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Autore: Maqry    31/12/2020    3 recensioni
In un mondo in cui le anime gemelle esistono, e in punto di morte è concesso vedere chi sia la propria mentre immagini della sua vita scorrono davanti agli occhi, Harry Potter si ritrova a riflettere se in quell'ultimo istante a lui sarà concesso vedere la donna al cui fianco ha trascorso tutta la vita o se sarà un'altra ad apparirgli.
"Si è detto che mai, mai e poi mai rimpiangerà qualcosa che sarà solo fumo e vagheggio, ma ringrazierà invece ogni respiro di Ginny che ha potuto condividere, e i suoi occhiolini sfrontati alle cene del Ministero dall’altro capo della tavola, e le partite che ha vinto e quelle che ha perso, tutte sempre con lui in tribuna ad applaudirla."
[Harry/Fleur | Harry/Ginny | Fleur/Bill] [Soulmate!AU]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour, Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Bill/Fleur, Harry/Ginny
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Note: soulmate!Au in cui solo in punto di morte si vede scorrere davanti agli occhi tutta la vita della propria anima gemella (scenario che ho trovato in una qualche lista che non mi sono segnata e ovviamente ho dimenticato). Di conseguenza, si tratta del monologo interiore di un personaggio nei suoi ultimi istanti, e lo stile vorrebbe provare a ricalcare la sua confusione.


 
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Harry era cresciuto sapendone ben poco, dell’amore, stando a casa dei Dursley, che forse tra loro si amavano anche e moltissimo ed erano anime gemelle, ma di sicuro non erano mai riusciti ad amare lui o mostrargli un qualche barlume di affetto, se mai lo avessero provato. Ripensandoci da adulto non voleva essere crudele nei loro confronti, perché davvero avevano fatto tanto per lui, poteva riconoscerlo, gli avevano messo un tetto sopra la testa, dato vestiti di seconda mano e pasti caldi, nonostante tutto, più di quanto avesse memoria di aver ricevuto in quei suoi primi undici anni di vita. E se anche crescendo si era reso conto che no, si meritava – chiunque, in realtà, se lo meritava – molto di più, per potersi dire davvero completo, amato e anche solo ben voluto, a ripesarci si diceva sempre che era andata bene così, non importava più. Però, che un barlume di affetto per lui ci fosse stato oppure no, che potesse perdonarli oppure no, restava il fatto che da loro aveva capito poco sull’amore.
E non sapendone niente, non si era mai interrogato davvero su cosa l’avrebbe aspettato e su come funzionasse quella storia delle anime gemelle di cui sentiva parlare sognanti le compagne a scuola, si accontentava solo di pensare che là fuori c’era anche la sua ad attenderlo. Chissà se l’avrebbe mai riconosciuta o incontrata, tra quelle ordinate stradine che con meticolosa precisione suddividevano Little Whinging come una scacchiera. Vi guardava come a una sorta di liberazione, un appiglio che lo avrebbe portato lontano dal grigiore della vita con i Dursley, lontano dal respiro irritato di zio Vernon sul collo o dalla polvere del sottoscala dentro il letto, un sogno luminoso che gli avrebbe donato tutta la felicità di cui si sentiva privato.
E sarebbe stato bellissimo, perché era certo che trovare la propria anima gemella significasse essere finalmente felici, nel proprio posto del mondo, accanto a qualcuno che sa farti sorridere sempre, e ti prepara le uova con il bacon al mattino a forma di faccina, e ti porge proprio l’oggetto di cui hai bisogno senza bisogno che tu lo specifichi, solo dicendo passami la cosa che sta là.

 
Perché l’anima gemella dovrebbe essere qualcuno in grado di capirti senza bisogno di parole e tu esserlo per lei, in una perfetta armonia che ti mette in pace con il mondo.
 
