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Autore: hoseki_san    27/01/2021    1 recensioni
Nella sera precedente la sua definitiva partenza dalla Wammy's House, Mello ripercorre le vicende della sua vita che lo hanno condotto alla scelta di abbandonare l'orfanotrofio.
Quali avvenimenti lo hanno portato, imprimis, alla Wammy's House? E quanto essi influenzano ancora la sua psiche? Ma soprattutto, che cosa quell'istituto ha tolto e donato alla sua anima?
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Matt, Mello, Near
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Un'isola tutta per sé




Il sole stava tramontando lentamente, su un cielo sbiadito dalle soffici nuvole. Le sfumature arancioni e rosa del cielo si riflettevano sui capelli biondi di Mello, affacciato alla finestra della sua stanza. Il davanzale di cemento grigio gli pizzicava i gomiti, appoggiativi sopra. Dalle sue piccole narici uscì un sospiro, l’unico soffio d’aria in quella fredda sera immobile.

Il giorno seguente, avrebbe lasciato per sempre la Wammy’s House.

Aveva atteso a lungo quel giorno, con trepidazione: gli ultimi anni passati lì erano stati i peggiori. La competizione con Near si era sempre più inasprita, per lo meno da parte sua: non passava istante in cui non pensasse ad un modo per superarlo. Sapeva benissimo che quei pensieri lo stavano logorando, eppure non riusciva a fare a meno di aggrapparvisi: il brivido che provava al pensiero di sentirsi anche solo per un istante superiore a lui lo ripagava del suo costante senso di inadeguatezza. Tuttavia, ogni volta che lo vedeva nei corridoi o a mensa, sentiva una voragine aprirsi dentro il suo petto: i suoi lontani occhi riuscivano a sbriciolare ogni sua speranza, a far apparire patetico ogni suo progetto. Oscillava così tra l’euforia e la più pura disperazione: eppure non mollava mai. Aveva contemplato l’idea di arrendersi almeno un migliaio di volte, dall’arrivo di Near alla Wammy’s House, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo. Essere il successore di L era la sua unica ragione di vita, l’ambizione che l’aveva aiutato a rialzarsi quando improvvisamente si era ritrovato solo al mondo.

Sua nonna lo aveva allontanato dal padre non appena aveva saputo delle violenze che protraeva sulla madre e del suo tentato suicidio. Una mattina, la mamma lo aveva accompagnato alla macchina rossa della nonna, tenendogli stretta la mano. Aveva una macchia scura sull’occhio, e piangeva. Mihael le chiese dove stava andando, ma lei non gli rispose. Lo baciò sulla fronte e lo salutò da lontano, mentre lui la osservava dal finestrino alzato dell’auto. Nel suo silenzio, aveva capito che quello sarebbe stato un addio. Il dolore nel suo cuore fu così forte da impedirgli di piangere.

La nonna era gentile, ma era malata. Passò due anni insieme a lei, anni che ricordava vagamente ed in modo confuso: il trauma dell’allontanamento dei genitori l’aveva portato a staccarsi il più possibile dalla realtà, rifugiandosi nei libri e nello studio. Tuttavia, ricordava le messe a cui sua nonna lo portava ogni domenica, e le riflessioni che facevano sui libri che leggeva. La nonna si accorse così della sua fenomenale intelligenza, e quando la sua malattia si aggravò cominciò a cercare un istituto a cui affidarlo. Così, venne a conoscenza della Wammy’s House: per quanto lontana, sarebbe stata sicuramente la casa migliore per un bambino come lui.

Mihael pianse per tutto il viaggio verso l’Inghilterra. Era convinto che la nonna lo avesse abbandonato perché non gli voleva più bene, esattamente come la mamma e il papà. Roger aveva cercato di calmarlo, ma non c’era stato verso: Mihael l’aveva respinto con violenza. Non si fidava di quel vecchio sconosciuto, che l’aveva portato via dalla sua casa ed ora l’aveva trascinato su un gigante e spaventoso aereo. Era rimasto solo al mondo e non aveva idea di che cosa sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi: vedendo il mare dal finestrino, si sentì disperso al suo interno, sballottato tra correnti buie e contrastanti. Roger si limitò ad osservarlo con affetto, mentre ascoltava premuroso il suo pianto.

