Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Stria93    03/01/2021    1 recensioni
Nella quiete notturna, una figura incappucciata avvolta in un mantello se ne stava accovacciata sul ramo di un grande albero, celata tra le fronde, e teneva lo sguardo puntato su una coppia di finestre illuminate.
Kakashi sospirò. Ma che accidenti ci faccio qui? Fare da balia al figlio del Maestro Minato. Cosa mi è saltato in mente?
Tastò con una mano il sacchetto di carta che aveva riposto in una tasca interna del mantello e una volta di più si ritrovò a scuotere la testa e a rievocare le parole che l'Hokage gli aveva rivolto in occasione del loro ultimo colloquio: Di norma, non sei il tipo che si lascia andare ai sentimentalismi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
storia

Sette anni.

Sette anni erano trascorsi da quella nefasta notte.

Sette anni da quando l'Enneacoda era stato liberato dalla sua prigionia e aveva seminato morte e distruzione a Konoha, falciando innumerevoli vite.

Sette anni da quando Minato Namikaze e Kushina Uzumaki erano morti per la salvezza del villaggio e del loro figlio, nato da poche ore.

Kakashi aveva smesso di tenere il conto, ma ogni 10 ottobre una plumbea cappa di malinconia scendeva su Konoha e la commemorazione ai caduti di quel triste giorno richiamava sulle tombe intere famiglie in lutto che avevano perso qualcuno o, semplicemente, intendevano onorare il sacrificio di coloro che avevano tentato di fronteggiare il demone. E allora diventava impossibile dimenticare quanto tempo fosse passato.

Sette anni.



Era una radiosa giornata primaverile quella che splendeva sul Villaggio della Foglia. I quattro volti degli Hokage scolpiti nella parete di roccia incombevano austeri su Konoha, rischiarati dal sole del mattino che brillava fulgido nel cielo zaffiro. Una brezza leggera soffiava tra le vie giocando con le vesti e i capelli delle persone e portando con sé il profumo intenso e inebriante dei fiori in boccio e dell'erba novella.

Il capitano Kakashi, di rientro dall'ultima missione, correva saltando da un tetto all'altro con l'agilità di un felino, puntando dritto alla magione dell'Hokage. Aveva portato a termine un delicato incarico di spionaggio in un villaggio confinante e si stava dirigendo dal Terzo per fare rapporto e aggiornarlo su ciò che aveva scoperto in seguito alle sue indagini.

Balzava rapido fra le abitazioni e le botteghe, come se avesse avuto le ali ai piedi: un'ombra appena percettibile agli occhi di chi si fosse trovato a guardare verso l'alto.

Non era il caso che i guerrieri ANBU si facessero vedere per le strade in assetto da combattimento, con tanto di maschera. La Squadra Speciale incuteva un certo timore tra la popolazione e la presenza dei suoi esponenti era sempre indicatore di una qualche grave crisi. Gli ANBU non erano comuni Jonin: vegliavano su Konoha dalle tenebre, lavorando alacremente dietro le quinte per la sicurezza del villaggio, protetti dal silenzio e dall'anonimato. Le loro missioni erano tutte rigorosamente top-secret. Il loro compito precedeva il clamore dei grandi avvenimenti, poiché consisteva nell'evitare che questi si verificassero. Agire lesti e silenziosi nell'oscurità: questa era la legge sovrana della Squadra Speciale ANBU. Non erano soldatini fatti per essere esposti alla luce del sole e agli occhi curiosi dei civili.

Kakashi aveva quasi raggiunto l'edificio sormontato dall'insegna del Paese del Fuoco quando alle sue orecchie giunse l'inconfondibile fragore di qualcosa che si rompeva, seguito da uno strillo acuto e dalle imprecazioni di una donna.

