Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: arabesquessence    11/02/2021    1 recensioni
Capitolo II.
Clelia e Luciano si preparano a festeggiare il loro primo San Valentino da coppia ufficiale e lontano da Milano.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La nuova vita dei Cattegaris'
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13 febbraio 1962
 
“Carlo, è ora di andare a dormire. Hai lavato i denti?” Clelia si aggirava per la stanza della pensione sistemando i giocattoli lasciati in giro dal bambino.
“Sì mamma, ma stasera le coperte me le rimbocca Lucianone perché dobbiamo parlare tra noi. Papà dai, sbrigati!” Carlo tirò insistentemente il braccio del ragioniere, desideroso di avere la sua attenzione tutta per sé.
Luciano alzò le mani con fare di ovvietà cercando di nascondere un sorrisetto compiaciuto. “Devo andare, ha bisogno di me.”
Clelia li osservò sospettosa. “Va bene, ma tra dieci minuti luce spenta.” Li ammonì con l’indice alzato.
 
***
 
“Si può sapere cosa state combinando voi due? È da tutta la sera che confabulate, anche giù a cena.”
Clelia e Luciano, ai due lati opposti del letto, stavano risvoltando le coperte per prepararsi alla notte. Clelia si sfilò la vestaglia e si infilò sotto le lenzuola seguita dal ragioniere.
“Chi noi? Assolutamente nulla. Accetta il fatto che semplicemente io sia il suo preferito” le rispose con tono canzonatorio.
Clelia si alzò a sedere sul materasso ergendosi sulle braccia e lo squadrò di sottecchi. “Non stai cercando di far innervosire una donna incinta, vero?”
“Sei carina quando ti arrabbi…” Luciano tese una mano verso il viso della donna per darle un buffetto. “Ti si gonfiano le guance e poi ti diventano rosse. Sembri una bambina.”
“Non ci provare nemmeno!” Clelia sfilò da dietro la schiena uno dei due cuscini e glielo tirò addosso mentre Luciano si contorceva dalle risate. Lei mise il broncio e si distese su un fianco dandogli le spalle e tirando le coperte dalla sua parte. Lui per tutta risposta la raggiunse dall’altro lato del letto distendendosi accanto e abbracciandola da dietro. Clelia non aveva né la forza né la voglia di respingere quel calore umano così piacevole e la maschera da finta offesa non durò nemmeno due secondi.
“Stiamo organizzando una cosa… ma Carlo mi ha fatto promettere di non dire nulla.” Le sue mani si spostarono all’altezza della pancia che si soffermò ad accarezzare attraverso il pizzo della sottoveste, depositandole poi un bacio sulla spalla.
Clelia mugugnò qualcosa di incomprensibile contro al cuscino.
Luciano allentò la presa intenzionato a ritornare dal suo lato del letto. “Va bene, ho capito. Ti lascio dormire.” Ma prima ancora che potesse concludere la frase, la donna interdetta lo attirò nuovamente a sé. “Ragioniere, dove crede di andare? Non abbiamo ancora fatto pace.”
 
