“No, no, e poi
no! Non sono d’accordo!” Toshio, seduto a
cavalcioni di una sedia del tavolo
della cucina della casa sulla spiaggia di Los Angeles che le tre
sorelle
bellissime condividevano con lui, osservava le tre donne –
Ai, Rui ed Hitomi –
che tranquille
osservavano la mappa del
museo di Arte Occidentale di Tokyo, accanto ad appunti sul sistema di
sicurezza
– vecchi di alcuni anni, in realtà, presi ad un
loro precedente colpo, quando
ancora lo prendevano per fesso e gli tiravano un tiro mancino dopo
l’altro -
e la foto di un gioiello antico, una catena
con le sagome di una falce di luna e di un sole riccamente decorate e
smaltate,
che secondo la tradizione era stato offerto alla Dea Ebe, guardiana
della
giovinezza, uno dei pochi manufatti a lei dedicati giunti
nell’era moderna.
“Toshio, dobbiamo,” Hitomi
disse
pensierosa, stringendo un gioiello quasi del tutto identico a quello
della foto
in mano. “Nostro padre conosceva la storia di questo gioiello
come le sue
tasche, e suo fratello era
ossessionato
da questo ciondolo, lo ha replicato in modo quasi fedele, e quando
è morto ha
tentato il tutto per tutto perché noi non ce ne
impossessassimo, e nessuno mi
leva dalla testa che significhi qualcosa!. Forse se capissimo le
differenze potremmo
finalmente capire cosa sia accaduto esattamente a nostro
padre…”
“Vogliamo solo capire cosa gli sia
accaduto esattamente, e sapere dove poterlo piangere,
Toshio,” Rui continuo,
mentre con la sua perfetta calligrafia, scriveva a penna sul biglietto
da
visita della banda il messaggio per la polizia; l’ex
poliziotto incrociò le braccia, scontento
di non essere preso minimamente in considerazione. Anche se, tuttavia,
Ai
stringeva i pugni, mordendosi le labbra nervosa.
“L’Occhio di Ebe è sparito per
oltre dieci anni, e adesso è riapparso dal nulla.
Farà gola a moli, e se Occhi
fi gatto non agisce ora, potremmo perdere la nostra
occasione.”
“E se Toshio avesse ragione? Se
torniamo a Tokyo e torna pure Occhi di gatto la polizia non ci
metterà troppo a
fare due più due… non sono tutti accomodanti come
lui in polizia!” Ai si inserì
nella conversazione; la più giovane delle gatte, era sempre
stata quella con
una parte minore nei piani, il genio tecnico mente Rui era il cervello
e Hitomi
il “muscolo”, lei era quella che, anche quando si
decideva di compiere un
colpo, raramente veniva interpellata. Questa volta, tuttavia, la
giovanissima
non poteva esimersi dall’intervenire, mostrandosi reticente
ed impaurita dalla
possibilità di passare la vita dietro le sbarre.
L’uomo le fece un mezzo sorrisetto;
preferiva di gran lunga che gli dicessero che aveva un gran cuore e la
sbandata
semplice, piuttosto che additarlo come un cretino idiota che non aveva
mai
capito nulla- per una volta, la sorellina era gentile con lui, lei che
più di
tutte lo aveva sempre sfottuto pesantemente in passato. Miracolo dei
miracoli:
doveva davvero essere preoccupata per dargli ragione in un momento del
genere.
“Sarà quel che
sarà, siamo sempre
scappate e lo faremo ancora, se necessario…”
Hitomi fissò la fotografia, con
fredda determinazione e occhi così stretti da essere due
sole fessure. “Questa
sarà l’ultima volta che Occhi di gatto colpisce, e
stavolta scopriremo tutta la
verità su nostro padre… e sua fratello non si
potrà più mettere in mezzo! Rui e
dio andiamo a prenderci l’occhio… voi potete
rimanere qui se avete paura!”
Sospirando, Toshio si passò una mano
nei
capelli ribelli guardando Ai. La decisione ormai era presa: Hitomi non
gli
avrebbe dato retta, poco importava se ora indossava il suo anello e
ricordava
ogni cosa del suo passato, ed era pronta ad affrontare la vita insieme,
a
divenire sua moglie. .. la ragazzina scosse il capo, sapendo che
nemmeno lei
sarebbe stata presa in considerazione. C’era solo una cosa da
fare. Agire tutti
insieme, nella speranza che le cose andassero per il verso giusto, e
che quello
fosse davvero il loro ultimo colpo: l’ex poliziotto
pregò che la carriera delle
ladre terminasse per il loro volere, e non perché un giudice
le avesse
condannate alla prigione.
