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Autore: eeuphoria    14/02/2021    2 recensioni
[ushiten]
Wakatoshi era sempre bellissimo, Tendo lo sapeva bene; ma Wakatoshi in un grembiule da cucina un po’ troppo piccolo, che gli fasciava stretto il petto, era uno spettacolo meraviglioso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Cosa vorresti fare per San Valentino, Satori?»

Non era una domanda che si era aspettato da Wakatoshi.

Alzò lo sguardo dal manga che stava leggendo -ecco, erano quelli i loro appuntamenti, sdraiati nello stesso letto a sfogliare Jump. A Tendo andava bene così. Stavano insieme da pochi mesi e forse per quello, o forse perché Ushijima proprio non sembrava un tipo romantico, aveva creduto che il loro primo San Valentino sarebbe stato in fondo solo un giorno come gli altri.

Wakatoshi doveva pensarla in altro modo; lo guardava e parevano arrivare a scrutargli persino l’anima, quegli occhi verdi.

«Per me è uguale» disse prima ancora di pensare. «Scegli tu»

Lui non rispose, e Tendo tentò di riportare l’attenzione sulla pagina. Quando si rese conto di star rileggendo per la quinta volta la stessa battuta, Wakatoshi parlò di nuovo.

«Ti va di fare un dolce insieme?»

Il fumetto gli scivolò dalle dita, atterrando sulle coperte con un tonfo leggero.

«Wakatoshi-kun, tu non sai cucinare» gli fece notare; la voce tranquilla non rifletteva il suo stato d’animo.

«Ma a te piace. Potresti insegnarmi»

«Potrei» ripeté con un soffio.

All’interno del petto di Satori si agitava una sensazione inspiegabile -qualcosa che era un miscuglio di gioia e confusione, come se le farfalle nello stomaco che sentiva ogni volta che osservava il suo ragazzo fossero improvvisamente diventate una tempesta infuriante nella cassa toracica. Gli occhi bruciavano come sull’orlo delle lacrime (forse lo era).

«Satori?»

«Mmh?»

«Ti va?» Ushijima lo riportò alla realtà, facendolo trasalire.

«Ah sì! Giusto! Sì!» si affrettò a rispondere, inciampando sulle sue stesse parole.

Wakatoshi sorrise divertito, dalle labbra piegate in una linea sottile uscì una minuscola, cristallina risata. E Tendo come ogni altra volta -accadeva raramente, che Ushijima perdesse la sua solita compostezza- ne rimase incantato.

E la tempesta nel suo petto si trasformò in un’esplosione di fuochi d’artificio bollenti e scoppiettanti, quando il ragazzo si chinò su di lui per stampargli un bacio sulla guancia.

«Una ricetta non troppo complicata, però» mormorò senza allontanarsi, e Satori lo sentì sorridere sulla sua pelle.

«Chi sei tu e cosa ne hai fatto del mio Wakatoshi

In risposta, un altro bacio.

***

Passò per l’ennesima volta lo straccio sul tavolo, la superficie bianca era ormai talmente lucida che Satori poteva scorgervi riflesso il suo volto.

«Ancora? Tanto adesso sporcherai tutto di nuovo» suo padre si affacciò in cucina con la giacca già indosso, pronto per uscire. «Così i pasticcini sapranno di sgrassatore»

«Cioccolatini» lo corresse. «Ed è importante cucinare in un ambiente pulito»

«Me li fai assaggiare, poi?»

«Dipende quanti ne escono» borbottò. Lanciò un’occhiata all’orologio; Ushijima sarebbe arrivato a momenti e non voleva che quei due si incontrassero. «Non dovevi andare a lavoro?»

«Quanta fretta!» esclamò lui e il tono divertito fu sufficiente a Satori per capire che quel pomeriggio era in vena di scherzare -gli scherzi di suo padre erano perfetti per uccidere rapidamente la sua pazienza. E infatti l’uomo ammiccò, già ridacchiando alla sua stessa battuta, come le definiva lui. «Non è che è tutta una messa in scena e in realtà hai un appuntamento?»

