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Autore: ElizaMiyamizu    05/02/2021    0 recensioni
[AtsuKageOi] Si era arrotolato all’interno di quelle mani, seguendo oltre ogni singolo ideale di libertà al quale apparteneva, scavalcando le barriere della ragione e calandosi meticolosamente nell’ennesimo bacio, una calma del tutto estranea, un trasporto spontaneo, al quale egli si strinse più forte per non scivolarne via.
Semplicemente non sapeva resistergli; una promessa incisa tra le sue iridi color oltremare, contornata in antitesi ad ogni singolo scoraggiamento o arrendevolezza.
« Sei così lontano dall’essere un bravo bimbo, adesso »
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
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𝑳𝒂 𝒔𝒐𝒍𝒂 𝒊𝒅𝒆𝒂 𝒅𝒊 𝒕𝒆
𝒎𝒊 𝒅𝒊𝒗𝒂𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒍𝒆 𝒈𝒂𝒎𝒃𝒆
𝒄𝒐𝒎𝒆 𝒖𝒏 𝒄𝒂𝒗𝒂𝒍𝒍𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒖𝒏𝒂 𝒕𝒆𝒍𝒂
𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒎𝒑𝒍𝒐𝒓𝒂 𝒂𝒓𝒕𝒆

-𝒓𝒖𝒑𝒊 𝒌𝒂𝒖𝒓

Straziante e persino corrosivo risultò a Kageyama il semplice osservare tacito e paziente l’orizzonte, che scuro e parzialmente costellato di piccoli astri sarebbe potuto apparire come appeso ad un quadro.
Era strano per lui, come dopo tanti anni trascorsi a fantasticare su di un momento simile, l’istante bramato per adempire al suo essere un ventenne, un compito che tutti inesorabilmente avrebbero prima o poi dovuto affrontare, in egregio modo o meno, egli riuscisse però a pensare solo a come le notti stellate di Tokyo apparissero più scure di quelle della ridente Sendai.
Il corvino sapeva bene che cosa significasse la ricerca del bene, o la sua perenne attesa; da molto dopotutto era divenuto maturo, un ragazzo estremamente succulento per gli appetiti degli spettatori, i quali senza grazia o gloria reputavano saggiamente le sue forme come un immediato e sfuggevole ragionamento di pura bellezza.
𝘗𝘶𝘭𝘤𝘩𝘳𝘶𝘮 𝘦𝘴𝘵 𝘲𝘶𝘰𝘥 𝘷𝘪𝘴𝘶𝘮 𝘱𝘭𝘢𝘤𝘦𝘵, bello senza concetto e senza scopo, bello tanto da colpire i sensi dei presenti, ricordando la risacca del mare, onde mutevoli che si scagliano sugli scogli.

Sensi.

Sensi annebbiati ed indubbiamente assorti, come gli astri che delineavano il ceruleo velo sopra il suo capo, i quali parevan cibarsi della purezza della Luna, setacciando i fogliami dell’intero essere, il quale galleggiava come una barca alla deriva su di una distesa di gin, ed ancora vodka, una macedonia amalgamata dall’alcool assunto in quella nottata, golata dopo golata, e lasciato scivolare all’interno delle sue labbra; fronde nascoste ed assopite di quieta contemplazione.
Una sensazione di smarrimento che lo portava a lasciare confusione ovunque passasse; l’odore del fumo, dell’alcool a 46 gradi oramai dormiente nel suo stomaco, la sua cocente impronta sul corpo del giovane, sperava, egli, che almeno l’alcool potesse disinfettare il ricordo della sconfitta olimpica, un marchio a fuoco impresso sotto le sue palpebre, che a distanza di giorni ancora non era riuscito a lasciar assopire.
Una rete colma di pensieri cupi, d’uomini gli uni differenti dagli altri, il punto d’incrocio di due rette lasciate correre parallele per troppo tempo, un luogo nel quale tutti i venti si convertivano in ululati di piacere, tralci denudati dalla pioggia.

