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Autore: LadyBlueSky    02/01/2021    2 recensioni
La battaglia contro Profondo Blue al suo apice. Ogni cosa può cambiare con un mossa minima. O con una scelta, azzardata e forse folle, di qualcuno che non credevi di poter essere un giorno. Forse lo sarai davvero. Forse no. Perché dopotutto, l'amore di una madre davvero non conosce limiti.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ichigo Momomiya/Strawberry, Keiichiro Akasaka/Kyle, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sotto un cielo sereno…

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ultima cosa che vedi prima di sparire sono i suoi occhi – un azzurro irreale, troppo intenso e troppo vivo per appartenere ancora a questo mondo.

 

L’ultima cosa che vedi prima che sparisca sono i suoi occhi – un castano morbido, profondo e nuovamente così pieno di vita malgrado il mondo a cui appartiene.

 

 

Un nodo alla gola. Una lama di ghiaccio nel cervello. Una pressione così forte allo sterno e alla bocca dello stomaco che quasi fa vomitare. Buio e poi luce e poi buio e poi, ancora, definitivamente, luce.

 

 

I grattacieli di Tokyo svettano lungo la linea dell’orizzonte, salendo in alto, sempre di più, quasi volessero raggiungere il cielo per poi fondersi con esso; magari anche superare i pesanti e cupi nuvoloni che ora lo impregnano, impedendo al sole di portare almeno un po’ di speranza.

Sotto di te – troppi metri dividono ora la solida terra da questa navicella aliena – macerie, fango, terra brulla. Disperazione, angoscia, terrore. Morte. Sono concetti che conosci fin troppo bene, che ormai fanno parte di te come poche altre cose. Trovi quasi rassicurante averli davanti, perché sono la normalità della tua quotidianità da anni. Qualcuno potrebbe trovarla inquietante come visione delle cose, ma hai imparato che la qualsiasi emozione, sia essa positiva o negativa, è solo definita dalle esperienze personali. Chi ha vissuto la tua vita, chi ha vissuto il tuo mondo, la penserebbe esattamente come te.

Davanti a te Profondo Blu, i suoi occhi gelidi e crudeli. Davanti a te il corpo ormai inerme di Kisshu, il corpo segnato e il sangue a macchiarglielo. Davanti a te una Mew Mew, una ragazzina, di rosa vestita, coda e orecchie da gatto e lo sguardo pericolosamente in bilico tra la disperazione e la risolutezza.

Ricordi bene quel giorno, questo giorno!; ricordi ogni singola parola, ogni lacrima e ogni ferita. Ricordi, soprattutto, di averlo vissuto, ma vedersi da esterni è qualcosa che difficilmente potrai mai spiegare.

 

“Ero davvero così, allora? Erano davvero questi, i miei occhi?”

 

Saranno gli anni passati, o la consapevolezza delle scelte compiute, o magari il rimorso e il senso di colpa – probabilmente sarà un insieme di tutto questo – ma in questa ragazzina non riesci a riconoscerti.

 

Mewberry…”

 

Un nome, un’identità, che non è più tuo da molto tempo. L’hai abbandonato per tua scelta, vinta dalla disperazione della resa e dalla consapevolezza della sconfitta. L’hai abbandonato, forse, anche per semplice vigliaccheria, per incapacità e per debolezza; magari solo per un’ingenuità disillusa senza pietà, gettata nella polvere e calpestata con violenza.

 

“Eravamo le Mew Mew. Dovevamo proteggere la Terra, combattere i Chimeri e sconfiggere gli Alieni. Eravamo delle Eroine.”

 

Che sciocche. Che sciocca. Un gruppo di ragazzine gettate nel turbinio degli eventi da un altro ragazzino, cresciuto troppo in fretta, che giocava a fare l’uomo e viveva nel terrore che non fosse abbastanza, che vi succedesse qualcosa.

 

“Folli sciocchi innamorati di un Sogno, e dai sogni prima o poi ci si sveglia…”

 

È stato un risveglio fin troppo amaro, il vostro. Un risveglio che ha portato con sé una scia di morte.

Profondo Blu alza improvvisamente gli occhi e per un assurdo istante hai la sensazione che stia guardando te – uno sguardo gelido e crudele, arrogante come pochi e schifosamente fastidioso; strano come riesci ad analizzarlo così freddamente, considerato che allora avevi tremato sotto di esso.

Sorridi mesta e poi scuoti la testa, divertita.

 

“No, non puoi vedermi. Io non sono qui, anche se ci sono.”

 

Sposti lo sguardo dall’alieno senza più alcun interesse e lo punti su Mewberry.

 

In ginocchio sulla fredda pietra; le braccia a ricadere pesanti lungo i fianchi; la testa bassa; gli occhi vuoti e poi pieni – vuoti di ogni volontà; pieni di acqua a sale.

 

È straziante, per te, quest’immagine. Non c’è una Mew Mew, davanti al tuo sguardo, ma solo una ragazzina chiamata a svolgere un compito non richiesto, non voluto, che con la sola forza della cocciutaggine e dell’ingenuità ha creduto di poter vincere questa guerra.

Ti fa tenerezza, e malinconia. Questa è una te stessa che hai amato e odiato in egual misura, ossia troppo.

 

“Se tu fossi stata diversa… Se io fossi stata diversa… No! Ora basta! Finisce qui! Finisce oggi!”

 

Hai rischiato ogni cosa, per essere qui. Hai vomitato sangue e bile; hai portato il corpo e la mente al punto di non ritorno; hai rinunciato a quell’unico scorcio di felicità, di amore, di serenità concessoti – piccolo, minuscolo frammento di una vita che avrebbe potuto essere tua se tu stessa non l’avessi fatta a pezzi con le tue mani.

 

“Non è più tempo di recriminare.”

 

Tempo… Non ti sarà concesso – non eccessivamente comunque.

Hai solo un istante. Né di più, né di meno.

 

Un istante può essere anche troppo, a volte; altre troppo poco.

Un istante può durare una vita intera; o essere così breve da non venir nemmeno percepito.

 

Ti avvicini a passo sicuro a Mewberry, ma nessuno si accorge della tua presenza.

 

“Io non ci sono, anche se ci sono.”

 

T’inginocchi davanti a lei e le prendi il viso tra le mani. Lei trassale, scossa nel profondo da un brivido viscerale; le sue lacrime si fermano e quando alza lo sguardo questo si spalanca, stupito e terrorizzato.

“Cosa…”

“Va tutto bene. Va tutto bene.” Sussurri bloccandola immediatamente e regalandole un sorriso dolce e materno. Sai di doverla rassicurare, sai che è spaventata, ma sai anche di non poter fallire. A prescindere da quanto verrà.

