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Autore: Felpie    04/01/2021    4 recensioni
Storia partecipante al contest “A Farewell to… Contest” indetto da CatherinaC94 sul forum di EFP. Non per tutti l'estate è un bel periodo. Per James Sirius Potter è una condanna perché vuol dire stare chiuso in casa, in un luogo che non sente suo e da cui non vede l'ora di fuggire. Perché vuol dire essere controllato, non poter fare ciò che vuole, non essere libero. James Sirius Potter vuole solo andare via e non tornare mai più.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Quando indietro non si torna,
Quando l'hai capito che
Che la vita non è giusta
Come la vorresti te
Quando farsi una ragione
Vorrà dire vivere
Te l'han detto tutti quanti
Che per loro è facile
(Il giorno del dolore che uno ha - Ligabue)






James Sirius Potter odiava l’estate. Il caldo appiccicoso, il vento che ricordava il fiato di un drago, il sudore praticamente come unica costante dalle sette di mattina alle dieci di sera – quando arrivava una leggera brezza, ogni tanto.

Odiava l’estate perché era costretto a stare a casa, controllato e tenuto sott’occhio tutto il tempo da sua madre, disturbato continuamente da uno dei suoi fratelli e decisamente poco libero di fare ciò che più gli andava. Per esempio in quel momento avrebbe tanto voluto un Calderotto – o forse dieci – ma no, in casa non ce n’era nemmeno uno perché “cariano i denti” e “meglio una carota”. Chi mangia carote per merenda? Lui sicuramente no.

Il mese che odiava di più era Agosto, senza alcun dubbio, perché sua cugina Dominique partiva con tutta la famiglia per andare a trovare i parenti francesi e quindi James si ritrovava senza l’unica persona che gli faceva sembrare l’estate un po’ meno orribile. Quell’Agosto, inoltre, l’altra sua ancora di salvezza, suo cugino Fred, aveva deciso di mettersi a lavorare – Fred che lavora? Ma andiamo, che sciocchezza – nel negozio del padre e quindi passava le giornate a scaricare scatole di merci e a smistare Merendine Marinare. Quindi cosa doveva fare lui quel maledetto 3 Agosto per far passare la giornata – e già che c’era l’intero mese?

Sbuffò, lanciando via la rivista di Quidditch che teneva tra le mani e che tanto non stava leggendo, mettendosi a guardare il soffitto obliquo della mansarda che era diventata la sua stanza da quando aveva dichiarato di avere i Boccini pieni di vivere con suo fratello in una camera che non era adatta ad ospitarne nemmeno una, di persona. Si era trasferito in un posto forse ancora più piccolo, ma almeno era solo per lui ed una porta chiusa poteva isolarlo dal resto del mondo.

Cioè da quasi tutto il resto del mondo: Dixie, l’elfo domestico della famiglia, solo quel giorno si era Smaterializzato tre volte in camera sua per chiedergli se avesse bisogno di aiuto o se desiderasse qualcosa di particolare. Tutte e tre le volte era stato cacciato via malamente.

Sua sorella Lily amava Dixie perché giocava sempre con lei e le permetteva di aiutarlo a cucinare. James odiava Dixie perché era sempre fastidiosamente presente ovunque e decisamente troppo desideroso di fare la cosa giusta. Da quando aveva messo in ordine la sua stanza e aveva trovato le scorte segrete di dolcetti e Burrobirra, facendo passare un brutto quarto d’ora a James dopo averlo rivelato a sua madre, il ragazzo aveva deciso che Dixie era una creatura da temere e, quando capitava, da trattare male, giusto per fargliela pagare per avergli fatto sequestrare ciò che di buono avevano inventato i maghi.

E anche se fu tentato di chiamarlo per farsi portare un panino decise di fare due passi e non vedere il suo muso di nuovo nella sua camera per la quarta volta in un giorno.

Scese le scale e sentì un tonfo, seguito da delle risate; alzò gli occhi al cielo: sicuramente era Lily che aveva coinvolto Albus in qualcosa di assolutamente stupido e a cui sarebbe stato invitato di lì a pochi secondi. Entrò in cucina, dove vide Hugo correre nudo intorno all’isola, mentre inseguiva sua sorella Rose che teneva il suo costume da bagno in mano, con Lily che piangeva dalle risate in un angolo.