Piano piano, la Wammy’s House gli sembrò sempre meno spaventosa ed ostile. La chiesa lì affianco lo faceva sentire a casa: la fede era l’unica cosa che lo teneva ancora ancorato alle sue origini. Roger e gli altri adulti gli facevano leggere i libri ed imparare un po’ di tutto, sotterrandolo di complimenti ad ogni suo successo scolastico. Quei complimenti lo facevano sentire amato come dalla nonna o dalla mamma. Cominciarono anche a chiedergli di risolvere enigmi, piccoli casi inventati per testare le sue doti deduttive, registrando solo successi: a quel punto, gli parlarono di L. Sentendo l’ammirazione con cui ne parlavano, Mihael pensò che L doveva sentirsi proprio felice e amato: per questo, quando gli dissero che sarebbe potuto diventare il suo successore, decise senza esitazione che quello sarebbe stato il suo destino. Iniziò una nuova vita: L lo ribattezzò Mello, e fu come rinascere. Si impegnò sempre di più per migliorare, si interessò alla criminalità e al codice penale, a qualsiasi cosa che avrebbe potuto aiutarlo a diventare il miglior detective al mondo, ed era pienamente supportato da Roger e gli altri educatori. Non si era mai sentito più motivato ed amato. Aveva finalmente trovato la sua strada, era uscito a fatica dall’acqua ed era approdato su una spiaggia fertile e rigogliosa.

La spiaggia, tuttavia, s’inaridì improvvisamente quando giunse all'orfanotrofio un nuovo bambino, dai capelli chiarissimi ed il viso paffuto. Stringeva gelosamente a sé un morbido orsacchiotto, come fosse l’unico oggetto rimastogli dopo un naufragio. Roger lo teneva per mano e gli sorrideva esattamente come aveva fatto, un paio d’anni prima, con Mello: ma a differenza di questi, il nuovo bambino non piangeva. Fissava il vuoto, arrotolandosi un ciuffo di capelli attorno a un dito. Pareva disperso nel cielo, ma i suoi piedi erano saldamente ancorati a terra. Si chiamava Nate, e cominciò a seguire gli stessi studi di Mello malgrado fosse più piccolo di lui.

Presto, gli educatori si accorsero che Nate riusciva a risolvere i casi e gli enigmi in modo più veloce e preciso rispetto a Mello, senza mostrare il minimo sforzo. Si comportarono esattamente come avevano fatto con il biondo: lo riempirono di lusinghe e gli dissero che poteva diventare esattamente come L, anzi, che poteva superarlo. Questo, a Mello, non l’avevano mai detto. Sentì nascere dentro il suo cuore una ferita sottile ed oscura, che nel tempo non fece che aggravarsi. La sua preziosa e lussureggiante isola era stata raggiunta da qualcun altro, che la stava rendendo solo sua: lo stava scacciando dalla sua amata spiaggia come si scaccia una mosca fastidiosa. Dov’era finito tutto l’amore che dava vita a quell’isola? Ora, agli occhi degli adulti, sembrava esistere solo Nate, o meglio, Near, come l’aveva chiamato lo stesso L. Odiava quel bambino come non aveva mai odiato nessuno, eppure desiderava essere esattamente come lui.

La sua ragione di vita, da quel momento in poi, divenne il ritrovare l’amore e la felicità precedenti l’arrivo di Near: scacciarlo dalla sua isola e riprenderne il possesso. Rifletté su come fare, e l’unica soluzione che gli venne in mente fu superarlo, dimostrare a L e a tutti gli altri che si sbagliavano e che era lui il più meritevole. Ma più perseguiva questa via, più si sentiva infelice. L’isola era diventata grigia e sporca, ma continuava ad agognarla dalle acque in cui era stato gettato. Neanche i piccoli successi che otteneva lo gratificavano davvero: non era mai abbastanza. Anche se riusciva ad approdare di nuovo per qualche istante, prima di essere scacciato di nuovo da Near, l’isola non era più quella di un tempo. Eppure non vedeva altre soluzioni per tornare ad essere felice, non vedeva altri sentieri in quella fitta e buia foresta: ancora una volta si sentiva in preda alle correnti oceaniche che gli scorrevano intorno, senza riuscire a distinguerle l’una dall’altra o scegliere quale di esse seguire. C’era solo una corrente in cui gli era facile immergersi, che malgrado gli promettesse di portarlo alla spiaggia, lo trascinava sempre più verso il basso: quella che puntava al superamento di Near. Eppure, nel profondo, sapeva che non era ciò che desiderava realmente.

