Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: bonnidolly    01/02/2021    0 recensioni
1595, where the original sin comes from fear
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Dio è misericordia, Dio è perdono».
Lo ripete spesso mio padre, serioso e solenne; anche adesso, con l'indice rivolto verso l'alto e la Bibbia dalla rilegatura nera tra le mani.
«Dio è amore, Dio è pentimento».
Guizza gli occhi da destra a sinistra, passando in rassegna ogni viso presente nella chiesa come alla ricerca di un segno, uno soltanto che sfidi la sua autorità.
Ma tacciamo tutti, quasi stregati da quella prosa.
No, stregati no. Stregati mai.
Tacciamo, seduti con la schiena ritta sulle nostre panche in legno laccato, gli occhi fissi all'uomo tinto di nero di fronte a noi.
A quanto pare il suo sermone non è ancora pronto a cessare.
Alzo il viso in alto incontrando gli affreschi dipinti sulla volta dell'abside: raffigurano la lenta Via Crucis di Nostro Signore Gesù Cristo, dipinti uno per uno con minuziosa precisione. Partono da destra quei maestosi disegni, quasi grotteschi nella loro assoluta crudezza.
Mi chiedo cosa ha spinto il pittore a dipingere così tanta sofferenza in modo talmente magistrale, così preciso. È una crudeltà che non comprendo.
Mio padre dice che sarà l'età adulta a farmi capire ciò che ora non riesco a cogliere, eppure in cuor mio credo non sarà mai così.
L'insensibilità non ha età.
Il pastore, quell'ombra scura che fatico a chiamare famiglia, si muove nervosamente lungo la navata, quasi preso da un'euforia improvvisa. Ulula le sue citazioni sui nostri volti pallidi, inermi e impauriti sotto il peso schiacciante di quelle mura bianche di pietra. Mi sembra di sorreggerle io stesso con le mie piccole, inutili mani.
Ma il pubblico tace, e taccio anch'io. Ancora.
Io, che per primo vorrei urlare.
D'un tratto si ferma arrestando così il suo cammino concitato portando l'attenzione alla figura in ginocchio ai suoi piedi, lì, a due gradini dalla navata principale.
Il viso è tumefatto dai lividi, delinearne i contorni è quasi impossibile sotto l'ammasso di capelli scuri. Sono arruffati e portano in sé il colore della pece e del carbone da ardere.
Nero, come la notte più buia mai vista.
Non si muove se non il suo petto per brevi, brevissimi istanti: annaspa l'aria cercando di inalare quanto più ossigeno possibile da quella piccola bocca rosea.
Il labbro superiore è aperto in più punti come un vestito strappato, impossibile da riparare.
Non c'è filo, non un ago disponibile in quella grande sala ricolma solo di silenzio, un mutismo logorante e carico d'apatia.
Tossisce, una, due volte con i polsi fermi a terra, segnati dalle catene pesanti. Poi, senza alcun avviso, apre gli occhi scegliendo di rivolgerli a me in quell'aula ricolma d'odio. Guarda me, e me soltanto.
Lo vedo sorridere, un movimento delicato e agrodolce in tale circostanza.
Deglutisco in preda al terrore.
Agatha, la donna attempata che mi siede di fianco, porta prontamente la mano alla testa poi al petto, destra, sinistra e infine alla bocca in un repentino segno della Croce. Poi, con le mani congiunte, inizia a recitare un Padre Nostro sommesso.
La sua voce è tremolante, sembra sul punto di piangere dal terrore.
Fino a questo momento penso di non aver appreso appieno la gravità della situazione, ma quel sorriso, quel suo maledetto sorriso, ha aperto le porte di una verità che non volevo conoscere.
No, non voglio farlo. Non ora, non ancora.
Sostengo lo sguardo del ragazzo per un attimo, un secondo soltanto e lo distolgo, portando una vana attenzione alle mie mani.
Ma non basta a calmare il fuoco dentro di me: quei polpastrelli sono tinti del suo sangue. Lo vedo scorrere quasi palpabile fra le mie falangi come un fiume in piena.
È una scena raccapricciante: i suoi occhi, quelle biglie tinte di fumo che un tempo ho amato, sono impossibili da sorreggere.
«Ma non oggi, miei amati fedeli».
La voce di mio padre mi fa alzare nuovamente il capo, distogliendomi da quell'incubo vivido. Cammina in avanti, scendendo i gradini per pararsi davanti alla figura riversa a terra e puntare su di essa il dito indice. Sputa direttamente sul suo capo, beffeggiandola con umiliazione, e io rimango immobile nella mia nullità guardando una realtà che non voglio vivere ma alla quale sono obbligato a sottostare. Fermo, in preghiera. Tremo.
«Oggi Dio è giustizia»
Ma non c'è onestà in quelle parole, nessuna verità.
Quale giustizia porta un uomo al patibolo?

