Provarci
(Post episodio 66 di Boruto: Naruto
Next Generation)
“Mamma,
tu non arrossisci mai?”
Quella
domanda giunse improvvisa mentre posava il vassoio
con la cena sulla scrivania della stanza di Boruto, cercando di non
rovesciare
il bicchiere d’acqua per la sorpresa.
Hinata
alzò il capo e fissò suo figlio con un mezzo
sorriso;
Boruto spostò immediatamente lo sguardo fuori dalla finestra, incrociando le braccia
imbarazzato.
Che strana domanda.
Per quel motivo non aveva voluto cenare con loro, quella sera,
accampando la
scusa di essere troppo stanco?
“Adesso
poco, prima quasi sempre.” replicò continuando a
fissarlo.
Incredulo,
Boruto si voltò per guardarla a sua volta.
“Davvero?
E quando?”
Hinata
sorrise.
“Te
l’ho detto, quasi sempre. Soprattutto quando nelle
vicinanze c’era tuo padre.”
“Davvero?”
Le
labbra di Boruto erano una “o” perfetta
nell’attesa
spasmodica di saperne di più. Hinata annuì con la
testa, ormai quasi ridendo,
mentre prendeva posto sul letto accanto a lui.
Con
le braccia conserte e la gambe incrociate, Boruto
sembrava così pensieroso. Non era da lui rimuginare
così tanto davanti alla sua
famiglia, perché ci teneva a dimostrare di essere forte e di
non aver mai
bisogno di nessuno, ma in quel momento qualcosa lo turbava. Non lo
avrebbe mai
detto apertamente, ma quella domanda era una richiesta di aiuto.
Pazientemente,
Hinata si spinse verso l’interno del letto per mettersi
più comoda e annuì.
“Davvero!
Non ero così coraggiosa, prima. Mi bastava sapere
che il tuo papà fosse nelle vicinanze per arrossire e
balbettare!”
“Mamma?!”
Boruto la guardò soffocando una risata, gli occhi
pieni di ironia “Non ci credo!
Ma
come si fa ad arrossire davanti ad una faccia come la
sua?”
Hinata
face un largo sorriso, ma non rispose. Boruto
conosceva bene sua madre e quel sorriso felice e vagamente imbarazzato:
c’era
sempre sul suo viso quando parlava di suo padre, addentrandosi troppo
nelle
storie della loro gioventù. Di solito si annoiava a morte ad
ascoltarle, ma
quel giorno sarebbe stato essenziale per capire.
“Mamma.” la
spronò, quasi supplice, torcendosi le mani tra le gambe.
Hinata
sollevò lo sguardo verso di lui e gli sorrise,
ammorbidita: doveva essere in corso una grande battaglia intestina, se
la stava
spingendo a raccontare storie che non aveva mai voluto ascoltare.
“Quando
ero più piccola arrossivo sempre davanti a
Naruto-kun perché mi piaceva così
tanto.” cominciò a spiegare. Boruto la
fissava, stranamente rapito dalle sue parole, e non nauseato come al
solito.
“Anche il solo stare accanto a lui mi rendeva nervosa e mi
faceva battere forte
il cuore. Quando mi guardava negli occhi, poi, era un disastro
totale.”
aggiunse con un sorriso che non recava più traccia di alcun
imbarazzo.
“Perché?”
“Perché
il cuore sembrava volermi schizzare via dal petto e
non riuscivo neppure a sostenere il suo sguardo. Mi sentivo felice che
mi
stesse guardando, ma triste perché non riuscivo a
sopportarlo.”
Boruto
strinse le labbra e guardò lontano, perso in un
pensiero più grande di lui.
“Boruto?”
lo chiamò Hinata in un sussurro. Il ragazzo
sollevò lo sguardo, inquieto. “Ti va di dirmi cosa
sta succedendo?”