Una volta, quando aveva tredici anni, L aveva proposto ai due un indovinello molto complesso, ispirato ad un caso che aveva risolto anni prima. Soltanto L era riuscito a risolverlo. Entrambi ci avevano pensato a lungo per qualche giorno, ognuno per conto suo, finché non avevano trovato entrambi la soluzione nella stessa giornata: Near, tuttavia, era andata a comunicarla a Roger qualche ora prima rispetto a Mello, prendendosi il merito di aver risolto per primo l’indovinello. Quando Mello lo venne a scoprire, andò nella stanza di Near e lo picchiò così forte da fargli sanguinare il naso. Near aveva urlato e pianto, aveva provato ad allontanarlo, ma la differenza di forza tra i due era troppo pronunciata: soltanto Roger, accorso dopo aver sentito le urla, era riuscito a fermare il biondo, che fremeva d’ira ed aveva gli occhi lucidi. Mentre Roger lo teneva fermo per le spalle, fissò Near tremante, inginocchiato ai piedi del letto, con una larga macchia scura intorno al naso gonfio: era uguale alla mamma dopo che il papà la picchiava. L’ultima volta che l’aveva fatto, il papà aveva ingoiato un'intera confezione di aspirine, cercando di togliersi la vita. La mamma però aveva chiamato in tempo l’ospedale ed erano riusciti a salvarlo. Si chiese se anche Near sarebbe venuto a salvarlo, se quella sera avesse cercato di uccidersi. L’unica risposta che gli venne in mente fu un no, ma non riusciva a biasimarlo per questo: lui stesso odiava il papà quand’era violento. Eppure, dopo quella delusione, eliminare Near gli era parsa la cosa più naturale da fare: era tutta colpa sua, voleva buttarlo in mare, fargli provare tutto il dolore che aveva provato lui stesso. La violenza gli era parsa l’unica via, quella più naturale da prendere. Si odiò profondamente per questo, e si rinchiuse in camera sua per giorni. Era spaventato dalla forza del suo desiderio di uccidere Near, dalla potenza con cui si era manifestato. Non voleva diventare un criminale: L catturava i criminali, non diventava certo uno di loro. Quando riuscì di nuovo a mettere piede fuori dalla sua stanza, la prima cosa che fece fu andare a chiedere scusa a Near. Bussò alla sua porta, ma non aspettò una risposta: entrò e chiuse la porta dietro di sé. Near era per terra, voltato di spalle, impegnato in qualche suo gioco. Piccolo ed innocente, vestito di bianco, sembrava proprio un angelo. Mello rabbrividì al pensiero che, tuttavia, per essere un angelo, sarebbe dovuto essere morto. Cercò di non pensarci, e gli porse le sue scuse. Non si giustificò con lui, non gli spiegò perché l’aveva fatto: sicuramente il piccolo lo sapeva già. Gli disse solo che gli dispiaceva. Near non l’aveva degnato di uno sguardo: aveva continuato a dargli le spalle, componendo una delle sue torri di fiammiferi senza aprire bocca. Ma nel suo silenzio, Mello lesse il suo impalpabile e segreto perdono.

Passò più di un anno, ma le cose rimasero com’erano. Sempre più spesso, Mello sentiva nascere in lui un desiderio di violenza incontrollabile, come se una parte di lui, chiusa a chiave per molto tempo, si fosse liberata dal momento in cui aveva picchiato Near. Un mostro orribile si aggirava ora nella sua mente, con passi pesanti e braccia possenti, sempre pronto ad eliminare ciò che avrebbe potuto ferirlo. Inizialmente ne era terrorizzato, ma col tempo ci aveva fatto l’abitudine: era sempre riuscito a controllarlo, dunque non era davvero pericoloso. Tuttavia, la competizione sempre più accesa non faceva che provocarlo, e la sua voce cavernosa gli intimava costantemente di tornare sulla sua amata isola, seguendo una corrente buia che odorava di morte. Si sentiva infelice e confuso: dar retta a quel mostro avrebbe significato diventare come suo padre, eppure, a quanto diceva, avrebbe significato anche essere felice.