L'attenzione del Jonin venne inevitabilmente calamitata verso la fonte di quel trambusto, che egli individuò in una via laterale non molto distante dalla sua posizione. Attraverso le fessure della sua maschera di porcellana, Kakashi scorse un gruppetto di persone assembrate intorno a una tarchiata donna di mezz'età tutta impegnata a inveire contro un bambino dai capelli biondi. A terra, tra i due, erano sparsi i resti di quello che doveva essere stato un vaso di terracotta che, cadendo a terra, doveva aver provocato il baccano di poco prima. Non c'era il minimo dubbio riguardo a chi fosse il bimbo implicato nell'incidente: il bagliore aureo dei suoi capelli che catturavano i raggi del sole e il fatto che qualcuno lo stesse sgridando con quell'impeto erano indizi più che sufficienti per risalire alla sua identità.

Colto di sorpresa da un impulso irrazionale, il Jonin interruppe la sua corsa e deviò verso un tetto che si affacciava proprio su quella stradina, dopodiché si accucciò dietro l'insegna di un locale per seguire più da vicino la scena.

- Non fai che combinare guai! - stava gridando la donna, paonazza in volto e gesticolando come un'ossessa. - Quel vaso che hai rotto valeva una fortuna. E adesso chi mi ripaga, eh?! -

Il bambino si guardava la punta delle scarpe e Kakashi riuscì a sentirlo mormorare qualche parola di giustificazione.

- Sai che me ne faccio delle tue scuse! E non sono neanche convinta che tu non l'abbia fatto apposta: lo sanno tutti che ti piace fare dispetti e creare disordine. -

Punto sul vivo, il bambino serrò i piccoli pugni tremanti e sollevò lo sguardo verso la negoziante. Kakashi rimase colpito dal fuoco che ardeva in quelle iridi celesti, nonostante due grossi lacrimoni avessero preso a scorrergli lungo le guance. Anche la donna dovette subire l'effetto a onda d'urto di quell'occhiata e indietreggiò istintivamente, portando una mano in avanti come a volersi proteggere da una minaccia invisibile.

- Un giorno vi farò vedere io! - gridò il piccolo prima di voltarsi e correre via.

Kakashi seguì la figura del bambino finché egli non girò l'angolo, svanendo alla sua vista. Aveva sentito parlare della diffidenza e del sospetto che gli abitanti di Konoha nutrivano verso il figlio orfano del Quarto Hokage, ma non gli era mai capitato di assistere di persona alla manifestazione pubblica di quei sentimenti.

Naruto Uzumaki si era guadagnato la fama di bambino pestifero, impetuoso, sempre intento a fare scherzi e marachelle che portavano all'esasperazione la gente del villaggio, ma la fierezza mista a rabbia che aveva letto nello sguardo fiammeggiante che il piccolo aveva rivolto alla sua accusatrice lo aveva davvero impressionato. Era come osservare due pezzi di cielo durante una pioggia di scintille. Eppure in esso non vi era traccia di odio, né di quella rancorosa, naturale volontà di fare del male a chi ne arreca gratuitamente a noi. C'era la voglia di riscatto, certo; c'era il senso di profonda ingiustizia avvertito dal bambino; frustrazione,orgoglio ferito... ma odio, no. Neanche una singola particella. E questo era senz'altro un segnale positivo.

Kakashi si alzò e riprese il tragitto verso l'ufficio dell'Hokage, senza però riuscire a togliersi dalla mente quei dardeggianti occhi azzurri. Gli stessi del suo vecchio maestro.



- Molto bene, Kakashi. Hai svolto un lavoro esemplare, come al solito. -

Inginocchiato di fronte alla scrivania dell'Hokage, Kakashi chinò rispettosamente il capo.

Hiruzen Sarutobi diede un'ultima scorsa al rotolo che teneva tra le mani. - Le tue informazioni ci saranno molto utili per preservare la pace nel villaggio. Per il momento non ho altre missioni da assegnarti. Puoi andare. -

- Sissignore. -

Il Jonin si alzò e fece un inchino ma si trattenne un secondo di troppo che non passò inosservato all'Hokage. - C'è qualcosa che ti preoccupa? - domandò, sollevando un sopracciglio brizzolato.

