un’uscita piuttosto teatrale, la sua, quasi esagerata ma che aveva comunque stuzzicato la curiosità dell’apprendista.
Mentre Portia faceva il suo ingresso nella sala con un vassoio su cui erano stati sistemati accuratamente i dolci di fine pasto, Nadia si versò un calice di vino e fece una pesante dichiarazione.
-Il dottor Devorak ha confessato il crimine quando l’abbiamo sorpreso, tutto ciò che rimane è solo la sua sentenza. Morte per impiccagione.-
Un terribile fragore alle spalle delle due commensali le fece sobbalzare: Portia aveva rovesciato il vassoio coi dessert e si era pietrificata poco dietro di loro, il suo volto di solito allegro e pieno di energia adesso era una maschera di orrore.
-Portia?- la richiamò Nadia sorpresa. Non era da lei commettere errori simili.
-P-perdonatemi, mia signora. Mani di pasta frolla- si scusò la ragazza, affrettandosi a raccogliere i pezzi delle coppe in vetro, la salsa dei budini che impregnava le fibre del tappeto le avrebbe dato un problema più complesso a cui rimediare.
-Sei perdonata- le fece cenno con la testa la sua padrona mentre altri due inservienti accorrevano in suo aiuto rapidi come il vento -Qui è dove entri in gioco tu, Kamya. Il dottor Devorak è stato molto elusivo ma la tua reputazione ti precede, voci dicono che abbia addirittura superato il tuo maestro, Asra. Persino io vedo il futuro nei miei sogni, che mi piaccia o no, è per questo che so che sei colei che troverà il dottor Devorak- concluse posando il calice vuoto.
-E... E se riuscirò a trovarlo?- Kamya deglutì a fatica e sospirò piano per non farsi notare. L’immagine di Julian che pendeva dalla forca le faceva venire un nodo in gola ma non riusciva a capirne il perché.
-Quando riuscirai a trovarlo- la corresse la donna -Lo porteremo davanti al popolo affinché tutti possano assistere alla sua agognata punizione. E così, per cominciare i festeggiamenti, il dottore morirà sul patibolo per il suo terribile crimine- detto questo, la Contessa si alzò e, d’istinto, fece altrettanto Kamya -Portia? Portia!-
Nadia fu costretta a ripetersi nel richiamare l’attenzione della sua servitrice; da quando aveva nominato l’esecuzione di Julian, la ragazza si era persa nei suoi pensieri estraniandosi completamente dalla realtà.
-Sì, mia signora!- si riscosse lei con un gesto della testa che fece ciondolare i suoi lunghi e morbidi ricci. Solo in quel momento Kamya fece caso a quanto simile fosse il colore dei capelli di Julian e Portia.
-Mostra a Kamya le stanze degli ospiti, immagino che ci sia ancora molto su cui riflettere prima che la notte sia conclusa. Ti auguro una serena notte, Kamya- la salutò la Contessa prima che Portia si piegasse in un modesto inchino e sospingesse la maga oltre la pesante doppia porta in mogano.
Durante la loro passeggiata per le ampie sale del castello e verso la zona degli ospiti, Portia restò in silenzio, la fiamma dell’entusiasmo che aveva mostrato nella giornata si era affievolita e di essa non rimanevano che braci spente e grigie. Dopo un paio di svolte, le ragazze arrivarono ai piedi di un’ampia scalinata velata da una fitta penombra; a custodire i primi gradini c’erano una coppia di levrieri bianchi dal folto e setoso pelo. Uno spiffero che soffiava dalla cima, scosse la loro soffice pelliccia e fece rabbrividire Kamya; quel venticello portava con sé lo stantio della cenere e il gelo dell’aria notturna.
Mercedes e Melchior alzarono lo sguardo verso l’apprendista fissandola con profondi occhi da cacciatori; sebbene dessero l’impressione di poterle saltare addosso da un momento all’altro, lei non percepiva nessun intento malevolo nei propri confronti. Come allungò una mano per farsela annusare, i due levrieri le andarono incontro facendo ciondolare la coda con allegria; il loro fiato solleticava il palmo di Kamya comunicando simpatia e confidenza tanto che anche Portia trovò di che stupirsi.
-Be’, questo sì che è bizzarro! Non prendono mai in confidenza gli estranei. È semplicemente il modo in cui sono stati addestrati ma non li ho mai visti comportarsi così.-
Le loro testoline affusolate strusciarono contro i fianchi di Kamya proseguendo con la loro ispezione che conclusero soddisfatti fissandola pieni di aspettativa; appagata dall’aver compiuto quel piccolo miracolo, la giovane non resistette all’idea di far scorrere le dita sotto il setoso musetto del più minuto tra i due.
-Non lo farei se fossi in te!- si allarmò Portia poco prima che l’animale indietreggiasse e che la maga ritraesse la mano d’istinto -Scusa, sono un po’ imprevedibili. Sembra che tu gli piaccia ma preferirei che ti tenessi quella mano- la avvertì una seconda volta suggerendo la natura possibilmente feroce dei due levrieri.
Non volendo socializzare oltre, Mercedes e Melchior ritornarono di nuovo al proprio posto confondendosi quasi col pavimento in marmo.
Ripercorrendo mentalmente la propria giornata e ricordandosi di quali faccende si fosse già occupata e quali fossero ancora da sbrigare, Portia venne colta da un’illuminazione improvvisa che le impedì di ripiombare nuovamente nella precedente spirale di pensieri.
-Non mi meraviglia che si comportino così, non hanno ancora ricevuto la loro torta alla camomilla!- fece saettare lo sguardo tra la sua nuova amica e i cani, indecisa sul da farsi -Aspetta qui, Kamya, e tieni le distanze da loro, è probabilmente meglio così. Torno subito con le loro torte.-
Detto questo, la servitrice fece scorrere un pannello nella parete lasciando sola la maga con gli imperscrutabili levrieri. Kamya fece come le era stato raccomandato ma quando sentì il più grande dei due annusarle di nuovo il fianco con insistenza, abbassò lo sguardo per incontrare quello dell’animale. In tutta risposta, Melchior indietreggiò senza rompere il contatto visivo; altrettanto fece Mercedes che, una volta rubate le attenzioni di Kamya dal fratello, si sedette sulle anche con sfacciata innocenza. Catturata com’era dai suoi occhi sanguigni, Kamya sentì un brivido febbricitante correrle lungo la schiena mentre una voce risuonava nella sua mente.