“Tu…” Ancora un sussurro, sempre flebile e sempre tremante. Ha capito – in un modo astruso e complicato che non hai tempo di spiegare – chi tu sia.

Sorridi mestamente prima di abbassare il cappuccio che ti ha in parte celata per tutto il tempo.

 

Capelli vermigli inframezzati da fili argentei; viso stanco, smunto; lineamenti affilati dall’età e dal tempo; pelle pallida, tirata, a tratti viola vicino agli zigomi; occhi castani, profondi e stanchi.

 

È una descrizione orribile, quella del tuo volto. È la descrizione del viso di una vecchia, non di una ragazza di appena vent’anni.

Mewberry trassale e istintivamente si scosta, inquietata.

“Non avere paura. Non voglio farti del male.” Sussurri ancora, sempre con quel tono materno. È qualcosa che ormai è facile da trovare, da usare; è qualcosa che è dentro di te, da anni, e che è stato quanto di più naturale potessi immaginare.

Mewberry ti guarda ancora, con quegli occhi così limpidi da perforare quasi l’anima. Ryo te l’ha raccontato spesso, questo sguardo, ma vederlo dal vivo è qualcosa che quasi ti destabilizza. Trovi straziante pensare come occhi così belli possano essersi distrutti, annichiliti, spezzati.

“Tu sei… me…” Il gorgoglio roco di questa ragazzina ti riporta alla realtà, a dove ti trovi. Alla guerra.

Sorridi piano – un’azione che ti costa fatica, ormai; è quasi più una smorfia – e così facendo le dai la conferma di quanto ha appena affermato.

“Ma… Come… Io…”

“È difficile. Lo so.” La rassicuri ancora, con tono dolce. “È assurdo, per certi versi. Inconcepibile, strano e a tratti folle. Ma quando si cerca di compiere un miracolo è così. Sempre.”

Un miracolo… Sì, in definitiva è per questo che sei qui. Perché solo un miracolo potrebbe cambiare le cose; perché solo qualcosa che si ritiene impossibile può essere la soluzione.

 

“Se funziona sarà un miracolo.”

“Allora sarà un miracolo.”

Il ghigno divertito di Ryo; il tuo sguardo risoluto.

 

“Ma tu… Da dove vieni?” Chiede Mewberry ritrovando la voce, e anche la lucidità.

“Non dove, ma quando.” Precisi preparandoti a quella che sarà la parte più difficile. “Vengo dal futuro, Mewberry. Da sette anni avanti ad oggi.”

“Cosa?”

Quasi ridi, a quell’espressione allibita, a tratti incredula e anche un filino spaventata. Ecco, questo invece è qualcosa che ricordi bene; quando qualcosa ti sconcertava, o succedeva all’improvviso, eri solita reagire così. Ma ora non è tempo di perdersi nei ricordi – non c’è mai tempo.

“Vorrei che fosse più facile.” Sussurri abbassando lo sguardo, consapevole di cosa stai per fare e di cosa porterà. “Vorrei, soprattutto, che fosse esente dal dolore che verrà. Ma non posso. È il dolore a darci la forza che ci serve, Mewberry; è il dolore che patiamo e al quale sopravviviamo a renderci più forti, più risoluti, capaci di alzarci una volta ancora e continuare a vivere. È il dolore che ci insegna a combattere.”

“Io…” Il terrore sul viso di questa ragazzina, che non comprende e che per questo vorrebbe solo scappare il più lontano possibile.

“Ho bisogno che tu ascolti la mia voce, e che guardi con i miei occhi. Ho bisogno che tu sia più coraggiosa e forte di quanto non sia mai stata io.”

“Perché dovrei farlo?” Domanda lei senza voce, in un sussurro flebile e tremulo. In cuor suo vorrebbe solo che tutto questo non fosse mai successo, che la vita non avesse preso questa svolta; vorrebbe non essere diventata una Mew Mw, aver conosciuto le proprie compagne ed essere ad un punto morto della storia, dove anche la più piccola decisione può portare o alla vittoria e alla fine di tutto o alla distruzione di ogni cosa conosciuta.

La comprendi. Comprendi questi sentimenti, questa paura, questa vigliaccheria. E non puoi fargliene una colpa. E vorresti essere gentile, magari indorarle un po’ la pillola; mentirle anche, se servisse. Ma non ti è concesso.

“Perché spetta a te, pagare per i miei errori, per i miei crimini. Perché sarà compito tuo, mondare i miei peccati. Perché tu sei me, e io sono te.”

I suoi occhi ora sono lucidi e pieni di lacrime di paura; le sue mani tremano e quasi si trova a scattare indietro, lontana da te. Non ti arrabbi per questo, né provi delusione: è solo una ragazzina, spaventata, che gli eventi stanno obbligando a qualcosa di terribile.

“Ma tu… Tu chi… Chi sei davvero?” Domanda con un singulto, la voce roca.

“Io sono solo un fantasma, Mewberry. Io sono un’eco della coscienza di Ichigo; sono un frammento infinitesimale della sua persona, della mia persona.”

“Ma…”

“Se mi ascolterai, se guarderai, tutto ti sarà finalmente chiaro. Ti prego.”

 

Occhi gemelli che s’incontrano, si scrutano, si studiano e poi, per un istante sfuggevole, si riconoscono.

Due persone diverse, che sono la stessa.

 

 

È difficile raccontare, mostrare, per la sola ragione che è difficile ricordare. Non perché le memorie siano evanescenti, opache, più simili a incubi dai contorni sfocati che alla concretezza della realtà; non perché la tua memoria inizia a fare scherzi, provata da anni e anni di logoramento. No, niente di tutto questo. È difficile per un più semplice e banale motivo: fa male.

Non è il tipo di dolore al quale sei ormai abituata, quello con cui hai instaurato almeno una civile convivenza data dalla resa più che dalla consapevolezza o dalla maturità; non è quel dolore sordo, sottile eppure perforante che fa parte di te, che è una parte di te, che è tuo compagno di giorno e di notte. No, è qualcosa di più profondo, di più radicato e di esponenzialmente più distruttivo. Quel dolore è generato dal ricordo, e a sua volta il ricordo stesso ha generato altro dolore. Un circolo vizioso, come un cane che si morde la coda; un’ellisse perfetta, senza inizio né fine, ma solo in costante movimento circolare.

È qualcosa da cui non si esce.

 

 

Prendi il viso di Mewberry tra le mani e chiudi gli occhi. Lo sforzo sarà enorme, e ti prosciugherà di quelle poche energie che ancora ti sono rimaste. Lo sai. Lo hai saputo dall’inizio, ma non hai avuto alcuna remora.