Oh, se solo avesse saputo che era quello, l’appuntamento. Ma Tendo ancora non aveva trovato un buon momento -o il coraggio- per affrontare il discorso con i suoi genitori.

«Papà, non dovevi andare a lavoro?» ripeté, questa volta con un po’ più di veleno nella voce.

Lui alzò le braccia al cielo e sospirò con tono teatrale. «Torni a casa una volta a settimana e mi cacci via!»

Stava per ribattere con qualcosa di poco carino, ma il trillo del campanello lo distrasse. Nel tempo di un battito di ciglia suo padre era scomparso e dall’ingresso giungeva la sua voce gioviale mentre accoglieva l’atteso ospite.

«Ah, Ushijima sei davvero tu. E io che credevo di ritrovarmi davanti una bella ragazza!»

Forse neanche in allenamento, e neanche durante una partita, Satori era mai scattato con la stessa velocità.

«Certo che, alla vostra età, non aver niente di meglio da fare il giorno di San Valentino...» stava dicendo suo padre, mentre il viso solitamente inespressivo di Wakatoshi era una maschera di pura confusione. Aprì la bocca per rispondere e Tendo si affrettò a precederlo.

«PAPÀ TE NE VUOI ANDARE?» gridò, afferrandolo per le spalle e iniziando a spingerlo in direzione della porta ancora aperta.

«Come puoi vedere mio figlio mi caccia dalla mia stessa casa» suo padre si stava divertendo davvero un mondo, a vederlo così in difficoltà, Satori avrebbe preparato un cioccolatino pieno di sale solo per lui. «Bene, Ushijima, divertitevi»

Wakatoshi annuì. «Sì»

«C—» ma Tendo gli sbatté la porta in faccia prima che potesse aggiungere altro.

Finalmente, con la fronte contro il legno della porta, mentre girava la chiave nella toppa, riuscì a riprendere fiato.

«Una bella ragazza?»

Voltatosi, si ritrovò davanti un’impacciato Ushijima con un’espressione da cucciolo bastonato che nessuno avrebbe potuto immaginare su un diciottenne grande e grosso come lui. Il suo cuore che già batteva all’impazzata minacciò di non reggere oltre.

«Ignoralo, per favore» soffiò, senza respiro.

«Cosa c‘è che non va, Satori?»

«I miei non lo sanno» fece una pausa, poi: «Di noi due» specificò, piano.

«Ti ho messo in imbarazzo? Scusa»

«Lasciamo stare»

Cadde il silenzio; il cuore di Satori si stava calmando, ma le dita che tormentavano una pellicina sul pollice tradivano la sua ansia.

«Ho portato le uova» disse Wakatoshi, e gli porse un sacchetto di plastica che Satori ancora non aveva notato, su cui capeggiava il logo sgargiante del supermercato di quartiere.

«Non servono le uova per fare i cioccolatini»

«Ah»

«Non importa, mettiamole nel frigo. Prima o poi torneranno utili»

Gli sfilò il sacchetto dalle mani e per poco non si ritrovò a terra con esso, era molto più pesante di quanto si aspettasse.

Ushijima aveva comprato ben cinque confezioni di uova. In totale erano trenta. Trenta uova. Trovò difficile trattenere le risate.

«Cosa c’è di divertente?»

«Niente, niente»

Avrebbe fatto un bel po’ di biscotti.

***

Wakatoshi era sempre bellissimo, Tendo lo sapeva bene; ma Wakatoshi in un grembiule da cucina un po’ troppo piccolo, che gli fasciava stretto il petto, era uno spettacolo meraviglioso.

«Tutto bene, Satori?»

Deglutì, cercando di dire qualcosa -qualsiasi cosa. «Posso farti una foto?»

Ushijima lo osservò senza capire, ma poi i lineamenti corrucciati del suo volto si rilassarono -allo stesso tempo, Satori si rese conto di ciò che aveva appena detto e desiderò seppellirsi.

«Io posso farne una a te?» e gli rivolse un sorriso leggero. «Sei carino, vestito da cuoco»

Tendo Satori era stato chiamato in tanti modi. Mostro, strambo, clown. E ci aveva creduto ogni volta, così tanto, così spesso, che poi era diventato sempre più difficile fidarsi dei rari complimenti che riceveva.