 
Però crescendo Harry si era reso conto che non era poi così facile trovare la propria anima gemella, non per lui che di amore capiva e sapeva troppo poco, per cui qualsiasi gesto affettuoso che per gli altri appariva normale era quasi una dichiarazione, perché prima non aveva mai ricevuto alcuna attenzione simile. Nemmeno la più piccola carezza poteva ricordare, solo l’odore di cibo per gatti della vicina in fondo alla strada che era stata la presenza forse più premurosa, per quanto noiosa, della sua vita. E non è che il mondo ci mettesse del suo per aiutarlo, perché doveva esserci qualcosa di profondamente sadico dietro a una natura che decide che saprai della tua anima gemella solo in punto di morte, quando la sua vita ti scorrerà davanti agli occhi moribondi e appannati di caligine. Profondamente sadico, signorsì, perché avevi tutta una vita davanti per sbagliare a cercarla, la tua anima gemella, e magari credere di averla trovata in qualcuno, farci una famiglia insieme, donargli i tuoi segreti più imbarazzanti, quelli che ti fanno arrossire le orecchie al solo pensiero, e poi scoprire che no, ti eri sbagliato, non era lei.
Ti guastava la morte, quella regola, perché uno magari aveva anche condotto una vita tranquilla con quella certa persona che anima gemella non era, una vita bella di anni e figli e colazioni in un cucinino con le tendine di trina alle finestre, e poi scopriva di essersi sempre sbagliato a credere che fosse la persona giusta. Ti lasciava proprio con l’amaro in bocca, facendoti storcere il naso e inghiottire il rospo, rovinava in un solo istante tutta quella fila bellissima di anni e figli e colazioni in un cucinino, e lo faceva nell’unico momento in cui avresti voluto trovare uno spiraglio di quiete. Oppure poteva essere sempre scomoda, ma di una scomodità diversa, facendoti dire che, insomma, non era nemmeno tutta colpa tua se litigavate sempre perché non ricordavi in che cassetto fossero i calzini, sempre lì da almeno quarant’anni, cosa che invece avresti certamente imparato subito se a scegliere il cassetto in cui riporli fosse stata la tua anima gemella – no? 

In breve, un vero pasticcio, perché sapere così all’ultimo se si era detto sì, lo voglio alla persona giusta oppure no era decisamente crudele, meglio non saperlo, allora, che là fuori c’era quella perfetta per te ma che non avevi saputo trovarla, quella con cui tutte le ciambelle sarebbero state con il buco e le calze nel cassetto giusto. O così almeno credeva Harry da ragazzo. 
Era una falla proprio ingiusta in quel loro mondo magico e spettacolare, una che nemmeno le bacchette potevano riparare e forse nemmeno la Felix Felicis1 avrebbe potuto raddrizzare del tutto, una spintarella qui e una là, perché non è che esistessero magie in grado di trovare o interferire con il vero amore, questo Harry lo sapeva. Così come sapeva che l’amore era più forte di qualsiasi incantesimo, che non poteva essere indirizzato o manipolato, e sua madre ne era la prova più lampante, perché quell’amore di madre per un figlio, forse più atavico e forte e sicuro di quello di un’anima gemella, aveva sconfitto Voldemort e il suo Anatema.
E così Harry si era ritrovato a dover fare affidamento solo su se stesso nella ricerca, e a ripensarci ora che è un vecchio incartapecorito disteso in un letto del San Mungo, la mano di Ginny stretta tra le sue, un po’ se la ride di quel ragazzino goffo con i sentimenti. E darsi del goffo è ancora gentile, come cosa, perché era stato cieco e sordo e anche un bel po’ tonto, era cascato come una pera matura a sentire che Ginny era stata innamorata di lui sin da quel primo incontro sulla banchina tra i binari nove e dieci, e quando gli era venuto in mente che forse Hermione e Ron potessero voler essere più che amici, o quando sua figlia era venuta a presentargli il nuovo fidanzato, mano nella mano, e lui si era chiesto da quando la sua bambina fosse così grande da pensare ai fidanzati e alla convivenza. 
Era stato goffo, ma che cosa ne poteva allora sapere lui dell’amore, quando conosceva da poco tempo cosa significasse avere a fianco qualcuno che davvero si interessa se ti sei ricordato di lavare i denti la sera, hai ordinato la nuova scorta di pergamene o stai caldo nel maglione nuovo? Proprio un bel niente, aveva dovuto fare da solo, ormai ragazzo, rimboccandosi le maniche e imparando a riconoscere come accelerasse il suo respiro alla vista di Cho, e poi imparare che non era amore ma solo una cotta, e lei non era felice accanto a lui, non era pronta per una nuova storia. Un po’ c’era rimasto male e l’aveva fissata dall’altra parte della Sala Grande con un misto di rimpianto e risentimento, perché come prima storia non era stata poi un granché e lo aveva lasciato parecchio confuso e con un grumo amarognolo in gola. Però non si era dato per vinto, Harry, perché era tenace e determinato, lui, e pieno di amore da donare a quella giusta, quando sarebbe arrivata, e l’avrebbe resa felice per ogni singolo giorno passato l’uno accanto all’altra, riempiendola di baci, tanti quanti lui non ne aveva mai potuti ricevere da piccolo, crescendo dei bambini che sarebbero vissuti felici, in un mondo che lui avrebbe salvato da Voldemort. E non sarebbero mai stati orfani, i loro bambini, né lasciati a due zii e un cugino con poco amore da dare e un sottoscala come stanza, no, avrebbero avuto una camera enorme ciascuno, in una casa con le tendine di trina alle finestre, e le pentole che preparavano da sole la cena sul fuoco quando sarebbero stati di fretta, una casa dal tetto verde e fiori alle finestre e gnomi nel giardino, comprata con i soldi che avrebbe guadagnato facendo l’Auror. 
Ed era convinto di averla trovata, quell’anima gemella che tanto il mondo prometteva, e di averla trovata proprio in Ginny, nei suoi capelli lucenti, nel suo profumo di fiori e nella sua camminata spedita, decisa, di chi sa esattamente quello che vuole e non ha paura ad andare e prenderselo. Era lei che gli scuoteva lo stomaco da sotto a sopra e sempre lei era quella di cui aveva avvertito il profumo nel calderone di Amortentia, insieme al profumo del legno della sua scopa e della torta alla melassa. C’era Ginny, nella sua Amortentia, e a Harry era sembrata la conferma di cui aveva bisogno per essere sicuro che ne fosse davvero innamorato, che con lei potesse sognare innumerevoli sogni e passeggiare mano nella mano nel parco e sgattaiolare dietro un’armatura per screpolarsi le labbra di baci. 