Denudati.
Esattamente come le affusolate mani altrui che si posarono sulle spalle del corvino, stringendo appena la presa e scivolando sulla candida pelle del suo collo.
Rallentati e ridondanti apparivano le immagini alle cerulee iridi del ragazzo, il quale impiegò più tempo del previsto per delineare un volto ed un nome a colui che per primo si era avvicinato al suo viso; ciocche bionde, un paio di occhi ambrati che parevan frar invidia alla rugiada estiva posata sulle verdi foglie d’una pianta, ed ancora labbra rosse, accoglienti come una vecchia strada di campagna, le quali professavan voci nostalgiche, una prosodia alta e tutt’altro che taciturna, ma vuote apparvero tali parole all’udito del ragazzo, il quale, Kageyama era sicuro, avesse parlato a voce alta, e sebbene se questo non avesse mai riportato alcun difetto uditivo, evitando pure di menzionare il fatto ch’egli si trovava vicinissimo al suo interlocutore, il minore era sicuro di non aver compreso neppure un singolo fonema.
Lo guardò appena, lasciando vagare la lingua sulle proprie labbra con lo scopo di inumidirle; per qualche istante il numero nove della nazionale giapponese sentì soltanto il battito irregolare del proprio cuore, focalizzando poi la propria attenzione su quella rapida e dolorosa pulsazione al centro del petto, provando ad ignorare il respiro anomalo e le proprie pupille fissate sulla porzione rosea delle labbra altrui.
Era evidentemente difficile sottrarsi all’idea di domare il crepuscolo delle sue emozioni, che come una meteora parvero scivolare più in basso, superando persino lo stomaco ed andandosi ad insinuare in lidi tutt’altro che quieti per la ragione.
Un naufrago imprigionato tra le reti del mare, circuito dalle visioni che i suoi stanchi occhi oceanici riuscivano ancora gloriosamente a distinguere d’innanzi a lui.
Spesso avviene che le persone necessitino di distaccarsi dalla realtà e prendersi del tempo per stare meglio, ma arriva sempre l’ora nella quale questa, priva d’ogni freno, cade, ed estremamente fervida apparve la voce del moro, che languidamente lasciò scivolare due dita sul collo ampio e soffice dell’altrui ragazzo.

« Miya-san, ho voglia di metterti le mani addosso »

Avrebbe voluto, il minore, poter soffocare nella stretta di quelle possenti braccia, nell’amore e nella passione ardente delle sue membra, sul suo ventre, affondare il volto tra le cosce sfuggevoli del deliquio dei suoi occhi estremamente distinti dal pallore lapislazzuli ch’egli era solito conoscere, una sfumatura di quel piacere che presto era sicuro di poter afferrare tra le sue mani, lasciandolo poi lacerare le parti più profonde ed oscure del proprio essere.
Un acredine arida che bramava mischiare alla mera vicissitudine della speranza, il delirio d’uno stormo di frecce imbevute d’alcool puro.
Ardeva confusa dentro di sé tale insaziabilità, parte cocente della sua stessa anima.
Quella notte non avrebbe avuto bisogno d’un cuscino, ma della pelle altrui, del suo corpo che vertiginoso si sarebbe mosso, respirando tal vento vitale contro di lui, gemiti, che come il canto di una sirena avrebbero stordito i sensi del palleggiatore.
Non una risposta arrivò in principio da parte del biondo, solo un sorriso machiavellico dipinto sul volto, adempito dal divertimento di quella che a tutti gli effetti appariva come una supplichevole incitazione, una tacita richiesta di tale vitalità che vorace avrebbe voluto riversare sul suo interlocutore, e che, dopotutto, quest’ultimo pareva voler accettare con grande gloria, come assetato d’un sapore nuovo.
Andavano, viaggiando silenziosi come gondolieri, gli occhi famelici del biondo rinchiusi tra il mare e la fame delle iridi color lapislazzuli.

«Mi vuoi mettere le mani addosso? » — sorrise appena, lasciandosi scivolare la lingua sulle labbra rosee, un invito scorrevole, un comportamento del tutto contrario di quello che egli aveva immaginato, sebbene ancor più auspicabile di quanto pianificato.
«Cosa stai aspettando precisamente, 𝘛𝘰𝘣𝘪𝘰? »

Pupille dilatate e battito accelerato, poi improvvisamente, la calma.
Sensazioni provate dal corvino forse mesi prima e delle quali si ricordava con estrema difficoltà; un effettivo prodotto dei tocchi altrui, il quale lasciò scivolare una mano tra i capelli, tirando leggermente e permettendo che al minore s’accendessero nervi dei quali neppure conosceva l’esistenza.
Non avrebbe potuto mentire a se stesso, non in quel momento, non in quelle condizioni; nessuno gli aveva mai fatto quell’effetto.
Un desiderio di perforare quella bolla di ubriachezza, una sbornia assoluta nella quale egli si sentiva annegare ogni secondo di più, un pensiero del tutto scardinato dalla razionalità.