-Un’ospite?-

A quel suono, la ragazza indietreggiò scrutando i corridoi in cerca di chiunque potesse aver parlato ma nessuno era in vista; nemmeno il pannello che aveva usato Portia sembrava essere stato scostato di recente.
-Chi va là?- chiamò sperando che qualcuno di tangibile le rispondesse, ma nessuno si fece vivo. Per quanto lo negasse, conosceva la verità. La voce doveva provenire… Dalla cima delle scale.
In pochi secondi, si rese conto che le storie di fantasmi non la affascinavano poi così tanto e che finire dentro una di esse, non rientrava tra le sue ambizioni.
Kamya assottigliò gli occhi in cerca di una presenza in cima alla scalinata ma non c’era niente oltre al vuoto e denso buio. Quasi ebbe un sussulto quando si sentì strattonare gli abiti ma Mercedes e Melchior non ammettevano esitazioni: l’apprendista voleva scoprire chi avesse parlato? Doveva seguirli.
Incerta se non le fosse proibito esplorare la vecchia ala del castello, Kamya mosse comunque qualche passo sui primi scalini e i due fratelli presero a scodinzolare soddisfatti; richiamarli o provare a liberarsi risultò in una morsa ancora più tenace sui suoi pantaloni a sbuffo. Non volendo rovinare uno dei più eleganti completi che possedeva, scelto apposta per l’occasione. Kamya accontentò quei due testardi cacciatori che la lasciarono andare solo una volta arrivati in cima.
Lì l’odore della cenere era soffocante e la roccia dei muri era di un freddo quasi glaciale; niente in quella zona aveva a che vedere con la calda atmosfera che si respirava nei luminosi corridoi del castello o con gli esotici profumi che aleggiavano nell’aria. La vita e la luce dei lampadari sembravano morire contro la torbida oscurità delle vecchie stanze di Lucio.
Kamya si fermò per un momento a riflettere su quell’uomo e sul modo con cui ne aveva parlato Nadia; c’era una tale nostalgia nei suoi sguardi e un risentimento così amaro nei confronti di Julian che tutto suggeriva la loro fosse stata una felice unione, disgraziatamente stroncata dalle azioni egoiste di un criminale. Nessuna meraviglia che Nadia non avesse lasciato che i servitori si prendessero cura della dimora del Conte: tutto doveva rimanere proprio com’era, a memoria della generosa guida che era stato quell’uomo per Vesuvia e dell’affezionato consorte che era stato per lei.
Niente andava spostato o aggiustato.
Gli appartamenti del Conte sarebbero rimasti la sua inviolata tomba fino alla fine dei tempi.
Sull’onda di quei pensieri che la facevano sentire fuori posto, Kamya si avviò per scendere di nuovo le scale quando la testa prese a girarle così forte da isolarla persino dal freddo e dallo stantio della polvere; col cuore che le martellava nel petto, si sostenne al corrimano in marmo e tentò di invocare una luce sul palmo della mano libera. La magia le rispose dopo un paio di tentativi materializzandosi sotto forma di una sfera scintillante, flebile ma sufficiente.
Kamya cercò Mercedes e Melchior ovunque ma non li trovò da nessuna parte. In fondo al corridoio, una porta socchiusa la richiamava, sfidando con un ancor più appestante buio la già insufficiente illuminazione del piano; senza rendersene conto, la maga si avviò verso quella camera che la attirava a sé.
Una volta entrata negli appartamenti del Conte, l’unica fonte di illuminazione era soltanto la sfera di scintille che le brulicavano sul palmo; contro le dense tenebre della stanza sembravano quasi farsi più piccole e fioche, il loro viola chiaro gettava un’ombra lugubre su tutto ciò che toccavano. L’aria lì dentro, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, era tiepida ma pesante, come se l’incendio non avesse mai davvero smesso di consumare quelle pareti.
Una corrente penetrava attraverso le finestre mal sbarrate facendo svolazzare i brandelli delle tende e del baldacchino come fantasmi; in un altro angolo erano esposti una stravagante armatura e una scrivania di alabastro su cui capeggiava una piuma bianca di pavone.
Kamya cercò di ignorare il fatto che il tutto fosse coperto non da polvere ma da cenere, per andare a esaminare più da vicino un dipinto alto il doppio di lei; le scintille si espansero sulla tela per agevolarle quel compito, rivelando il protagonista dell’opera: un giovanotto col petto gonfio stendeva il braccio sinistro su una spada sguainata e poggiava lo stivale sul cranio di una bestia sconfitta da lungo tempo. Il suo sguardo fiero si perdeva all’orizzonte in vista della prossima conquista che gli avrebbe garantito fama e ricchezza, anche se lo sfarzo della sua tenuta da battaglia suggeriva ne avesse accumulate più che in abbondanza.
Quello era il Conte Lucio, senza ombra di dubbio.
I capelli biondi erano pettinati con cura all’indietro e delle linee nere ne contornavano gli occhi grigi donandogli risalto e profondità.
O il dipinto non era recente, o la deduzione di Kamya che Lucio fosse molto più anziano era errata. In ogni caso il pittore aveva infuso nell’opera tutta la vanità del nobile.
Il rosso della sua giacca era dello stesso punto del ritratto nella sala da pranzo e la protesi dorata del braccio che reggeva la spada, un capolavoro di arti alchemiche; la pelliccia che gli pendeva dalle altezzose spalle era stata ritratta così finemente da sembrare vera.

-Coraggio, toccala-

La incoraggiò la stessa voce di poc’anzi.
Kamya sentì un refolo di aria densa e torrida sospingerle la mano verso la tela ma quando la toccò non percepì altro che cenere e pittura. Una risata risuonò nella sua mente offuscandone la percezione.

-Non è paragonabile a quella vera... Vedere ma essere incapace di sentire… Che dolce tortura...-

Un calore come quello di un tizzone ardente si irradiò sulla nuca di Kamya e la magia nel suo palmo reagì avvolgendole le dita e allungandosi verso il polso; ad un sospiro della misteriosa voce, la strana sensazione di calore diminuì mentre quel suono si affievoliva, quasi sussurrando.

-Lì, nella tua energia… Oh, è lui. Potresti essere…?-

Il torpore svanì dalla mente della maga che barcollò lontano dal quadro; qualcosa di morbido, forse uno sgabello imbottito, le sbatté contro le gambe e la fece cadere dentro le pieghe in velluto polveroso dell’imponente letto. Un grande sbuffo di cenere si levò dalle lenzuola quando la schiena di Kamya ci sprofondò dentro e una macabra realizzazione la investì mentre quelle nuvolette pallide non smettevano di danzarle attorno.
Quello era il letto di Lucio. Proprio dove era stato assassinato. Incenerito.
Quello era Lucio.
Le polveri sottili cominciarono a entrarle negli occhi, nel naso, nella bocca e più si dimenava per liberarsene, più le si spandevano attorno. Si premette una mano contro le labbra per soffocare un urlo mentre lottava per rimettersi in piedi.

-Te ne vai così presto? Non sei affatto divertente...-

Quella voce risuonò da ogni angolo della stanza e fece eco dentro la sua testa.
-Che cosa vuoi?!- gridò Kamya contro il nulla cercando di non cedere al panico.
La risata si fece più alta e le orecchie della maga si arroventarono di colpo mentre la sensazione di calore si spostava sulla sua schiena.