Appoggi le vostre fronti l’una contro l’altra ed è dolore, come una lama di ghiaccio nel cervello; ed è mancanza di ossigeno, quasi i polmoni fossero in apnea; ed è un colpo secco e violento alla bocca dello stomaco, che fa boccheggiare e quasi vomitare. Poi è solo un mondo che si apre, che spalanca le proprie porte, e trascina giù e giù e giù, fino all’abisso.

“Sette anni fa eravamo esattamente dove e quando ti trovi tu adesso: nel pieno dello scontro contro Profondo Blu…”

Inizi così un racconto che sai di dover concludere, malgrado il dolore che ne seguirà. Mostri a Mewberry ogni cosa, le fai sentire ogni parola e le fai provare ogni emozione, perché sai che saranno queste a renderla davvero cosciente della situazione e del suo e tuo ruolo.

“Quel giorno, in un attimo, sono stata la responsabile della fine di ogni cosa. Il mondo in cui vivo, da cui vengo, è figlio della mia stupidità. O puoi chiamarla vigliaccheria, se preferisci.”

“Perché dici questo? Cos’hai fatto di tanto grave?” Domanda Mewberry con un filo di voce e con gli occhi fissi sulle immagini dei tuoi ricordi. Non riesci a dire se sia terrorizzata o sconvolta.

“Cos’ho fatto? Cosa non ho fatto, vorrai dire.” Sputi fuori con rabbia, i pugni che si stringono e le nocche che sbiancano. Gli occhi dell’altra sono ora puntati sul tuo volto dai lineamenti induriti e pieni di rabbia verso te stessa. “Ho dato ascolto al mio cuore di tredicenne, all’amore infantile per Masaya; mi sono convinta che questo sarebbe bastato – il mio amore! – per salvarlo e riportarlo da me. Lo rivolevo al mio fianco, con forza, spinta dall’ingenuità e dall’egoismo. E per questo mio desiderio non ho guardato in faccia nessuno, e ho sputato sopra l’affetto, l’amore e la fiducia di chi c’era stato quando nessun altro c’era, quando nessun altro avrebbe potuto capire.”

“Io…”

“Ho esitato, Mewberry, prima. E dopo mi sono rifiutata di alzare la mia arma, di colpire il nemico. Kisshu un’opportunità me l’aveva data, e io l’ho buttata via perché il mio amore per Masaya – perché Masaya! – era più importante dell’intera umanità.”

Ci sono solo rabbia, disprezzo e disgusto nella tua voce, ora. Non riesci a perdonarti. Non vuoi perdonarti. Più probabilmente non vuoi il perdono in generale.

“Ma tu…”

“Quello che non ho fatto è stato uccidere Profondo Blu quando ne ho avuta l’occasione. E lui ha distrutto ogni cosa.”

Macerie. Rottami. Città in rovina. Sangue. Cadaveri. Deflagrazioni dei missili. Bombardieri, caccia, navi d’assalto e carrarmati. Famiglie distrutte, vite distrutte. Il mondo divenuto rosso di sangue e nero di morte e grigio di cenere.

Mewberry crolla a terra, sconvolta, disperata, disgustata. Quello che sta vedendo non è altro che il mondo creato da quell’esaltato di Profondo Blu, dalla sua volontà di soggiogare e dominare; quello che vede è il mondo creato dalla tua incapacità di comprendere e di accettare, dalla tua infantile e stupida testardaggine, dalle tue effimere e sciocche illusioni.

“Questo… Tutto questo… Lui…”

Non riesce a parlare, Mewberry. È solo ancora una ragazzina, e tutto questo è troppo per lei. È stato troppo anche per te.

Le immagini proseguono, i ricordi si rincorrono per allinearsi nella sequenza corretta. Un urlo ti fa socchiudere gli occhi e incassare il dolore che ora ti stritola il petto. E sono davanti a te – a voi – i corpi senza vita di Mint, Retasu, Purin e Zakuro.

“No… No… NO!”

Il grido di negazione di Mewberry è una stilettata al cuore: è lo stesso grido straziante che è uscito anche dalle tue labbra, allora. E ti è rimasto attaccato addosso, si è impigliato nella tua memoria con tale forza che la sua eco non ha mai smesso di risuonare.

“La prima a cadere è stata Retasu, poco dopo lo scontro con Profondo Blu…” Sussurri deglutendo a forza e ingoiando così anche la bile che ti è risalita lungo la gola. Non hai più lacrime per loro, andatesi a esaurire tempo fa. Neanche la consolazione del pianto, ti è rimasta.

Socchiudi gli occhi e poi li punti su Mewberry; è ancora inginocchiata, piangente, e scuote la testa ripetendo quel ‘no’ in una nenia quasi fastidiosa.

“Non staccare lo sguardo.” Le dici con più durezza di quanta avresti voluto in realtà.

“Non voglio più guardare… Non voglio più vedere…” Balbetta con i singhiozzi che spezzano le parole e le mani a tenersi il capo. Improvvisamente alza lo sguardo su di te ed esplode. “Perché? Perché? Perché tutto questo? Perché farmelo vedere?”

Urla, isterica, con gli occhi gonfi di pianto e la voce stridula. Si dimena, strepita e poi urla ancora, ma stavolta non riesci a cogliere quasi nulla delle sue parole.

“Perché questo sarà quello che succederà, se le tue scelte saranno le mie.” Dici guardandola dritta negli occhi.

Lei si calma di colpo, le lacrime si arrestano e la bocca tace. Ti guarda e tu le permetti di scavare nei tuoi occhi, dentro la tua anima, sino agli angoli più remoti e oscuri di te stessa, sino all’abisso che custodisci nella parte più nascosta.

Trassale, Mewberry, portandosi una mano alla bocca e nuovamente i suoi occhi si fanno lucidi. Che dolce, piange per il dolore che hai provato tu. Ti eri dimenticata di essere così empatica un tempo.

“Continuiamo?” Le chiedi allora, spostando lo sguardo dal suo.

Ti fa male guardarla. Ti fanno male i suoi occhi e, soprattutto, ti fa male vedere all’interno di essi la persona che eri e che avresti potuto essere.

La vedi annuire con la coda dell’occhio e cerchi di riprendere la calma.

“La prima è stata Retasu, poi Zakuro, Mint e infine, dopo due anni, Purin…”

Le hai viste cadere tutte, una dopo l’altra; le hai viste morire sotto i tuoi occhi, e ogni volta una parte di te è morta con loro.