È il 5 luglio 1595, il cielo è chiaro e limpido. Una meravigliosa giornata d'estate.
Voglio ricordare questo giorno, imprimerlo nella mia mente come un ricordo vivo e impossibile da dimenticare, così da ammonirmi e punirmi in eterno.
Me lo merito, Jungkook.
Voglio ricordare ogni cosa di te: il tuo viso pallido ora tinto di porpora incrostata, i tuoi occhi scuri, i tuoi capelli d'ebano. Voglio ricordarmi del calore delle tue mani strette nelle mie, adesso in catene.
Non merito di commemorarti per l'uomo che eri, no, merito di averti così, impresso nella mente per l'eternità in questo esatto modo.
Una spoglia, nient'altro che un fantasma cianotico del ragazzo che ho amato con follia e disperazione.
Ti ho donato il mio cuore sotto la luce della Luna di marzo. Ogni notte da allora ho baciato le tue labbra sfidando l'ira di Dio e di mio padre. Ma guardami ora: immobile come una statua di cera, incapace di sorreggere il tuo sguardo.
Tu, prigioniero ai miei piedi per colpa mia e mia soltanto.
Penso di meritare io l'Inferno, Jungkook.
La dannazione eterna, il supplizio, la paura.
Mi chiedo cosa tu stia provando adesso.
Qual è il significato del tuo sorriso?
Perché me ne hai donato uno ora, proprio adesso?
Vorrei che mi odiassi, sarebbe molto più semplice.
Per me, per riuscire a guardare oltre questo giorno di infinito tormento.
Il sermone di mio padre finisce, sono gli applausi a destarmi da questi pensieri.
La folla dentro la chiesa urla il tuo nome.
Richiama la Morte, inneggia alla pira.
Vorrei poter non sentire nulla eppure rimango qui a guardarti andare incontro alla fine, a contarne i minuti, secondo dopo secondo, con lentezza logorante.
Vorrei non aver mai parlato. Ma non ho alcun diritto di struggermi per te, non meriti delle lacrime così ripugnanti.
Le persone intorno a me si alzano, stanziate fino a poco fa come pecore senza nome sulle panche di legno che popolano la chiesa.
In fila, come in comunione, seguono la nera ombra del pastore.
Mi rizzo in piedi anch'io, rimanendo qualche istante in disparte.
Boccheggio. Non riesco ancora a lasciarti andare.
Non posso farlo, non ci riesco.
«Jimin».
Eccola di nuovo la voce di mio padre. La massa si apre come il Mar Rosso dinnanzi a Mosè e io rimango inerme nella mia fragilità.
Ricordo quel passo della Bibbia come una favola della buona notte: Esodo, 14:21. Mi è stato insegnato a memoria.
Dall'alto della sua autorità quell'uomo mi richiama a sé tendendomi la sua mano guantata.
«Apri la fila» mi ordina severo. E lo faccio: mi abbasso al suo volere, ripiego le mie ali da uccello ferito, sotto gli occhi attenti di ogni anima in quella sala.
Sotto i tuoi. 
Usciamo dalla cappella fra le urla e il Sole, alta stella cocente, mi bacia all'improvviso il volto.
In lontananza riesco a scorgere la grande pira.
"Sarà una purificazione esemplare", sento mormorare dietro di me. Sorridono beffardi quei visi, quelle parvenze di umanità che più non conosco.
Ti guardo avanzare verso la tua morte, con il viso chino e le mani congiunte, una fine alla quale ti ho consegnato io stesso senza indugio, solo pieno di terrore.
Sono io che dovrei essere punito dal Cielo oggi, io quello da offrire alle fiamme.
Avanziamo come un gregge lungo la collina, un piede davanti all'alto, lenti e chiassosi, in una baraonda di voci e facce, donne e uomini, adulti e bambini. Tutti nel villaggio accorrono per guardarti morire.
"È un ammonimento", dicono ancora. Sì, è così che si insegna agli infanti a temere la Chiesa, a non sfidarne con spavalderia le dottrine, il suo prestigio, l'autorità.
In questo modo, con grottesche esecuzioni, ricorda all'uomo quanto effimera è la corda che lo divide dalla condanna. E le cesoie le ha in mano lei, nella imponente e rigogliosa Roma.
Amalgamati al gregge, urleranno quelle fiamme nauseabonde.
La diversità è sinonimo della Bestia.
Non desiderare un futuro che non sia questo, non disubbidire agli ordini imposti, non amare chi non puoi amare. 
«A morte!» urla la gente in visibilio.
No, non posso andare avanti. Non così, non guardandoti.
La vista del rogo mi fa vacillare.
Chiedo a Dio di perdonarmi: a occhi chiusi lo prego di prendermi a sé adesso. Per non guardare, non te, non così.
Arresto il mio cammino sotto gli occhi furiosi di mio padre: mi ammonisce con essi obbligandomi a proseguire.
"Mancano due passi, due soltanto", sembrano sussurrare tinti di rabbia repressa.
Si avvicina stringendomi l'avambraccio: vorrei urlare ma non esce alcun suono dalle mie labbra.
Guardami, sono di nuovo inerme sotto il suo dominio.
«Ringrazia la clemenza di Dio, figlio ingrato. Gioisci, poiché potresti esserci stato tu su quella pira oggi» sputa la sua sentenza a bassa voce e capisco che ha ragione.
Se oggi non ci sarà il mio corpo a bruciare è solo merito di mio padre e del suo Dio.
Ma non il mio: egli brucerà oggi insieme a memorie indelebili di un tempo non troppo lontano.