Abbassò
di nuovo lo sguardo sulle mani strette forte tra di
loro. Aveva sbagliato a chiedere a sua madre cosa significasse
arrossire? Forse
sì, ma non poteva chiederlo a nessun altro, non a Chocho,
men che meno a lei.
E non ai suoi amici, che non avrebbero saputo rispondergli
o, peggio, lo
avrebbero preso in giro dicendogli che si preoccupava troppo. Aveva
covato quel
dubbio dentro di sé per troppe ore.
“Prima
ho detto a Sarada che quando diventerà Hokage io
sarò
il suo braccio destro, che la proteggerò ad ogni
costo.” biascicò con voce
quasi inudibile, senza guardare sua madre “E lei è
arrossita all’improvviso. Non
l’aveva mai fatto… prima.”
Con
gli occhi bassi non poteva vedere sua madre, ma poteva
giurare che lei stesse sorridendo. E che
non fosse un sorriso di scherno, ma comprensivo, come solo
lei poteva
essere. Infatti Hinata sorrideva, perché in quei momenti
Boruto era proprio
come Naruto, franco, diretto, e, in alcuni casi, non riusciva a
comprendere le
conseguenze delle sue azioni. Ella capiva bene come potesse sentirsi
Sarada
dopo quelle parole, i pensieri che dovevano attraversare la sua mente
in quel
momento, le notti insonni che avrebbe passato a ricordarle.
L’aveva
vista numerose volte, quando la nuova squadra sette
passava da casa loro, perdersi a fissare suo figlio nel mezzo di noiosi
sproloqui da ragazzi intervallati soltanto da cenni del capo di Mitsuki.
“Sai,
a volte noi ragazze immaginiamo che dietro le vostre
parole ci sia più di quello che volete intendere.”
spiegò Hinata con voce serena
“Forse Sarada ha pensato che lei ti piaccia. Anche se io
credo che a lei
piaccia tu.”
Boruto
scosse forte la testa, come se, con quel movimento, potesse
allontanare quelle parole. “È
impossibile!
Io e Sarada ci conosciamo praticamente dalla nascita,
noi…”
“Siete
sempre stati molto vicini, sì. Siete cresciuti
insieme e siete nella stessa squadra.”
Sua
madre sorrideva così apertamente che lo imbarazzava da
morire.
“E
questo che significa?” le chiese, mentre sentiva il
calore affluirgli a velocità della luce verso le guance e
stringeva ancor di
più le braccia al petto in segno di protezione.
Non voleva arrossire.
Hinata
non disse niente, ma gli sorrise, rassicurante. Poi
si alzò e uscì in silenzio dalla stanza.
All’improvviso, nella sua stanza era
rimasto soltanto lui con il suo rossore.
Ci
si sentiva così, allora, ad arrossire? Sentire il sangue
concentrarsi sulle guance, il corpo bruciare, incapace di reagire,
restare in
silenzio senza sapere cosa dire? Era così che aveva fatto
sentire Sarada con le
sue parole?
Buttò
le braccia all’indietro e si lasciò cadere sul
letto,
respirando a piene narici, perché all’improvviso
gli sembrò di non essere più
in grado di farlo in maniera naturale e senza farci caso. Non sapeva se
sarebbe
riuscito a dormire quella notte.
Desiderava
soltanto che la mattina seguente arrivasse presto
per assicurarsi che Sarada non avesse più le guance rosse e
che non lo fissasse
più con quello sguardo particolare che gli aveva rivolto
quando le aveva detto
che l’avrebbe protetta.
La
notte trascorse veloce tra strani sogni in cui lui e
Sarada si tenevano per mano e altri in cui Mitsuki e il fratellone
Konohamaru
non si presentavano al solito luogo dove si davano appuntamento per
lasciarli
soli. Ma, per fortuna, quella mattina, alle nove erano già
tutti
miracolosamente davanti al solito palazzo nel centro del villaggio dove
si
incontravano di solito.