E certo, sapeva che stare insieme a Wakatoshi significava che in un modo o nell’altro -un modo che Satori davvero non si spiegava- doveva piacergli.

Ma era la prima volta che qualcuno lo definiva carino. E la cosa più strana, in tutto quel trambusto interiore che una parolina tanto insignificante era riuscita a provocargli, fu che ci credette per davvero.

Scacciò le lacrime agli angoli degli occhi con una risata impacciata. «Per prima cosa dobbiamo sciogliere il cioccolato. Riempiresti quel pentolino d’acqua?»

Wakatoshi lo fissò come se volesse dire qualcosa, ma poi si limitò a fare come gli era stato detto e posizionare il pentolino sotto il getto del rubinetto. Solo allora Satori si accorse dell’errore commesso.

«Fermo, no! Non ne serve molta» si affrettò a correggersi e si allungò per afferrare il manico del tegame prima che si riempisse troppo.

Ma invece del manico, la sua mano incontrò quella di Wakatoshi, e subito dopo si rese conto di quanto i loro corpi fossero improvvisamente vicini.

Era una strana sensazione -di calore ed imbarazzo, un po’ di panico e un po’ di ebbrezza- che salì su fino al cervello e gli fece prendere fuoco sotto pelle.

Carino. Wakatoshi lo trovava carino.

Si allontanò di scatto, pregando che quell’imbarazzo che lo stava facendo avvampare non fosse poi così evidente sul suo viso.

«Bene, ora lo mettiamo sul fornello!» esclamò forse un po’ troppo forte, mentre armeggiava con la fiamma tentando di apparire tranquillo. «E poi ci mettiamo dentro un altro pentolino con il cioccolato...»

Si accorse di aver dimenticato di tagliare il cioccolato, non l’aveva neanche tirato fuori. «No... ecco... aspetta...»

Sotto uno sguardo di giada che pareva non perdersi nemmeno il suo più piccolo gesto, spalancò con forza la credenza ed afferrò le quattro barrette di cioccolato. 

Doveva darsi una calmata, si rimproverò mentalmente. La presenza di Ushijima lo stava mandando completamente nel pallone, come una ragazzina alle prese con la sua prima cotta; ma loro due stavano insieme, Tendo credeva di aver superato quella fastidiosa fase ormai da tempo.

«Be’, senti, facciamo così» sbottò infine, quando perse del tutto la pazienza. Fece a pezzi il cioccolato che si trovava tra le mani senza neanche appoggiarsi al tavolo o usare un coltello, e lo gettò tutto nel secondo pentolino. «Ecco. Mettiamo il pentolino col cioccolato in quello con l’acqua e aspettiamo che si sciolga» spiegò, e per un attimo si sentì come se avesse ripreso il controllo della situazione.

Poi un noto click per poco non gli procurò un arresto cardiaco.

Si voltò a guardare Wakatoshi, che non pareva neanche sapere cosa fosse l’imbarazzo -e sì che c’era una scintilla di terrore nei suoi occhi, quel terrore di chi è stato colto sul fatto (davvero non sapeva come usare un telefono, quel ragazzo, figurarsi metterlo in silenzioso), ma proprio niente più di questo.

«Quindi posso farti una foto?» domandò senza arrossire. Come se non gliel’avesse già fatta.

«S-sì» balbettò in ogni caso e poi tornò a concentrarsi sui pezzi di cioccolato da rigirare nel pentolino, cercando con tutto se stesso di ignorare quella pioggia di click che lo stava sommergendo.

Ed era così preso che per poco non si accorse che il telefono di Wakatoshi aveva cambiato suono, ed ora era quello della tastiera e di messaggi che venivano inviati.

«Che stai facendo?» gli chiese, mentre un campanello d’allarme trillava in un angolino della sua mente. Wakatoshi non avrebbe mai... ma i suoi sospetti vennero immediatamente confermati.

«Ne mando una a Semi»

«NO!»

Wakatoshi spostò lo sguardo su di lui e sbatté le palpebre un paio di volte. «Perché?»