-Che cosa sono io a VOLERE?-

Le ultime parole terminarono con un ringhio che fece raggelare l’apprendista; la sensazione che qualcosa le stesse toccando la schiena tacque di colpo e lei riuscì a rimettersi in piedi. Nonostante il calore latente provato fino a qualche secondo prima, la temperatura cadde improvvisamente e i suoi respiri si condensarono in sbuffi a mezz’aria. Non osò guardarlo direttamente o verificare ma Kamya era certa che qualcosa si fosse mosso verso la tela del quadro.

-Catene d’oro ma nessun collo… Bellissima, bellissima pelliccia ma nessuna schiena… Nessun perfetto viso da soffocare di baci… Perciò non voglio nulla.-

La voce tacque ancora una volta e la stanza sembrò tornare alla normalità di nuovo. Kamya inciampò nei suoi stessi piedi nel tentativo di scattare oltre la porta e attraverso i corridoi; continuò a correre in cerca di una vaga luce che la portasse lontano da quell’incubo, i ritratti appesi ai muri la fissavano con freddi e aristocratici sguardi.

-Torna… Torna indietro...-

Contro ogni buon senso Kamya si fermò e si guardò indietro; per un momento soltanto riuscì a intravedere una sagoma stagliarsi contro un muro di alte finestre offuscate dal fumo. Artigli, corna e zoccoli come di onice comparvero assieme al pallido viso di una capra con lampeggianti occhi rossi; la fissava con gioia ma in un battito di ciglia era scomparso.
Si sentì il cigolio dei cardini, lo sbattere violento di una porta e poi… Silenzio.
Insicura se quanto appena vissuto fosse successo per davvero, la maga si precipitò giù per le scale disorientata; il tempo di arrivare alla fine, e Portia era lì a cercarla dietro ogni angolo.
-Oh, eccoti- sussultò alla vista di Kamya, trafelata e coperta di polvere -Che è successo? I cani ti hanno trascinata su per le scale?- le chiese allarmata a vedere lo stato in cui era ridotta.
-S-sì, ma niente che un po’ di magia non possa sistemare- sorrise Kamya, sbloccando i fermagli che fissavano il velo ai suoi corti capelli indaco e dandogli qualche forte scossone.
Più cercava di ricomporsi, più sentiva di star facendo uno sforzo inutile ma Portia la prese sottobraccio sorridendole calorosa e tutto parve placarsi di colpo.
-Sai cosa? Lascerò semplicemente queste torte qui e ti accompagnerò a letto.-
Camminarono fianco a fianco fino ad arrivare alla camera degli ospiti che Nadia aveva riservato a Kamya; Portia aprì la porta con un ampio gesto rivelando una stanza accogliente e dalle molteplici tonalità di viola. Unica eccezione, le lampade arancioni a forma di diamante che pendevano dal soffitto; agganciate tramite robuste catene in metallo scuro, gettavano il loro calore su tutto il tappeto e sul letto a baldacchino di un bel pervinca, donandone una generosa quantità anche al grosso specchio appeso lì accanto.
-Questi saranno i tuoi appartamenti. Puoi mettere le tue cose dove desideri, ti verrò a svegliare io quando la colazione verrà servita all’alba- spiegò Portia con diligenza ma mascherando a fatica uno sbadiglio. L’ora si faceva tarda anche per lei.
L’apprendista fece cadere la borsa accanto a una pianta in vaso dalle foglie larghe e poggiò il velo sul bordo ai piedi del letto.
Saggiò la morbidezza delle lenzuola in lino, anelando disperatamente a quel letto, mentre Portia la salutava un’ultima volta.
-Sembri sul punto di crollare, ti lascerò da sola. Buonanotte, Kamya.-
La dolce voce della servitrice avrebbe cullato il sonno di chiunque ma la maga si impose di non andare a dormire prima di aver sistemato i propri indumenti.
-Sogni d’oro, Portia- si voltò in tempo per vederla uscire chiudendo la porta.
Dopo aver controllato che i tarocchi di Asra non si fossero sporcati e dopo aver tirato le tende dello stesso tono del baldacchino, Kamya si sfilò le scarpette dorate, i pantaloni e il corto bustino che lasciava intravedere il ventre per farli fluttuare a mezz’aria; a quelli si unì presto anche il velo sottile della testa.
Il suo bel completo violetto da danzatrice era ingrigito e sui pantaloni a sbuffo erano rimasti dei piccoli solchi dove Mercedes e Melchior l’avevano afferrata, i fazzoletti di stoffa che contornavano le gambe dando a ogni passo un movimento più vibrante, erano scuciti in più punti e le monete che abbellivano il contorno del corpetto e della cintura, si erano opacizzate; ma quello che era più mal messo, era il velo che le pendeva dietro la testa e lungo la schiena: il colore di quello sembrava non essere mai esistito.
Kamya chiuse gli occhi e richiamò un concentrato di magia celeste sui palmi tramite un profondo respiro; ripensò all’acqua che raccoglievano al fiume lei e Asra quando dovevano pulire il negozio o fare il bucato, alla sua freschezza e alla sensazione che le dava sulla pelle. Il pensiero del suo bel maestro, coi suoi riccioli candidi e gli occhioni viola, rischiarono di farla deconcentrare ma una volta riaperte le palpebre e picchiettato ogni pezzo del suo vestiario, nonché della sua stessa persona, l’incantesimo avvenne con successo: la polvere si staccò tutta d’un colpo in un grosso sbuffo e volteggiò nell’aria prima che Kamya corresse ad aprire una delle alte finestre per lasciarla scivolare fuori, a disperdersi nel buio della notte.
Una volta ripresi in mano gli abiti, la ragazza poté constatare con meraviglia quanto bene il risultato avesse funzionato; adorava quel completo, l’aveva cucito personalmente per un’occasione importante e l’aveva abbellito con la magia. Volendolo rinnovare per il giorno seguente in modo da ammaliare la Contessa, invocò una manciata di scintille sulle dita e le fece correre sul tessuto. I ritagli di stoffa sulle gambe si contornarono con un nastro dorato e delle monete sulle punte, la cintura si ripeté in più giri sui fianchi e le maniche a sbuffo si allungarono fino ai polsi. Laddove la dita avevano toccato i vestiti, si espansero delle macchie indaco finché tutto non fu di quel colore che si accompagnava ai suoi capelli.
Concluse quel lavoro aggiungendo delle file di perline e altre monete al corpetto, e indicò la sedia ai suoi abiti che lì si andarono a piegare con cura.
Ogni sera, prima di coricarsi si guardava nello specchio per rimirare il fisico di cui non andava particolarmente fiera, cercando in qualche modo di imparare ad apprezzarlo piano piano; certo, la pancia era piatta e la vita abbastanza sottile, ma quelle gambe non troppo lunghe che Asra definiva forti e in salute, per lei erano un po’ robuste e i fianchi di certo più larghi di quanto non li volesse.
Andava però piuttosto fiera di un singolare dettaglio del suo viso ovale; contro la sua pelle scurita dal sole, il regolare uso della magia aveva fatto spuntare delle macchioline argentate che le avevano procurato un soprannome affettuoso da parte di Faust: lentiggini di stelle.
I suoi pensieri si rivolsero ancora una volta ad Asra e al suo famiglio; chissà se erano ancora in viaggio o se erano arrivati a destinazione, e chissà cosa ne avrebbero pensato della sua avventura nelle stanze di Lucio.
Nonostante il pensiero di quella visita fuori programma fosse spaventoso e disgustoso, Kamya lo respinse in un remoto angolo della sua testa per accoccolarsi sotto le lenzuola; il conforto datole dal materasso più comodo che avesse mai provato la faceva sentire priva di peso. Cullata dai passi di Portia che risuonavano nel corridoio, l’apprendista scivolò nel sonno; sebbene desiderasse solo ricongiungersi ad Asra in quel mondo parallelo fatto di stelle e misteri, i sogni di Kamya non avrebbero mai potuto avvicinarsi alle contorte realtà che si profilavano all’orizzonte, e a dare il via alla scia di quegli eventi sarebbe stato l’antico simbolo dei peggiori incubi di Vesuvia: uno scarabeo rosso.