“Ridammelo, Rose!” protestò il fratello minore e James decise di intervenire, se non altro per cessare tutta quella confusione e potersi preparare un panino in pace. Così afferrò per le braccia la cugina, che iniziò immediatamente ad urlare spaventata e colta alla sprovvista, e le sottrasse il costume dalle mani, allungandolo a Hugo, la cui faccia era diventata dello stesso colore dei capelli.

“James!” gli urlò contro la cugina – che non riusciva mai a tenere un tono di voce normale e che faceva saltare tutti i nervi al ragazzo – prima di dargli uno spintone “Sei davvero un Troll, lo sai?!”

“E tu una Banshee, ma non te lo faccio notare ad ogni occasione” ribatté l’altro, andando verso la dispensa.

“Non dare della Banshee a tua cugina.”

La voce di nonna Molly colse tutti di sorpresa e la donna apparì come per magia – che buffo modo di dire, pensava sempre James – sulla soglia della porta.

“Nonna!” esclamò Lily, correndo ad abbracciarla, mentre James non si prese nemmeno la briga di girarsi: era abbastanza convinto che la nonna materna lo odiasse da quando aveva messo uno scorpione nel letto di Molly Junior per farle un dispetto, dopo che lei lo aveva bacchettato e sgridato pubblicamente davanti a tutta la famiglia. Quindi ignorò l’anziana che dispensava bacini e pizzichi sulle guance, si fece il suo panino e cercò di tornare in camera, ma venne bloccato da Dixie all’inizio delle scale – dannato elfo domestico.

“Il signorino James non può andare in camera.”

“E perché no?”

“Perché sua nonna è qui e sua madre si è raccomandata che passasse un po’ di tempo con lei.”

“Mamma non è qui” rispose bruscamente il ragazzo, ma ovviamente non poteva essere così facile.

“James, tesoro, vogliamo fare un gioco tutti insieme di là, sei dei nostri?”

James sgranò gli occhi vedendo il padre comparire alle sue spalle: era convinto che fosse al lavoro, come ogni santissimo giorno che Merlino gli aveva concesso.

“Che ci fai tu qui?”

“Oggi sono in ferie e ho pensato di passare un po’ di tempo con la mia famiglia.”

“No, grazie, passo.”

“James è importante passare un po’ di tempo con la propria famiglia.”

“No, è importante passare un po’ di tempo con gente di cui me ne importa qualcosa” pensò il ragazzo, ma non lo disse ad alta voce: sarebbero potuti andare avanti a discutere per ore dopo una frase del genere. E poi suo padre non era proprio il genere di persona che poteva dire qualcosa di simile, visto che negli ultimi otto anni non lo aveva mai visto se non sulla porta di casa con giacca e cravatta pronto per andare al lavoro.

“Ho da fare, adesso.”

“Una partita a Scacchi Magici?” provò a dire Harry e James assottigliò lo sguardo.

“Se giochiamo una partita a scacchi e vinco mi lasci in pace?”

Lo sguardo dell'uomo si adombrò, ma cercò di non darlo a vedere – e al ragazzo non importò – ed annuì; si spostarono in salotto, dove Albus aveva già tirato fuori la scacchiera insieme agli altri giochi e si posizionarono per giocare.

“Bianchi o neri?” domandò Harry.

“Neri” rispose il ragazzo, disponendo i pezzi.

“Pedone in C4” iniziò allora l’Auror e James si concentrò sulla partita: sapeva che suo padre aveva scelto gli scacchi perché da sempre erano il suo gioco preferito e sperava così di fargli un piacere, ma non aveva considerato che negli anni era diventato un vero e proprio campione, giocando contro Dominique o contro lo zio Ron. E che la sfida che avevano fatto lui l'aveva già vinta in partenza.

“Scacco Matto” dichiarò infatti il ragazzo dopo appena quattordici mosse, mentre Harry guardava la scacchiera confuso ed incredulo; anche Rose, Lily e Hugo osservavano la scena in silenzio e le uniche voci che si sentivano erano quelle di Albus e nonna Molly che chiacchieravano allegramente in cucina.

