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Autore: sacrogral    19/01/2021    3 recensioni
Il nuovo personaggio è sempre il marchese de Sade. Ai lettori la scelta.
Ma alla piccola Deienira il marchese va a genio. A proposito, grazie. Non sapete che lista di persone che ho da ringraziare. Mi sa che faccio i capelli bianchi.
Sulla storia: qualche immagine può disturbare, ma niente di che.
Comandante, mi avete prestato i personaggi, bontà vostra - io li ho lasciati. Se avete direttive diverse, non esitate a dirlo.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili
(Donatien Alphonse François, marchese de Sade)
 
Tutto è stato forzato, adattato, romanzato; soprattutto la Storia, sicuramente la Legge.
I protagonisti appartengono a RiyoKo Ikeda; il marchese de Sade all’umanità.
 
Ringrazio immediatamente Capo “comandante” Rouge per avermi prestato Voltaire e Romanov, i due soldati della Guardia presenti nella sua Paris: madamigella, avrei potuto fare a meno di chiedervi di mandarli in trasferta, ma al momento non riesco a immaginare la Compagnia B in altro modo che il vostro, né riesco a vedere Parigi in altro modo che il vostro.
 
                                                                   Tutti gli uomini sono pazzi e chi non vuole vedere dei pazzi deve stare in camera sua e rompere lo specchio
                                                                                                          (Donatien Alphonse François, marchese de Sade)
                                                                             

“Com’è andata?” le chiese lui, il volto teso e stanco.
Oscar lo guardò, senza stupore di vederlo lì, a chiedere quel che a tutti loro interessava.
“Male, è andata. Non confessa” rispose, laconica e pallida.
Eppure lo avevano preso quasi con le mani nel sacco, con le dita sporche di marmellata, anche se in questo caso non di marmellata si trattava.
André scosse la testa.
“Quattro ragazze uccise, il colpevole nelle mani…”
“E ha il coraggio di non confessare, di proclamarsi estraneo ai fatti. Di dire che i testimoni mentono, che l’odio del popolo verso i nobili è così radicato da portare la gente alla menzogna, alla ricerca del capro espiatorio… incomprensibile”.
André la guardò altrettanto sconfortato. Non lo vedeva mai, lei, il male, fino in fondo. Niente da stupirsi che giudicasse incomprensibile quella mancanza di rimorsi, e quella supponenza da aristocratico; eppure, con il male, e con la protervia degli aristocratici, ci si era scontrata più volte.
“I ragazzi son propensi a farsi giustizia con le proprie mani” accennò lui “Alain quelle ragazze le conosceva, Lasalle lo ha visto che gettava il coltello lontano, e poi lo hanno inseguito in tre, senza dubbio alcuno sulle sue intenzioni di fuga. Quando lo hanno preso, si è fatto una risata. La Bestia di Parigi è lui. E il corpo della ragazza – il cadavere – lo hanno visto tutti”.
“Ci mancherebbe solo questa, André” scosse la testa lei “Adesso Parigi dice che i suoi figli non son protetti né tutelati, poi si convincerebbe che l’unico modo di farsi le proprie ragioni sia la violenza… non è la società sotto accusa, è un singolo miserabile uomo!”
“Sei sicura?” avrebbe voluto chiederle, ma non aggiunse altro. La Bestia che aveva insanguinato la città coi suoi delitti era stata presa, ma questo poco valeva: un nobile che massacra di coltellate fanciulle umili, forse disposte a vendersi per fame, anonime e inutili, eccola la storia dei crimini della Bestia; così anche il popolo vedeva se stesso, vessato ormai oltre ogni misura, con un’aristocrazia che restava ancorata ai suoi privilegi, e con quelli all’idea di una onnipotenza trasmessa col sangue e dal sangue; ma non fu questo che le domandò.
“Per quanto tempo lo avete interrogato?”
“Otto ore. Persino il generale Bouille stava perdendo il controllo” disse lei, il volto provato “Non confessa”.
“O lo consegniamo alla Giustizia come colpevole colto in flagranza di reato e reo confesso, o lo consegniamo morto, Oscar”.
Lei distolse lo sguardo.
“Abbiamo una manciata d’ore prima che quello, il figlio maggiore del conte d'Alençon – scandì bene – torni alla libertà. Perché di questo si tratta. Senza una confessione, non potremo nulla. Persino il più scarso degli avvocati riuscirebbe a invalidare il tutto, a non far celebrare neanche il processo”.
“Allora deve confessare” affermò lui, risoluto “In un modo o nell’altro”.
Oscar alzò la testa, ne osservò l’espressione.
“Pensi di essere capace, tu?” lo apostrofò “Puoi provare, se ti va. E ricorda che non si può ricorrere alla tortura contro un nobile. E tu non vi ricorreresti contro nessuno, oltretutto”.
“Io no” disse André, con un’aria poco rassicurante “Ma noi conosciamo qualcuno che potrebbe arrivare dove noi non riusciamo. Ecco, diciamo che potremmo usare, in fretta,  il male a fin di bene…”
 