Kakashi si diede dello stupido per quell'esitazione ma alla fine decise che, a quel punto, tanto valeva essere sincero e vuotare il sacco.

- Mentre venivo qui, ho visto il figlio del Quarto Hokage. - confessò, cercando di usare un tono che suonasse il più possibile neutro.

Il suo superiore congiunse le mani davanti al volto e annuì, invitandolo tacitamente a proseguire.

- Lo stavano sgridando. - spiegò Kakashi. - Pare che avesse rotto un vaso. -

Il Terzo Hokage esalò un sospiro stanco. - Non mi sorprende. Ci sono molte persone nel villaggio che non vedono di buon occhio quel bambino a causa di quello che è e della sua intemperanza. Non hai la minima idea di quante lamentele io riceva ogni giorno, e più Naruto cresce, più la situazione precipita. -

Kakashi non disse nulla ma il lampo ceruleo dello sguardo del bambino tornò a balenargli con prepotenza nella mente.

- Ma dimmi, - continuò il Professore. - per quale motivo sei interessato a quel ragazzino? Di norma, non sei il tipo che si lascia andare ai sentimentalismi. -

Il Jonin sentì un fastidioso calore salirgli alle gote nascoste dietro la maschera. Si strinse nelle spalle, sperando di risultare convincente e distaccato. - Non è niente, signore. Davvero. Solo, mi preoccupa l'idea che possano sorgere dei disordini. - Una scusa più debole non potevi proprio trovarla.

- Mmm. -

L'Hokage lo fissò per qualche istante, dopodiché tornò a concentrare la propria attenzione sui documenti che aveva davanti a sé, radunandoli con calma.

- Non darti pensiero. La gente è solo spaventata dal fatto che lo spirito della Volpe sia stato sigillato nel corpo di Naruto e il suo comportamento provocatorio non aiuta certo a migliorare l'opinione negativa che molti hanno di lui. - fece una pausa e piegò le labbra in un vago sorriso. - Ma ho avuto modo di verificare di persona che quel bambino ha un cuore buono e gentile e ritengo che le sue azioni da discolo non siano altro che una goffa richiesta di attenzioni. -

Kakashi non si aspettava che l'Hokage gli parlasse così a cuore aperto. Tuttavia, sapere che il capovillaggio vigilava sul figlio di Minato lo rassicurò notevolmente.

- Capisco. - rispose laconico.

Il Professore mise da parte la documentazione e tornò a guardare il capitano della Squadra Speciale. - Se non c'è altro, vai pure, Kakashi. Ti manderò a chiamare quando avrò un nuovo incarico per te. -

L'ANBU si inchinò di nuovo e uscì dall'ufficio, tornando a darsi dell'idiota per aver ceduto alla debolezza delle emozioni che la vista del piccolo Naruto gli aveva suscitato.



Passò qualche giorno senza che il terzo Hokage si mettesse in contatto con lui per assegnargli nuove missioni.

Kakashi non amava quei periodi di inattività prolungata: la Squadra Speciale era ormai divenuta il centro della sua esistenza e quando si ritrovava a dover fare i conti con il flusso lento e piatto della quotidianità civile tendeva a diventare insofferente.

Non era un bene avere tanto tempo libero a disposizione: si creavano troppi vuoti che si tramutavano in una breccia per ricordi dolorosi; vecchie ferite ancora aperte riprendevano a sanguinare, infettandosi e avvelenando i suoi giorni e le sue notti. Le missioni erano l'antidoto ideale a quella condizione ma quando venivano a mancare, Kakashi avvertiva le dita gelide del passato tornare a stringersi intorno alla sua gola.

Una mattina, il Jonin si recò, come di consueto, a far visita alle tombe dei suoi vecchi compagni di squadra. Sulla strada del ritorno intersecò la via principale che attraversava il villaggio e una testolina bionda ferma accanto a un chiosco di dolciumi attirò il suo sguardo.

Ma guarda un po' chi si rivede.