Da giorni mi viene chiesto di dimenticare, ma come potrei mai farlo?
Come potrei rinnegare il tuo volto, il tuo nome, la tua persona?
No, penso che questo sarà tutt'altro che possibile.
Deglutisco e abbasso il viso ma è ancora lui, il fantasma di quello che dovrebbe essere mio padre, ad alzarmelo.
«Guarda» bisbiglia deciso al mio orecchio senza staccare la presa dal mio braccio. Ma io non lo ascolto, non avrà i miei occhi oggi.
Prende per intero il mio volto obbligandomi a sollevarlo: le sue mani sono forti e fredde. Gelide quanto il cuore che porta nel petto.
«Guarda, ho detto» ammonisce nuovamente ma ho ancora gli occhi chiusi, incapace di aprirli per vederti ritto in piedi sul rogo.
A bruciare, come un ricordo sbiadito dal tempo, una fugace felicità mia assaporata appieno. Ma il pastore non mi ascolta e innalza la sua invocazione, lui, il primo emissario della Morte stessa.
«Miei cari fedeli, oggi conosceremo la potenza di Dio nella sua forma più pura»
Richiama l'attenzione della folla e ti indica; ora, più che mai vorrei serrare il mio sguardo per sempre.
Sì, vorrei, ma ho la necessità di vederti ancora un'ultima volta.
«Jeon Jungkook, anni ventitré» sprezzante, urla il tuo nome.
«Siete stato accusato di concupiscenza illecita, eresia e stregoneria. È stato accertato dal Santo Tribunale dell'Inquisizione che con l'inganno avete sedotto e stregato mio figlio portandolo a compiere egli stesso atti disdicevoli, rivelati successivamente tramite il Santo sacramento della Confessione. Come vi dichiarate, dunque?»
Sei ritto in piedi sulla pira, i polsi sono legati con corde di lino grezzo dietro la schiena. Taci, muto e apatico alle parole di mio padre.
Ti pone nuovamente la stessa domanda ed è allora che alzi finalmente il volto mostrando la tua ultima spoglia umana, a me, al mondo.
«Amare è forse peccato
La tua domanda risuona come un'eco in ogni sguardo intorno a noi.
«Come può l'amore generare tanto odio? Perché tanta rabbia?» continui.
Passi in rassegna ogni viso, uno dopo l'altro. Mi chiedo se tu lo stia facendo per ricordarli e prendere la tua rivincita, una volta morti anche noi. Io, lo meriterei senza alcuna obiezione.
E invece continui la tua orazione, il tuo ultimo ammonimento a una società che non è capace di amare.
A me, che non sono riuscito a salvarti e ti ho dato in pasto al nemico.
Per cosa, poi? Un Paradiso effimero nel quale mi rifiuto, ora, di credere.
Poiché che senso avrebbe una vita senza te?
Sento mio padre lasciare il mio avambraccio. Si spinge in avanti verso il legno e la pagliuzza spenta del rogo. La sua furia è palpabile.
«Ammettete perciò di essere un servo del Demonio?» urla ancora affetto dalla rabbia. Ma tu ridi: una forte, fragorosa risata disperata.
Ti stanno strappando la tua stessa vita dalle mani, cosa potresti mai perdere di più prezioso?
«Se mi state chiedendo se ho amato vostro figlio, sì, l'ho fatto. L'ho desiderato con tutto me stesso. Dite questo al vostro falso Dio: ditegli che l'ho amato con ogni parte della mia anima». 
I tuoi occhi si posano sui miei un'ultima dolorosa volta e solo allora capisco appieno il mio sbaglio. Adesso, in lacrime sotto il tuo rogo, non merito di piangere la tua dipartita.
Chiudo di nuovo gli occhi nel momento in cui le torce si avvicinano al palo di legno al quale sei legato. Non posso guardarti, non posso.
Sento l'odore del fuoco prende possesso di ogni filo di paglia, come un bambino affamato necessita di divorare ogni cosa.
Indietreggio incapace di ascoltare le urla e punto lo sguardo sopra di me, verso l'infinito manto azzurro per schermarmi dalla realtà.
Rivedo il tuo viso e nonostante abbia pregato di ricordarti con l'aspetto di oggi, il mio cuore non ne è in grado.

Il cielo è limpido quanto un mare calmo e sereno.
Lo trovo crudele e ingiusto.
Ma sai, Jungkook, Dio non piange alcuna lacrima per i peccatori come noi.


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*Note d'autore: grazie per essere arrivat* fino alla fine! 💜 È da qualche giorno che avevo questa oneshot in testa... Spero vi sia piaciuta nonostante il tono maliconico.

Alcune volte mi chiedo io stessa perché senta la necessità di scrivere sempre cose così tristi... 🥲

   
 
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