Aveva provato a descrivere alcuni di questi pensieri a Matt, l’unico che, un anno prima, era andato a chiedergli come stava dopo che aveva picchiato Near.

“Secondo me, dovresti fare come faccio io,” gli aveva detto Matt dopo aver ascoltato attentamente la descrizione dell’isola, delle correnti e del suo desiderio costante di superare Near. Mello aveva preferito non fare parola del mostro, non era ancora il momento. “Io ho deciso di mandare tutto affanculo per fare qualcosa che mi piace un sacco. Voglio programmare software, videogiochi, computer, mica risolvere misteri. So di non essere intuitivo come te e Near, ma non mi interessa nemmeno esserlo.”

“Guarda che tu sei molto più intelligente di tanti altri.”

“Sì, ma non me ne frega un cazzo di usare la mia intelligenza per aiutare l’umanità. A te piace, almeno, risolvere quei casi?”

Mello rimase stupito da quella domanda. Non se l’era mai veramente posta. Effettivamente sì, gli piaceva. Era stimolante, e lo faceva sentire soddisfatto. Ma era più motivato dal desiderio dell’approvazione altrui che dal piacere che quell’attività gli dava.

“Te ne devi fregare degli altri. Devi fare quello che hai voglia di fare, non quello che ti dicono di fare. Essere L è figo quanto vuoi, ma una volta che lo diventi che fai?”

Mello avrebbe voluto rispondere che a quel punto quello che facevi era essere felice, ma non ne ebbe il coraggio.

“Una volta che sei L, risolvi casi. E io ho voglia di risolvere casi.”

“E allora fallo. Ma senza importi di superare qualcun altro. E’ molto più facile e divertente farlo con qualcun altro, piuttosto che contro.”

“Ma io voglio essere il migliore.”

Matt a quel punto aveva sospirato, lasciando fuoriuscire dalle narici il fumo di una delle sigarette rubate di nascosto a Roger. Non sapeva nemmeno più come ribattere, come aiutare l’unico amico che si era fatto in quella casa di geni. Osservò quella nuvola grigia sollevarsi lungo le pareti esterne dell’istituto e dissolversi nell’aria calda di giugno.

“Tu te ne vuoi andare, quando compi quindici anni?,” cambiò l’argomento il castano, fissando le pareti sporche di quell’angolino del cortile in cui si nascondevano per fumare. Da piccoli, andavano sempre lì per giocare. Era un luogo segreto, lontano da tutto e da tutti: un modo segreto di evadere da quell’istituto, che gli aveva dato tutto e al contempo tolto tutto.

“Non lo so. Tra il mondo là fuori e questo istituto, non so cosa mi stia più sul cazzo.”

“Io penso proprio che me ne andrò, anche se manca ancora un anno. Per te mancano solo sei mesi, beato te.”

“Finché L non sceglie fra me e Near devo rimanere qui. Sennò sceglierà sicuramente Near.”

Matt rise. “Sceglierà solo in fin di vita. E ne passerà di tempo prima che muoia, L! Vuoi rimanere qui a marcire?”

“Ma che ne so! So solo che vorrei smettere di vedere Near. Solo vederlo mi fa girare il cazzo. Mi viene voglia di picchiarlo.”

“Se lo picchi, Roger ti caccia via. Forse sarebbe una buona soluzione, in effetti,” rise di nuovo, ma non sembrava felice. “Io fossi in te me ne andrei e farei quello che mi piace senza tutte queste congetture. Senza L, Near, Roger e tutto il resto. Fai indagini a modo tuo, vivi in modo indipendente. Non so cosa darei per essere al tuo posto e potermene andare nel giro di sei mesi. Mi sa che picchierò Near per farmi cacciare prima.”

“Sarebbe molto più facile rimanere qui e fare quello che ho sempre fatto.”

“Sì, ma a lungo andare ti annoierai. E non è detto che la scelta più facile sia la migliore da prendere. Lo dico per te, eh.”

“E tu che ne sai?”

“Il vecchio successore di L si è suicidato. Un altro è diventato un serial killer. Io mi farei due domande su quello che ci insegnano qui. Non ti sembra strano che si comportano in modo identico con tutti? Che propongano a tutti lo stesso destino, senza darci la possibilità di scegliere?”

“Lo so. Lo so benissimo che qua sono tutti pazzi. Ma non esiste solo la tua visione del mondo.”