James si alzò in piedi, senza aspettare una risposta, e se ne tornò in camera, dove sigillò la porta e la Imperturbò ai rumori esterni; fece per rimettersi sul letto quando notò una lettera sulla sua scrivania che prima sicuramente non c’era: la carta della busta era lilla, profumava leggermente di lavanda e il suo nome era scritto in bella calligrafia. Non aveva dubbi sul mittente.


 

Ciao Jamie,

non ti chiedo come va perché so già quale sarebbe la risposta. Ti dico piuttosto di guardare il bel sole che immagino esserci in cielo, leggere una rivista di Quidditch e tenere duro perché l’estate sta per finire e tra poco torneremo al castello, per il nostro ultimo anno.

La Francia è come sempre incantevole in questo periodo, ma avrei bisogno di qualcuno che mi faccia ridere: non ne posso più di sentir parlare dei preparativi per il matrimonio di Victoire e Teddy. L’altro giorno ti ho pensato, sai? Siamo andati in una cittadina chiamata Etretat, che dicono essere un piccolo paradiso: è sul mare, ha sempre una piacevole brezza, anche d’estate, ed è un po’ isolata. Magari potresti pensare di trasferirti lì. Ma tante Gabrielle ha detto che gli abitanti sono famosi per essere molto cordiali.

So che non ce la fai più, James, ma davvero, la nostra famiglia ti vuole bene e vuole solo il meglio per te. Ed è vero, a volta è più appiccicosa del caldo torrido inglese, ma lo fa solo perché tiene ad ognuno di noi.

Reggi e, per quanto possibile, cerca di non dare di matto.

Un abbraccio,

Domi.


 

Leggendo quelle parole, James fece probabilmente il primo sorriso della giornata e si ricordò perché sua cugina Dominique era da sempre la sua migliore amica. Era la persona che più lo capiva, che più riusciva a farlo sorridere anche quando non ne aveva la minima voglia e, cosa che la distingueva da Fred, il suo altro migliore amico, sapeva dare dei buoni consigli.

Aprì l’atlante che zia Hermione gli aveva regalato per un compleanno passato e cercò la cittadina di Etretat. Sull’Oceano Atlantico, eh? Gli piaceva. Era sufficientemente lontano da Londra e da tutta la sua famiglia.

Afferrò il quadernino che nascondeva nel cassetto delle mutande – l’unico in cui Dixie non andava mai a frugare, limitandosi ad appoggiare l’intimo pulito e richiudendolo subito dopo – e aggiunse Etretat tra gli altri angoli di mondo che aveva scoperto negli anni, vicino al costo di un possibile affitto da pagare e alle spese di vita da mantenere. Killarney, Inverness, Marsiglia… aveva trovato tante cittadine in cui trasferirsi una volta finito l’ultimo anno al castello quando ormai, ufficialmente maggiorenne, potrà andarsene di casa. Sarà libero dalla sua famiglia, dal pesante cognome "Potter" che sembrava seguirlo ovunque e dalle aspettative che tutti avevano su di lui. Avrebbe rotto con ognuno di loro, partendo da suo padre e da sua madre, continuando con quel piagnucolone di Albus e con Lily, la figlia perfetta, e terminando con la masnada di cugini che si ritrovava. Solo Dominique e Fred avrebbero saputo dove si sarebbe trasferito. Con il resto della famiglia, lui non c’entrava nulla. Erano come linee parallele.

Linee parallele destinate a non incontrarsi (mai).







Felpie's Corner

Forse dovrei smettere di scrivere di James Sirius Potter, ma non ho potuto farne a meno quando l'ho visto tra le tue scelte, CatherineC94, quindi ti ringrazio per  avermi dato l'opportunità di mettermi alla prova con questo contest. Forse ho analizzato un po' a modo mio il pacchetto e forse è un abbandono molto generale, ma spero che lo accetterai ugualmente e che la storia ti piaccia.

Non sono mai stata troppo convinta del fatto che sia Albus il figlio "problematico" della famiglia, James mi sembra molto più estremo e molto più ribelle e lo vedo molto in questo conflitto costante con i genitori. E la storia è nata così, in un istante.

A presto,
Felpie

   
 
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