***
 
14 febbraio 1962
 
“Amore, lascia stare. Li sistemo io quando torno.” Luciano, di fronte allo specchio del bagno e con la camicia ancora aperta, era intento a farsi la barba mentre Carlo, davanti a lui in piedi su un piccolo sgabello, tentava di sistemarsi i ricciolini biondi con un pettine e un po’ di gel.
“Lo faccio volentieri, e poi manca solo uno scatolone. Quello del Paradiso con i documenti te l’ho messo sulla scrivania. Silvia è stata gentile a spedirti subito tutto.” Clelia armeggiava con le grucce riponendo con cura le ultime camicie di Luciano nell’armadio. “E poi mi rilassa rassettare.”
“È per caso quella cosa del nido?” Clelia lo fissò confusa e lui proseguì gesticolando per spiegarsi meglio. “Dai hai capito… la donna incinta che sente la necessità di costruire il nido per il bambino che deve arrivare…” lasciò la frase in sospeso, non più tanto sicuro nemmeno lui di quello che stava farneticando.
Clelia scoppiò a ridere. “Luciano, mi sa che è ancora un po’ troppo presto per questo. È più quella cosa dell’aver passato tempo a sistemare abbigliamento al Paradiso tutti i giorni. E dell’essere molto meticolosa.”
“O fastidiosamente precisa. Persino più di me.” Luciano che nel frattempo aveva completato la routine mattutina con una passata di dopobarba e sistemato i suoi capelli e quelli di Carlo, notando l’espressione corrugata di Clelia si affrettò ad aggiungere “Ma noi ti amiamo anche per questo”. Le si avvicinò attirandola per un fianco e le stampò un bacio sulla bocca.
“Proprio non volete dirmi dove andate così eleganti?”
Carlo saltò giù dallo sgabello del bagno euforico. “No mamma, è una sorpresa!”
Clelia rassegnata gli infilò il cappottino e si assicurò che indossasse sciarpa e cappello.
“Saremo di ritorno nel pomeriggio!” Luciano finì di vestirsi velocemente e, spinto fuori dalla soglia da Carlo, la salutò con un frettoloso “Ciao” mandandole un bacio volante e richiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Clelia rimase in piedi al centro della stanza e sorrise intenerita al pensiero che trascorressero del tempo padre-figlio. Scosse la testa come per risvegliarsi dai suoi pensieri e si guardò attorno confusa, come se avesse la sensazione di essersi dimenticata qualcosa. Ma cosa? Passò a sistemare i nuovi grembiulini di Carlo nella cassettiera e si apprestò a sedersi alla scrivania per compilare i moduli di inserimento del figlio nella scuola a cui avevano fatto visita il giorno precedente, quando le cadde l’occhio sulla data scritta all’angolo della sua agenda. I preparativi frenetici della loro nuova vita le avevano fatto perdere completamente la cognizione del tempo. Si sentì terribilmente in colpa per essersene dimenticata. Ma avrebbe rimediato.
 
***
 
La porta in cristallo lucente con rifiniture in ottone di un’elegante negozio nel centro di Torino si richiuse alle loro spalle tintinnando. Carlo aveva insistito per tenere il sacchetto profumato con dentro il regalo per Clelia in cui il commesso della gioielleria aveva spruzzato una fragranza alle rose.
“Cosa dici, alla mamma piacerà?”
“Tantissimo.” Il bambino fece un largo sorriso e i suoi occhi si ridussero a due piccole fessure. “E poi l’abbiamo scelto noi con tanto amore, deve piacerle per forza!”
“Giusta osservazione.” Gli scompigliò leggermente i ricciolini. “Allora ometto, cosa ti va di fare adesso? Abbiamo il resto della mattinata libero.”
Carlo prese Luciano per mano saltellando. “Dobbiamo ancora prendere i fiori alla mamma! E poi possiamo prendere la cioccolata? Ti prego papà!”
“Per pranzo?!”
Il bambino lo tirò per la manica del cappotto e i suoi occhioni si fecero supplichevoli. Il ragioniere non sarebbe riuscito a resistere a lungo. E poi in fondo quello era pur sempre un giorno di festa, cosa vietava loro di fare uno strappo alla regola e pranzare davanti ad una bella tazza di cioccolata calda fumante?
“E va bene.” Acconsentì.
“Con doppia panna?”
“Vada per la doppia panna, ma prendiamo anche la macedonia di frutta così avrò qualcosa a mio favore quando tua madre mi darà dell’irresponsabile. E ora andiamo prima che io cambi idea.” Si avviarono sotto ai portici di Piazza San Carlo.
 
***
 
Carlo sfrecciò fuori dal tassì che aveva appena parcheggiato nel cortile della pensione con una rosellina rossa sfilata dall’intero mazzo.
“Non correre per le scale!” Ma il bambino era già davanti alla porta della loro stanza a bussare insistentemente per farsi aprire dalla mamma.
Luciano raccolse dai sedili le rose e il sacchetto con il regalo per Clelia e si avviò verso all’ingresso dell’edificio proprio nel momento in cui Rosa, seguita da un paio di cameriere con in mano una pila di tovaglie rosse, passava dalla reception.
“Signor Cattaneo, sua moglie è una donna molto fortunata!” esordì osservando il mazzo di rose. Luciano sorrise arrossendo leggermente e si diresse su per le scale.
Rosa si sporse a dare una pacca sul braccio al marito che da dietro il bancone aveva osservato la scena. “Impara!”. Luigi per tutta risposta fece una smorfia.
 