Il piccolo Naruto Uzumaki fissava con occhi grandi di desiderio una teglia di fragranti mochi. L'uomo del chiosco stava servendo un cliente che teneva per mano il figlioletto. Quest'ultimo fece un gran sorriso quando il padre gli mise tra le manine uno spiedino di succulenti dango dall'aspetto delizioso. La coppia ringraziò il venditore e si allontanò ridendo spensieratamente e gustandosi gli gnocchi di riso. Kakashi calcolò che quel bimbo dovesse essere poco più giovane di Naruto il quale, in disparte, osservava la scena come incantato mentre un velo di tristezza intorpidiva il suo sguardo limpido.

L'uomo si concesse qualche secondo per osservare da vicino il figlio del suo maestro: insieme all'azzurro profondo, quasi blu, delle iridi, Naruto aveva ereditato dal padre anche la stessa capigliatura dorata e ribelle. Kakashi riconobbe qualcosa di Minato anche nel modo in cui il piccolo si guardava intorno: attento, completamente assorbito da ciò che catturava il suo interesse.

Un moto di nostalgia assalì il Jonin che, almeno per una volta, non oppose resistenza. Rivedere il proprio maestro nei tratti di quel bambino era una sensazione agrodolce, di natura differente dalla tristezza vera e propria, come se una parte di Minato fosse ancora viva e gli stesse facendo l'occhiolino.

Nel frattempo altri clienti si erano radunati intorno alla bancarella, vociando allegramente e indicando al venditore i prodotti che intendevano comprare.

Naruto venne travolto dagli aromi squisiti dei dolci che sfilavano davanti a lui e sentì l'acquolina affacciarsi al palato. Affondò una mano nella tasca dei pantaloni e contò i pochi spiccioli in suo possesso con un'espressione concentrata. Ma quando controllò il cartellino del prezzo posto accanto al vassoio dei mochi scoprì di non avere denaro a sufficienza per poterseli permettere. Una rassegnata delusione gli si dipinse sul visetto.

Kakashi continuava a studiarlo con curiosità, in attesa di scoprire quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Avrebbe cercato di persuadere il venditore ad abbassare il prezzo?

Tuttavia, il bimbo non sembrava intenzionato a tentare la sorte. Invece girò sui tacchi, in procinto di andarsene. Ma non aveva mosso che pochi passi quando un parlottio inquieto lo raggiunse alle spalle, gelandolo sul posto come una statua di ghiaccio.

- Ehi, ma quello non è... ? -

- Sì, è proprio lui. -

- Ho sentito che l'altro giorno ha rotto uno dei vasi del negozio qui accanto. -

- Non capisco per quale motivo l'Hokage gli permetta di andarsene in giro liberamente. -

- Sono d'accordo. Con quello che si porta dentro, è un pericolo per tutti noi. -

- Dovrebbe stare in prigione, o comunque sotto stretta sorveglianza. -

Naruto serrò la mascella, fece dietrofront e si parò dinanzi al gruppetto.

- Adesso basta! State tutti zitti! - gridò con quanto fiato aveva in corpo. La piccola folla ammutolì all'istante, percorsa da una scarica di timore. Una pioggia di occhiate guardinghe si riversò sul bimbo. Un paio di genitori arrivarono perfino a spingere i figli dietro di sé, quasi temessero un'aggressione.

- Io mi chiamo Naruto Uzumaki. Cercate di ricordarvelo bene perché quando sarò grande diventerò Hokage e voi dovrete portarmi rispetto! -

Il bambino se ne andò via correndo, lasciando il gruppo attonito e turbato da quella veemenza. Dopo qualche altro commento indignato, il capannello si disperse.

Kakashi era rimasto dall'altro lato della strada e non si era perso un solo attimo della scena.



Quella stessa sera, una sottile falce di luna adornava un cielo trapuntato di stelle. Solo qualche nube passeggera in arrivo da ovest si interponeva tra lo scintillio d'argento degli astri che vegliavano silenti su Konoha.

Nella quiete notturna, una figura incappucciata avvolta in un mantello se ne stava accovacciata sul ramo di un grande albero, celata tra le fronde, e teneva lo sguardo puntato su una coppia di finestre illuminate.