“Beh, a me piace la mia visione del mondo. E penso che potrebbe piacere anche a te. Ma la scelta alla fine è tua. Fai quello che vuoi. Puoi anche scegliere una via di mezzo, tipo rimanere qui e ribellarti. Fare una rivoluzione o qualcosa di simile. Avresti tutto il mio appoggio, anzi, se ci riesci entro un anno potrei anche decidere di rimanere qui ancora un po’.”

Mello rise. L’idea non gli dispiaceva, a dirla tutta. Rivoluzionare quell’istituto sarebbe stato molto divertente. Ma avrebbe avuto bisogno dell’appoggio di tutti i bambini e, visto il lavaggio del cervello che veniva fatto a ognuno di loro, sarebbe stato estremamente difficile.

“Non so se la rivoluzione potrebbe essere più facile dell’andarmene.”

“No, assolutamente. E’ la più difficile.”

“E poi dovrei prendere il comando dell’istituto. Pensare a dar da mangiare a tutti, organizzare la scuola, prendermi cura di tutti. E non sono così altruista.”

“Beh, è giusto essere egoisti. Ma anche aiutare gli altri dà le sue soddisfazioni.”

“Proprio tu lo dici?,” gli chiese ridendo il biondo. “Non dicevi che non te ne fregava un cazzo dell’umanità?”

“In effetti, è vero. Ma di alcune persone mi interessa. Altrimenti non sarei qui a darti consigli.”

Si sorrisero a vicenda, rimanendo in silenzio per qualche istante.

“Secondo te, quindi, farei meglio ad andarmene, anche prima che L decida del suo successore?”

“Sì. E’ il momento che tu faccia una scelta solo tua, non imposta da qualcun altro. Prendi una corrente diversa e nuota verso una nuova isola. Magari sarà ancora più bella di quella in cui eri prima.”

“Forse hai ragione.”

“Io ho sempre ragione.”

“Adesso che l’hai detto mi hai fatto venire voglia di fare l’esatto opposto solo per darti fastidio.”

“Lo so, la realtà è difficile da accettare.”

Risero entrambi. Matt si inginocchiò per spegnere la sigaretta sull’asfalto e la nascose in tasca. 

“Dici che Roger se ne accorgerà un giorno, che gli sparisce una sigaretta a settimana?,” chiese Matt, allontanandosi dall’angolino insieme all’altro.

“Macché, è troppo scemo.”

“Se esci, vieni a trovarmi ogni tanto. Non ho molta altra gente con cui parlare qui, se non ci sei tu.”

“Certo. E quando esci anche tu, ti vengo a prendere.”

Matt sorrise, rassicurato da quelle parole. Erano quasi le nove, ed il sole non era ancora tramontato. Il solstizio d’estate si avvicinava, ma l’aria rimaneva fresca, mentre la luce si faceva sempre più presente nelle lunghe giornate.

L’estate passò monotona, senza particolari avvenimenti: le lezioni si fermarono per un po’, e Mello rifletté attentamente sulle parole di Matt, ripensandole spesso. Quelle parole in qualche modo erano in grado di calmare il mostro nella sua mente, non lo sentiva più invadente come prima: forse era solo abitudine, o forse quelle parole avevano davvero avuto un effetto lenitivo sulla ferita aperta anni prima. Cercava per quanto possibile di evitare Near, non gli rivolgeva la parola né lo guardava, sapendo che ciò avrebbe innescato di nuovo quella burrascosa corrente marina: così arrivò settembre, fresco come giugno ma meno luminoso.

Il pomeriggio in cui Roger li chiamò nel suo ufficio, gli alberi erano ancora rigogliosi, ed alcune piccole foglie facevano il loro timido ingresso dalla finestra. Solo qualche nervatura pareva essere invecchiata, leggermente ingiallita. Appena saputo della chiamata, Mello era accorso subito, mentre Near ci aveva messo un po’ a radunare i pezzi del suo puzzle per portarlo con sé. Quando raggiunsero Roger nel suo ufficio, il volto dell’adulto pareva già dire tutto.

“L è morto.”

Per Mello fu una doccia fredda. Improvvisamente fu sollevato dall’acqua e portato in aria, sempre più in alto, fino a riuscire a vedere tutto l’oceano. Fu come tornare sull’aereo che lo aveva portato in Inghilterra, quando ancora non esistevano isole, casi o istituti. Si ricordò immediatamente delle parole di Matt.