“Quindi, questo
sarebbe il celeberrimo Occhio di…. Tebe?” Ryo
squadrò il gioiello da dietro il
vetro blindato, una mano a massaggiarsi la mascella.
Ai suoi occhi sembrava una di quelle cose che
venivano vendute nelle bancarelle e nei negozi etnici a poco prezzo, e
non
riusciva a comprendere l’appeal che quel coso avesse per
Occhi di Gatto.
“Ebe,
Ryo, l’occhio di Ebe…. Tebe era una
città, Ebe invece era una dea, quella
dell’eterna giovinezza.” Saeko sospirò,
pizzicandosi il naso ed evitando di ripetere
per l’ennesima volta la tiritera che aveva già
spiegato al suo
“consulente” -
quello il titolo, a metà
tra l’ufficiale e l’ufficioso, dato a Ryo per quel
caso -almeno una decina di
volte.
“Ah, allora me lo ricorderò
di sicuro,
se è la dea dell’eterna giovinezza
dev’essere per forza la santa patrona di un
giovane stallone dall’eterna età di
vent’anni!” Sghignazzò, avvicinandosi
alla
bella ispettrice del suo cuore, e la mano destra si avvicinò
pericolosamente al
fondoschiena di Saeko, che alzando un sopracciglio, e scostando
leggermente la
gonna per mostrare i coltelli che teneva nascosti nella giarrettiera,
rammentò
silenziosamente all’eterno ventenne che sì, poteva
guardare, ma no, toccare non
gli era permesso. Simile promemoria giunse dall’aura
elettrica, e carica di
rancore e rabbia, di Kaori, che alle spalle del socio, avesse potuto,
avrebbe
già brandito uno dei suoi pesanti martelli: purtroppo,
però, le misure di
sicurezza erano tali che le vibrazioni causate da un suo
“attacco” avrebbero
fatto scattare, inutilmente, tutti i sistemi di sicurezza; inoltre,
perché perdere
tempo e fatica con Ryo? Tanto lui non cambiava mai… le
diceva che ci teneva,
che la amava… e poi fuggiva a gambe levate tutte le volte
che lei provava ad iniziare
il discorso su ciò che era accaduto nella radura pochi mesi
prima. “Che palle.
Mai che mi ripaghi tu, eh!”
“Su, su, dai…” gli
fece civettuola,
facendogli l’occhiolino e dandogli un pizzicotto al mento, su
cui la barba
aveva iniziato già a ricrescere dopo la rasatura del
mattino. “Se riuscirai ad
evitare il furto dell’Occhio di Ebe, ne
riparliamo… mio padre è stato chiaro:
non mi sarà concessa che una sola possibilità,
non certo come a Utsumi che ha
rincorso la gatta per una vita… quindi, se tu aiuti
me…”
Gli lanciò un’occhiata
allusiva, che
fece stringere denti e pugni a Kaori che, alle loro spalle, gli stava
lanciando, borbottandole, tutte le maledizioni possibili ed
immaginabili,
condite da una serie di epiteti tutt’altro che gentili
lanciati agli indirizzi
tanto del maiale pervertito quanto
della gatta morta.
Mentre i due, dopo essersi allontanati
verso il perimetro della sala, continuavano il loro giochetto di
corteggiamento
che, Kaori sapeva, non sarebbe mai andato da nessuna parte,
perché Saeko i suoi
debiti non li avrebbe saldati mai, per nessun motivo al mondo,
né in natura né
in denaro, la rossa
fece un paio di
passi verso la teca dove il monile in argento era custodito, al centro
della
sala, sorvegliato da quattro agenti, e lo guardò estasiata:
semplice, dall’aura
mediorientale, emanava
una curiosa
energia, si sentiva come attirata da esso in una maniera a dir poco
magnetica.
Alzò una mano per sfiorare il vetro, guidata come da una
forza superiore, col
cuore che le batteva a mille ed il respiro mozzato, la sua visione
concentrata
solamente su quell’oggetto.
Le dita
stavano già sfiorando il vetro quando si udì uno
scoppio, e le luci saltarono,
lasciando tutti al buio e scatenando un vero putiferio.