Quando Luciano arrivò davanti alla porta aperta della camera si ritrovò davanti Clelia accucciata all’altezza di Carlo che lo stringeva forte con la rosa in una mano. “Amore, è bellissima! Grazie.” Gli stampò un serie di bacini sulla guancia. Carlo, che non era intenzionato a sciogliere quell’abbraccio, le gettò le braccia al collo stringendola più forte e facendola dondolare.
Fu quando Luciano, non prima di aver accuratamente nascosto nella tasca interna del cappotto il regalo, si schiarì la voce che Clelia si accorse della sua presenza e commossa si asciugò un angolo dell’occhio con il dito. La attenzioni e l’affetto che riceveva dai suoi due uomini di casa le facevano sempre lo stesso effetto, ma nel suo stato, le emozioni erano anche triplicate. 
“Posso unirmi anch’io all’abbraccio?”
Clelia si alzò in piedi e fu in quel momento che il ragioniere rimase a bocca aperta. Indossava un abito rosso mattone a campana, con lo scollo a barca, le maniche a tre quarti e con l’orlo poco al di sotto del ginocchio. Morbidi boccoli le incorniciavano il volto e tra i capelli portava un pettinino in madreperla. Al collo un sottile filo di perle e a completare la parure un paio di discrete perle ai lobi. Giocherellava con lo stelo della rosa.
Era bellissima. La era sempre, pensò Luciano, ma in quel momento illuminava ancor di più la stanza. Forse era la gravidanza che la rendeva così radiosa. O l’amore. Rimase a contemplarla finché non fu riportato alla realtà dalla manina di Carlo sulla schiena che lo spingeva ad avvicinarsi alla mamma per abbracciarli entrambi.
Il ragioniere porse le restanti rose rosse alla donna. “E con queste sono undici.”
“Sono…sono meravigliose Luciano… grazie.” Gli sfiorò le labbra con un casto bacio prolungando di qualche secondo quel contatto. “Anche io ho un regalo per te, ma dovrai aspettare ancora un po’.” Gli sussurrò all’orecchio solleticandolo. Lui le sorrise compiaciuto inumidendosi le labbra.
“Mamma, mamma! Ti abbiamo preso un bellissim-” ma prima che il bambino potesse finire la frase Luciano gli tappò la bocca con una mano sgranando gli occhi.
“Un bellissimo mazzo. Di rose. Rosse. Belle vero? Secondo me dovresti metterle nell’acqua.”
“Luciano, questo lo vedo. Va tutto bene?” Clelia aggrottò la fronte confusa.
“Assolutamente sì. Vero Carlo?” Carlo annuì con un cenno della testa ancora più confuso.  
Il ragioniere mimò un “dopo” a fior di labbra approfittando del fatto che Clelia si fosse girata per posare le rose sulla scrivania, con la promessa di cercare un vaso più tardi. Tornò poi a rivolgere la sua attenzione al figlio.
“Carlo, la mamma ha pensato una cosa. Mi hanno detto che al Cinema Massimo, in occasione del Carnevale, stanno dando una programmazione speciale per i bambini e domani proiettano Il Mago di Oz, uno dei tuoi preferiti. Cosa ne diresti di andare tutti insieme? Poi potremmo prendere anche i popcorn e le noccioline.”
