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Autore: sacrogral    19/01/2021    11 recensioni
Questa storia è per Fiammetta e per Paperina75 - per far loro un dispetto. E per Minaoscarandre, per farle un omaggio.
E ribadisco un'ovvietà: Fiamma, mia Madonna, mia Luce; Mina, mia Grazia illuminante, l'onestà intellettuale; Paperina, mia Beatrice, mia ispirazione... cosa avrei fatto senza di voi? E ribadisco un'altra ovvietà, serio per una volta: nessuno sfiori queste ragazze. Nessuno si azzardi a dir qualcosa che non sia corretto, urbano, elegante su queste ragazze. Che peraltro leggono e recensiscono e non scrivono storie. Perché son belle persone. E le persone belle vanno rispettate.
La storia è una riscrittura della puntata 28.
Ricordo che una ragazza che si firma Marianna73 mi aveva scritto una cosa che mi aveva toccato, e inorgoglito - che la storia le era piaciuta anche se avrebbe dovuto non piacerle, perché contiene violenza, e possiede una sua crudezza. Marianna, quello era un gran complimento.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Non ho più bisogno di te”, questo gli aveva detto.

Doveva esser rimasto immobile e gelido sul posto, senza che lei se ne accorgesse, dato che gli dava le spalle.

Venti anni… venticinque anni di amicizia, dedizione, condivisione… e adesso “Non ho più bisogno di te” e tanto bastava, per congedare un servo, un subordinato, un plebeo.

Che sarebbe rimasto cieco lo aveva saputo quel giorno stesso. Problemi anche all’occhio destro era stato il gentile eufemismo. Alla fine però il risultato non cambiava, era soltanto questione di tempo. Quanto tempo?

“Non ho più bisogno di te”. Quando il suo primo pensiero era stato per lei, il terrore di non poter più vedere il suo volto, la sua espressione particolare quando era assorta, la ruga fra le sopracciglia quando era pensierosa.

E lui che si era abituato ai silenzi, ai non-detti lasciati in sospeso per evitare ogni movimento troppo brusco, ogni parola troppo tagliente; lui che non scherzava più come un tempo, che la guardava più seriamente e malinconico quando lei non si accorgeva degli altri- e neppure di lui- concentrata su se stessa e sulle proprie pene, che lui invece condivideva nella lontananza e forse nell’oblio.

E adesso voleva forzare la natura, tornare indietro nel mondo della non consapevolezza- ma se la fuga fosse una soluzione, Oscar, sarei fuggito da te tanto tempo fa.

Forse aveva bevuto troppo. Forse il suo cuore batteva a un ritmo così  intenso che gli annebbiava intelletto e vista. E se la fuga non è una soluzione, doveva rimanere, parlare e non tacere.

E allora glielo disse che una donna sarebbe stata sempre una donna, che non è possibile forzare con la volontà ciò che il Fato ha disposto, non è concesso a un padre folle, neppure a una figlia umiliata e delusa; e glielo disse in maniera elegante, cercando di pesare le parole, di non perdere il controllo, mentre pensava anche che la sua vita gli scivolava fra le dita e dall’indomani sarebbe stato tutto diverso, più opaco, senza di lei.

Oscar, aggressiva nella frustrazione, non voleva questo: la complicazione del pensiero espresso ad alta voce, in una metafora floreale ma chiara- le rose, i lillà- la irritò oltre misura, sommandosi  alla rabbia del suo primo rifiuto ricevuto per il suo primo amore provato; perché lui non reagiva in maniera pacata e mansueta, lieto della libertà riacquistata? Perché adesso si ergeva a giudice, osando contraddirla in quello che aveva già deciso, perché non le dava appoggio e sostegno, lui che doveva sapere?

Lo colpì con uno schiaffo di una violenza inaudita, certo sproporzionata  alle parole ricevute, schiaffo che doveva avergli provocato dolore ma che gli fece spostare appena la testa, senza intaccare la sua immobilità- e lei lo prese come un nuovo affronto, una ostentazione di forza contro cui non poteva competere senza una spada o un’arma qualsiasi, ma un’arma che non fosse solo il proprio corpo, la sua forza insufficiente.

E quando lo afferrò per il bavero della camicia, urlando, chiedendo spiegazioni, non pensò neppure per un istante che quella forza calma, forza di terreno di montagna o di mare immobile, avrebbe potuto in qualche modo rivoltarsi contro di lei.