Ricordi molte cose, di quei due anni, alcune delle quali non sai nemmeno perché le ricordi; altre non hai nemmeno idea che siano accadute, e non te ne importa più di tanto.

Il mondo aveva preso a girare troppo rapidamente, e le regole del gioco erano cambiate in maniera repentina. Compresa la gravità della situazione – Tokyo era praticamente stata rasa al suolo in meno di sessanta secondi – i governi mondiali avevano deciso che starsene in disparte non era più possibile. Per la prima volta nella storia l’umanità nella sua totalità aveva messo da parte le proprie beghe: economia, politica, religione non contavano più. Un fronte comune, un muro compatto, si alzò a difesa delle genti tutte, scagliandosi contro l’invasore. Non fu abbastanza – così come non foste abbastanza voi, le Mew Mew, le Paladine della Giustizia.

 

“Angeli protettori della Terra custodi… Che immensa sciocchezza!”

 

Non siete state capaci di proteggere voi stesse, né le vostre famiglie; non siete state in grado di guardarvi le spalle e salvarvi a vicenda. Con quale coraggio vi siete elevate a protettrici del vostro mondo? Quale arroganza vi ha spinte a credervi delle salvatrici, delle eroine? Eravate delle ragazzine, solo delle ragazzine, a cui il destino aveva deciso di giocare uno scherzo finito nel peggiore dei modi. Né più, né meno.

 

“Se fossimo state delle Guerriere, io ora non sarei qui.”

 

Purin…” Sussurra Mewberry in un singhiozzo, e tu sei nuovamente obbligata a lasciare da parte le elucubrazioni.

Purin… Il corpo mutilato, sporco di sangue e fango. Purin che si era lanciata come una furia contro il nemico, che aveva fatto della vendetta personale il suo solo obiettivo, dopo che la sua famiglia era stata distrutta. Purin che si era battuta come una leonessa, che era rimasta in piedi anche quando il corpo aveva deciso di cedere, che aveva dato fondo a tutte le sue energie, anche alla sua vita, pur di placare il dolore sordo che la divorava. Purin che, a ben vedere, aveva solo dodici anni quand’era morta.

Ricordi di aver pianto, disperata, straziata, stringendo a te il suo corpo di bambina; ricordi di aver implorato, supplicato, pregato qualcuno – chissà chi! Chiunque! – di renderla a te, di riconsegnarla al tuo abbraccio. Nessuna risposta era arrivata.

Ryo…”

“Sì, Ryo.” Annuisci senza vergogna, senza paura, mentre un sorriso caldo e amaro al contempo ti dipinge le labbra.

Ryo che c’era quel giorno come c’era sempre stato; Ryo che malgrado tutto, malgrado il senso di colpa che lo attanagliava nei vostri confronti, aveva portato avanti la lotta; Ryo che non ti aveva mai giudicata, anche quando sarebbe stato suo diritto farlo, e aveva continuato a guardarti da lontano. Ryo che, quel giorno, ti aveva strappata con forza dal corpo di Purin e ti aveva stretta a sé, bloccata tra le sue braccia, e aveva pianto nascosto dai tuoi capelli. Ryo che ti aveva portata via, ti aveva trascinata via, a forza, fino a quella che era ormai la vostra base, il vostro accampamento – e Keiichiro, pochi passi dietro a voi, con la piccola Purin tra le braccia.

“Lui…”

“Lui c’è stato, sempre. Lui è stato una parte del mio tutto, quella notte e negli anni che sono seguiti. E chissà, se le cose fosse andate in maniera diversa, forse lo sarebbe stato anche in un mondo più convenzionale.”

Mewberry ti guarda e non capisce, glielo leggi negli occhi. Non comprende qualcosa di così complicato e semplice al contempo, qualcosa di così effimero e resistente insieme. Poi storna lo sguardo sui tuoi ricordi e arrossisce nascondendosi il volto tra le mani. Ridacchi a quella visione prima che un pensiero squisitamente banale ti sovvenga.

 

“Lo avrei fatto anch’io. Anch’io avrei reagito così, se solo la mia vita fosse stata un’altra.”

 

Quella notte, la prima notte che tu e Ryo avete trascorso insieme – la prima di molte altre che sono venute.

Strepitavi e ti dimenavi come una furia, per poi diventare improvvisamente apatica e fissare il muro davanti a te senza realmente vederlo. E Ryo, dopo un’ora buona passata così, ti aveva presa per le spalle e semplicemente ti aveva baciata. Irruento. Dolce. Disperato. Innamorato.

Lo hai capito con quel bacio; lo hai percepito in quel bacio. Amore. Ryo ti amava, ti aveva sempre amata, anche se solo da lontano. Ryo che aveva vegliato i tuoi passi e ne aveva percorsi altri al tuo fianco; Ryo che, magari anche solo infastidendoti, ti aveva sempre spronata ad andare avanti, a fare di più; Ryo che, in una maniera che solo in quel preciso istante avevi capito, era stato la tua roccia, il muro che ti aveva protetta e le braccia che ti avevano sorretta.

Avevi sentito qualcosa rompersi dentro di te, e poi colare liquido e scaldarti. E lo hai stretto a te, sempre di più. Sei affogata nei suoi baci e hai lasciato che le sue labbra ti guidassero, rapendoti i sensi; hai affondato le dita nei suoi capelli e gli hai graffiato la schiena con le unghie; hai sentito le sue mani esplorarti, avide, e hai spinto le tue a fare lo stesso.

Con il senno di poi ti chiedi come sia stato possibile che, in quella notte, non una volta il dolore e la disperazione si siano impossessati di voi e vi abbiano trascinati giù. Ma no, non è successo. Ryo ti ha accarezzata, quella notte; ti ha cullata, protetta e desiderata. Ryo ti ha amata. E tu hai fatto lo stesso – anche se questo lo avresti capito solo un po’ più tardi.

Sposti lo sguardo su Mewberry e la trovi ancora rossa, con gli occhi sfuggevoli e la confusione e la negazione ben dipinte sul volto. Ridacchi nuovamente.

“Io… Cioè… Non…”

“Ci sono cose che non prevediamo, che non mettiamo in conto. A volte, semplicemente, le neghiamo per principio, perché non vogliamo ammettere l’errore commesso. Ryo è stato una di queste cose. Ma credimi se ti dico che è stato meraviglioso.” Le spieghi con pazienza, sorridendole.

“Ma…”

“L’amore è una cosa complicata, Mewberry, e al contempo molto semplice. Può sembrare un’affermazione banale, ma è così.”