La torta alla melassa lo aveva sempre lasciato un po’ perplesso, perché sì, gli piaceva e tanto, ma non era certo il suo dolce preferito e non si spiegava cosa ci facesse lì, tra le cose che più lo attraevano. Si era detto che forse era per il suo amore, nemmeno tanto ricercato, per i pericoli e le prove, perché stava mangiando una fetta di torta alla melassa alla cena per l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beuxbatons. Così forse si trattava di qualche legame con il Torneo, per quanto Harry fosse certo di non essere attratto dalla prospettiva di ripetere l’esperienza, al massimo solo rincontrare Fleur che capiva cosa avesse passato, e anche Krum, certo, per quanto il suo volto spesso immusonito non gli mancasse così tanto quanto quello mozzafiato della ragazza.
Ma Harry non vi aveva mai dato molta importanza, perché nella pozione sentiva anche il profumo dei capelli di Ginny e allora era di lei che era innamorato, per lei sentiva fitte di gelosia. O almeno così credeva: non sapeva bene come classificarle, all’inizio, perché la cosa che più vi somigliasse era il bruciore che aveva provato quando gli sguardi di Bill e Fleur si erano sfiorati durante la visita dei parenti prima della terza prova, un bruciore che non sapeva proprio come interpretare, ma forse era solo fastidio dovuto alla tensione che non tollerava certi svaghi. Ma non erano certo la stessa cosa, ed era convinto che quello che provava per Ginny fosse ben più forte, e deciso, e chiaro da riconoscere, come un amo che ti afferra le budella e te le tira, e sì – perché mai non gli era venuto in mente prima? –, certamente più simile a quello che aveva provato alla vista di Cho al braccio di Cedric al Ballo del Ceppo – non aveva proprio idea del perché avesse pensato a Fleur. Quello per lei era un bruciore, ecco, ed era stato lo stesso il giorno del matrimonio, anche se ben più ustionante e al sapore di bile, ma aveva sempre trovato che fosse normale, dato che lui non era certo dell’umore e dell’idea di celebrare un matrimonio proprio in quel momento. Non dopo che avevano tutti rischiato troppo per lui, e Malocchio era morto e Silente era morto e lui doveva partire per la sua missione e non voleva perdere un minuto di più per stupide feste con balli e abiti bianchi e diademi dei folletti su capelli d’argento. 