“Giusto perché siete il figlio di vostro padre e il colonnello comandante dei soldati della Guardia vi viene permesso ciò che vi viene permesso”, specificò Bernard-René Jourdan, Governatore Reale della Bastiglia. (1). Quando si presentava, si sentivano benissimo le maiuscole, pensò André.
“Ve ne siamo grati” rispose Oscar di pragmatica, ancora perplessa di essersi lasciata convincere a tentare quella carta disperata, assurda, senza speranza.
“Il prigioniero che desiderate momentaneamente prendere in custodia è pericoloso e imprevedibile. Dieci giorni fa ha aggredito una guardia all’improvviso e gli ha sbranato la mano destra. Gli ha staccato il pollice di netto, con un morso da cane rabbioso. Adesso siamo costretti a prendere delle misure eccezionali per la sicurezza sua e di altri”, continuò l’ineffabile Governatore, pure marchese de Launay e moschettiere del Re, infastidito e imperturbabile “Non stupitevi delle… condizioni in cui lo troverete”
“Conosciamo il motivo per cui il prigioniero in questione si sia comportato in questo modo con il sorvegliante?” chiese Oscar, altrettanto imperturbabile.
“Perché è pazzo” fu la risposta, e dopo qualche secondo “La guardia, sotto mio ordine, gli aveva requisito carta e penna, affinché fosse all’uomo impossibile scrivere quelle blasfemie ributtanti di cui ama riempire le pagine, che son fonte di ogni danno e un’offesa alla Santa Madre Chiesa, e che poi, non si sa come, finiscono sempre nelle mani della feccia parigina, corredate di illustrazioni di pari livello. L’opera di moralizzazione che la reclusione implica passa anche da questo tipo di privazioni. Quella belva gli si è avventato contro senza che sia stato possibile averne segno. Pensate, comandante, che da allora, quel degenerato, pur di scrivere, utilizza i muri e i suoi escrementi (2). Tener pulita la sua cella è diventata un’impresa”, terminò, con un moto di disgusto.
Oscar non disse una parola e André, che la seguiva già silenzioso, se ne guardò bene a sua volta.
“Vi riterrò responsabile di qualsiasi cosa possa accadere durante il suo trasporto e la sua assenza in ogni senso, comandante Jarjayes”.
“Non preoccupatevi di questo, marchese de Launy. Adesso conduceteci da lui”