«PERCHÉ DOVRESTI?»

«Voleva sapere come sarebbe andato l’appuntamento»

«E a lui cosa frega?»

«Gli... ho chiesto dei consigli» borbottò e Satori notò con sorpresa un pizzico di esitazione nella sua voce.

«Eh?»

«Non ne parli mai» iniziò Wakatoshi, abbandonando il telefono sul tavolo e facendosi più vicino. «Ma preparare dolci ti piace. Quando porti qualcosa per dopo gli allenamenti e tutti mangiano con piacere... sembri davvero felice. Ti piace. E a me piace vederti felice»

Satori lo fissava con gli occhi spalancati, non credeva che Wakatoshi -che non era bravo per niente a leggere le persone e si preoccupava solo di se stesso- avesse notato una cosa del genere.

«E volevo vedere la tua espressione mentre preparavi un dolce. Ma avevo paura a chiedertelo, immagino»

«Paura?» in qualsiasi altra situazione avrebbe riso all’idea di Wakatoshi spaventato da qualcosa, ma non in quel momento.

«Magari era qualcosa che non volevi condividere» spiegò. «Così ho chiesto a Semi e mi ha detto di proportelo per San Valentino»

«Ho sbagliato?» chiese poi, con incertezza.

«No» puntò lo sguardo sul pavimento, mentre un sorriso nasceva incontrollato sulle sue labbra. «Sono felice»

«Ti stai divertendo, Satori?»

«Ero un po’ teso, prima» ammise. Ma alzò il capo e drizzò la schiena, si stiracchiò e puntò gli occhi scarlatti in quelli verdi di Wakatoshi con rinnovata fiducia. «Ma ora va meglio»

E tornò a girare il mestolo nel pentolino dove il cioccolato si stava rapidamente sciogliendo. 

C’era altro che avrebbe voluto dire, ma non gli venivano le parole e allora preferì rimanere in silenzio. E quando Wakatoshi lo abbracciò da dietro, poggiando il mento sulla sua spalla, l’unica emozione che provò fu un piacevole e genuino calore. 

«Per ora non sono stato molto d’aiuto»

«Ohoh, Wakatoshi-kun, so perfettamente come puoi renderti utile»

***

Satori scorse compiaciuto le foto che aveva appena fatto. Tutte ritraevano Wakatoshi nel suo piccolo grembiule intento a tagliare spicchi di mandarino con estrema precisione.

«Queste sono da incorniciare e vendere ai paparazzi tra qualche anno quando sarai una star della pallavolo» commentò ridendo.

«È legale?»

«Tu hai mandato la mia foto a Semi-Semi quindi sì» disse e lasciò scivolare il telefono nella tasca per andare a spegnere il fornello.

«Cosa ci facciamo con tutti questi piccoli pezzi di mandarino?»

«Ora li mettiamo nel cioccolato sciolto e poi possiamo versare il tutto negli stampini» gli tolse il coltello dalle mani e raccolse i pezzi di mandarino, buttandoli nel pentolino e mescolando. «Gli stampini sono nel terzo cassetto alla tua sinistra, li prenderesti? Quelli in silicone»

«Abbiamo quasi finito?» domandò Ushijima.

«Sì, è una ricetta facile e veloce»

Wakatoshi non parve troppo felice di quella notizia. «Possiamo rifarlo, ogni tanto?»

«Se vuoi...»

«Tu vuoi?»

«Io...» osservò le scaglie di mandarino spuntare dal cioccolato, cercando il modo per dar voce ai suoi pensieri -qualcosa che avrebbe voluto dirgli già da prima. «Sono abituato, sai, alle cattiverie. Ma... non avere nessuno con cui condividere qualcosa a cui tengo così tanto... è così triste che fa male, e non riesco proprio ad abituarmici. Quindi grazie, Wakatoshi» fece un pausa e poi concluse in un sussurro. «Per esserti interessato a me»

Non ricevette nessuna risposta e fu solo quando ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo che si ritrovò stretto in un abbraccio. E Wakatoshi lo stringeva come se in quel modo stesse cercando di comunicargli diecimila cose diverse, ma ne disse una sola. «Io sono sempre interessato a te»

***

«Posso mettere della musica?»