Mentre i resti del defunto Conte si involavano sopra la città, uno di quei diabolici insetti strisciò fuori dal letto di Lucio, oltre le rade travi di legno che mal sbarravano le finestre e via nella brezza della notte, a unirsi ai resti dell’uomo; nel suo placido volare, un lampo di luce si impennò nella notte, rischiarò il quartiere sud di Vesuvia e annunciò l’arrivo di due tra i più insoliti viaggiatori che la città avesse mai accolto: Death Mask del Cancro, il quarto dei Cavalieri D’oro, e la changeling Élan, entrambi in viaggio da diversi giorni alla continua e ostinata ricerca della dimensione in cui la giovane mezza-fata viveva.
L’ultima visitata era stata la più grande nave-laboratorio che l'umanità avesse mai conosciuto: la Helios, un trionfo di tecnologia creata da Nikola Tesla affinché vi si potessero riunire le più affilate menti del globo. Sarebbe potuta sembrare un’avventura illuminante ma per aiutare una donna di nome Rose, Élan aveva messo la propria vita a rischio più volte di quante se ne sarebbero potute contare e Death Mask, abituato a intervenire con tempestività in ogni situazione gravosa, era dovuto restare in panchina, assaporando l’amara sensazione di impotenza che odiava così aspramente.
Se la giovane donna avesse evitato di giocare alla buona samaritana come tanto le piaceva fare, il Cavaliere del Cancro non avrebbe dovuto fare i conti con una verità fulminante che l’aveva colto del tutto impreparato, ma quello era un pensiero per un’altra notte.
Guardando Élan uscire dal vicolo in cui si erano teletrasportati, Death Mask prese un respiro a pieni polmoni, scosse la testa e sollevò il viso al cielo; le luci di Vesuvia erano così flebili che neanche al Grande Tempio, sua dimora, si poteva ammirare una volta stellata tanto impressionante. Cercando di schiarire la mente grazie a quella botta di ossigeno, e di liberarsi dagli istinti che gli suggerivano di litigare con la sua compagna, non si rese nemmeno conto dell’insetto scarlatto che gli si era andato a poggiare sull’unico punto del braccio sprovvisto dell’armatura dorata.
L’uomo provò con caparbietà ma capì presto che nulla poteva fare contro quella rabbia, perciò decise di sviare la sua attenzione su una mappa incartapecorita della città, attaccata al muro di un palazzo: una serie di canali divideva Vesuvia in una marea di isolotti rendendola, almeno ai suoi occhi, una specie di esotica Venezia; dopo tanto vagare in mezzo all’oceano, si trovavano incastrati in una città di mare.
-Acqua, altra acqua! Sentivo proprio il bisogno di altra acqua dopo la città sommersa, il labirinto sottomarino e la nave infestata! Sto cominciando a essere umido più che essere umano!- si lamentò con sarcasmo, coprendo con la sua voce profonda lo sciabordio delle acque sulla roccia e il sommesso rumoreggiare di una locanda poco lontana.
-Preferivi il tostapane in mezzo all’oceano? Credevo che ai granchi piacesse stare ben idratati!- lo rimbeccò Élan fissando il canale, sul suo viso riverberava il riflesso dell’acqua, resa luminescente da un branco di anguille che nuotavano accanto alla banchina -E poi questa è almeno terraferma, non siamo inseguiti da nessuno e possiamo tirare il fiato senza doverci preoccupare di scappare! Un po’ tipo come ho dovuto fare io fino a qualche ora fa, te lo ricordi, Death?- lo stuzzicò lei malignamente, ignara degli sforzi dell’altro.
-Oh, ma quanto sei furba!- si agitò Death Mask -Ne vuoi parlare proprio adesso?!- le ringhiò contro mettendosi sulla difensiva.
Per ritrovare il contegno che sentiva di star perdendo, incrociò le braccia davanti al petto ampio, spingendo lo scarabeo rosso a rigirarsi su se stesso un paio di volte ma senza abbandonare la sua posizione. Per qualche strano motivo la sua presenza non sembrava disturbare l’uomo.
-No, ma più furba di te lo sono di sic… Ah!- voltandosi, Élan vide il parassita su Death Mask e venne colta da un sussulto.
Indietreggiò ripugnata e un piede le scivolò sulla bordo del canale; vedendola sul punto di cadere in mezzo al branco di pesci trasparenti, Death Mask fece scattare il braccio e la afferrò al volo. La tirò a sé con uno strattone e la bizzarra piattola decise che era stata importunata una volta di troppo: morsicò il Cavaliere e versò una discreta dose del suo veleno sotto la sua pelle, ma fu l’ultima cosa che riuscì a fare prima di venire catturato.
Cancer lo afferrò tra le dita e lo osservò per un paio di secondi: la blatta in questione aveva delle antenne arcuate, lunghe il doppio del corpo, e delle pinze così acuminate da essersi sporcate di sangue. Capendo di essere in pericolo, l’insetto tentò di volare via, ma la presa di Death Mask era abbastanza salda da tenerlo stretto senza nuocergli.
-Eeww, che razza di insetti hanno da queste parti?!- gemette Élan disgustata dai suoi movimenti convulsi e frenetici.
Condividendo il ribrezzo per quell’esserino, Death Mask lo schiacciò con una stretta e si inginocchiò per sciacquarsi la mano nel canale.
Le anguille-vampiro gli si strinsero attorno sperando di rimediare un po’ di carne umana con cui sfamarsi, ma di fronte la rigidità dell’oro dovettero rinunciare; se entrambi i viaggiatori avessero saputo quanto fatali potevano essere i loro morsi, sarebbero stati entrambi grati della prontezza di riflessi del Cavaliere.
-Una razza che si schiaccia facile come le altre, per nostra fortuna- constatò il siciliano con uno sbuffo. Quando si portò la mano alla ferita per farne uscire il veleno, una fitta così dolorosa da farlo gemere si irradiò per tutto il braccio arrivando quasi all’occhio.
Poco o niente si versò da quel morso nonostante Death Mask fosse accecato dal dolore e ciò non sfuggì ad Élan che prese a guardarsi attorno leggermente in affanno.
-Dovremmo cercare un medico o qualcosa di simile...-
L’orgoglioso Cavaliere era troppo cocciuto per accettare un’offerta simile ma come si apprestò a risponderle, la vide già avviata verso la taverna che illuminava la strada, puntando a passo sicuro un tizio uscito dal locale. Si affrettò a raggiungerla ma al suo arrivo la conversazione aveva già trovato di che finire; come notò il bicipite di Cancer, gonfio e con qualche rivolo di sangue, il tale cominciò a barcollare all’indietro inciampando nei suoi stessi passi, inspiegabilmente terrorizzato.
-Che cosa gli hai detto?- la interrogò Death Mask perplesso dalla reazione.
Élan alzò le mani in un gesto difensivo.
-Niente di che, solo che sei stato morso da uno scarafaggio rosso, poi non mi ha lasciato finire...-
-Il classico tizio che ha alzato il gomito una volta di troppo. Meglio lasciar perdere questo… Corvo Chiassoso?- Cancer lesse l’insegna che pendeva sopra le loro teste ponderando il da farsi: era indiscusso che il beccone gli facesse male, ma al punto da doversi mettere a cercare un medico in una taverna? Neanche dietro pagamento.
-Ma la taverna è colma di gente, forse è la pista migliore che abbiamo, se non altro per raccogliere informazioni. Ricordati che siamo pur sempre nel cuore della notte e che non conosciamo nessuno in città.-
il ragionamento di Élan non faceva una piega e per quanto il compagno avrebbe voluto dissentire, un’altra stilettata, lo convinse a darle ascolto. Aprì la porta del Corvo Chiassoso con un plateale movimento del braccio destro e si inchinò a lei, rivolgendole un gesto affinché entrasse.