𝘌’ 𝘤𝘰𝘭𝘱𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘭𝘤𝘰𝘰𝘭, 𝘮𝘦 𝘯𝘦 𝘱𝘦𝘯𝘵𝘪𝘳𝘰̀; pensò.

« 𝘛𝘪 𝘷𝘰𝘨𝘭𝘪𝘰 » confessò a fior di labbra.

Era divenuto un animale inquieto, più o meno da quando aveva portato alle labbra il primo sorso di gin, ed ancora di più aveva accresciuto tale incanalamento quando aveva scoperto quanto paralizzante fosse avere le mani di Miya Atsumu indosso, slegato dai limiti corporei, fluttuando senza forma in un corpo di legamenti e nervi che produceva vertiginosi brividi a seguito del passaggio altrui.
Era intrappolato da una connessione, un attrazione tanto intensa e sviluppata nel momento in cui le labbra altrui dopo un mimato sbuffo si unirono a quelle bramose del piacere del minore; un contatto significativo, soddisfacente.
Lo stava baciando con tanta veemenza, ma lentamente, con la bocca aperta e così intensamente che ogni parte del suo corpo si era appena infranta nelle carni del biondo.
La pelle, le clavicole, gli incavi miseri del suo collo, tutto era improvvisamente riempito dal passaggio di un paio di mani, le quali come delicate erano solite sfiorare la palla, ancora più tenue e leggere cominciarono a mappare il suo corpo.
Tobio osservò il più grande dopo aver asservito i propri palmi all’altezza della schiena dell’altro, valicando poi il perimetro della maglia e riuscendo dunque a perforare le carni con i suoi polpastrelli.

« Sei così lontano dall’essere un bravo bimbo, adesso »

Si era arrotolato all’interno di quelle mani, seguendo oltre ogni singolo ideale di libertà al quale apparteneva, scavalcando le barriere della ragione e calandosi meticolosamente nell’ennesimo bacio, una calma del tutto estranea, un trasporto spontaneo, al quale egli si strinse più forte per non scivolarne via.
Entrambi completamente assorti, entrati nella pelle l’uno dell’altro, turisti di passaggio, i quali affamati, come la sabbia che scivola all’interno dei costumi in estate, si dirigevano all’interno della prima camera disponibile, un ubicazione di pullulante piacere.
Kageyama non riusciva ancora a capacitarsene, eppure era appoggiata alla figura dell’ex palleggiatore del liceo Inarizaki; 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦𝘳𝘰 𝘥𝘰𝘷𝘶𝘵𝘰 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘪𝘯𝘷𝘦𝘯𝘵𝘢𝘳𝘭𝘰 𝘶𝘯 𝘮𝘰𝘥𝘰 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘴𝘦𝘳𝘢𝘵𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘥𝘪 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘳𝘴𝘪 𝘵𝘰𝘤𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘦 𝘴𝘶𝘦 𝘮𝘢𝘯𝘪 — pensò.
Rientrarono nel salone brulicante di persone, entrambi con il bicchiere ricolmo di alcolici tra le mani, intenti a continuare a sfiorarsi piuttosto che preoccuparsi di rovesciare il liquido, sostanza contenuta all’interno dei bicchieri barcollanti, eppure una fu la voce che sopra le altre risuonò in modo estremamente vivace, sebbene questa interruppe la veloce scalata che i due ragazzi avevano imposto a loro stessi; come una tromba d’aria , scossa estrema di vento e di passione, annodata ancora ai loro corpi e guizzata dalle onde dei loro pensieri e dalle fronde interminabili delle loro passioni.