Kakashi sospirò. Ma che accidenti ci faccio qui? Fare da balia al figlio del Maestro Minato. Cosa mi è saltato in mente?

Tastò con una mano il sacchetto di carta che aveva riposto in una tasca interna del mantello e una volta di più si ritrovò a scuotere la testa e a rievocare le parole che l'Hokage gli aveva rivolto in occasione del loro ultimo colloquio: Di norma, non sei il tipo che si lascia andare ai sentimentalismi.

Era vero. Kakashi era un maestro nell'arte del dominio delle emozioni. Si trattava di un'abilità temprata da anni di esperienza sul campo, acquisita ad un costo spesso molto elevato. Il suo posto di capitano all'interno della divisione ANBU si accordava alla perfezione con quel tratto del suo carattere e l'emotività era ormai stata relegata a un ruolo marginale nella vita del Jonin: per lo più un ostacolo al successo delle missioni, nonché una fonte inesauribile di tormento.

Eppure quella sera Kakashi era lì: appostato davanti alla casa di Naruto, con un pacchetto di mochi appena comprati.

Stava considerando l'idea di tornare sui suoi passi e andarsene a casa quando il bambino entrò nel suo campo visivo. Naruto oltrepassò il lavandino ingombro di piatti da lavare e raggiunse il frigorifero dal quale prese alcuni avanzi e un cartone di latte che dispose sul tavolo; fece scaldare le pietanze in un fornetto elettrico e si arrampicò sulla sedia, pronto a consumare la sua cena solitaria. Aprì la confezione del latte e se ne versò un bicchiere prima di iniziare a mangiare con lo sguardo perso nel vuoto.

In quel momento, un'altra immagine si presentò senza invito alla coscienza di Kakashi, sovrapponendosi come una lente a quella che si stava svolgendo davanti a sé: l'immagine di un ragazzino dai capelli d'argento poco più grande di Naruto, intento a sfilettare e cuocere un pesce pescato con le sue mani sui fornelli di una cucina silenziosa. Troppo silenziosa.

Era un mondo duro, quello in cui vivevano. Gli orfani dovevano imparare a cavarsela da soli e a provvedere a se stessi alla svelta. I giochi e gli svaghi trovavano poco spazio nelle vite di quei bambini che ogni giorno dovevano lottare per non essere lasciati indietro, per emergere dall'oblio ed essere riconosciuti degni della propria stessa esistenza in un sistema in cui il lignaggio e le gesta dei genitori, specie se defunti, pesavano non poco sulla definizione dell'identità dei figli.

Kakashi ci era riuscito grazie alle sue straordinarie abilità nelle arti ninja e all'intelligenza che lo aveva contraddistinto fin dalla più tenera età. Non avrebbe mai potuto cancellare l'onta del gesto di Sakumo, ma le sue doti l'avevano portato a riscattarsi dalla colpa del padre e a lasciarsi alle spalle la vergogna di Zanna Bianca. Il figlio dell'eroe disonorato e rinnegato aveva raggiunto la vetta nonostante l'ombra del genitore.

La situazione di Naruto era, in un certo senso, speculare: figlio di due eroi la cui fama oltrepassava i confini del villaggio, non appariva particolarmente versato in nessun campo che esulasse dal mettersi nei guai e attirarsi le ire degli abitanti di Konoha. Aveva eletto gli scherzi e i dispetti a mezzo privilegiato tramite il quale affermare il proprio diritto all'esistenza. Perché essere additato come un monello, essere guardato storto, era comunque meglio che essere invisibile.

Ma al calare della sera, quando il piccolo si ritrovava da solo in quella specie di tana disordinata, a mettere insieme una misera cena fatta di avanzi che avrebbe sorbito in compagnia di assenze incolmabili, allora sì che la tremenda sensazione dell'invisibilità, dell'inesistenza prendeva corpo.