-Dopo di lei, mia signora- sogghignò provocatorio.
La fata sollevò gli occhi al cielo in segno di biasimo; ogni volta che si comportava così era dannatamente sbruffone e dannatamente ammaliante allo stesso tempo, ma non voleva darglielo a vedere. Era un rituale davvero frivolo, il loro; quel reciproco “corteggiamento” era fatto di scherno e complimenti a doppio taglio, di battute e provocazioni che più puntavano a domare l’altro, più si rivoltavano contro il diretto interessato, non importava di chi fosse l’iniziativa.
L’atmosfera dentro il Corvo Chiassoso non aveva niente a che vedere con quella lugubre dei canali: già fuori dalle finestre colorate si poteva intravedere la gente scherzare e bere in compagnia, ma entrare fu come tuffarsi in un mondo completamente nuovo, dove tutto profumava di rocambolesche avventure e tutto ne prometteva a sazietà. L’aria era colma dei fumi dell’alcol e dei sigari più a buon mercato che Vesuvia potesse offrire, il ciarlare prima sommesso esplodeva in un chiacchiericcio assordante.
-Io mi occupo di quelli ai tavoli: dovrebbero essere più ubriachi e iracondi degli altri, specie se hanno perso a carte, ergo più pericolosi. Tu occupati di quelli al bancone- le indicò Death Mask sicuro di sé ma quasi con tono privo di entusiasmo. Il clima festoso e brulicante di vita avrebbe dato alla testa a chiunque non fosse abituato ad averlo come pane quotidiano ed Élan, per quante ne potesse aver viste, era ancora di quella risma.
-Aye, capitano!- fu la risposta della giovane che gli rivolse il saluto marinaresco più vivace che le riuscisse. Per il Cavaliere quello poteva essere un piatto stantio ma per lei era il principio di un’avventura memorabile, se lo sentiva nelle vene.
Death Mask la osservò dirigersi al bancone sperando che sapesse come comportarsi ma a seguirne i movimenti, non fu soltanto lui; un ragazzo dai ricci fulvi li aveva esaminati con grande attenzione da quando avevano fatto il loro ingresso: Élan era una giovane donna dalla una folta chioma color smeraldo che incorniciava il viso più dolce che esistesse e sul quale spiccavano due grandi occhi viola. Il suo corpo minuto, ma con tutte le curve al giusto posto, era avvolto da un body senza maniche e delle calze alla coscia, entrambi di pelle bianca; degli sprazzi di colore erano dati dal blu delle scarpe, della fusciacca allacciata morbida sui fianchi, e dai frammenti di armatura che le proteggevano il braccio, la spalla destra e il petto.
Tutto il contrario era Death Mask, un uomo alto e con l’occhio sinistro sfregiato da una profonda cicatrice, i lunghi capelli blu scuro e la barba ben curata erano ingioiellati da una miriade di ciocche piene perline e monete dorate. Se ne andava in giro spavaldo e incurante come se la sua sfavillante armatura d’oro non avesse potuto fare gola ai peggiori manigoldi della città, ma forse erano le appendici acuminate da granchio che la ricoprivano a far sì che anche i più temerari ci pensassero due volte.
All’osservatore bastarono pochi minuti per inquadrare anche i loro caratteri: lei, adorabilmente entusiasta, gentile e indifesa, lui scontroso, sarcastico e facile da provocare.
Un tenero zuccherino e il suo burbero guardiano. Perfetti per il suo “esperimento”.
Élan si sedette su uno sgabello proprio accanto a lui e provò, alzando la voce, ad attirare l’attenzione del baffuto barista che stava riempendo un boccale incurantemente.
-Ehm, mi scusi?- si sporse sul legno grezzo con eccessiva foga appiattendo ancora di più il ventre già magro.
-Bene, bene, bene, sembra proprio che tu abbia fatto cadere qualcosa- la richiamò il giovane con tono mellifluo.
-Oh mio Dio, questa l’ho già sentita...- borbottò lei tra sé e sé -Togliamocelo in fretta dalle scatole… Che cosa?- gli domandò con un sorrisetto falso e una voce più acuta del previsto.
-La mia mascella! Ciao, sono...- il ragazzo le porse una mano inguantata con un fare cortese e uno sguardo che anticipava ogni cosa ma Élan tagliò corto prima di subito.
-Il tizio col rimorchio più banale della storia?- ridacchiò ironica degnandolo a malapena di un’occhiata -Potrei anche averti fatto cadere la mascella, amico, ma non ho ancora fatto cadere i miei standard, perciò, prima che al mio compagno caschino le palle, vedi di farti un giro!- tentò di scacciarlo con un gesto prima di provare a farsi notare nuovamente dal locandiere che stava servendo altri clienti lontani da lei.
-Veramente vorrei offrirlo a te un giro- insistette lui tenace, avvicinando il suo sgabello a quello della fata.
-Veramen...- Élan si voltò brusca cozzando col viso tra quei pettorali villosi messi in risalto dalla camicia ridicolmente scollata -Veramente l’unica cosa che mi stai offrendo in questo momento è il latte alle ginocchia. Scan-sa-ti- ringhiò a voce bassa scendendo dall’alta sediola per inseguire il barista con una cicatrice sul volto.
Avrebbe potuto chiedere a chiunque altro se conoscesse un medico in città, perfino al rosso appiccicoso che la stava insistentemente corteggiando, ma qualcosa le diceva che chi assisteva al viavai continuo doveva per forza avere la risposta più precisa di tutte.
-Se non fossi così scontrosa, potrei offrirti molto di più. Temerarie avventure in mare per esempio- continuò a tentare l’altro, mettendole un braccio attorno alle spalle. Senza farsi notare, girò gli occhi verso il Cavaliere del Cancro, ma quello non si era accorto minimamente degli situazione, preso com’era dall’interrogare gli ospiti del Corvo Chiassoso.
Élan cercò di liberarsi da quella presa da cascamorto ma finì di nuovo con la faccia a mezzo centimetro dal suo petto; cominciò a sentire la sua capacità di sopportazione venire sempre meno ma voleva evitare una scenata.
-L’unica cosa con cui mi sto scontrando in questo momento siete tu e la tua camicia a cui sono saltati tutti i bottoni… Davvero, com’è che non se n’è salvato manco uno?!-
Più cercava di raggiungere il barista seguendo i suoi rapidi movimenti su e giù per il locale, più finiva per cozzare addosso al suo adulatore, complice la naturale goffaggine di cui il ragazzo non solo aveva preso nota, ma che aveva deciso di sfruttare a suo favore; quel gioco snervante durò anche troppo a lungo senza che Élan reagisse ma al milionesimo rifiuto e al milionesimo scontro fisico, decise di non poter sopportare oltre.
Salì su un tavolo occupato solo dai boccali mezzi ammaccati e alzò la voce quel tanto che bastava da sovrastare il brusio.
-Scusate!- urlò secca.
Tutti i presenti si decisero a darle ascolto, barista e Cavaliere D’oro inclusi; anzi, fu proprio quest’ultimo il più felicemente sorpreso dallo spirito d’iniziativa: si sarebbe comportato come lei da bell’inizio, ma data la reazione dello zotico nel vicolo, aveva preferito andarci leggero e vedere che frutti dava quell’approccio. Élan, invece, aveva preso la situazione in mano per agire in modo concreto, attirando l'attenzione di tutti senza timore di essere al centro della scena. La sua spavalderia per la buona riuscita della missione, lo rendeva fiero e meravigliato.
Almeno, quello era ciò cui credeva.
-Qualcuno vuole dare una camicia che effettivamente si chiuda a quest’uomo prima che gli venga un colpo?!- proruppe la fata, scatenando l’ilarità generale nonché un sospiro frustrato di Cancer. Mai stato ingenuo in vita sua, aveva scelto una pessima serata per cominciare a farlo.