“Sceglierà solo in fin di vita. E ne passerà di tempo prima che muoia, L! Vuoi rimanere qui a marcire?”

Matt si sbagliava. Il mondo attorno a lui e dentro di lui parve congelarsi. L era morto. Non poteva essere una bugia. Più Mello si ripeteva questa frase nella mente, più acquisiva un significato concreto. Fino a un minuto prima, nella mente di tutti, L era un essere umano che respirava, parlava, mangiava. Mentre ora era un cadavere, un oggetto inanimato con le sue sembianze. Non avrebbe mai più respirato, parlato o mangiato. Non avrebbe mai più aperto gli occhi. Aveva cessato di esistere. Si gettò subito su Roger, quasi volesse toccare qualcosa per assicurarsi che il mondo attorno a lui si muovesse ancora. Quando, poi, l’adulto disse che L non aveva ancora scelto tra lui e Near, il ghiaccio che ricopriva ogni cosa si spezzò, frantumando l’intero universo in minuscole e taglienti schegge.

“Perché non collaborate?”

Sentì un conato di vomito risalire dall’intestino per tutto il suo corpo. Sentì il sapore disgustoso dei succhi gastrici ed il bruciore lungo tutto l'esofago. Collaborare con la persona che l’aveva rovinato, che l'aveva ridotto in quel modo? Non se ne parlava. Loro due non erano fatti per essere amici o compagni: loro due erano fatti per essere rivali, dal primo giorno. Non avrebbe resistito un giorno a collaborare con lui: l'avrebbe fatto fuori alla prima occasione. Sentire Near dire che gli sembrava una buona idea, poi, fu un altro schiaffo. Voleva far finta che tra di loro non fosse in corso da sempre una guerra? Improvvisamente, le mura della stanza parvero restringersi intorno a lui per soffocarlo. Il viso amaro di Roger e quello impassibile di Near cominciarono a cambiare, a trasformarsi in strane figure astratte. Non poteva più rimanere in quell'istituto. Doveva andarsene, o avrebbe fatto la fine dei vecchi successori di L: avrebbe ucciso Near, o si sarebbe ucciso come aveva provato a fare suo padre. Del resto, Roger aveva sempre difeso e preferito Near, e L era morto: che senso aveva lottare ancora per la loro approvazione? Ciò che gli interessava, a quel punto, era continuare l'operato di L il più lontano possibile da quel posto e da quelle persone. Fare quello che gli piaceva senza quelle stupide congetture, senza istituti o adulti da accontentare. Avrebbe fatto a modo suo. Una nuova corrente si era finalmente aperta, ed era il momento di tuffarvisi, aspettando di vedere dove l'avrebbe portato. 

 

Il cielo era ormai diventato livido: il sole si era nascosto dietro agli alberi e alle case, lasciando spazio al crepuscolo. Dei piccoli uccellini si erano rintanati nel loro nido, cinguettando teneramente, per sfuggire al pungente freddo dicembrino. Mello sollevò i gomiti dal davanzale, e si allontanò dalla finestra. Gettò uno sguardo sul suo letto, dov'era appoggiata la sua valigia ancora aperta. Era piena solo a metà: era indeciso sulla gran parte delle cose da metterci dentro. Una parte di lui voleva lasciare lì tutto ciò che appartenesse alla vita in quell'istituto: i piccoli oggetti che gli ricordavano i suoi successi, alcuni bigliettini, mozziconi di sigarette fumate con Matt che si era dimenticato di buttare ma da cui non voleva separarsi. Un'altra parte di lui invece non voleva abbandonarli per nulla al mondo, anche a costo di portare con sé i brutti ricordi degli ultimi anni. In fondo, la vita alla Wammy's House non era stata un totale inferno. Anche dopo essere stato cacciato dalla sua isola, aveva avuto momenti felici, per quanto rari e volatili: qualche fugace complimento di L, l'amicizia con Matt. E non aveva intenzione di dimenticarsene, anche se ormai era deciso a lasciarla per sempre.

"Hai fatto?," gli chiese Matt, entrando improvvisamente nella sua stanza.

"Gesù, bussa prima di entrare. Mi hai fatto prendere un colpo."