“Dannazione, sono loro!” Ryo
sibilò a
denti stretti, sperando che Saeko non lo avesse udito: la maggioranza
delle
persone erano certe che Occhi di Gatto fosse una persona, ma dopo
l’increscioso
incidente avvenuto a Shinjuku l’anno prima, quando la loro
casa era quasi
divenuta un teatro di guerra a causa di quell’egocentrico
bastardo di Shinji
Mikuni, e le tre sorelle Kisugi erano tornate per aiutarli a sistemare
la
faccenda con quell’armaiolo da quattro soldi, a cui Ryo aveva
dimostrato come
la sua Python fosse meglio di qualsiasi drone, il duo City Hunter aveva
scoperto chi realmente si nascondesse dietro
quell’identità fittizia e cosa
avesse spinto le tre sorelle a rubare per così tanti anni.
Kaori, ripresasi da quel curioso stato
di trance in cui era caduta, avvertì uno spostamento
d’aria e l’aura controllata
e tranquilla di qualcuno che appariva estremamente controllato. Quando
udì il
rumore di vetro che si infrangeva, segno che la teca era stata
sollevata e
gettata a terra. La rossa si gettò sulla figura appena
percepì che questa aveva
afferrato la collana, e ne nacque una colluttazione, perché
la ladra stringeva
il gioiello e sembrava volerlo difendere con le unghie e con i denti
ciò che si
era guadagnata, eppure… eppure, Kaori sentiva di dover
difendere
quell’artefatto. Di
dover fare qualcosa.
Si scaraventò sulla ladra, gettandola a
terra, e strinse il ciondolo a forma di luna nel palmo; mentre vi
chiuse le
dita intorno, sentì il palmo bruciarle, e come se emanasse
una curiosa energia,
il ciondolo si mise a brillare…. Sembrava di guardare
direttamente il sole,
tanto era accecante quella luce, flash che non permisero a nessuno di
capire
cosa stesse accadendo nonostante la stanza stessa straripando di una
luce
incandescente che pareva bruciasse tutti coloro che toccava da dentro,
a
partire dai recessi dei loro animi… l’energia
sprigionata fu tale che Kaori si
sentì sbalzare contro il muro, e cadde a terra, in
ginocchio, come imbambolata.
E poi…. E poi il buio, e di nuovo la
luce, ma stavolta quella fredda ed artificiale delle lampade di
emergenza che
erano finalmente scattate, rivelando la triste realtà di
cosa fosse accaduto a
tutti i presenti.
“Dannazione, ci ha fregati!”
Saeko
sibilò a denti stretti, così furente che i
capelli le si drizzarono in testa,
sbattendo le scarpe dal tacco vertiginoso sul pavimento di marmo come
se fosse
stata una bimbetta petulante. Si voltò verso Ryo, per
inveire contro di lui e
la sua incapacità – come se lei avesse fatto
qualcosa di meglio- quando
tuttavia si immobilizzò lei stessa, quasi fosse in stato di
shock: lo sweeper
teneva tra le braccia Kaori che, nonostante gli occhi semi-aperti,
pareva
essere incosciente e non rispondeva alla voce del partner…
“Ma cosa diavolo sta
succedendo?”
“Bella domanda….”
Lo sweeper sussurrò
mentre prendeva tra le braccia la donna che pareva in uno stato di
incoscienza,
il corpo molle ed arrendevole come quello di una bambola di pezza. Il
capo di
Kaori ricadde all’indietro, mentre un braccio ciondolava
inerme. Ryo fissava la
figura immobile, le labbra socchiuse con la morte nel cuore che aveva
quasi
smesso di battere per la tensione. Strinse i denti mentre sentiva
montare la
rabbia, l’odio e di rancore verso le tre ladre: per
gratitudine e rispetto,
assecondando un silente codice morale, aveva mantenuto il segreto delle
donne,
e seppure avesse accettato quell’incarico dalla bella
poliziotta lo aveva fatto
più perché tanto lo faceva sempre che per
acciuffare realmente le ladre- anzi,
la sua idea fin dal principio era stata quella di permettere alle fanciulle di mettere
le mani su quel pezzo
di latta, di cui, francamente, non capiva né valore
né bellezza. “Saeko, porto
Kaori dal professore. Forse lui ci capirà
qualcosa!”
Con passo svelto ma tuttavia delicato,
Ryo uscì tenendo la donna tra le braccia, affondando il naso
nei capelli
soffici che profumavano di primavera; quel semplice gesto gli dava una
certa
sensazione di tranquillità, di pace, era quasi confortevole,
quasi una parte
recondita del suo cervello, o forse del suo cuore, gli stesse
confidando che
sarebbe andato tutto bene, nonostante quegli occhi apparentemente
spenti che
sembravano fissare il nulla.