« Tobio-chan, appena trovi nuove occasioni lasci indietro i vecchi senpai? »

Fu quello il momento in cui il diavolo si abbatté sulla mano sinistra di Dio, la quale pareva essersi cinta intorno ai polsi dei due ragazzi, e che sembrava però mutevolmente lasciar andare la presa, un poco alla volta, come se fosse intuibile l’impercettibile arrivo d’una forza ancor più volitiva.
Si presentiva in modo loquace l’idea che tale incontro non potesse apparire il più lontano possibile dal banale, delusivo, insufficiente; l’ansia d’esser toccati dalle mani altrui era tale, euguale per entrambi i ragazzi, un vizio che avrebbe necessariamente esser rallentato dalle parole che colsero l’udito dei due scomodi amanti.
Kageyama dal canto suo accolse la richiesta di Oikawa con fare risentito, cambiando espressione e prossemica nei suoi confronti, come a non volergli concedere di entrare in argomenti di cui effettivamente non avrebbe potuto conoscere le risposte, e come il profumo d’una magnolia adiacente al proprio ventre, straziato dal sapore dell’alcool e l’efferato bisogno di passione, egli lasciò scivolare all’indietro il capo, arrendevolmente, piuttosto che cercare di apparire più naturale e disinvolto; arricciò infine il naso, sentendo un’ondata di caldo salirgli alla testa nel semplice notare la connessione dei due ragazzi davanti a sé.
Miya Atsumu si era avvicinato al castano, non lasciando però scorrere via la presa dal fianco del minore dei tre palleggiatori; appariva estremamente strano, eppure egli si era aggrappato a dei desideri minimi e strani, plausibili solo a causa del calore delle carni, niente poté fare se non osservarli, entrambi con fare stupito.
Semplicemente non sapeva resistergli; una promessa incisa tra le sue iridi color oltremare, contornata in antitesi ad ogni singolo scoraggiamento o arrendevolezza.

«Comprensibile » — commentò il biondo, lasciandosi scivolare la lingua sulle labbra, rimbombando poi in uno schiocco sommerso, lontano dall’essere disperato, ma il quale suono parve catturare ancor di più gli occhi serpentini del maggiore, il quale fece scorrere le iridi sulla figura altrui, studiandola per una manciata di secondi con fare divertito.
«Comprensibile, dici?
Tobio-chan non è tipo da svendersi alla mercé di tutti» —simile ad una cantilena risultò la sua voce, una melodia d’una sirena lasciata disgraziatamente al di fuori d’un canto.

«E lo sa bene, ecco perché è comprensibile »

Kageyama Tobio non era bravo come il maggiore, quest’ultimo aveva un modo tutto suo per proteggersi dalle schermaglie altrui, si curava sotto strati di cinismo ed ironia; egli si riteneva sicuro di riuscire a preservarsi tanto bene da far languire i suoi imperdibili spettatori nell’ombra, finché questi non si perdevano nel desiderio delle sue carni.
Lo conosceva da tempo, ed ormai immemore apparve lo scoccare delle lancette dell’orologio per la sua coscienza, sin dagli anni delle medie egli era consapevole di non riuscir —e di non essere neppure disposto— a dipanare il groviglio delle loro vite, di tale attrazione fatale per l’ex senpai.
Offuscate apparvero al suo udito le voci degli altri interlocutori, i quali si facevano sempre più vicini l’uno all’altro, sfoggiando equivoci ed insinuanti sorrisi.
Manciate di secondi passarono inesauribilmente, mentre la stretta prodotta dalle dita poggiate sul fianco del ragazzo degli occhi color oltremare si era intensificata, fascia temporale nella quale la distanza tra i tre si era inclementemente azzerata.

«Ma sentiti un po’.
Non è che qui la pallavolo non centra più nulla, eh? »

«Cos’altro dovrebbe entrarci se non quello?
Dai, mi piace vedere come provi ad arrivare da qualche parte con i tuoi ragionamenti Atsu-chan »

«Vedi, arrivati a questi punti penso che il problema non sia neppure più 𝘭𝘶𝘪»

«Interessante » — affermò famelicamente il castano, avvicinando appena il volto a quello del più basso e trafiggendo il proprio roseo labbro con i canini, lasciando sprigionare d’innanzi agli occhi un’immagine di nitida beatitudine, una purezza scomparsa, come s’egli si ritrovasse intenzionato a giocare con la luce dell’universo, con il chiarore che inevitabilmente si andò ad accendere nello sguardo altrui.