  1. Vero il nome. Completamente inventato il carattere.

  2. Documentato. Che il marchese de Sade pur di scrivere in prigione usasse le sue feci, intendo.

 
Quando lo videro, rimasero per un istante senza parole. Per niente sorpreso, come se avesse aspettato la loro visita da sempre, il marchese de Sade sorrise. Per quello che poteva, almeno. Ingabbiato in una maschera di ferro che gli copriva la parte inferiore del viso, il naso libero solo nelle narici, la bocca nascosta da sottili grate, di ferro anch’esse, che lasciavano a fatica passare acqua e cibo, eppure sorrise, e alzò gli occhi vivaci fino allora assorti in qualcosa che soltanto lui vedeva.
“I cari amici” disse, mormorando un po’ a fatica, ma di umore eccellente.
“Governatore,” si girò Oscar verso l’uomo impassibile e imparruccato “era proprio necessario?”
“Vi ho già spiegato” ribatté quello, freddo e sprezzante “Questo topo di fogna altro non merita che una degna gabbia”.
Alphonse Donatien de Sade sorrise ancora.
“Sempre gentile e compito, il nostro carceriere” e poi, rivolto ai due che lo guardavano attoniti “Dovreste vedere cosa ha fatto al mio povero vicino di cella, solo perché si crede San Giorgio…”
 
“Potete avvicinarvi per parlargli, comandante de Jarjayes, ma state in guardia e non toccatelo per nessun motivo” specificò de Launy.
André non seppe trattenersi: “Posso avvicinarmi io, comandante”, si lasciò scappare, guadagnandosi sguardi di disapprovazione e cominciando a provare un certo disagio.
“Naturalmente non occorre” specificò lei, gelida.
“Naturalmente non occorre” ripeté de Sade, ironico. “Ed è mia preferenza assoluta scambiare piacevole conversazione con una bella donna, che attraversa addirittura mezza Parigi per venire a cercarmi in questa sentina di marciume”.
Mentre Oscar si mosse verso di lui, il marchese de Launy rivolse parola ad André, stupefatto:
Bella donna?
“Si potrà dire di tutto di monsieur le marquis” ribatté André, senza spostare lo sguardo “Ma è uno che sa vedere oltre il suo naso”.
 
“Ma certo che sono in grado di far confessare il più incallito dei criminali senza torcergli un capello e in tempi brevi, mademoiselle. Adesso però ditemi a cosa devo l’onore della vostra visita”, le rispose quasi indifferente il marchese, dopo che lei ebbe sintetizzato vicende e problema.
Oscar restò sorpresa.
“Veramente, monsieur, era proprio questo il motivo”.
“Ah, sì? Allora consideratelo già fatto. Rendervi un servigio è il più prezioso dei doni che potevate recarmi, nonché un’ottima occasione per  cambiare panorama, anche se, ben comprendendo, si tratta di recarsi da cella a cella, senza grande varietà”.
“Vi prometto che in cambio vi farò riavere tutto il necessario per scrivere. E mi adopererò in ogni modo in vostro favore. Vi ricordo però che abbiamo tempo limitato e che non potrete toccarlo con un dito, signore”
Il marchese de Sade sorrise, o almeno così pareva, da dietro quella gabbia mostruosa.
“Pensate, credo che questo affare lo abbia costruito il cognato del nostro ottimo Governatore, e sicuramente l’efficacia è maggiore della comodità. Datemi venti minuti d’orologio e non temete per la distanza: non amo toccare né le cose troppo viscide né quelle troppo maleodoranti. Con qualche eccezione, in realtà”.
Oscar lo guardò severa.
“Venti minuti? Lo abbiamo torchiato per otto ore, vi assicuro che l’uomo è in grado di resistere alle contraddizioni e sa fornire argomentazioni”.
“Immagino di sì. E sarà anche un ottimo ballerino di valzer, non ho dubbi. Venti minuti, comandante. E se basteranno, voi mi dedicherete un sorriso, che sarà per me una ricompensa adeguata”.
“D’accordo”, disse lei, assai dubbiosa.
“Ora però consentite a me una richiesta” disse il marchese, improvvisamente serio, e abbassò la voce, avvicinando un po’ il viso, e alzando gli occhi.
André si sentì trapassato dallo sguardo di de Sade, come già era accaduto quell’unica volta in cui ci aveva avuto a che fare. Non gli piacque e non gli piacque il cambiamento della sua espressione. Non riusciva a sentirne le parole, che la maschera sembrava soffiare fuori come nebbia.
Però vide Oscar irrigidirsi, e poi Sade aggrottare le sopracciglia, e chiedere ancora qualcosa. Il profilo di Oscar si fece teso e contratto, e André trattenne il fiato, e trattenne nella mente quell’immagine, per sognarla la notte successiva; e poi lei si addolcì come sconfitta, come arresa, il suo profilo divenne rilassato e lieve, e André trattenne nella mente l’immagine, per sognarla la notte successiva; infine lei disse  qualcosa e annuì, quasi a dispetto di se stessa, e Sade sorrise.
E con un movimento improvviso, degno di un gatto, il marchese le prese la mano e se la avvicinò.  Colti alla sprovvista, gridarono il Governatore, le due guardie, André per primo che fece un passo avanti.
“Fermi”, disse lei, col tono che usava quando impartiva ordini.
Tutti di fermarono.
E Alphonse Donatien François de Sade si portò la sua mano al viso, chiuse gli occhi, ne aspirò il profumo, e attraverso le grate depose un bacio il meno possibile casto sulla punta di due dita.
 