Raggiunta la macchina, aprì con molta
poca delicatezza la portiera, dandole un calcio, restio a separarsi
dalla socia
per anche solo un attimo, poi la sistemò sul sedile
passeggiero mettendole la
cintura di sicurezza: ancora nulla, Kaori non reagiva.
Le diede un leggiero bacio sulla
fronte, chiudendo gli occhi, tremando quando la pelle pallida, sotto
alle sue
labbra, risultò gelida, e le accarezzò la
guancia.
“Ehi…” le disse
dolcemente, incerto s
elei potesse sentirlo o meno, ma sperando tuttavia che le sue parole le
arrivassero al cuore e le donassero l’energia necessario a
combattere contro
qualsiasi cosa le stesse accadendo. “Non farmi scherzi, eh?
Che noi dobbiamo
ancora riprendere quel discorso della radura….”
Inalò ancora una volta il suo profumo
delicato, poi si mise al volante della scattante vettura in direzione
dell’uomo
che, come un padre, si era preso cura di lui quando la vita stava per
abbandonare il suo corpo mortale a causa della Polvere degli Angeli.
Nella caotica notte di Tokyo, mentre le
tenebre li avvolgevano e le luci scintillanti delle insegne al neon e
dei
lampioni sfrecciavano al fianco della Mini, Ryo, rivolgendo al corpo
inerte
occhiate furtive, pregò con tutto sé stesso a
tutte le entità in cui mai aveva
creduto che non fosse quello il giorno in cui rompeva la promessa fatta
al
migliore amico di prendersi cura della dolce e bella Kaori, e che come
il
Professore aveva salvato lui, potesse fare altrettanto per
lei… perché se fosse
accaduto qualcosa a Kaori, non solo non se lo sarebbe mai perdonato, ma
soprattutto, con lei sarebbe morta anche una parte di lui: la migliore,
quella
che lei aveva fatto germogliare e aveva amorevolmente curato, fatto
crescere e
germogliare.
A denti stretti, dando un pungo al
volante, Ryo si fece una promessa: se Kaori fosse sopravvissuta,
avrebbe
ripreso il discorso della radura, avrebbe apertamente ammesso i suoi
sentimenti
e non le avrebbe mentito, mai più.
Erano
passati tre quarti d’ora da quando Kaori aveva varcato la
soglia della clinica
del professore; l’uomo, per rendere il
“soggiorno” il più confortevole
possibile, l’aveva sistemata in una stanza da sola, dove lei
avrebbe avuto la
sua privacy- lei, e soprattutto Ryo, che non accennava a voler lasciare
il suo
fianco per nulla al mondo. Kazue aveva attaccato al petto alla fonte
della
giovane donna diversi elettrodi, le aveva posizionato i cuscini
affinché fosse
comoda, e aveva provveduto a far avere una sedia decente a Ryo, che non
lasciava la mano della giovane per nulla al mondo, ma tuttavia, seppure
il
vecchietto lo avesse rincuorato delle condizioni buone in generale
della
fanciulla, continuava ad essere fredda come il ghiaccio e adesso aveva
perso del
tutto i sensi.
Fu allora che un rumore di tacchi lo
avvertì che qualcuno stava entrando nella stanza, e dal
profumo inconfondibile
– nonché il particolare aroma delle sigarette che
la donna fumava, dalla nota
altamente distintiva – senza bisogno di voltarsi Ryo
riconobbe Rui, la maggiore
delle tre sorelle, che mestamente lo raggiunse e, afferrata una sedia,
gli si
sedette accanto. Tuttavia, Ryo rimase freddo e distaccato, rifiutandosi
di
incontrare lo sguardo di quella donna che considerava parzialmente
colpevole
per quello che stava accadendo e del precario stato di salute di Kaori:
poco
importava cosa dicesse il professore, lei non aveva ancora ripreso i
sensi e la
sua pelle era gelida, quindi qualcosa che non andava doveva
assolutamente
esserci. Lui lo sapeva, se lo sentiva nelle ossa, nel profondo, e
nessuno
glielo avrebbe mai tolto dalla testa.