“Amore?” Domanda lei sgranando gli occhi e irrigidendo le spalle. E per un momento hai voglia di sospirare, sconsolata, e di alzare gli occhi al cielo; poi ti ricordi di com’eri a tredici anni, della tua assoluta certezza nell’amore per Masaya e ti dici che no, non puoi biasimarla per quell’espressione sconvolta e dubbiosa.

Ryo mi ha amata, sempre. Prima di quella notte, durante quella notte e dopo quella notte. E io l’ho amato a mia volta. Ammetterlo, alla fine, è stato più semplice del previsto. Non è stato un rimpiazzo, non crederlo.” Aggiungi poi, certa che quell’idea si sia fatta largo nella mente di Mewberry. “Non è stato come con Masaya. Non è stato lo stesso sentimento; è stato opposto nelle emozioni e nel modo in cui l’ho vissuto.”

Lei ti guarda ancora, sempre più confusa, e tu comprendi che dovrai sforzarti di più, dovrai farle sentire quello che intendi.

Le prendi la mano e gliela stringi forte, sorridendole incoraggiante. Lei sobbalza, presa in contropiede, mentre le tue emozioni fluiscono in lei, rapide, devastanti e dirompenti.

 

“Avevo tredici anni quando amavo – quando credevo di amare – Masaya. Ero solo una bambina che della vita aveva conosciuto così poco e in maniera così delicata; una ragazzina che sognava ad occhi aperti e viveva respirando favole, credendole la realtà. Arrossivo per un abbraccio; arrossivo per un sorriso; credevo che non ci fosse nulla di più della mia mano stretta in quella del mio ragazzo.

“Ho scoperto l’amore per Ryo a sedici anni, dopo aver distrutto me stessa e tutto il mondo con le mie stesse mani e piangendo la morte di un’amica. Ero ancora una bambina, forse; forse era solo l’ennesima illusione che non volevo lasciar andare. Ho amato Ryo come una donna; ho scoperto la passione e la sensualità; ci sono stati momenti in cui l’unica cosa che volevo erano le sue labbra sulle mie. Ho amato Ryo di un amore sconvolgente, travolgente, impossibile da negare o arginare. Ho amato Ryo e so che, anche se tutto questo non fosse mai successo, l’avrei prima o poi trovato sul mio cammino e me ne sarei innamorata comunque.”

 

Mewberry abbassa gli occhi e si porta una mano al petto; il suo cuore batte furiosamente, quasi volesse uscirle dal petto. Oh, la conosci bene quella sensazione.

Glielo hai fatto provare, quell’amore; le hai fatto provare qualcosa che forse non ha comunque compreso, bambina com’è ancora. Ci riuscirà, prima o poi, chissà dove e chissà quando. I suoi occhi tornano sui tuoi e tu alzi le sopracciglia. C’è qualcosa che le sta frullando nella testa, di questo sei certa.

“Cosa c’è?” Domandi infatti, curiosa di sapere.

“Perché mi hai fatto vedere questo? Intendo… Perché mi hai fatto vedere…”

Il tuo ridacchiare la blocca, un po’ infastidita. Le fai un cenno con la mano, quasi a scusarti per quel comportamento, ma non puoi farci nulla: vederla annaspare nelle parole, cercarle, nel tentativo confuso di riuscire a parlare di qualcosa che la imbarazza tanto è troppo divertente. Non lo fai con cattiveria, davvero, dopotutto lei è te e tu eri come lei un tempo.

La guardi ancora, e improvvisamente ti senti prendere dall’inquietudine. È stato difficile arrivare a questo punto del racconto, ma ora potrebbe esserlo molto di più.

“Perché per farti davvero comprendere era necessario anche questo. Era necessario per farti conoscere la vera ragione che mi ha spinta qui, oggi.” Sussurri spostando lo sguardo, puntandolo lontano.

“Non capisco.” No, ovvio. Non può certo capire. “Non sei qui per… cambiare il passato e… salvare il mondo?”

“Sì, certo. Sono qui anche per questo, ma non solo. Principalmente…” Respiri a fondo e poi storni lo sguardo sulle immagini dei tuoi ricordi. “Dopo quella notte me ne sono andata, prima che arrivasse la mattina. Non ho lasciato niente, dietro di me, nemmeno un biglietto; mi sono semplicemente alzata e ho voltato la schiena a Ryo e a quello che era successo.”

“Perché?” Ti chiede Mewberry con gli occhi fissi sulle tue memorie. Ti guarda mentre cammini nel nulla, nella desolazione causata dalla guerra; ti osserva in quel vagabondare che è durato due mesi, più o meno, mentre tieni perennemente gli occhi bassi e ti lasci scivolare di luogo in luogo, senza una meta, senza uno scopo, senza niente.

“Non è stata cattiveria, la mia; non è stato nemmeno ripensamento, o rimpianto per aver amato Ryo ed essermi lasciata amare da lui. Semplicemente non ero pronta.”

“A cosa?”

“Ad affrontare quello che sentivo dentro di me, quell’amore che aveva acceso un lumino di gioia nel mio cuore. Non volevo quella felicità, perché credevo di non meritarla.”

Tu eri stata la causa di tutto il dolore che trasudava ovunque, della disperazione che si rispecchiava negli occhi dei pochi sopravvissuti a quel massacro, a quel genocidio. Non meritavi la felicità, per quanto piccola ed effimera essa potesse essere. Non meritavi nulla al di fuori dell’odio delle persone, e del senso di colpa che ti stritolava la gola impedendoti di respirare.

“Ma poi sei tornata.” Intuisce Mewberry guardando una te stessa più giovane di qualche anno, inginocchiata tra le macerie di chissà quale città, stretta in te stessa in un abbraccio disperato e protettivo al tempo stesso. “Perché?”

“Perché non ero più sola. Perché malgrado tutto, in un angolo remoto della mia coscienza, avevo appena trovato qualcosa che non fosse odio, rabbia, frustrazione e dolore: avevo trovato qualcosa per cui valesse la pena ritornare, vivere magari. La stessa ragione che mi ha spinto, un anno dopo, a iniziare il progetto che mi ha portata qui, da te.”

 

“Una ragione per vivere. Una ragione, anche, per morire.”

 

Le immagini del tuo viaggio solitario sfumano, e dalla tua memoria fa capolino Tokio – la tua Tokio; ciò che ne era rimasto; ciò in cui si era trasformata.

“Sei… Tornata…” Respira Mewberry riconoscendo quella che era la vostra base.

“Sono tornata a casa, sì.”

E c’era Ryo ad aspettarti, seduto scompostamente su delle macerie e con lo sguardo puntato all’orizzonte. Lo avresti scoperto solo tempo dopo, quando Keiichiro te l’avrebbe confessato senza giri di parole: ogni giorno Ryo si sedeva lì e guardava lontano, aspettando di veder comparire la tua figura; lui sapeva – sperava! – che saresti tornata da lui.