“Secondo voi, si arriva a qualcosa?” domandò Romanov ai compagni, le gambe distese sulla branda, con tanto di scarponi ai piedi.
“Lo saprei io, come arrivare a qualcosa” si infuriò Alain de Soisson, in piedi, incapace di stare fermo.
“André ha detto che avevano un piano” intervenne Lasalle, con il tono di chi vede giungere i rinforzi tanto attesi.
“Il piano di André prevede che un pezzo di criminale faccia accusare un altro pezzo di criminale. Ma cane non morde cane” scosse il capo Voltaire “Ma voi lo sapete chi stanno andando a prendere alla Bastiglia?”
“Per sapere, lo so. Uno che, se fosse a piede libero, farebbe più danni della Bestia” inveì Alain, con un gesto brusco, e l’immagine di Marceline negli occhi, perché lui la conosceva, e la conosceva da viva “Non capisco cosa passi per la testa al comandante”.
“Io quel tipo lo vorrei per le mani insieme a quell’altro” riprese Voltaire “Poi si vede se è più forte la legge o la giustizia!”
“Zitti” disse Lasalle “Mi sembra di sentirli arrivare”.
 
Quando Alphonse Donatien de Sade scese dall’anonima carrozza, coi ferri ai polsi e un sorriso storto sul viso, i soldati della Guardia erano tutti disposti in fremente attesa.
“Ma che bei giovani” disse lui, con un tono famelico “Ricordatevi, cari, che Dio, questo essere esecrabile, nato dalla paura degli uni, dalla furbizia degli altri, e dall'ignoranza di tutti, non è che una rivoltante banalità che non merita da parte nostra un solo istante di fede, né un solo istante di rispetto; una stravaganza pietosa che ripugna all'intelletto, che rivolta lo stomaco, e che è uscita dalle tenebre solo per il tormento e l'umiliazione dell'uomo. Detestate questa chimera; è spaventosa; può esistere solo nell'angusto cervello degli imbecilli o dei frenetici: non esiste cosa più pericolosa a questo mondo, nessuna che debba esser più temuta e al tempo stesso più aborrita dagli umani.” (3)
“Che accidenti ha detto?” chiese Romanov a chiunque.
“Qualcosa contro la religione, mi par di aver di aver capito” rispose Lasalle.
“Vabbè” disse Voltaire “Se è così, ci sta sempre bene”.
 
“E adesso rimettetemi quella maschera, comandante”, chiese il marchese.
“No” disse Oscar, riluttante “Perché?”
“Ma per potermela togliere davanti a lui” rispose, inarcando un sopracciglio “Insieme a questi ferri”.