La domanda lo sorprese. Raramente aveva visto Wakatoshi ascoltare musica -no, a ben pensarci, non aveva mai visto Wakatoshi con le cuffie nelle orecchie, né lo aveva mai sorpreso a canticchiare qualche ritornello. Era un tipo amante del silenzio, lui. Chissà come aveva fatto Satori a farsi piacere, così rumoroso e strano com’era.

«Va bene, ma ormai abbiamo praticamente finito» disse. «Ora li mettiamo in freezer et voilà»

Ormai gli stampini erano tutti pieni, e quel poco di impasto avanzato se lo era mangiato Wakatoshi -gli era rimasto un po’ di cioccolato ai lati della bocca, ma era troppo carino e Satori non aveva la minima intenzione di farglielo notare.

In un modo o nell’altro riuscì ad incastrare tutti i venticinque stampini all’interno del piccolo scompartimento del freezer, e intanto per la stanza si diffondevano le dolci note di una chitarra. Poi la melodia parve prendere vita di colpo e si accorse di conoscerla.

«Credo di averla già sentita» commentò, mentre cercava di ricollegare la melodia ad un titolo.

«È molto famosa»

“Look at the stars. Look how they shine for you and everything you do. Yeah they were all yellow" intonò morbidamente una voce maschile e Tendo finalmente riconobbe il brano che spesso aveva sentito di sfuggita alla radio.

«Non sapevo ti piacesse questo genere, Wakatoshi-kun»

«Te la sto dedicando» Wakatoshi lo prese per mano. «Vuoi ballare?»

«Sei serio?»

«Sì»

Fece scivolare l’altra mano intorno alla sua vita e Satori si ritrovò a sorridere, e poi a ridere.

Ciondolarono per la cucina, tra il tavolo e i fornelli, girando in tondo e pestandosi i piedi a vicenda; Wakatoshi così preso nel vano tentativo di non commettere errori e lui preda delle risate, che non ci provava neanche e aveva iniziato a condurre, una piroetta scomposta dopo l’altra.

Your skin, oh yeah, your skin and bones
Turn into somenthing beautiful
You know, you know i love you so
You know i love you so

Così faceva, la canzone che Wakatoshi gli aveva dedicato. Forse l’unica canzone che gli piacesse, che aveva ascoltato una volta e subito l’aveva ricollegata a lui.

Senza smettere un attimo di ridere, Satori gli prese il volto tra le mani e fece unire le loro labbra. Una volta e poi un’altra e poi un’altra, e poi finché non perse il conto.

***

Il film era appena iniziato -Simba stava cantando I Just Can’t Wait to Be King (Tendo aveva deciso che a Wakatoshi serviva una conoscenza musicale di base)- e loro avevano già quasi finito tutti i cioccolatini.

«Erano molto buoni»

«È la soddisfazione di mangiare qualcosa che hai cucinato con le tue stesse mani»

«Mmh»

Sembrava stanco, Wakatoshi, o forse si stava solo rilassando, con la testa sulle sue gambe e le lunghe dita di Tendo che gli scorrevano delicate tra i capelli. Se si fosse addormentato forse lo avrebbe lasciato dormire e il film lo avrebbero continuato un’altra volta. E prima o poi sarebbe riuscito a fargli imparare a memoria quella canzone.

Anche Satori, d’altro canto, non stava prestando troppa attenzione allo schermo. Ma lui vedeva Il Re Leone almeno una volta a settimana e poteva permettersi di farsi distrarre dal viso tranquillo del suo ragazzo.

«Sarò onesto, Wakatoshi-kun, non credevo che fossi un tipo tanto romantico» disse in un sussurro, perché Wakatoshi sembrava davvero sul punto di scivolare nel mondo dei sogni. Magari avrebbe sognato di loro due che ballavano nella sterminata savana.

«Sono timido» borbottò lui, con gli occhi chiusi. «Non ti piace, che sia così romantico?»

«Eheh» gli posò un bacio sulla fronte. «Lo adoro»

   
 
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