Poi però sentì le sue mani stringerle i polsi, tanto che lei dovette staccare le dita dalla stoffa; sentì il dolore della stretta decisa ma indifferente, pensò, perché lui stava guardando il niente oltre la sua fronte, e sembrava comunque tremare leggermente, registrò, come se stesse pensando ad altro.

“Così mi fai male, André” disse, stranamente titubante, perché erano parole, rifletté, che non aveva mai pronunciato in vita sua. Mai André le aveva fatto del male.
Nella mente di lui intanto si affollavano immagini che scorrevano senza che le vedesse; era appena consapevole delle parole che lo investivano, graffianti e gridate, ma sempre più lucido riguardo al tepore della carne di lei, lei bloccata dalle sue mani solide anche se un po’ tremanti.

“Adesso mi scuso e me ne vado” si disse, mentendo, abbassando il viso a guardarla per un tempo che gli parve eterno- forse troppo consapevole del tepore dei suoi polsi, forse troppo conscio della bellezza di lei; e poi, come se in quel gesto rendesse concreti una serie di pensieri a lungo ruminati nella sua testa, come se lo facesse per spiegare e non per quel desiderio insensato di prendersi quello che riteneva suo da sempre, con gesto brusco che rasentò la brutalità, la baciò.

La sentì irrigidirsi nella sorpresa, combattere a stento quel contatto non voluto, mentre le stringeva ancora i polsi tanto- adesso sì- da farle male, attirandola verso di sé con una furia che non credeva di poter provare, e che si illuse di controllare: “Adesso mi scuso e me ne vado” si disse, mentendo, perché già forzava la resistenza di lei, passo dopo passo, consapevole.

La spinse sul suo letto con una facilità di cui si stupì, si ritrovò a lottare col corpo di lei e anche con il proprio, pensando, nell’attimo in cui lei spaventata minacciò di chiamare aiuto- ma a stento la sentì- pensando dunque che in certi momenti le classi sociali appaiono una ridicola convenzione, che la pelle di una donna appartiene a un mondo unico, quello femminile, che sotto il corpo di un uomo una femmina è creta da plasmare, universo da scoprire; e fu facile tenerle ferme le braccia, far aderire così profondamente il suo corpo a quello di lei- i pieni che riempivano i vuoti- senza lasciarle le labbra che adesso non dovevano servire per parlare, ma solo a dare piacere a lui.

Fu allora che Oscar sentì la sua mano sulla bocca, dopo aver sentito le labbra di lui che sembrava volessero divorarla, perché doveva essere impazzito, perché lei mai avrebbe immaginato che le potesse accadere, mentre adesso non riusciva a liberarsi di quel corpo sopra il suo, che le sembrava immenso e duro come una statua di marmo, impossibile da respingere; e fu allora che sentì di avere paura di qualcosa che percepiva solo in maniera confusa, che non era timore per la propria vita come tante volte aveva riconosciuto, era una paura diversa, ancestrale ma ignota, che conosceva senza riconoscere.

Vide il viso di lui ancora vicinissimo, e sentì i suoi capelli sul volto prima della sua voce bassa e carica di qualcosa che lei pensò violenza, non passione, perché la parola non le era familiare: “Adesso, Oscar, ti mostro cosa vuol dire essere un uomo, vuoi?” e prima della sua bocca ancora a sigillarla e della mano di lui che si mosse dal suo collo al suo ventre, che risalì ad accarezzarle il seno protetto soltanto da un velo di camicia che le sembrava troppo leggero, inutile, e quella paura che aveva percepito si trasformò in una sensazione nuova, un senso di ribellione impotente.

E lui, sentendo quel corpo così tanto immaginato sotto le sue dita, così inerme sotto di lui che se lo imprimeva a fuoco nel cuore, non provò più neppure a mentire a se stesso: “Mi piace quello che sto facendo, lo desideravo, lo posso fare, lo faccio” pensò, accarezzandola dove poteva, senza grazia, attraversando quella camicia che a lui sembrava troppo pesante, inutile, e sentendo la pelle di lei calda come quella dei polsi e fatta per essere toccata da lui- pensò.