“Vedo che Falcon ti ha avvertito di
venire qui…” le sibilò contro, senza
tuttavia guardarla. La donna, che aveva
avvertito sia il tono che il fatto che Ryo si fosse riferito al comune
amico
con il suo nome anziché il nomignolo che gli aveva
affibbiato e che con cui era
noto, sistemò la ciocca castana che le ricadeva sugli occhi
con un sospiro, e
con un sorriso lanciò un’occhiata alla donna
distesa nel letto. Quando si erano
incontrate oltre un anno prima Kaori l’aveva assicurata che
lei e Ryo erano
solo soci, ma le reazioni di gelosia esagerate di lei, e gli sguardi
che lui le
lanciava, carichi di affetto, raccontavano ben altra storia.
“Ti conviene fare
attenzione, non vorrei che Saeko ti trovasse qui. Non è
tonta come il vostro
amichetto, lei due più due lo sa fare eccome!”
Rimasero entrambi in silenzio, a
squadrare il corpo inerme di Kaori, prima che Ryo si alzasse,
giocherellando con
le dita della partner un ultimo attimo prima di andare nel corridoio, e
fu lì
che, appoggiato con la schiena al muro e accendendosi una sigaretta,
prendendo
un grosso sospiro, quasi si fosse dovuto preparare al peggio, lo
sweeper pose
la domanda che gli attanagliava il cuore.
“Rui… cosa diavolo
è successo in quel
museo?”
La donna, sempre pacata, seria e
controllata, prese a torcersi le dita, incapace di guardare Ryo negli
occhi. Mordendosi
le labbra, si preparò alla sua ammissione – una
storia raccontata, una storia
pazza ed incredibile, che non aveva alcun senso, ma che avrebbe potuto
spiegare
cosa stesse accadendo alla socia di Ryo; un solo incontro le era
bastato per
scoprirsi amica di Kaori, per lasciarsi conquistare da quella giovane
donna col
sorriso, con la determinazione e la fiducia
nell’umanità e nelle seconde
possibilità, cosa assai rara per una persona che compiva il
lavoro di sweeper…
o di ladra.
“Ricordo che mio padre mi raccontava
una leggenda, legata all’Occhio di Ebe. Diceva che quando un
animo inquieto,
con… con questioni in sospeso e rimorsi lo teneva tra le
mani, il suo potere
venisse rilasciato, e quella persona tornasse, con il corpo e la mente,
al
momento decisivo della sua esistenza per capire se quelle scelte
fossero state
quelle giuste, e questo fino alla successiva luna
nuova…”
Ryo si grattò il capo. Quella storia
era assurda – per quanto, di cose starne lui e Kaori ne
avessero viste, tra
telepati e fantasmi, quindi non si sentiva di escludere del tutto dal
reame
delle possibilità il viaggio nel tempo, ma anche fosse stato
vero, cosa avrebbe
significato per Kaori? Quale era stato il momento decisivo della sua
vita… la
morte di Maki, la sua adozione? O forse quando aveva accettato di
tornare da
lui dopo la questione di Kaibara, o magari sarebbe ritornata indietro
con la mente
a soli pochi mesi prima, alla radura….
Strinse i denti maledicendosi,
guardando con acuta ferocia Rui. Non riusciva a credere che avesse
potuto
prendere in considerazione quell’idiozia. Che quella mocciosa
gli avesse letto
nell’animo era una cosa, Kaori che ringiovaniva?
Tutt’altra. Gettando la sigaretta
a terra e spegnendola col piede, nonostante se la fosse appena accesa,
Ryo
tornò nella stanza con le mani in tasca, e stupito e sotto
shock si fermò sulla
soglia, fissando Kaori che sembrava stesse per svegliarsi, dal modo in
cui si
muoveva nel letto. Ma
non era stato
questo a scatenargli quella curiosa reazione- una reazione simile a
quella di
Rui, che con gli occhi sgranati si coprì la bocca per la
sorpresa… perché sì,
nel letto c’era una ragazza con corti capelli riccioluti
tendenti al rosso,
labbra sottili e decisamente alta per la sua età, ma quella
stessa ragazza
aveva anche il corpo più acerbo rispetto alla Kaori che Ryo
conosceva ed era leggermente
più bassa di lei, e la camicia da notte che le aveva fornito
Kazue era enorme
su quel gracile corpicino androgino.
Sì, quella era Kaori, Ryo lo sapeva, ma
quella non era la metà di City Hunter: quella
era…. Era la sua Sugar Boy,
studentessa del liceo di sedici anni.
Cristo
santo onnipotente!