Suo
padre aveva insistito per percorrere la strada con lui,
e l’aveva guardato per tutto il tempo con un ghigno sulle
labbra che non era
riuscito a tranquillizzarlo. Poi, giunti all’angolo del
palazzo dove avrebbe
dovuto incontrare compagni e sensei, Naruto gli aveva tirato un pugno
sulla
spalla destra senza trattenersi, sorridendo a trentadue denti, ed era
corso
via. Così aveva fatto tardi.
“Ti
aspettiamo da dieci minuti.” disse Sarada, severa, non
appena lo vide spuntare dalla strada laterale. Boruto la
guardò, arrossì, e
aprì la bocca per ribattere, ma Konohamaru si intromise,
temendo che potessero
incominciare a discutere già di prima mattina.
“Dieci
minuti non sono tanti, dai!”
Sbuffando
per l’eccessiva bontà del sensei, Sarada li
superò
e prese a dirigersi verso il campo di allenamento. Quel giorno
avrebbero dovuto
affinare le loro tecniche perché, dopo l’attacco
degli Otsutsuki al villaggio,
a tutti i sensei era stato richiesto dall’Hokage in persona
di aumentare il
livello delle esercitazioni effettuate con i genin per correre meno
rischi
possibile.
Così
cominciarono prestissimo a lanciarsi kunai, shuriken, a
lottare corpo a corpo, ad impastare il chakra per le tecniche e a
provare
alcuni attacchi di gruppo contro Konohamaru. Alle undici,
già completamente madidi
di sudore, furono costretti a fermarsi perché era arrivata
la sensei Moegi per
discutere di qualcosa con il loro maestro, ed i due si allontanarono
nella
foresta. Ne approfittarono, quindi, per riposarsi un po’ e
per bere.
Dopo
aver evitato il suo sguardo e la sua vicinanza fino a
quel momento, finalmente Boruto fissò Sarada mentre lei non
poteva vederlo, perché
intenta ad aprire la borraccia. Era così sbagliato pensare
che era carina –l’aveva
pensato davvero!? - e che poteva
esserci qualcosa di diverso dall’amicizia tra di loro?
“Sarada,
ma io ti
piaccio?” mormorò improvvisamente senza
riuscire a guardarla, mentre le sue
guance raggiungevano una strana sfumatura accesa mai vista prima.
La
ragazza quasi si soffocò con l’acqua che aveva
appena
bevuto. Il suo volto divenne prima scarlatto, poi pallido, poi si
sentì un
forte rumore di acqua che scende nella gola come un mulinello e
finalmente ella
riprese a respirare, spalancando le labbra.
“Boruto…”
azzardò, come se avesse appena visto un fantasma.
Ma Mitsuki era ben lontano da loro: aveva certamente capito che quella
mattina
stavano continuando ad evitarsi e si era defilato.
“Rispondimi
Sarada, ti prego.” riprovò Boruto in tono
lamentoso, senza smettere di guardare per terra “Voglio solo
capire perché ieri
sei diventata tutta rossa.”
“Non
sono diventata tutta rossa!” esclamò lei
immediatamente, cercando di mantenere un certo contegno, nonostante
tutto: si
sentiva di nuovo le guance bruciare, proprio come il pomeriggio
precedente,
quando lui le aveva detto quelle parole che non le avevano fatto
chiudere
occhio tutta la notte.
“Sei
tu che sei strano! Mi eviti da stamattina!”
ribatté con
forza.
“Te ne sei accorta?”
“Non
sono stupida come te.”
Sarada
aveva parlato in tono di sfida, costringendolo ad
alzare lo sguardo: aveva attivato lo Sharingan. Per la prima volta,
incapace di
dire qualunque cosa, Boruto provò timore del bagliore
rossastro che emanavano i
suoi occhi e le sue guance.
“Sei
così stupido che parli a vanvera! Dire che mi
proteggerai ad ogni costo… Sai
cosa
significa?”