Carlo annuì energicamente con la testa, pieno di entusiasmo. “E anche le frittelle di Carnevale?”
“Va bene, anche le frittelle.” Clelia acconsentì raddrizzandogli una bretella. “Allora stasera usciamo io e Luciano e domani tutti insieme, sei d’accordo?”
Il bambino sembrò rifletterci un attimo. “Fate come gli innamorati?”
Clelia rise lanciando un’occhiata in direzione di Luciano. “Sì. Come gli innamorati.”
“Allora va bene!” affermò con decisione il bambino.
“Intanto stasera stai con Rosa e Luigi. Anzi credo che Rosa ti stia già aspettando per aiutarla con le decorazioni di San Valentino e i biscotti.”
A quella parola gli occhi di Carlo si illuminarono. “Posso andare mamma, posso?” “Certo, amore. Mi raccomando, fai il bravo. E non mangiare troppi dolci.”
Carlo recuperò il camioncino giocattolo che gli avevano regalato le Veneri prima di partire, stampò un bacio sulla guancia di Clelia, uno su quella di Luciano, e corse giù in cucina da Rosa.
Luciano richiuse la porta, sfilò il cappotto e si avvicinò a Clelia allacciandole le braccia intorno alla vita. “Quindi stasera abbiamo una serata tutta per noi?”
Clelia fece scorrere le mani lungo le sue braccia per poi fermarsi all’altezza delle spalle e aggiustargli il colletto della camicia. “Sì. Stamattina, a colazione giù al bar, parlavo di quanto fossi stata imperdonabile per essermi scordata del nostro primo vero San Valentino e così ho voluto organizzare qualcosa di speciale.”
“Ma io ho già con me tutto quello di cui ho bisogno. E il regalo più bello me l’hai già fatto permettendomi di crescere i nostri figli.”
Clelia sorrise e gli avvolse le mani dietro al collo inclinando la testa e non interrompendo nemmeno per un secondo il contatto con i suoi occhi. “Lo so, però volevo farti una sorpresa così mi sono fatta consigliare dei posti carini e ho prenotato.”
“Sono proprio un uomo fortunato.” Luciano sollevò il mento di Clelia per baciarlo e proseguire lasciando una scia di baci lungo la mandibola, fino ad arrivare all’incavo del collo mentre una mano le percorreva la schiena, abbassandole lentamente la cerniera del vestito, e l’altra era affondata tra i capelli.
“Si è incastrata…di nuovo.”
Clelia scoppiò a ridere contro la sua spalla, le sue dita sulla schiena nuda le solleticavano la pelle.
Luciano riuscì a sbloccarla dopo un paio di tentativi.
“Fatto. Ho una certa esperienza con le cerniere, ormai.” affermò trionfante.
“Sì, mi sembra di ricordare…” Nel frattempo Luciano, che le aveva baciato ogni centimetro del viso, si avventò sulle sue labbra.
Il mascara e l’eyeliner sembravano reggere bene, almeno fino a quel momento. Ma del velo di cipria nemmeno più una traccia, il rossetto era quasi del tutto sbavato e del fard probabilmente non avrebbe avuto bisogno dato il colorito acceso e luminoso che avevano assunto le sue guance. Per non parlare della piega ai capelli poi. Sarebbe stata decisamente da rifare.
 