A sentire anche il suo inseguitore scoppiare in una risata chiassosa, Élan si decise a rivolgergli il primo vero sguardo da che l’aveva incontrato; che fosse per incenerirlo, era un altro paio di maniche.
La canaglia in questione, scoprì con piacevole stupore, era un affascinante mascalzone dalla pelle diafana, il fisico scolpito con delicatezza, un naso leggermente aquilino e degli occhi di un grigio profondo, uno dei quali era nascosto sotto una benda da pirata; avrebbe voluto tirargliela e lasciargliela ricadere sulla palpebra con uno scatto ma temendo potesse venire interpretato come un flirt, trattenne quel gesto ma non un commento a bassa voce. Con tutto quel chiasso, chi avrebbe mai potuto sentirla?
-O prima che venga a me voglia di dargliene uno...- borbottò a fior di labbra.
Sfortuna sua, l’orecchio del giovane era piuttosto fino.
-Cosa?- le chiese insicuro di aver capito bene.
-Cosa?- gli fece eco lei.
-COSA?!- Death Mask esplose dall’altra parte della stanza raggiungendoli a grandi passi; a quella reazione, sul volto del rosso si delineò un sorriso tronfio.
-Sei impazzita per caso?!- la rimproverò il Cavaliere strattonandola per un braccio così da fissarla negli occhi, incerto pure lui per cosa essere arrabbiato. Notando di avere puntati su di sé anche gli occhi grigi del “pirata”, fece scendere dal tavolo la fata e la portò accanto al bancone.
Chiunque incontrarono nel loro breve tragitto, si fece da parte poiché laddove non era spaventata lei, lo erano gli altri.
Élan non si impressionò per quella reazione e, consapevole di non aver fatto chissà che sciocchezza, spiegò con serenità i propri motivi.
-Death Mask, guardiamo in faccia la realtà: sono giovane e in salute, posso produrre i normali ormoni che portano all’eccitazione e certe volte ho la libido di una quindicenne indemoniata. Ora, questo tizio, per quanto appiccicoso, è piuttosto affascinante, per non parlare del saggio verbo del Nono Dottore: “viaggiare nel tempo è come visitare Parigi, non puoi leggere solo la guida, ti ci devi tuffare, mangiare il cibo, usare i verbi sbagliati, pagare il doppio e baciare delle perfette sconosciute… O lo faccio solo io?”. Adesso che ci penso mi fa tornare alla mente piacevoli ricordi- gli fece l’occhiolino memore di come fossero andate le cose quando si erano conosciuti.
-Se stai cercando di distrarmi, sappi che non attacca. Non so se questo discorso allucinante ti abbia ispirato nel nostro primo incontro, e potrebbe anche starmi bene se non fosse che ti sta ispirando pure quello col tizio che si è dimenticato le asole a casa!-
Élan si sporse oltre la spalla di Death Mask per vedere che il diretto interessato le stava facendo un cenno di saluto con la mano.
-Tecnicamente non ho intenzione di farci niente. Era una frase tanto per scherzare la mia, ma anche se così non fosse? Mettiti nei miei panni: se al posto di camicia da romanzo rosa, ci fosse una bella donna, strizzata in un minuscolo corsetto, non avresti forse detto le stesse cose che ho detto io? Cosa dovrei farci con uno del genere altrimenti? Compilare il modulo per le tasse? Sbucciare i pistacchi?-
Cancer si trovò a dover ingoiare una pillola molto amara; Élan era brava a leggere le persone e dopo tutto il tempo passato assieme non ci voleva un genio per capire che ci avesse preso in piena sulla sua indole da donnaiolo, ma allora perché non riusciva a scrollarsi di dosso quella gelosia? Si girò per esaminare l’oggetto della loro discussione e notò con profondo disappunto che si stesse avvicinando a loro due.
-Tsk, voi uomini… Vi stupite ancora della libido delle donne come se foste dei bambini…- sospirò la giovane scuotendo la testa.
Il siciliano sentì a malapena quel rimprovero: la ferita inferta dal parassita continuava a pulsargli sul bicipite ma un parassita di tutt’altra risma aveva deciso di dargli dei grattacapi a suo dire peggiori e non poteva restare impunito.
-Ahah, un bambino, dici?- rise sottovoce in modo gutturale. Presa Élan sotto le braccia, la fece sedere sullo sgabello più vicino e poggiò le mani sul bancone in modo da bloccarcela contro.
-Forse devo darti una lezione su quanto possa essere uomo- le sussurrò accattivante, scucendole una risata nervosa e carica di aspettativa.
Aveva imparato fin troppo bene quali tasti toccare per mandarla in cortocircuito e farle dimenticare tutto il mondo attorno a sé ma se c’era qualcosa che anche lei aveva imparato a sua volta, era come tenergli testa.
-Che aspetti a cominciare allora, professore?- tubò mordendosi un labbro.
Élan gli passò le mani sulla gabbia toracica dell’armatura, lo afferrò per il bordo fiammeggiante e lo strattonò a sé per baciarlo appassionatamente; Death Mask non se lo fece ripetere due volte e rispose a quel gesto cingendole la vita con un braccio mentre l’altra mano le scorreva tra i capelli approfondendo ancora di più quel contatto. Accanto a loro, prima che cominciassero quel rituale dissoluto, si era sistemato il combinaguai di poc’anzi; aveva pensato quasi di provarci con tutt’e due, vedere come l’avrebbero presa ma ormai era chiaro che fosse fuori dai giochi. Anzi, era pure alquanto imbarazzato.
-Che faccio, Bart? Resto? Me ne vado? Gli preparo una bevanda rinfrescante?- bisbigliò al barista colto alla sprovvista dalla piega degli eventi.
-Lascia perdere, Ilya, quello al massimo posso farlo io...- appuntò l’oste spillandogli una pinta dell’intruglio distintivo del Corvo Chiassoso, il Salty Bitter.
Ilya osservò con rammarico nel boccale: aveva cercato di scatenare una rissa e aveva ottenuto un accoppiamento. L’unica cosa con cui era accoppiato lui, era il proprio riflesso ambrato in cima al bicchiere.
Guardò di sottecchi la coppia e notò come si fossero spinti ancora più in là di quanto già non fossero: Death Mask aveva ritratto il suo elmo e teneva per le gambe Élan, che gli aveva stretto le braccia attorno al collo. Se fossero andati ancora oltre, avrebbero avuto bisogno di una camera e di lì a nove mesi, un buon medico che… Un momento! Ecco l’illuminazione!
Il ragazzo svuotò tutto d’un colpo il boccale traboccante e bussò sull’avambraccio del Cavaliere.
-Voi ragazzi avete bisogno di qualcosa?- si intromise con un’espressione sorniona poggiando i gomiti e la schiena al bancone -Uno spuntino, un anticoncezionale di qualche sorta? Non vorrei ritrovarmi tra nove mesi con le cosce della tua donna tra le mani e il vostro pargolo in arrivo...-
-ADESSO BASTA!- ruggì Death Mask battendo una mano sul pianale davanti a lui. Agguantato il ragazzo per la camicia, lo lanciò contro uno dei tavoli che si sfondò quasi con troppa facilità.
-Urgh, che schifo...- Élan scese dalla sediola e fece per tirare il compagno per un braccio quando quello lo fece scattare in avanti sfuggendo al contatto -Andiamocene, dai. Non ne vale la pena- provò a dissuaderlo, ma il Cavaliere del Cancro aveva già compiuto la sua scelta.
-DOPO! Prima devo insegnare a questo pezzo di idiota un po’ di galateo!- affermò, recuperando Ilya per trascinarlo fuori dal locale.
-Cos… no! Death Mask, lo ammazzerai!-