La
sua voce si era ormai trasformata
in un sussurro sommesso. Con gli occhi bassi
sul terreno, Sarada chiuse la borraccia con uno scatto e si
voltò per
allontanarsi, ma un “sì” indistinto di
Boruto la incatenò sul posto.
“Co-cosa
hai detto?” balbettò, incredula.
“Lo
so, cosa significa.” replicò il ragazzo con voce
nasale,
imbarazzato. Proteggere l’Hokage significava proteggere chi
aveva il compito di
proteggere il villaggio. Poteva sembrare inutile, ma sua madre
continuava a
proteggere suo padre anche se era l’uomo più forte
del villaggio. Per loro due,
poi, significava anche mille altre cose che non avrebbero avuto il
coraggio di
dirsi.
Sarada
lo guardò con le labbra strette, impressionata, gli
occhi ormai neri dietro gli occhiali. Sentiva le guance bruciarle e gli
occhi
pizzicarle, ma non si poteva piangere di felicità. La
borraccia ben stretta tra
le mani, si lascio cadere per terra e, a gambe incrociate,
ricominciò a bere
sperando che quell’acqua non si trasformasse in lacrime.
Boruto
non le toglieva più gli occhi di dosso.
“Dov’è
finito Konohamaru-sensei?” disse all’improvviso la
voce di Mitsuki, più vicina di quanto immaginavano. Boruto
si voltò verso
sinistra e vide il compagno correre verso di loro dalle pendici della
foresta.
Sorrideva largamente, ma non avrebbe saputo dire il perché.
“Non
ne ho idea!” replicò a voce troppo alta, alzando
le
spalle.
Mitsuki
gli si fermò accanto senza smettere di sorridere e
fissò per un secondo anche Sarada, distogliendo subito lo
sguardo.
“Capisco.”
disse soltanto, sibillino, poi propose:
“Riprendiamo?”
Sarada
annuì con la testa, ingoiando quel poco d’acqua
che
ancora le restava nella borraccia, e si alzò in piedi,
sentendosi più stabile
di quanto immaginava. Non sapeva come fosse possibile, ma Mitsuki
sapeva cosa
era accaduto.
Come
avrebbero fatto da quel momento in poi? Come avrebbe
reagito Mitsuki? E il sensei?
Quello
stupido di Boruto l’avrebbe messa in guai seri, se lo
sentiva. Ma mentre la sua testa veniva attraversata da quel pensiero,
incrociò
i suoi occhi, più cristallini del solito, e si convinse che
potevano provarci,
nonostante tutto.
Note:
In
questi giorni mi sono davvero appassionata all’anime di
Boruto: i bambini sono dei dolcini e rivedere i vecchi eroi
è sempre piacevole,
quindi mi sento molto ispirata. Questa fic, ad esempio, nasce,
letteralmente,
dall’idea della domanda iniziale di Boruto a Hinata e si
è sviluppata da sola
così come la leggete. Ovviamente non potevo non inserire
qualche accenno
NaruHina qua e là (ma quanto sono belli da genitori *_*) e
lo stupendo Mitsuki,
che, sono certa, la sappia lunga! :D
Mi
sono convinta che Kishimoto abbia disegnato per Sasuke
una figlia femmina soltanto perché deve finire con Boruto,
cosa che non ha
potuto fare con i due papà, ma potrebbe essere solo una mia
impressione. XD In
ogni caso, adoro questi due personaggi, e spero di aver reso loro
giustizia con
questa fic dai toni così adolescenziali, con i personaggi
che iniziano a scoprirsi. Ogni tanto è piacevole scrivere un
po’
di inner drama fluffoso!
Vi
ringrazio di cuore se siete arrivati fino a qui! Spero
che la fic vi sia piaciuta, e vi ringrazio in anticipo se deciderete di
farmelo
sapere, con un commento, con un messaggio privato, inserendo la fic tra
i
preferiti/ricordati/seguiti, con un piccione viaggiatore o in qualunque
altro modo!
:D
Ja
ne,
Ayumi