Il castano rise. "Scusami. Allora?"

"Non ancora. Non so se portarmi dietro solo lo stretto necessario o anche qualche ricordino."

"Che ricordini?"

Mello prese in mano un bigliettino, e lo mostrò a Matt sorridendo. Questi lo lesse.

" 'Bravo'?"

"Sì," rispose fiero il biondo, sedendosi a gambe incrociate sul letto. "È stata la prima volta che L me l'ha detto, un sacco di anni fa. Avevo fatto una deduzione perfetta su alcuni indizi che ci aveva dato. Quando me l'ha detto, me lo sono subito scritto per non dimenticarlo. Ero felicissimo."

Matt gli sorrise. "Beh, che figata! Portatelo dietro."

Mello guardò il fogliettino, sorridendo. Poi lo ripose nella valigia. “Sì, questo lo porto. Poi ci sono questi…”

Ridendo, prese in mano una scatolina di carta e la aprì. Dentro c’erano due o tre mozziconi.

“Questi direi che fanno un po’ schifo,” disse Matt, lasciandosi sfuggire una risata. “Portateli dietro per buttarli via.”

“Ma c’è anche la mia prima sigaretta.”

“Tanto è finita, a cosa ti serve? Poi, ne fumerai tante altre di sigarette!”

Mello lo guardò, scettico. “Io non mi fido più delle tue predizioni. ‘Ne passerà di tempo prima che muoia, L!’ Gliel'hai proprio tirata, a quel povero Cristo.”

Matt si finse infastidito. “Ah, quindi sarebbe colpa mia? Grazie, stai dicendo che sono un assassino come Kira.” Cercò di mettergli il broncio ma si lasciò sfuggire una risatina.

“No, tu sei il Kira vero e proprio. Comunque, io me li porto sti mozziconi, non me ne frega di quello che dici. E poi ho già deciso che non fumerò mai più.”

“Lo fai solo per darmi fastidio.”

“Esatto”. Mello chiuse la scatolina e la ripose nella valigia, di fianco al bigliettino. Poi rise. “Sei l’unica cosa che mi mancherà di questo istituto.”

Matt gli sorrise. “Anche tu mi mancherai. Se avrai bisogno di aiuto, chiamami.”

“Certo. Ma penso che ti chiamerò anche se non ne avrò bisogno.”

I due si abbracciarono. Rimasero stretti l’uno all’altro a lungo, avvolti in una dolce malinconia.

“Dai, su. Non farmi diventare triste,” disse Mello, sciogliendo l’abbraccio.

“Hai ragione. Devi essere felice di andartene! Tanto tra poco ti raggiungo.”

Mello gli sorrise. Era felice di andarsene: aveva atteso a lungo quel giorno, con trepidazione. Eppure quella che lo attendeva era una vita completamente nuova da ciò che aveva vissuto fino a quel momento. Poteva riservargli tante gioie quante disgrazie: non poteva saperlo. Eppure, non sarebbe tornato indietro: non in quel momento. Anche se Matt non sarebbe venuto via con lui, sapeva di non essere solo: quell’amicizia era ciò aveva deciso di portarsi dietro dalla Wammy’s House. La sua vita in quell’orfanotrofio non era stato un totale inferno solo grazie a lui: un amico capace di ascoltarlo e capire di che cosa aveva bisogno. Non l’avrebbe mai dimenticato.

“Senti, ho un dono d'addio per te,” disse Matt, frugando nella tasca della sua felpa.

“Un dono d’addio? Che onore,” rispose curioso il biondo.

“So che ti piace. Non durerà per sempre, ma è qualcosa.”

Il castano gli porse una sottile confezione rettangolare. Mello la prese, felicissimo.

“E’ cioccolato?,” chiese entusiasta. La osservava con la stessa gioia con cui un bambino ammira il suo camioncino preferito.

“Sì. E’ anche un regalo di compleanno, diciamo.”

“Grazie! Grazie mille! Sei gentilissimo. Lo adoro.”

“Ma figurati!,” sorrise Matt, un po’ in imbarazzo. “Sono felice che tu sia così felice. Mangialo quando sarai uscito di qui. Così sarà come se uscissi anche io.”

Mello annuì, e lo ripose nella valigia. “Menomale che è inverno. Così non si scioglierà.”

   
 
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