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Autore: rahide    05/01/2021    3 recensioni
Ti ho tradito.
Ti tradisco ancora.
Che io sia dannato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Le luci, le ombre'
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I personaggi, ovviamente, non mi appartengono.
La storia, invece, sì.
Buona lettura

Rahide

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Un divano enorme.
D’altronde, quando lo abbiamo comprato, sapevamo che avrebbe dovuto esserlo: entrambi adoriamo oziare completamente sdraiati davanti alla tv, e non siamo esattamente due gnomi, eh?
 
Ti guardo.
Vorrei che facessimo l’amore qui, ora, su questo gigantesco divano. Vorrei che tu prendessi l’iniziativa, che mi facessi sentire ardentemente desiderato, sensuale, irresistibile, come durante i primi anni di relazione, eravamo due adolescenti, ricordi?
Dio, non ci staccavamo un secondo…
 
La prima settimana di convivenza ce la siamo vista brutta, vero?
Pensavo ci saremmo lasciati… Tu mi sgridavi per tutto, non ti andava bene niente di ciò che facevo, come lo facevo, ho pensato “Che cazzo mi è venuto in mente? Non può funzionare!”. E invece, poi, in qualche modo, ha funzionato. Tu hai abbandonato le tue abitudini, capendo che avresti dovuto costruirtene delle altre, compatibili con la nostra vita insieme. Io ho imparato (sto ancora imparando, a dir la verità) a venirti incontro: ad essere più ordinato, meno chiassoso, meno frettoloso.
Pare che ci stiamo riuscendo.
 
Cazzo Kaede.
Ti ho tradito.
Te lo vorrei dire, a volte, mentre ti osservo rapito guardare le partite dell’NBA, dirti “Ehi, mi dispiace, te lo giuro, non so che cazzo m’è preso, ma sono andato con un altro”. Ma non lo farò mai.
Ti amo, veramente. Ho costantemente verso di te quegli impulsi di travolgente tenerezza, fisica ed emotiva, dove d’improvviso ti salto addosso e ti soffoco di baci, carezze, morsi, pizzicotti… D’amore, insomma.
Ed è amore, davvero, lo sento.
Lo so.
 
Ma ti ho tradito, Kaede.
Ti ricordi qualche mese fa? La nostra crisi nera… Non c’è stato credo un reale motivo.
Ma era un periodo in cui non ci capivamo. Non c’era proprio storia, ogni parola una coltellata.
Eravamo soli insieme, distanti nella stessa stanza, nello stesso letto.
E non ce l’ho fatta.
 
Mark, quell’uomo estremamente affascinante, cordiale, piacente, con cui ho iniziato ad arbitrare le partite dei ragazzi delle giovanili.
Mi piace arbitrare, mi diverto: è un modo per vivere il parquet, gli spalti, gli spogliatoi, in modo diverso. Mi fa bene. Imparo molto, così gioco meglio anche io, quando vesto i panni dell’atleta.
Non è che lo avessi notato molto.
Sì, sicuramente un bell’uomo, carismatico, uno che ci sa fare, mai un pelo di barba fuori posto, sempre profumato, sempre al top, dai.
È bastato che mi venisse un po’ più vicino, che mi parlasse in maniera un po’ più lenta, con quella cazzo di voce (ecco, sì, quella l’ho notata subito… Sensualissima).
Sono seguiti due mesi di messaggi continui, telefonate, stupidaggini.
Alla fine ci sono uscito a cena: tu eri davanti alla tv a studiare gli schemi della squadra che avresti affrontato di lì a poco coi tuoi compagni.
Non ho percepito per nulla il suo essere molto più grande di me, un uomo fatto e finito.
Io trent’anni, lui quarantacinque. Una compagna, sì, ma in un’altra città.
Dopo cena, in quel ristorantino adorabile sulle rive del fiume, mi ha tirato per un braccio e mi ha baciato.
Così, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Sono morto. In tutti i sensi. Su tutti i fronti.
Per una settimana gli ho detto che era stato un errore, che non avremmo più dovuto rifarlo.
Il week end dopo ci siamo rivisti. Mi ha scopato furiosamente, era evidente che mi desiderava follemente, ha condensato in un infinito rapporto sessuale tutti quelli che avevamo già consumato nella sua immaginazione.
Sono tornato a casa sconvolto da me stesso.
Ho aperto la porta e tu eri ancora lì, sul nostro enorme divano, ancora davanti a mille replay di azioni su azioni.
Sono morto, nuovamente.
Con la scusa che non vedevo l’ora di farmi una doccia per levarmi addosso l’umidità (per fortuna per me era piena estate) sono volato in bagno, terrorizzato che tu sentissi su di me l’odore di un altro uomo, che io avevo piantato nelle narici.
 