«Mio dio, 𝘵𝘶 𝘮𝘪 𝘷𝘶𝘰𝘪 »

La bellezza trafigge, nessuno al mondo ha il potere sul bello, quest’ultimo si è sempre presentato come erede d’una cospicua eredità, 𝘭𝘶𝘪 ha l’autorità decisionale sulle vite delle persone; ed Oikawa Tooru era incantevolmente magnifico.
Chiunque tra loro stava bramando con tutto se stesso qualcosa di diverso, di violento, come un ciclone che gli centrifugasse l’anima, mischiandone i pezzi, gli uni con gli altri.
Strani apparivano quei pensieri nella mente del corvino, che come mutevole acqua si adagiavano sulle foglie e sui rami, cambiando forma e colore agli occhi dei passanti, infidi ed ingannevoli tali concetti disinfettavano le sue ferite, affogandolo poi nel nulla in ogni singolo respiro adagiato vicino al collo del biondo.
Un lasciapassare estremamente diretto, per l’inizio di una serata che appariva ben lontana dall’esser quieta.

«Senti, Tobio-kun… »

Si era perso addirittura lo stesso covino tra i vestiti sparsi sul pavimento, le dita altrui sopra al letto che ancora lo coprivano, affannosamente, come lenzuola ruvide e calde; il capo lasciato alle mani del biondo appariva la fonte primaria dello sfogo delle labbra di entrambi.
I suoi fianchi eran stati solcati come le onde, marinai approdati sulle sponde d’un fiume, incise dal passaggio di coloro che ancora stavano condividendo il letto con la carcassa del suo corpo, ricolmo di orrida passione, nudo, cantante ancora di gemiti maturi.
Quattro erano state le mani che si erano affondate nelle scogliere delle sue carni, l’utopico desiderio di ricevere, concedendo indietro altri respiri, un delicato equilibrio, nei cantici antichi delle loro forme.
Doveva solamente ammettere a se stesso che il lamento morboso di passione che si era riversato in tali stanze, ancora sembrava la miglior preghiera che i tre peccatori avevan professato, alla mera accettazione del peccato appena consumato.
Le loro labbra avevano conosciuto per la prima volta, simultaneamente, tre mondi, solo loro avrebbero potuto comprendere quei promontori, libri differenti sfogliatisi vicendevolmente l’uno con l’altro, lettisi attentamente tra le pieghe delle loro membra.
Il corvino era da sempre stato educato a rispettare le persone per ciò che sono, sul campo ad esempio mai aveva giudicato nient’altro che le altrui capacità di gioco, dopotutto mai in vita propria aveva anche solamente percepito il bisogno di scrutare meno affondo di così, soppesare ciò che gli altri possiedono o fruiscono, eppure delle mani come quelle che lo avevano toccato in quella notte, pensò, 𝘧𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘭𝘢 𝘥𝘪𝘧𝘧𝘦𝘳𝘦𝘯𝘻𝘢.
Disintossicato dall’insoddisfazione egli sospirò nuovamente nutrendosi dell’odore di sesso e birra che ancora aleggiava all’interno di quella stanza; molta fu comunque la forza che impiegò per spostare il capo verso l’alto, così da riuscire a notare i corpo degli altri due peccatori presenti.
Oikawa Tooru aveva ottenuto l’attenzione del biondo, e quest’ultimo infatti in tal momento si trovava ristretto dalla morsa d’un famelico sguardo, appagato, compiaciuto del benessere post orgasmico che lo aveva intrappolato dall’intera figura del maggiore, coeso al suo fianco, bollente.
Un’ostinazione presente nello sguardo, una di quelle sfoggiate da chi non si arrende ai semplici piaceri umani perché appunto non conosce resa.

«Tobio-kun, devi bere più spesso, ci hai svoltato la serata»

Probabilmente è vero che raggiunto un certo livello di perversione i rimorsi di quanto concretizzato si inzuppano del caffè al mattino, insieme ai biscotti; Kageyama Tobio ne era estremamente sicuro, eppure allungando la mano libera verso la schiena del castano, e stringendosi ancor di più al rovente corpo dell’altro alzatore, sentiva d’aver d’innanzi agli occhi un burrascoso spettacolo di luce infernale.

«Si, forse dovrei»

   
 
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