E gli piaceva- si rese conto esultando- sentirla dibattersi sotto di lui, gli piacevano i suoi gemiti dentro la sua bocca, e quell’inutile contorcersi di quel corpo abituato alla rigidità e alla disciplina, al celere comando e alla celere obbedienza; mentre invece adesso era lui, l’uomo, che dettava legge, il servo cui era lecito dire: “Non ho più bisogno di te”, l’animale che si credeva domato da una lunga palestra di obbedienza.

Lei quasi non si dibatteva più, incredula e pietrificata nella sorpresa di una situazione che non era  preparata a gestire e neppure a comprendere, mentre le carezze e quella cosa che lui stava facendole, che doveva essere ciò che si chiama baciare, la stavano turbando in qualche modo oscuro, turbamento soffocato da quella paura ancestrale che la spingeva a cercare di riflettere, ma senza costrutto.

Fu così che quando, con sollievo, sentì i polsi e le braccia libere, tuttavia non si mosse, e rimase come paralizzata sentendo sul collo le labbra di lui  e le sue mani, aggressive, fra i capelli, e il loro respiro che fu l’unico rumore udibile, mentre diceva a se stessa che non poteva gridare, perché un soldato in un momento così non grida, non vuole che qualcuno accorra e lo veda così, e tuttavia non riusciva a reagire, mentre André- era André?- baciava la sua pelle dove voleva, dove la trovava, la mordeva fino a farle stringere i denti dal dolore e da qualcos’altro che non capiva, ma la portava a chiudere gli occhi, a ricacciare le lacrime con sforzo.

E lui, impazzito, dimentico di qualsiasi cosa che non fosse il piacere di quel momento- “Non mi fermo” pensava “Domani mi ammazzo, ma adesso lei è mia”- le accarezzò il collo che aveva riempito di baci con rudezza, e poi le posò la mano sulla bocca perché sapeva che adesso avrebbe urlato, adesso sì, e le sussurrò piano, con la voce della notte: “Pensi ancora di essere un uomo, Oscar?” e prima ancora che lei facesse un movimento aggiunse: “Dimmelo, comandante: preferisci che ti prenda come una donna, oppure come prenderei un uomo?” e allora, sì, vide i suoi occhi riempirsi di lacrime e soffocò un grido di terrore che, lo sentì, lei non avrebbe potuto trattenere.

E fu semplice allora lasciar esaurire il momento, sentirla piegata e afferrare quella camicia che non sopportava più, che era solo un ostacolo da niente, strapparla con forza e finalmente, finalmente vedere quello che aveva già toccato, baciato, fatto suo, ma finalmente vedere, con quel poco di vista e di tempo che gli rimaneva: e per lei fu la resa, sentire freddo addosso e trovarsi esposta, scoperta agli sguardi di una belva che, adesso se ne rendeva conto, non avrebbe potuto placare in alcun modo, perché lei era più debole, perché lui era più forte.

Lasciò quindi le lacrime uscire, libere e copiose, forse approfittando di un momento di incertezza di lui che la osservava come incantato: “ E adesso cosa vorresti fare, André?” chiese, voltandosi per non guardarlo “Cosa vorresti provare?”

Fu un attimo per lui perdere tutta la sua forza e la sua intenzione- “La donna nuda è una donna armata” pensò, incongruamente- e lasciar cadere quel lembo di stoffa, ritornare in sé, non capire lui per primo, sentire le lacrime brucianti sul viso, senza comprendere neppure per quale, dei numerosi motivi fra cui poteva scegliere, piangeva.  Non era un uomo, era un animale.

“Perdonami, Oscar, Giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa simile in vita mia” mormorò, perché adesso era esausto, non aveva più voce, ebbe solo la facoltà di coprirla col lenzuolo, per proteggerla dagli sguardi di quello che era stato lui fino a un momento prima, qualcuno che lui avrebbe ucciso con le sue stesse mani se mai avesse osato… e invece era lui.

Voltandosi per uscire, cominciò a parlare, con uno sforzo di cui si credeva incapace, e terminò dicendo: “Io ti amo, Oscar. Credo di averti sempre amato”.

E senza sapere cosa sarebbe stato della sua vita da allora in poi, senza guardarla di nuovo e neppure sapendo se l’avrebbe più rivista, si accorse, forse per la prima volta quella sera,  di aver detto la pura verità.  

  
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