A volte, da quando l’aveva conosciuta, si era ritrovato a fissare Fleur imbambolato, il mondo che smetteva per qualche istante di girare se lei si voltava verso di lui o compariva dalla porta del passaggio segreto nella Stanza delle Necessità, lo sguardo di chi la guerra non si è trovato a combatterla ma se l’è scelta, di chi ha uno scopo e lotta per seguirlo. Si era sempre ripetuto fosse la sua bellezza che non sapeva lasciare indifferenti, anche se non poteva spiegare il cuore che si infiammava nel vederla scendere quei gradini e sapere che avrebbe combattuto la sua stessa guerra con occhi colmi di determinazione e paura e sogni di albe e mattine nuove. Così come non poteva spiegare perché ricordasse ogni dettaglio delle sue prove al Tremaghi, il brivido leggero che le increspava la pelle sotto la nuca prima di affrontare il drago, i capelli raccolti in uno chignon e due ciocche troppo corte fermate con piccoli fermagli sottili. O il moto di protezione che lo aveva spinto a correre da lei nel labirinto quando l’aveva sentita in difficoltà. 
Erano pensieri e ricordi strani, ma non vi aveva mai dato troppo peso, poi, Harry, perché davvero non potevano significare nulla, non con l’amo che gli scuoteva lo stomaco alla vista di Ginny, non con il tocco dei suoi polpastrelli che gli contavano le costole e scendevano ancora più giù, non con l’ardore che le illuminava il volto e rendeva estate tutto attorno, non con quella risata che si sarebbe bevuto fino a ubriacarsi, se solo avesse potuto. 
Fleur è tanto simile a Ginny aveva detto una volta George sovrappensiero, osservando cognata e sorella discutere di Incantesimi Avanzati, e Harry sul momento nemmeno vi aveva prestato chissà quanta attenzione, annuendo appena e tornando a commentare il Campionato con Ron. Però quella frase spesso gli era tornata a ronzare in testa come una zanzara nelle sere d’afa attorno al letto. Nemmeno aveva voluto pensarci troppo, a cosa significasse, e nemmeno ci teneva a farlo ora, su quel letto del San Mungo con la mano di Ginny a stringere la sua, troppo vecchia e troppo stanca per sollevarsi e carezzarle un’ultima volta la curva dolce dell’orecchio, del collo e poi della spalla, in un gioco di onde. Però sì, doveva riconoscere che erano simili, con quella forza da guerriere nascosta sotto la pelle che le animava, con quello sguardo fiero e deciso che avresti voluto ti guardasse sempre così, ogni giorno più fiero e deciso, in grado di farti tremare ogni vertebra e rimettertela poi a posto.
Ma nulla per cui valesse la pena perdere il sonno, credeva Harry, perché lui Ginny l’amava, e molto, moltissimo, così tanto da voler cercare per sempre la forma delle sue dita nelle mani di un bambino, e quel ricciolo ribelle che le sfuggiva sulla fronte sopra la fronte di una bambina dai capelli rossi come lei, e come sua madre prima ancora, una bambina e un bambino che sarebbero stati la loro bambina e il loro bambino, un po’ di Harry e un po’ di Ginny nel sangue, nella carne e nell’anima. E anche se poi fosse venuto fuori che non era Ginny l’anima gemella che gli avevano promesso, sarebbe andato ugualmente bene, perché in quel mondo, imperfetto nonostante la magia e la meraviglia, era concesso amare più persone, più volte, anche se non tutte dello stesso tipo d’amore, e lui Ginny l’aveva amata con tutto l’amore che aveva da dare, quell’amore un po’ impacciato e imparato da grande che conteneva il suo cuore. E anche ora la amava, nonostante i capelli fossero ormai bianchi e non più rossi come erano stati quelli di sua madre, nonostante le rughe e i dolori dentro le ginocchia, e forse non era tutto l’amore che Ginny si sarebbe meritata, ma era quello che lui era stato in grado di darle e si augurava fosse davvero bastato. Lei non se ne era mai lamentata con lui, ma lo aveva amato a sua volta, più di quanto Harry credesse possibile per un bambino cresciuto in un sottoscala con la polvere tra le coperte e sulla federa.
A volte, tante volte, avevano litigato, per cose piccole e anche per cose più grandi, e poi lui non si era ricordato dove tenessero i pigiami, o l’aveva guardata smarrito quando gli chiedeva di passarle la cosa che sta sul coso. Ma l’Harry adulto e così quello vecchio credevano che fosse normale, che l’amore non dovesse essere perfetto, che magari non ci si parla per giorni anche tra anime gemelle e anche tra anime gemelle a volte capita di dormire per una settimana sul divano, così scomodo da tenerti sveglio tutta la notte a chiederti, certamente accecato dalla frustrazione, se con qualcun’altra non saresti stato più felice, d’accordo su tutto, se dormire accanto a Fleur sarebbe stato più dolce, i suoi capelli d’argento sparsi sul petto e le dita a rincorrere i suoi sospiri… Pensieri scacciati subito, però, quasi timoroso di averli anche solo formulati, dispersi subito al vento in una miriade di altri pensieri e preoccupazioni per il lavoro, la condotta di James, i silenzi da adolescente di Albus e la brutta caduta dalla scopa di Lily; pensieri che nemmeno capiva perché avesse fatto, e si giustificavano di nuovo pensando che Fleur fosse in parte Veela, che dovesse essere qualche rimasuglio di potere che ti entrava nelle membra anche senza che lo usasse su di te, una qualche malia dettata dall’insonnia.
Anche perché, davvero, cosa avrebbe fatto lui a fianco di Fleur Delacour, il piccolo ossuto e tutto occhiali Harry Potter, che a quattordici anni faticava solo a balbettare davanti a lei, figurarsi immaginare di fare altro, osare altro, spingersi oltre e voltare la testa per far scontrare le loro bocche quando lei lo baciava sulla guancia, berle tutti quegli Arrì dalle labbra di petali di rosa, imprimersi il contorno delle sue ossa sulla pelle. Sapeva un po’ di barzelletta e un po’ di presa in giro, a lui, e non capiva mai perché quelle idee ritornassero di soppiatto nella sua testa, si avvolgessero su se stesse e stagnassero lì, tra l’iride e la palpebra, pronte ad abbagliarlo al primo battito di ciglia, così, senza un vero motivo, senza un senso logico a dipanare la matassa; pensieri da provare ad allontanare in fretta, anche ora che è vecchio e mezzo moribondo, con l’età a premere sugli organi e affannare il respiro e spezzare i battiti del cuore, con una moglie accanto e tre figli attorno al letto.