La mimica del rosso era tutta un insolito programma; forse era un masochista della peggiore specie o forse non si rendeva conto della feroce cattiveria con cui era solito combattere il Cavaliere D’oro, in ogni caso l’espressione che gli si leggeva sul viso non era di terrore e rimpianto, bensì di folle divertimento e impazienza. La gente si affrettò a seguire le due teste calde in strada dove l’allegria del pub si trasformò in sete di sangue mentre tutti si stringevano attorno al duo.
Spalancata la porta con un calcio, Death Mask sollevò il ragazzo fino ad averlo all’altezza degli occhi, dopodiché gli assestò una violenta testata sul naso che si ruppe senza fare complimenti; lo gettò sul pietrisco aspettando che si rialzasse e a quel punto lo afferrò per una spalla prima di colpirlo con un pugno in pieno stomaco. Ilya cadde a terra reggendosi solo sui palmi e sputando sangue; dal naso in giù la pelle candida era una maschera scarlatta che imbrattava anche la tanto discussa camicia e passarsi una mano inguantata sotto alle narici, non servì a molto.
Élan si affrettò a superare la folla per essere in prima linea durante quello scontro; arrivò in tempo per vedere Cancer scrocchiarsi le nocche in attesa che il ragazzo si rimettesse in piedi una seconda volta. Quando cercò di avvicinarsi al guerriero per fermarlo, un individuo a caso la afferrò per un polso facendola gemere dal dolore. A quel richiamo, Death Mask indirizzò il secondo pugno per il mento dello sconosciuto mandandolo al tappeto in un solo colpo.
Il colpo non era indirizzato a nessun altro ma per scaramanzia, si abbassarono tutti.
Liberata da quell’impiccio, la fata gli si gettò alla vita trattenendolo con tutte le sue forze; Ilya era riuscito a rialzarsi ma non era messo bene proprio per niente: si reggeva a stento sulle ginocchia e un colpo di tosse gli mandò altro sangue sui vestiti. Tuttavia non pareva spaventato o in procinto di scusarsi, sul suo viso campeggiava il sorriso più trionfante che si potesse fare, manco stesse vincendo lui quella lotta.
-Lo ucciderai se continui in questo modo!- Élan implorò Death Mask di fermarsi e, nel magro tentativo di farlo allontanare, puntò i piedi a terra affinché indietreggiasse assieme a lei.
-Forza, vecchio mio! Non mi dirai che è tutto qui quello che sai fare?! Allons-y!- lo sfidò il determinato ragazzo alzando i pugni in una misera difesa.
A quella provocazione, le preghiere della fata suonarono indifferenti al Cavaliere. Non solo colpì l’avversario sullo zigomo col dorso della mano, mandandolo a terra un’altra volta, ma gli mise anche un piede sul braccio spezzandoglielo con forza. Determinato, Ilya, certo lo era, ma in che cosa? Si stava impegnando davvero in quella rissa o era suo effettivo desiderio morire?
Death Mask poteva anche non brillare di intelligenza ma sapeva riconoscere uno scontro quando ne prendeva parte e quello decisamente non lo era.
-Ti supplico, basta! Non puoi volerlo uccidere sul serio!- Élan strinse ancora di più le braccia e fece un’altra prova per porre la parola fine a quella colluttazione. Quando fissò il rosso con occhi imploranti e spaventati, notò qualcosa di davvero insolito: lo zigomo pieno di lividi violacei fino a qualche secondo prima, ora era perfettamente sano e uno strano marchio aveva preso a brillare sul suo collo.
Cogliendo la sua espressione disorientata, il ragazzo le fece l’occhiolino strizzando intensamente la palpebra visibile; anche il petto, che prima si alzava e abbassava formando una conca dove le costole erano rotte, era ritornato alla sua usuale conformazione, e il sangue aveva smesso di scorrergli dal naso.
-Sto solo insegnando al nostro caro imbecille qui quali siano le buone maniere!- si giustificò Cancer agitando il piede sul braccio spezzato per peggiorarne la frattura.
Per la prima volta Ilya si lasciò sfuggire un grido di dolore così Élan intervenne in suo aiuto nel modo più peculiare ma efficace di tutti.
-Sai che ti dico? Hai ragione! È stato un maleducato e tu hai tutto il diritto di esprimere i tuoi sentimenti come meglio credi- asserì lasciando libero l’uomo. Man mano che parlava le ferite del rosso erano migliorate ulteriormente e le labbra carnose del Cavaliere si erano increspate in un sorriso vittorioso.
-Ma permettimi di fare una scommessa con te, prima di lasciarti tornare alle tue botte da orbi...- continuò ad annunciare mentre la folla passava dal guardare il suo compagno al guardare lei al colmo della curiosità.
-Sentiamo- accettò Death Mask.
-Scommettiamo che lo stesso motivo per cui io non ti fermerò più, sarà lo stesso motivo per cui tu ti fermerai da solo?-
-Che cazzo dici?!- inveì lui poco prima di sentire un rumore agghiacciante venirgli da sotto il piede.
Scostò lo stivale prendendo le distanze da Ilya i cui frammenti di osso si stavano ricomponendo come pezzi di un puzzle; in men che non si dica, il ragazzo fu di nuovo in grado di reggersi sulle gambe, il naso era ritornato al suo posto, i lividi erano guariti e non c’era il segno di un solo capillare spezzato in tutto il corpo. Una volta finita la guarigione, il marchio sul suo collo smise di luccicare e il portatore stava meglio di quando avevano iniziato a scontrarsi.
-Allora, vogliamo riprendere da dove ci siamo interrotti?-
Sconcertato, Death Mask fece saettare lo sguardo dall’espressione tronfia di Élan a quella innocente di Ilya accettando con una risata agrodolce la verità: era stato battuto. Da quei due. Senza che alzassero un dito.
-Sai cosa? Avevi ragione tu, ragazzina: non ne valeva proprio la pena...- si prese un minuto di silenzio per riempirsi di nuovo i polmoni con quell’aria salmastra che prima l’aveva domato con la sua avvincente capacità di rilassare ma non rimase in silenzio a lungo -Ascoltatemi, gente di Vesuvia! Sto cercando un medico, qualcuno di voi ne conosce uno?!-
Parte della folla mormorò imbarazzata mentre un’altra parte fece ritorno dentro il locale capendo che lo scontro non si sarebbe protratto oltre.
-Io sono un medico- commentò il giovane “pirata” richiamando la sua attenzione.
-Sì, certo, come no, e io sono un granchio. Gira a largo, pel di carota- lo spintonò via il Cavaliere D’oro.
-Sei davvero un medico?- lo interpellò Élan mentre Death Mask insisteva con l’interrogare la gente ormai quasi del tutto dispersa.
-Sì! Certo che sono un medico, uno vero! Perché dirlo sennò?- Ilya alzò la voce per farsi sentire anche dal diretto interessato che però stentava ancora a credergli.
-Senti- l’uomo gli mise paternalmente una mano sulla spalla e lo fissò negli occhi con fare serio -Non sto cercando quel genere di “dottore”, intesi? E anche se avessi intenzione di giocare al “dottore” in camera da letto, la mia prima scelta non ricaderebbe su di te, damerino!-
Il ragazzo lo fissò tanto scettico quanto stranito: quale parte del suo discorso non suonava sincera?!
-Credo stia dicendo la verità, ahinoi...- si arrese Élan, convincendo Death Mask a smettere di dare spettacolo in quel vicolo.
L’uomo lasciò cadere le spalle sconfitto, strinse la base del naso tra le dita e si arrese alle parole di quel mascalzone spericolato.
-E va bene!- gliela diede vinta infine -Come diavolo ti chiami, dottore da strapazzo? Jekyll? Mr Hyde?-
Ilya sorrise sornione, piegò un braccio sotto il petto, nascose l’altro dietro la schiena e si prostrò in un profondo inchino.
-Vostro umile Dottor Julian Devorak, per servirvi. E ora ditemi, di che cosa avete bisogno?-