Si era piazzato davanti a te e aveva sollevato una mano per sfiorarti, ma tu l’aveva bloccata intrappolandola tra le tue e l’avevi guidata verso il tuo grembo, appoggiandola sopra. I suoi occhi sgranati, sconvolti, confusi; i tuoi liquidi di acqua e sale e speranza. Poi un sorriso timido, sottile, fragile come nient’altro. Il primo sorriso da anni. E Ryo era scivolato a terra, in ginocchio, le braccia a stringerti forte e il viso premuto contro il tuo ventre.

“Ma tu…” Mewberry ti guarda con il volto incastrato tra le mani e gli occhi agitati e confusi. Le sorridi serena e ti accarezzi inconsapevolmente la pancia.

“Non è stato facile.” Ammetti guardando lontano, guardando ai tuoi ricordi; guardando quella pancia che cresceva sempre di più, le mani di Ryo che la accarezzavano e le sue braccia che ti cullavano. “Forse è stata follia, ma l’amore è anche questo. E quella piccola creatura che cresceva in me l’ho amata dal primo istante, senza remora o dubbi. Forse si potrebbe pensare che siamo stati degli egoisti, degli ipocriti, a voler far nascere qualcuno in un mondo che ormai non aveva più speranze, che sopravviveva nell’apatia per quei pochi attimi che lo separavano dall’inevitabile fine, le cui genti si arroccavano nelle poche città non ancora completamente crollate, stringendosi nell’attesa che arrivasse la morte a dar loro la pace. Eppure… Eppure non mi sono mai pentita, né ho mai rimpianto un solo singolo giorno nel quale ho potuto stringere a me la mia bambina. Mai.”

“Una bambina…”

E Mewberry riesce a vederla, ora, quella figlia che in una certa misura è anche sua. Una rada peluria bionda sulla testa e due occhioni castani grandi, splendenti e ridenti. È identica a te, Ryo te l’ha sempre fatto notare con un sorriso felice. Sì, felice. Perché siete stati felici, insieme, sempre.

Respiri a fondo e lasci che Mewberry sia testimone di quei momenti che sono stati la motivazione, la chiavetta d’ignizione, che ha dato il via a tutto, che vi ha fatti ripartire con un nuovo progetto e con una nuova volontà. Lasci che scorga i sorrisi aperti, le risate vere; le permetti di assaporare la gioia, la serenità e l’amore che via avevano riempiti. Incredibile come una sola bambina abbia potuto cambiare radicalmente la vostra vita, trasformarla in qualcosa per cui valeva la pena di tentare ancora, di nuovo.

 

“È una follia!”

Le parole di Ryo alterate, infastidite; la sua voce troppo alta, troppo disillusa.

“Lo so. È una follia.”

Le tue arrendevoli alla realtà dei fatti, eppure così piene di volontà.

Ichigo… Io non credo che…”

I sospiri di Keiichiro, dubbioso.

In tutti e tre la paura di fallire nuovamente.

“Potrebbe essere impossibile, me ne rendo conto. E anche ammesso che funzioni, che sia fattibile, potrebbe in ogni caso essere inutile. Potremmo fallire per noi, è vero. Ma potremmo riuscire per loro.”

Ichigo… Il tempo non è lineare, lo sai.”

“Sì, Kei, lo so. Cambiare il passato potrebbe non cambiare il presente, il futuro. Ma io…”

“Perché Ichigo? Perché?”

La domanda di Ryo, che tuttavia già conosceva la risposta. E no, non era solo senso di colpa, il tuo. Non era solo desiderio di rimediare, di fare la cosa giusta stavolta.

I vostri occhi incatenati, legati indissolubilmente. Niente avrebbe potuto spezzare quel legame. Mai.

“Perché voglio che almeno lei possa crescere sotto un cielo sereno.”

 

Un desiderio per tua figlia, ecco c’è stato a portarti qui. La volontà di dare a lei qualcosa di meglio, qualcosa che avrebbe sentito suo.

“L’hai fatto… Per… Per lei…” Il sussurro di Mewberry ti riporta nuovamente alla realtà, e ti obbliga a guardarla ancora una volta. E sorridi apertamente, stavolta. I tuoi occhi brillano e la mano corre nuovamente ad accarezzare quella pancia ora vuota, fredda.

“Sì, l’ho fatto per mia figlia, per Hope.” Per la prima volta pronunci il suo nome. Quel nome che tu e Ryo avete scelto insieme; quel nome straniero, americano, in onore della patria di lui; quel nome volto a rappresentare con delle semplici lettere qualcosa di effimero, che pure quella bimba era riuscita ad incarnare. “Il desiderio di una madre.”

E Mewberry, ora, riesce a vederlo. Sei una madre. Le vedo nei tuoi occhi, nel tuo sorriso, nei tuoi gesti. Scorge nelle tue iridi quell’amore incrollabile, indistruttibile, così diverso da quello che ti ha legata a Ryo, ma altrettanto coriaceo e infinito.

I tuoi occhi si spostano nuovamente.

“Abbiamo iniziato allora. Abbiamo passato mesi a cercare un modo, a trovare una soluzione. Alla fine, ironicamente, questa è arrivata ripartendo dal fulcro di tutto, dal progetto Mew originale.” Ryo non era stato d’accordo, all’inizio. Keiichiro nemmeno. Certo, avevi ancora la voglia e i poteri, ma era troppo rischioso. Avete passato ore e ore a litigare, a discutere e anche ad urlare. Alla fine è stata la tua volontà a spuntarla. “Non sapevo quanto sarebbe stato difficile, o doloroso. Nessuno di noi sapeva quanto sarebbe stato deleterio. Non potevamo nemmeno immaginarlo ancora.”

Riconvertire i tuoi poteri affinché funzionassero in un’altra maniera. Era stata dura, ci avevate perso anni. E molte volte il tuo fisico non reggeva, indebolito dalla vita che facevi. Keiichiro ti aveva chiesto più volte di fermarti, dopo che collassavi, il corpo in preda a spasmi violenti, o dopo che ti trovavi a vomitare anche sangue dallo sforzo. Non l’hai mai degnato di una risposta.

Ryo, invece, aveva ormai sventolato bandiera bianca. Si limitava a restarti accanto, a stringerti, a tenerti i capelli quanto rigettavi ogni cosa tranne la testardaggine. Aveva capito che non ti saresti fermata davanti a niente, neanche se fossi andata in pezzi. Questa volta non avresti vacillato.