***
 
Clelia e Luciano rimasero qualche istante ad ammirare la Mole Antonelliana illuminata nel buio della sera per poi fare il loro ingresso a braccetto nell’elegante ristorante adiacente.
“Buonasera signori e benvenuti, come posso aiutarvi?”
“Abbiamo prenotato un tavolo per due a nome Cattaneo.”
Il direttore di sala, un uomo alto, slanciato e con indosso una divisa bianca che gli conferiva un’aria ancora più impeccabile, percorse una lista con l’indice foderato da un guanto bianco fino a trovare il loro nome.
“Se volete lasciare i vostri cappotti a Ferdinando, vi indicherà poi dove accomodarvi. Intanto dò istruzioni di preparare il tavolo.”
Luciano aiutò Clelia a sfilarsi il cappotto e, sistemandole la stola sulle spalle le sussurrò all’orecchio “Sei bellissima stasera. E mi piace sentirti usare il mio cognome come le altre coppie.”
Clelia sorrise radiosa con gli occhi che le brillavano.
Vennero scortati al tavolo al piano superiore, in una zona appartata dell’ampia sala illuminata da luci soffuse. Il ragioniere si premurò di scostarle la sedia. Il sommelier si presentò per riempire i calici esordendo con “Un omaggio della casa”.
“Per me no, grazie. Gradirei qualcosa di analcolico.” L’uomo fece un cenno cortese con il capo, versò il vino a Luciano e lasciò loro i menù.
Ma Clelia non riuscì a concentrarsi su cosa ordinare. La sua attenzione era catturata dalla vista che si stagliava fuori dall’ampia vetrata. Osservò con aria rapita la Mole illuminata per poi lasciarsi sfuggire un sospiro estasiato. “È meravigliosa.”
“Tu sei meravigliosa.”
Clelia si voltò a guardare Luciano e gli prese la mano attraverso il guanto di raso. Rimasero a fissarsi negli occhi per interminabili secondi, forse minuti. Sembravano esistere solo loro al mondo, come se il resto dei presenti ai tavoli fossero solo un lontano brusio ovattato, come se le note del jukebox in lucido legno d’acero in fondo alla sala, e più precisamente la calda voce di Ella Fitzgerald che in quel momento risuonava con Dream a Little Dream Of Me, fosse l’unico sottofondo a loro udibile.
La cena proseguì piacevolmente tra sguardi, sfioramenti di mani, parole, sorrisi e buona musica.
“Ne vuoi ancora un po’?”
“Va bene, ma l’ultimo boccone lo lascio a te.”
Clelia allungò il cucchiaino verso Luciano imboccandolo con la red velvet che stavano condividendo per poi ultimarla. Si tamponò l’angolo della bocca con il tovagliolo di stoffa e si soffermò a osservare Luciano sorridendo. Il ragioniere confuso intercettò il suo sguardo.
“Cosa c’è? Perché ridi? Mi sono sporcato?” D’istinto abbassò gli occhi sulla camicia bianca di sartoria.
“No…” la donna rise nuovamente. “Pensavo al fatto che stiamo per avere un figlio insieme ma non abbiamo mai avuto un vero e proprio appuntamento prima di stasera. O almeno, nulla che comprendesse un ristorante lussuoso, Sinatra in sottofondo e noi che non siamo costretti a nasconderci. E in questo momento mi sento proprio come una ragazzina al suo primo appuntamento. Sei l’unica persona che riesce a farmi provare la sensazione delle farfalle nello stomaco ogni giorno.”
“Sicura di mangiare abbastanza? Secondo me è per quello, ora siete in due.”
Clelia scosse la testa rassegnata mordendosi il labbro per cercare di trattenere una risata. “Sei pessimo, lo sai?” inarcò un sopracciglio.
“E tu lo sai che sono più nel mio con i numeri. Però la verità è che sono nervoso anche io stasera.”
“Me ne sono accorta. Sei irrequieto da tutta la sera, e non sei così bravo a nasconderlo come credi. Stai torturando il nodo di quella povera cravatta da quando ci siamo seduti, lo fai sempre quando sei agitato.”
Luciano si tolse gli occhiali e si slacciò il bottone della giacca. Aveva rimandato a lungo in attesa del momento giusto ma la sua agitazione era solo peggiorata e ora gli sudavano le mani.
“Amore, sei sicuro di star bene? Sei tutto ros-” la donna sembrava iniziare a preoccuparsi ma il ragioniere la interruppe.
“Ti prego Clelia, lasciami fare questa cosa, non voglio iniziare a balbettare.”
Clelia si sporse leggermente mettendo la sua mano sul braccio di Luciano per provare a tranquillizzarlo in qualche modo.
“Chissà perché con la penna è stato più semplice…” mormorò il ragioniere.
“Cosa?”
“Cosa?”
“Luciano, sto iniziando ad agitarmi anche io. Dimmi cosa sta suc-” ma si bloccò a metà frase quando Luciano, con mano malferma, posò sul tavolo una scatolina di velluto rossa e la spinse verso Clelia.