N.d.A.
Dalla serie “Non scriverò mai una fanfiction su ‘The Arcana’ perché sarebbe troppa roba per ‘Fortuna favet fortibus’” alla fine ho deciso di farci uno spin-off intero. Le idee erano così tante che non potevo limitarmi alle battute con gli amici per cui eccoci qui :3
Come preannunciato nella descrizione, la storia sarà un crossover con la fanfiction “Fortuna favet fortibus” de “I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio”, se qualcosa riguardo a Desu ed Élan non vi batte o vi suona estranea, è perché, appunto, “The lovers upright” è uno “special” che non ho potuto inserire nella trama principale perché sarebbe stato troppo lungo.
La storia potrebbe presentare spoiler sulla route romantica di Julian e relative scelte pagate; se vedete qualche inesattezza circa il comportamento o la trama di altri personaggi, non abbiatemene, ma non ho letto tutte tutte le route dei protagonisti e alcune delle cose che so è perché la wiki è piuttosto dettagliata. Per i personaggi non binary (e qui dico di nuovo non vogliatemi male) userò i pronomi del genere che mi ispirano visto che in italiano non ci sono pronomi di genere neutrale (es. sappiamo che Nazali è una donna quindi userò quelli femminili, Vulgora mi sa di maschio quindi sarà lui e via dicendo).
Detto questo spero che la storia sia di vostro gradimento, sperando che non vada contro le regole del sito vi lascio il link per la storia “principale” e vi dico stay tuned :3

https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3135518&i=1

https://www.wattpad.com/811942480-fortuna-favet-fortibus-1-shudder-before-the
   
 
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