Un flebile rumore ti riscuote. Mewberry ora piange senza singhiozzare, le braccia immobili lungo i fianchi e le lacrime che scorrono già dalle guance, schiantandosi a terra.

“Questa è…”

“Sì, questa è stata l’ultima notte. Io e Ryo l’abbiamo passata a fissare Hope finché non si è addormentata.” E poi avete fatto l’amore, ancora, finché non è sopraggiunta l’alba.

 

“Non andare.”

La supplica di Ryo, l’ultima, sussurrata talmente piano quasi avesse paura di dirla.

Gli avevi accarezzato il volto un po’ ispido di barba e lo avevi baciato piano.

“Devo.”

“Non posso farcela da solo. Non posso perderti.”

“Non mi perderai mai. Solo, stavolta, dovrai cercarmi negli occhi di nostra figlia. Sarò sempre lì.”

“Hope ha bisogno di te, di sua madre. Io non posso bastare.”

Ti eri sollevata, il lenzuolo era scivolato via lasciando il tuo seno libero, scoperto. Non provavi imbarazzo per questo.

“Sei un brav’uomo, Ryo. Un padre ancora migliore. Mi hai regalato una vita assurda, ma meravigliosa. E mi hai donato lei, una figlia da stringere al petto. Ora lascia che sia io, a regalare voi, un po’ di gioia.”

 

Il tuo racconto finisce qui, con l’ultima immagine che hai visto prima di scomparire: i suoi occhi.

Ti volti a guardare Mewberry, inginocchiata a terra, tremante, angosciata.

“Ora sai tutto.” Lo dici senza un motivo apparente, forse solo per rompere il silenzio che vi ha inglobate.

“Io… Io…” Non sa cosa dire, lei. E se lo sa non conosce le parole giuste, o adatte. Non che ce ne siano, in realtà.

“Ora spetta a te, Mewberry. Ora la scelta è tua.”

“Scelta? Non me ne hai lasciate, di scelte.” Sbotta lei, arrabbiata, alzandosi e fronteggiandoti. Almeno ha ritrovato un po’ di grinta.

“Invece sì.” Le dici con forza, fissandola dritta negli occhi. La vedi trasalire. “Io ti ho solo mostrato le conseguenze di una scelta, la mia. Non posso però sapere se, scegliendo altro, non possa esserci qualcosa di peggiore. E non posso obbligarti a qualcosa per la quale odierai te stessa e questo mondo per sempre. A ben vederla, effettivamente, qualunque sarà la tua scelta, questa non sarà esente dal dolore. L’unica cosa che ti è data, alla fine, è decidere se patire da sola o meno.”

Questa è la verità. L’hai saputo dacché hai deciso di provarci. Non sei venuta qui per schioccare le dita e scrivere un eterno e fiabesco “e vissero tutti felici e contenti”. Non è qualcosa che esiste. Non è qualcosa di reale. Non è la vita.

Senti una fitta improvvisa al petto e la tua mente inizia a farsi lontana, mentre tutto intorno a voi si sfalda.

“Cosa…”

“Tempo scaduto.” Le spieghi guardando le tue mani che iniziano a scomparire. Stai svanendo, probabilmente per sempre.

“Ma tu…”

“Io non appartengo a questo mondo, Mewberry. Non appartengo a questo tempo. E non si può giocare con le regole dell’universo in eterno, e senza aspettarsi delle conseguenze. Questo non scende a patti con gli sciocchi desideri dei mortali. Anche se stavolta, forse, un po’ di grazia è stata mostrata.”

“Cosa ti succederà?” Ti chiede lei gridando, provando a sfiorarti ma fallendo. Sei quasi completamente incorporea ormai.

“Scomparirò.” Così come sapevi che sarebbe successo dal primo momento.

“E tua figlia? Ryo? Keiichiro…”

“Le hai visto prima, no?” Le rammenti con un sorriso sulle labbra, spingendola a ripercorrere i tuoi ricordi. Lei pare capire. “Se almeno a lei sarà concesso crescere sotto un cielo sereno, non avrò rimpianti.”

E scompari, lasciando solo il fantasma di un sorriso sereno dietro di te.

 

 

Riaprire gli occhi non è mai stato così faticoso, o doloroso.

L’aria s’incanala malamente nei polmoni, la gola brucia e la testa pulsa fastidiosamente. La luce pare insopportabile per le tue iridi, che faticano a restare aperte, così riabbassi le palpebre. E piano piano inizi a sentire la realtà intorno a te, che non è altro che dolore che ti permea ovunque, muscolo, osso legamento.

Con uno sforzo immane sollevi piano una mano, e nel tuo campo visivo appare un accesso venoso e un tubino trasparente. Una flebo? Sei forse in ospedale? La mano ricade sul letto con un leggero tonfo e un sospiro spezzato ti esce dalle labbra. Fa male.

Ichigo?” Una voce sorpresa chiama il tuo nome, ma non hai la forza di voltare lo sguardo per vedere chi è. Pure le orecchie ronzano. “Ichigo!”

E il viso di Ryo entra nel tuo campo visivo. Ha la mascella contratta, i capelli spettinati e gli occhi rossi, forse di stanchezza forse di lacrime versate senza farsi vedere. Il suo volto sembra quasi indemoniato in questo momento.

“Co… Cos…” Non ce la fai a parlare, non ancora. La gola è così secca che anche un semplice respiro gratta ed è doloroso.

“Stai tranquilla. Fai piano. Ci vuole tempo.” Ti dice Ryo con calma, accarezzandoti i capelli con una dolcezza che non gli avresti mai associato. E tu decidi che ha ragione, che questa volta non puoi avere fretta. Richiudi gli occhi e rimani in silenzio, lasciando che il tempo scorra.

Forse sono minuti, forse ore, forse giorni, ma quando finalmente riapri gli occhi questi finalmente on bruciano, e la mano di Ryo è ancora lì, ad accarezzarti dolcemente.

Lo fissi negli occhi – cielo e terra – e improvvisamente ogni cosa ritorna. La battaglia, l’altra te, i suoi ricordi, e la tua scelta finale. Alla fine, hai fatto l’unica cosa che il tuo cuore poteva fare.

Socchiudi gli occhi e cerchi di alzarti. Immediatamente un braccio di Ryo passa sotto la tua schiena ti stringe, aiutandoti. Appoggi una mano sul suo petto e le testa nell’incavo tra la spalla e il collo, nascondendo il viso. E sono lacrime, fiumi di lacrime. Per te, per lui, per Masaya; per l’altra te, per l’altro mondo che non hai che conosciuto attraverso i ricordi di una te stessa che forse non sarai mai, per l’altro Ryo e l’altro Keiichiro; per tutte le famiglie che a loro volta piangeranno; per Hope.