  1. Discorso di A. D. F.  de Sade, da La nouvelle Justine o le disgrazie della virtù

 
Il figlio maggiore del conte d'Alençon, un po’ provato ma nemmeno troppo, sicuro di sé, bello d’aspetto e dotato di una grazia costruita a fatica, vagamente si sorprese vedendosi portato di nuovo nella stanza dove lo avevano interrogato, perché ormai pensava che avessero gettato la spugna e che era solo questione di ore perché fosse restituito alla sua vita con tutti i crismi del caso. Sedutosi sulla sedia di legno massiccio, che aveva cominciato a giudicare quasi comoda, si illuminò riconoscendo il marchese de Sade, pur conciato male, certo peggio di lui, si disse.
“Maestro!” esclamò, stupito e – pareva – sinceramente felice di vederlo “Anche voi qui? È una meravigliosa coincidenza che ci troviamo nello stesso luogo, pur non rimanendoci io molto a lungo” sogghignò.
Alain de Soisson, Voltaire, Romanov, Gerard Lasalle e poi André e quindi Oscar e il generale Bouille ebbero tutti, e contemporaneamente, lo stesso, inespresso pensiero.
André tolse la maschera all’uomo, e gli liberò le mani, e gli lanciò uno sguardo che diceva molte cose.
“Vogliate essere così gentili da tenere Jacques Philippe – è il vostro nome, giusto? – fermo sulla sua sedia, e agevolarmi per cortesia un fazzoletto e un orologio da tasca” iniziò de Sade, massaggiandosi i polsi con calma. “Scusatemi per come mi sono presentato, ma il mio vezzo di strappare carne umana coi denti non è da tutti apprezzato”.
André e Alain si avvicinarono alla sedia e gli posero ciascuno una mano sulla spalla.
“Non ho intenzione di muovermi, marchese” si stupì la Bestia, un filo incerto dopo aver visto quell’affare di ferro “Perché dovrei? Se non siete qui prigioniero, immagino che vogliate sentire dalla mia voce la mia versione dei fatti;  son ben disposto a ripeterla, anche se non comprendo il vostro ruolo” aggiunse, però sempre meno sicuro.
Con tutta calma il marchese prese l’orologio, declamò l’ora, lo posò quindi sul tavolo. Con altrettanta calma e mosse lente si avvicinò all’uomo, esterrefatto, gli tappò il naso finché quello spalancò la bocca e gli infilò il fazzoletto in gola. André e Alain lo tenevano fermo, dato che la sua decisione di non muoversi non pareva più tanto salda.
“Dunque” iniziò il marchese “Voi sapete chi sono e non ho intenzione di farvi perdere tempo. Ma neppure gradisco essere interrotto. Vi spiego il mio ruolo con rapidità: non mi sembra opportuno né necessario massacrare giovani ragazze con cui si è passato del buon tempo, e che altrettanto potrebbero donarne ad altri – mi par in verità uno spreco e pure di cattivo gusto. Desidero di conseguenza che voi ammettiate il fatto davanti a questi signori e firmiate una dichiarazione scritta. Comprendendo la vostra riluttanza, pensavo di incentivarvi alla mia maniera”.
Si voltò verso i soldati.
“Adesso uno di voi dovrebbe portarmi un bacile di acqua molto fredda, meglio gelida. Desidero che questo signore vi immerga i piedi, affinché non svenga dal dolore.”
Tutti sbarrarono gli occhi. Il conte d’Alençon per primo. Sade gli puntò di nuovo gli occhi addosso. Erano vuoti come un pozzo nero.