 
Harry nemmeno lo riesce più a seguire, il corso dei suoi pensieri, perché è così stanco e vecchio, le giunture che nessun incantesimo riesce più a rendere meno dolorose e scricchiolanti, ma ripensa comunque a tutto quello che credeva di non sapere sull’amore e di conoscere sulle anime gemelle da bambino, e ripensa anche a quello che ha imparato sull’amore e su un mondo di magia imperfetta, che se ti concede di conoscere quel segreto solo in punto di morte, almeno ti regala la possibilità di amare comunque anche altri, ed essere felice lo stesso, magari non tanto quanto come con quella giusta, ma tanto tu non lo saprai mai, a quel punto, perché un attimo dopo averlo saputo sarai morto e se sarai così sciocco da provare rimpianto sarà solo colpa tua.
E Harry non si ritiene sciocco, perché sarà anche stato sordo e cieco e goffo e un po’ tonto da ragazzo, ma sono passati più di ottant’anni e ha collezionato mattine e sere e lezioni di vita come se fossero state cimeli preziosi da tenere sempre con sé, e ha riflettuto sulla faccenda nelle notti passate sveglio, un bimbo urlante tra le braccia o un brutto incubo a non lasciarlo dormire, e si è detto che mai, mai e poi mai rimpiangerà qualcosa che sarà solo fumo e vagheggio, ma ringrazierà invece ogni respiro di Ginny che ha potuto condividere, e i suoi occhiolini sfrontati alle cene del Ministero dall’altro capo della tavola, e le partite che ha vinto e quelle che ha perso, tutte sempre con lui in tribuna ad applaudirla. 
 