Ryo non comprende, non appieno. Si aspettava una crisi di nervi, un crollo rumoroso e grida e anche qualche pugno forse. Ma il tuo è un pianto silenzioso, decoroso, delicato come nient’altro. E allora non gli resta che stringerti a lui, affondando il viso nei tuoi capelli e rimanendo là, in silenzio, a cullarti nel calore di un abbraccio e senza chiedere nulla.

Quando tutto si esaurisce è come se una bolla scoppiasse, riportandovi alla realtà. Ti scosti da lui ma la sua presa non si scioglie, e la tua nemmeno.

“Le altre?” Chiedi piano, perché malgrado tutto la tua mente è ancora annebbiata e hai paura di esserti persa alcuni pezzi.

“Sono salve. Un po’ malconce, ma salve. Sono di sopra.” Abbozzi un sorriso sollevato e poi ti guardi intorno, riconoscendo il laboratorio nascosto sotto al Caffè Mew Mew. “Non ci pareva una buona idea portarti in ospedale, e poi qui avevamo tutti i macchinari necessari.”

Annuisci piano e poi socchiudi gli occhi per un momento, respirando a fondo.

Ichigo. Come…” Ryo si blocca a metà della domanda, un po’ per paura di fartela un po’ perché è davvero idiota. Ma tu scuoti piano la testa.

“Non sto bene.” Ammetti allora, perché mentire non avrebbe senso. “Non so quando tornerò a stare bene, se mai mi sarà concesso dopo quello che ho fatto. Ma… è stata una mia scelta. E il dolore sarà il prezzo da pagare. Almeno stavolta lo porterò solo io questo peso.

Non sai perché l’ultima frase ti sia uscita, tantomeno davanti a Ryo che ora ti fissa con sguardo perplesso.

“Cosa…”

“Un giorno, forse, ti racconterò una storia. Ma non oggi.”

No, oggi ancora no. È troppo presto. Le ferite sono ancora aperte, e bruciano. Oggi è un giorno di silenzi, di lacrime, di ricordi e di qualche abbraccio. Non è il giorno delle parole e delle verità.

Ryo ti guarda ancora, stupefatto e anche un tantino ansioso che questa sia tutta una maschera, che tu non abbia davvero afferrato la situazione, e che crollerai in mille pezzi a breve. Eppure i tuoi occhi non mentono, e la quieta consapevolezza che vi legge dentro gli fa capire che qualcosa è effettivamente successo, e che ti ha cambiata.

Per questo si limita a stringere maggiormente la tua vita, attento a non procurarti dolore, e ti lascia un lieve bacio tra i capelli.

“Non so cosa sia stato, ma se avrai bisogno, quando vorrai, potrò portare quel peso con te.”

 

 

 

Ti guardi allo specchio e fatichi a riconoscerti. Eppure, ti vedi ogni giorno.

I capelli più lunghi, gli occhi più adulti, i lineamenti più affilati; il seno più pieno, le gambe più lunghe. E quella pancia, un tempo piatta, ora arrotondata.

Ti guardi e ti cerchi nei ricordi di un’altra te. Simili, certo, ma non identiche. Le vite che avete vissuto vi hanno mutate. E anche se siete la stessa persona, non lo siete davvero.

Due mani si poggiano improvvisamente sulla tua pancia e un lieve bacio ti sfiora il collo, facendoti sorridere. Ti appoggi completamente a quel petto ampio e forte e reclini la testa a cercare le sue labbra. Ti bacia piano, lento, mentre le sue mani accarezzano quella nuova vita che a breve vedrà la luce del sole.

“Come stai?” Ti chiede piano, quasi a non voler spezzare il silenzio.

“Bene.”

“E lei?”

Sorridi appoggiando le mani sopra le sue, intrecciandole. Due scintillii brillano timidamente alle dita.

“Bene: non fa che scalciare. È piena di energia.”

“Questo l’ha preso da te.”

Ridi apertamente alla sua presa in giro e gli molli un leggero schiaffo sul braccio.

Poi i tuoi occhi stornano e tornano allo specchio, che vi raffigura abbracciati. Sorridi piano.

“Cosa c’è?” Ti chiede lui perplesso, curioso di sapere perché improvvisamente hai messo su quell’espressione. Fissi i suoi occhi riflessi.

“La chiamiamo Hope?” Gli chiedi con un sorriso strano, quasi lo stessi recuperando dalla memoria. Lui inarca un sopracciglio.

“Non che non mi piaccia, ma perché Hope? Sai cosa significa?”

Speranza.”

Lui annuisce e ti guarda ancora. Ti giri nel suo abbraccio e gli prendi una mano.

“Ti ricordi? Tanti anni fa ti ho detto che un giorno ti avrei raccontato una storia.”

“Mi ricordo.”

“Facciamo che sia oggi quel giorno?”

Ti guarda e legge nei tuoi occhi una serenità assoluta, insieme all’amore. E capisce che quel qualcosa che è stato, quando ti sei svegliata dopo la battaglia finale, sta per esserti rivelato. E sa anche che sarà qualcosa di grande, di assurdo e di folle. Forse un miracolo.

Ti lascia un ultimo bacio sulle labbra e si avvia verso il salotto, precedendoti. Lo segui quasi subito, dopo aver spostato lo sguardo fuori dalla finestra, e ad un azzurro senza fine.

 

“Crescerà sotto un cielo sereno…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, direi di iniziare questo 2021 con una bella iniezione di depressione, giusto per portarci dietro qualche strascico del 2020.

Questa storia credo di averla scritta inizialmente una decina di anni fa, almeno nella mia testa e su vari fogli sparpagliati. L’avevo buttata già sul PC 4/5 anni fa, più o meno, e mai più toccata. L’ho ripresa in mano quasi per caso, in questi giorni di ferie in cui, tra un tempo schifoso e la zona rossa, non è che ci sia proprio tantissimo da fare (a parte annegare nei libri e nelle serie tv). A conti fatti è come se l’avessi riscritta completamente, perché anche se la struttura di base e la storia sotto mi piacevano, la tipologia di scrittura è decisamente cambiata in 10 anni. Sono rimaste solo alcune frasi che proprio non mi andava di cambiare, un po’ perché ci stavano bene e un po’ perché mi ci ero affezionata.

Detto questo, potete iniziare a lanciare i pomodori e le uova vista l’enorme allegria di questa storia xD Niente di meglio per iniziare un nuovo anno! xD

 


 

 

 

 

  
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