Sono passati due anni.
Ho smesso di fare sesso con Mark, ma ci sentiamo ancora, spesso.
Si può dire che siamo praticamente amici.
Ogni tanto lui rivanga il passato (odio quando lo fa, io vorrei solo cancellarlo) ma ci capiamo al volo.
Non voglio rinunciare ad essergli amico, ci supportiamo, ci ascoltiamo, abbiamo lo stesso carattere, lo stesso modo di vedere le cose.
Kaede, ti amo sul serio, ma a volte le nostre differenze diventano insormontabili.
Ho bisogno di una via di fuga.
 
Sì, ne avevo bisogno allora, e ne ho bisogno ancora.
Pochi mesi fa.
Finisco di allenarmi (ancora per mia fortuna, militiamo in squadre diverse, io e Te) esco dagli spogliatoi e sento venire musiche particolari da una saletta più piccola del palasport: c’era lui che ballava.
Mirko (nemmeno a farlo apposta due nomi così somiglianti, eh?!), ballerino e maestro di samba.
Riccioli biondo grano, barba corta e curata, fisico incredibile. Sorriso arma di distruzione di massa.
Anche qui, però, mi sono limitato ad osservare (sono uno scimmione di ottantotto chili per un metro e novanta, non sono certo fatto per ballare). Me ne sono andato, non ci ho più pensato.
Nelle settimane successive il caso (e l’evidente nuovo planning delle attività sportive al palazzetto) ha voluto che continuassimo ad incontrarci: un caffè insieme alle macchinette nell’atrio, due battute, un po’ di racconti delle nostre vite.
Un invito a cena.
Di nuovo.
Non so perché ho accettato. O meglio, lo so: sento che non mi ami. Kaede non so perché, ma questa convinzione mi logora, non mi abbandona: sento che non mi vuoi più come prima, in tutti i sensi.
Ed io è come se dovessi recuperare anni di adolescenza non vissuti, buttati nel convincermi di essere un brutto anatroccolo.
Adesso, a trentadue anni, lo so di essere bello. Non quella bellezza istantanea, che immediatamente ti fa dire “wow!” ma quella bellezza che arriva gradualmente: inizialmente ti incuriosisce. Lo so, l’ho capito che parte del mio fascino è il mio umorismo, a volte sfacciato, sempre però pungente, strafottente, sempre sincero. L’ho capito col tempo che il mio è un essere sexy che parte da dentro per poi emergere al di fuori.
Mi ha fatto trovare un cena a base di pesce, fatta da lui. Vino, liquori, gelato.
Poi mi ha baciato: è esplosa la bomba. Ci siamo catapultati nel suo letto: anche con lui, avremo cambiato mille posizioni, per poi finire con del sesso orale (il che mi ha stupito, perché io con la bocca mi sono avvicinato solo dopo un certo periodo di relazione stabile… Sono rimasto, per l’ennesima volta, spiazzato da me stesso).
Sono rientrato a casa.
 
Vuoi la verità, Kaede?
Non mi sentivo in colpa come la prima volta.
Mi sento una merda nel dirlo, ma è come se mi sentissi giustificato: giustificato dal fatto che ormai non facciamo quasi più nulla insieme, che non sia sesso o tv.
Mi sento giustificato dal fatto che spesso lo vedo che non dici nulla per quieto vivere, ma ci sono tante cose di me che ti infastidiscono.
Ed io non ce la faccio più a sentirmi inadeguato.
Con Mirko, a giorni, mi vedrò di nuovo.
Ho voglia di vederlo. Lo so che non è una cosa seria (anche lui ha un’altra relazione… Anche lui a distanza, ma tu guarda!) ma ho voglia di farmi spogliare, toccare, guardare, con bruciante passione, quella che non vedo più nei tuoi occhi, che fatico a cogliere nei tuoi gesti verso di me.
 
Ma non ti dirò nulla Kaede, lo so.
Latiterò nella mia vigliaccheria, nella mia debolezza. So che mi lasceresti, non mi parleresti né guarderesti mai più.
Forse piangeresti: è successo un paio di volte.
Non posso sopportarlo, non riesco nemmeno a pensarci di dirtelo, e nemmeno voglio figurarmi le conseguenze.
Perciò taccio.
La mia coscienza ormai s’è sdoppiata, è come se fossi due persone, che vivono due vite diverse.
 
Vorrei chiederti perdono, per cose che non sai neanche che ho fatto.
Ma non devi saperlo.
Per cui non ti chiederò nulla.
La mia sarà un’autoassoluzione.
 
Mi giro anche io verso il televisore, continuando così la mia recita.
  
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