La donna osservò prima l’oggetto, poi di nuovo il ragioniere. Era decisamente sorpresa, tanto da non riuscire a pronunciare nemmeno una parola. Si impose quindi di lasciar continuare lui. Ma una lacrima in procinto di scorrere giù dall’angolo dell’occhio la stava già tradendo.
“Allora, ci ho pensato… ci siamo fatti delle promesse in questi anni, forse non in modo ufficiale come avremmo voluto, non ancora almeno, anche se per noi lo è stato. Però, ecco, volevo renderlo un po’ più ufficiale a modo mio.”
“Luciano…”
“Aspetta. Aprila.”
Clelia aprì lentamente la scatolina e la sua bocca assunse la forma di una “o”. Rimase a contemplare il contenuto per qualche secondo cercando di ricacciare indietro le lacrime ma, quando alzò lo sguardo incrociando gli occhi lucidi di Luciano, fallì miseramente. Cercò di arginare i danni tamponando con gli indici per evitare di ridurre il trucco ad una maschera sul suo viso. Però allo stesso tempo non riusciva a smettere di sorridere tra le lacrime.
Luciano deglutì a fatica rimanendo in silenzio ad aspettare che Clelia dicesse qualcosa a proposito del regalo.
“È per questo che tu e Carlo siete strani da due giorni?” riuscì a dire infine.
“Mi ha aiutato lui a sceglierle.”
Clelia tornò a osservare le due fedi e quando sembrò convincersi che erano reali, lì davanti a lei, ne estrasse una dal cofanetto per cogliere meglio i particolari. In elegante caratteri corsivi c’erano incisi il nome “Luciano” e una data.
“5 febbraio 1962.” mormorò.
“L’inizio della nostra nuova vita. Ho pensato che se dobbiamo essere un coppia normale, sarebbero state fondamentali. Meglio della penna.”
“Ehi, ma io sono affezionata a quella penna!” rise tirando su col naso e con gli occhi velati di lacrime.
Clelia osservò anche l’altra su cui era riportata la stessa data ma preceduta da “Clelia”.
“Luciano, io non so davvero cosa dire…”
“Dì di sì.”
Clelia incrociò il suo sguardo, inclinò la testa e premette le labbra tra loro cercando di evitare che la voce le tremasse.
“Sì. Era sì prima, lo è ora e lo sarà sempre.”
Il ragioniere prese la fede con su inciso “Luciano”.
“Posso?”
Clelia annuì con un ripetuto cenno del capo e gli porse la mano sinistra. Luciano le sfilò il guanto per poi metterle l’anello all’anulare.
I loro occhi risplendevano così tanto che avrebbero potuto illuminare l’intera città.
Clelia rimase a contemplare la fede al dito con la paura che il cuore le sarebbe presto uscito dal petto da talmente forte che batteva. D’un tratto si risvegliò da quello stato di torpore quando vide Luciano porgerle la mano in attesa.
“Allora signorina, vuole accanto a sé per la vita un anonimo ragioniere come me?”
“No”. Clelia esitò estraendo l’altra fede dalla scatolina. “Voglio accanto l’uomo meraviglioso, buono e brillante che ho di fronte.” Gli infilò la fede all’anulare incrociando il suo sguardo.
“Mi ricordi ogni giorno i motivi per cui ti amo.” Le prese con delicatezza la mano sinistra avvicinandola al viso e sfiorandola con le labbra.
“Ti amo anche io. Infinitamente.” Aggiunse lei guardandolo negli occhi.
Luciano si alzò in piedi abbottonandosi nuovamente la giacca e le porse una mano.
“Mi concede questo ballo?” Nel frattempo le note inconfondibili di Can't Help Falling In Love avevano iniziato a risuonare nell’aria.
Clelia si guardò attorno e lanciò un’occhiata alla pista da ballo vuota in fondo alla sala.
“Ma Luciano, non sta ballando nessuno…ci guarderanno tutti.” Le sue guance si fecero più rosee.
“E tu lasciali guardare. È perché non hanno mai visto nulla di così bello.”
Clelia gli sorrise e si sfilò la stola e anche l’altro guanto prima di alzarsi e stringergli la mano lasciandosi condurre sulla pista dal ragioniere. Non voleva nessuno strato di stoffa ad impedirle quel contatto.  
Lui fece scivolare una mano dietro alla schiena di Clelia mentre con l’altra le stringeva la mano. Lei portò la mano sinistra dietro alla nuca di Luciano, attirandolo di più a sé e lasciandosi cullare. Rimasero a guardarsi negli occhi in silenzio durante gran parte del ballo, non avevano bisogno di parole, sapevano dirsi tutto con uno sguardo. Poi lei lentamente poggiò la testa sulla sua clavicola, godendosi il suo profumo. Il ragioniere le depositò un bacio sulla testa mantenendo quel contatto mentre ondeggiavano accompagnati dalla voce di Elvis Presley e da un’atmosfera magica. Ancora una volta il resto del mondo sembrava essere scomparso.
   
 
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