Si sente pronto, Harry, e quando socchiude gli occhi e sente che lo sta facendo per l’ultima volta, si concentra sul ricordo di occhi scuri e capelli di fuoco, e mani con duri calli da giocatrice di Quidditch sul palmo e da giornalista tra indice e medio. Ma non deve essersi concentrato abbastanza, perché vede ruote di gonne azzurre e capelli da fata, castelli incantati con distese di lavanda ed erica che si inerpica sui muri, e colori pastello e bacchette di legno di rosa, vede una sorella da amare immensamente e un ragazzo dai lunghi capelli rossi e un orecchino di zanna di drago, un marito che non è l’ossuto Harry ad attenderla all’altare. Vede una casa sul mare trapuntata di conchiglie e due bambine che si rincorrono sulla spiaggia, l’oro e l’argento tra i capelli, e un bimbo paffuto dal piccolo naso all’insù, volti che ha imparato ad amare e chiamare famiglia, certo, ma orme di nipoti e non di figli. Vede sogni in lingue che non conosce e occhi del cielo più limpido possibile, dita delicate e liscissime e sorrisi di primavera, onde del mare che carezzano i piedi e brezze che scompigliano capelli che sfumano nel sole.
E poi sente di nuovo quel bruciore, che brucia sempre di più, e mozza il respiro e ferma il cuore, un grumo di rimpianti e mattine mai attese l’uno tra le braccia dell’altra incastrato lì, nei polmoni, che preme per salire ma non ce la fa e toglie per sempre l’aria.

 
Non è stata una perfetta armonia che mette in pace con il mondo come credeva da bambino, e una ruga più scavata tra le sopracciglia rimane a segnare il disappunto sul suo corpo ormai spento.

 
 
 
 

Note alla storia: non ho mai scritto soulmates!AU (e non so perché lo stia facendo proprio ora, ma l’altra sera ne ho letta una stupenda di blackjessamine, mi sono informata su come funzionassero per leggere con cognizione di causa la sua storia e mi sono messa in testa di scriverne una), non ho mai scritto di Harry (o almeno di Harry vivo, dei suoi pensieri, ecco), non ho mai scritto con questo stile che vorrebbe essere un flusso di pensieri mal riuscito, credo. Non so nemmeno se si capisca qualcosa, se sia ben usata la coppia Fleur/Harry, ma io in qualche modo ho provato a portare a termine la sfida lanciatami da Rosmary nel gioco “Sfida di scrittura” del gruppo fb Caffè e calderotti, ed è stata già un’impresa entrare nella testa di Potter, uscire dal flusso di pensieri in cui mi ero ritrovata immersa avrebbe segnato la fine di qualsiasi tentativo, mi conosco. Immagino non fosse quello che ti aspettavi, Rosmary, e volevo scrivere qualcosa di così bello nonostante la presenza di Harry e le mie scarse capacità da dedicartelo, ma sinceramente me ne vergogno fin alle punte dei capelli, quindi lasciamo perdere e se fa proprio orrore chiudi gli occhi e fingi che non sia mai esistita.
Non so se ci sia qualche temerario giunto fin qui, nel caso avete tutta la mia stima e il mio affetto, e vi ringrazio di cuore per aver dedicato parte del vostro tempo a questo delirio.
 
 
 

[1] Ordunque, sono dell’idea che la Felix, anche nell’universo canonico, possa fare ben poco per farti trovare l’amore con certezza. Fa lasciare la ragazza che ti piace e il suo attuale fidanzato, magari fa andare splendidamente un primo appuntamento, oppure capita che incontri quella che sarà la persona giusta, caso mai, ma non lo sai (il che trovo cambi poco, ai fini del ragionamento di cui sopra)Non puoi usarla con lo specifico scopo di incontrare e sapere con precisione chi sia la persona giusta per te, credo. E se anche così non fosse, in questo universo facciamo che sia così, ché già i fortunelli hanno la certezza esista un’anima gemella e più tardi che mai anche chi sia (sa un po’ di maledizione, ma comunque), non esageriamo a render loro la vita facile (la regia mi dice che non è facile procurarsi/creare la Felix, ma il solo fatto che esista come possibilità per me renderebbe il tutto semplice). Nemmeno il genio di Aladdin può realizzare desideri sull’amore, e se lui non può non vedo perché dovremmo concederlo a Potter.
   
 
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