 “Poi, col vostro permesso, provvederò a strapparvi i denti uno ad uno. Mi muoverò con delicatezza, stando ben attento che il sangue non vi provochi soffocamento, e vi lascerò la lingua il più possibile intatta”.
“Porca puttana” esclamò piano Romanov, nel pallore generale.
“Non preoccupatevi, l’ho già fatto. A seguire, se non avrete voglia di parlare con me, mi propongo di usare la vostra bocca, ridotta a ripugnante grumo di sangue, per altri scopi che non siano parlare. Se questo non basterà…” il marchese fece un passo verso l’uomo sulla sedia, che cominciò ad arretrare quanto possibile, trattenuto da forti braccia, e gli toccò i capelli “… se questo non basterà, provvederò a spaccarvi il naso. Non credo che proverete un dolore più intenso, ma sarà mio piacere vedere il sangue, dal naso ne esce sempre molto. E sarete costretto a ingoiarlo, se ancora sarete in grado di ingoiare qualcosa”.
“Diavolo…” esclamò incantato Voltaire.
Gli occhi di Sade non si staccavano da quelli di Jacques Philippe d'Alençon, adesso colmi di qualcosa che non si era ancora visto; e anche la Bestia, pur mugolando qualcosa, sembrava preda di una fascinazione  tale da non riuscire a voltarsi.
“Voi avete letto i miei scritti, mi avete chiamato Maestro. Sapete che son nobile quanto voi, che credo in Dio meno di voi. Sapete che son già alla Bastiglia e non ho nulla da perdere. Sapete di cosa sono accusato.  La morte non mi interessa, ma il dolore, quello sì” mormorò all’altezza del naso della Bestia “Prede e predatori, amico mio, non v’è altro. Naturalmente, se opporrete troppa resistenza, dovrò privarvi di altre parti, che non vi sono indispensabili alla vita, ma forse della vita vi son altrettanto care”.
Con uno scatto disperato, Jacques Philippe d'Alençon si voltò verso Alain – la faccia pallida, la bocca semiaperta -  prima, e verso André – l’espressione incerta, quasi di compassione -  poi.
“Siate ragionevole, per carità” bisbigliò André “Io sono stato al servizio di quest’uomo. Per un lieve eccesso da parte mia, ci ho ricavato questo” concluse, e con un movimento rapido scoprì dai capelli il lato sinistro del volto, e la cicatrice, e l’occhio offeso.
Adesso il figlio del conte d’Alençon sembrava impossibile da trattenere.
“Il bacile d’acqua ghiacciata, prego” chiese ancora de Sade, con gli occhi fissi di lui e un gesto della mano ampio.
La Bestia, coi lineamenti distorti, sembrava gridare qualcosa.
“Sì?” chiese il marchese, strappandogli il fazzoletto di bocca.
“Io!” gridò “Sono stato io! Portatelo via di qui, levatemelo di davanti. Firmo tutto, vi racconto quel che volete sapete, sono stato io!” ripeteva, con lo sguardo allucinato – e le sue grida riempivano la stanza.
Il marchese si allontanò di due passi, prese l’orologio, guardò Oscar François de Jarjayes.
“Diciassette minuti e quattro secondi adesso”, chiosò.
Poi, d’improvviso, allungò le mani quasi fino alla faccia del prigioniero, e con gli occhi fuori dalle orbite gridò: “Bu!”
Jacques Philippe d'Alençon urlò di nuovo e cominciò a piangere, mentre una macchia scura andò formandosi all’altezza del cavallo dei suoi calzoni.
 