Kakashi si sentì invadere da una pena infinita per quell'esserino che, nel breve corso della sua vita fino a quel momento, non aveva conosciuto altro che solitudine e rifiuto. Si sorprese a distogliere lo sguardo, incapace di sostenere oltre quella visione che riportava a galla relitti di una vita passata che, anche dopo tutti quegli anni, conservavano intatta la capacità di infliggergli brucianti stilettate allo sterno.

Dopotutto, sembra che io non sia ancora riuscito a liberarmi del tuo fantasma, padre.

Ecco a cosa portavano gli stop alle missioni: l'irriducibile Capitano degli ANBU si faceva indietro per lasciar riapparire Kakashi Hatake, l'orfano del suicida caduto in disgrazia; il leader che, alla sua prima missione ufficiale, aveva lasciato morire il suo migliore amico; lo shinobi che aveva ucciso la propria compagna.

Era troppo. Doveva andarsene. Doveva mettere quanta più distanza possibile da quel bambino così simile al padre che non avrebbe mai conosciuto e che stava involontariamente spalancando un varco che non poteva, non doveva, riaprirsi per nessuna ragione. Venire fin lì era stato un grosso errore e Kakashi giurò a se stesso che non si sarebbe più avvicinato all'orfano del Maestro Minato. Ma prima, aveva ancora una cosa da fare...

Con uno scatto fulmineo, il Jonin balzò fuori dal proprio nascondiglio e atterrò di fronte alla porta della casa, abbandonò sullo zerbino il sacchetto di carta e premette il tasto del campanello prima di scomparire di nuovo nell'ombra.

Non sarebbe rimasto a godersi il premio della reazione del bambino: per quel giorno, aveva già concesso abbastanza margine alla pericolosa anarchia delle emozioni e dei ricordi.



Naruto sentì trillare il campanello e abbandonò le bacchette sul piatto quasi vuoto, indirizzando un'occhiata perplessa all'ingresso. Chi poteva essere? Nessuno veniva mai a trovarlo a parte quel vecchietto un po' strambo che ogni mese gli lasciava i soldi per la spesa.

Un brivido freddo gli percorse la schiena. E se fossero venuti a prenderlo per arrestarlo? Quel pomeriggio non aveva forse sentito dire che sarebbe dovuto stare in prigione?

Il bambino deglutì la saliva e si alzò dalla sedia. Raggiunse l'uscio e allungò una mano verso il pomello scrostato con il cuore in gola.

Quando aprì, non trovò nessuno sulla soglia e una parte di lui si rilassò: allora non erano venuti per portarlo in prigione. Tuttavia, insieme al sollievo, non poté non percepire anche una punta di delusione per quel falso allarme, sensazioni che mutarono di colpo in un genuino stupore quando abbassò gli occhi e si accorse del pacchetto che giaceva a terra.

Di primo acchito, Naruto aggrottò la fronte e studiò l'oggetto con circospezione. Si affacciò alla porta guardando a destra e a sinistra per capire se qualcuno potesse averlo perso mentre passava di lì, ma non c'era anima viva nei dintorni, inoltre chiunque avesse abbandonato quell'involto davanti alla sua porta, doveva essere la stessa persona che aveva suonato il campanello.

Il bambino si accucciò e si mise a trafficare con la carta quando lo investì una nuvola di profumo zuccheroso. Sull'onda dell'eccitazione, le piccole dita di Naruto presero a lavorare più in fretta con i lembi del sacchetto e la sua sorpresa fu indescrivibile quando si ritrovò tra le mani una scatola di mochi color pastello tondi e bombati.

Un sorriso incredulo si allargò sul suo viso mentre una gioia inaspettata e traboccante gli si schiudeva nel petto come un fiore di maggio.

Naruto rimase qualche istante a cullare con gli occhi il dono misterioso, poi, prima di rientrare in casa pregustandone il sapore, alzò lo sguardo verso la volta stellata del cielo, inspirò a pieni polmoni e lanciò un sonoro “Grazie!”.

A chi? Non ne aveva la più pallida idea, ma sperava davvero che il suo ringraziamento fosse giunto a destinazione.





  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Stria93