Una volta fuori dalla stanza, mentre il generale e Oscar raccoglievano la confessione della Bestia, André e i soldati della Guardia osservarono l’uomo, a cui avevano appena rimesso i ferri ai polsi, con sentimenti vari.
“Ma insomma” sbottò Romanov “Voi l’avreste fatto davvero? Cosa siete, voi?”
“Io sono uno che scrive, mio giovane amico. Con molta immaginazione. E sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino". (4)
“Avete fatto prendere un colpo pure a me” disse Voltaire, un po’ incerto “E quella cosa su Dio che dicevate prima?”
“Oh, Il mio più grande dolore è che in realtà non esiste un Dio, e quindi mi vedo privato del piacere di insultarlo più positivamente. (5) Ma questo non comporta che mi piacciano gli assassini di belle ragazze, ragazze che dovrebbero dedicarsi solo al piacere e possibilmente al mio. Ma, nel caso le belle ragazze scarseggino, non son tipo da disdegnare delle varianti”.
Voltaire d’istinto fece un passo indietro e il marchese rise di gusto.

  1. La frase è di A. D. F.  de Sade.

  2. Idem

 
De Sade si rivolse quindi ad André.
“Bella mossa, quella dell’occhio, mio caro ragazzo. Perfetta nei tempi”.
André si strinse nelle spalle.
“Lieto di aver fatto la mia parte”.
“Ascoltate” disse il marchese, improvvisamente serio, come a volte accadeva “Non credo che abbiate già utilizzato il mio regalo”.
André irrigidì il lineamenti. Ricordò.
 Voi vedete con molto sforzo, amico mio. Vi ho osservato, e lo nascondete bene, ma ci sono segnali che sfuggono anche al rigore più ferreo, mentre son lampanti per uno spirito allenato all’osservazione. Forse è solo fatica, forse è qualcosa di più grave. Avete un solo occhio funzionante, e dovete tenerlo caro. Io sono in contatto, per la mia personale gestione di personali faccende, con i migliori medici della Francia, nonché della Svizzera e dell’Italia. E fra tutti, ce n’è uno che è un luminare. Se dovreste aver bisogno, andateci a mio nome e presentate il mio biglietto e questa lettera con sigillo. Fatevi aiutare e non pensate ad altro.
“Lo farò, signore. Ma ho bisogno di altro tempo. Mi è impossibile lasciare il servizio, adesso” gli ribatté, a voce bassissima.
Mi è impossibile lasciare lei aveva detto, in realtà.
Sade sospirò.
“Venite a trovarmi quando volete, alla Bastiglia” e lo disse col tono di chi invita qualcuno nella sua residenza di campagna, e poi “Rammentate quell’altra cosa che vi dissi?”
Nello sguardo del giovane passò un’ombra.
…lei vi vuole molto bene, amico mio, ma non credo che vi ami come voi vorreste. Non credo che ne sia capace.
“Lo rammento. Credevo di avervi già spiegato”.
“Lo avete fatto. Ma ci tenevo a dirvi che mi sbagliavo. Forse mi sbagliavo. E per la seconda volta avete insegnato qualcosa a me che sono io. Quando saran passati i tempi dei titoli e del “signore”, mi farebbe piacere sentirmi raccontare la fine di questa strana e incredibile storia che è la vostra vita, ammesso che viviate abbastanza per dirmela, pazzo come siete”.
Voi che date del pazzo a me…  ”
Senza alcun timore, André gli mise una mano sulla spalla.
“Vivrò abbastanza a lungo da rivedervi, mon amì. E abbiate cura di voi. Anche in una cella, voi siete un uomo libero”.
 
“Ora però consentite a me una richiesta”, gli aveva detto, e si era avvicinato. Oscar François de Jarjayes si era irrigidita. Do ut des, lo ricordava bene.
“Voi non siete cieca, e nemmeno io. Lo dovete vedere per forza quanto quel ragazzo vi voglia. Quanto vi ami, e quanto vi voglia, comandante. Lo vedo combattere con quello che è ciò che desidera al punto da sgretolarsi. Io li vedo, tutti i suoi demoni, li conosco, mi piacciono”
Lei non si era mossa.
“E vedo anche voi combattere con i vostri, di demoni. Che hanno altri nomi. Educazione, pregiudizio, orgoglio, eccoli, i vostri demoni. Vi controllano, con una violenza cortese che è la peggiore delle ipocrisie. Avete il cuore pieno di vuoti simboli. Ma a me ditelo, comandante: ci pensate mai, che noi esseri impuri e sporchi possiamo avere le nostre ragioni? E quel desiderio che sentite fra le vostre gambe, che vi chiama e voi vi tappate le vostre ridicole e sorde e pulite orecchie, vi porta verso quel ragazzo che ha tolto pezzi di vetro, uno a uno, dalle mie braccia, oppure no?”
Lei non si era mossa.
“Dimmelo se sei una sgualdrina casta e io ho ragione, o se lo vuoi anche tu quell’orbo figlio del popolo, e ha ragione lui. Dimmelo”.

Lei si era impercettibilmente mossa, con l’assurda sensazione di non aver davanti un uomo con una maschera di ferro ma uno specchio che pretendeva di sputare la sua anima divisa. E si era rilassata. E aveva sorriso come sconfitta, come arresa, ma una resa che era vittoria.

  
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