Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
Ricorda la storia  |      
Autore: Little Firestar84    02/03/2021    12 recensioni
In una tiepida mattina d'estate, mentre si apprestano ad andare alla disperata ricerca di cleinti, proprio davanti alla porta di casa, Ryo e Kaori si trovano davanti una bella sorpresa: un bebè. Chi è, da dove viene? E sopratutto... quanto scompiglio potrò portare nelle loro vite?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 L’XYZ DEL BEBÈ

One-Shot ispirata a “Il dono dell’angelo”, storia breve di Hojo scritta e pubblicata per la prima volta nel 1988, su Tsukasa Hojo’s Short Stories 1, da noi nel 2000 su Point Break vol. 4- Hojo World 1, edito da Star Comics.

Testa sotto al cuscino, nudo come un verme, con ancora addosso i postumi di una sbronza colossale e l’odore dell’alcol ingurgitato in compagnia del compare di merende Mick la notte precedente, Ryo Saeba fingeva solamente di dormire. In  realtà pensava, rifletteva. A renderlo insonne e bisognoso di rifuggire la sua stessa casa era una donna, anzi, LA DONNA, Kaori Makimura, partner, socia, amica, famiglia, angelo sulla sua spalla e, per quanto gli dolesse ammetterlo, amore della sua vita.

Amore che, tra l’altro, lei ricambiava, nonostante quello fosse nient’altro che un folle sentimento che un uomo nella sua posizione non si sarebbe mai potuto permettere di provare; ma ormai era passato troppo tempo, erano troppi anni che Ryo lottava contro il proprio cuore, ed in un modo o nell’altro lo stava facendo ancora: aveva ammesso con sé stesso di amarla, ma ammettere, a chiare lettere, con Kaori cosa provasse era tutt’altra storia…

Per questo, dopo quello che era avvenuto nella radura, quella mezza ammissione (“sopravvivrò per la persona che amo”) Ryo aveva fatto un mezzo passo indietro, comportandosi con Kaori come se nulla fosse accaduto, e nessuna parola avesse lasciato le sue labbra (nonostante la presenza di un testimone). Quel giorno di estate in cui Miki e Falcon erano convolati a giuste nozze , dopo il ferimento della sposa, Kaori era stata rapita, e dopo che l’aveva ritrovata, Ryo aveva deliberatamente scelto di lasciare il discorso in sospeso, evitandolo, ed evitando la socia tutte le volte che avvertiva che suddetto discorso stesse per essere per affrontato.

Da qui le tante, molte, troppe nottate passate fuori, a bere, girovagare, e cercare sollazzo in conturbanti e svenevoli corpi di giovani e sensuali donne dai facili costumi – tra l’altro inutilmente, perché c’era sempre qualcosa che frenava i suoi entusiasmi di giovani stallone, che fossero le stesse femmine, reticenti ai suoi animaleschi e perversi approcci, oppure la sua coscienza, o quello che ne restava, che gli faceva fare marcia indietro non appena la possibilità di concretizzare gli si presentava davanti, rammentandogli il sorriso della bella e dolce Kaori.

Ryo brontolò. Doveva togliersi Kaori dalla testa, se non proprio dai piedi. In quella dannata radura lei aveva rischiato di rimanerci secca perché il generale pensava che fosse la sua donna. Era stato un campanello dall’allarme, l’ennesimo, ma soprattutto la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, prova evidente che City Hunter non poteva avere una famiglia, per quanto, dopo aver avvertito il calore del corpo di Kaori attraverso la lastra di vetro che li separava sulla nave di Kaibara, la mente dello sweeper avesse iniziato a giocargli il crudele scherzo di mostrargli bimbetti dai riccioluti capelli rossicci e gli occhi neri.

“Sveglia pigrone, dobbiamo andare alla stazione!” Con la sua squillante voce (come facesse ad essere così pimpante a quell’ora disonorevole- le sette, secondo la sua sveglia - Ryo proprio non lo capiva) e la grazia tipica di una mandria di elefanti imbizzarriti, Kaori irruppe nella sua camera suonando un gong per dargli una sonora svegliata. Ryo si sedette sul letto, le vergogne a malapena coperte dal sottile lenzuolo, sbadigliando sonoramente, mentre la  sua socia fece una faccia disgustata e si chiuse il naso con due dita mentre spalancava la finestra. “Porca miseria, c’è talmente tanta puzza che sembra di stare in una distilleria, ma come fai a dormire in un questo stato?”

Kaori gli lanciò un’occhiataccia carica di giudizio, e Ryo, ridacchiando, si grattò la testa: nel dubbio, meglio stare zitti.

“Lasciamo perdere, tanto sei una causa persa.” Sospirò la donna alzando gli occhi al cielo, parlando forse più a sé stessa che a lui in particolare. “Senti, giù hai il caffè, io vado a vedere se c’è qualche XYZ alla lavagna, tu guarda di essere pronto per quando torno che voglio distribuire un po’ di volantini, siamo quasi al verde e tra un po’ i creditori riinizieranno a suonare alla porta!”

Facendo cenno di sì come un bravo cagnolino, lo sweeper attese che la socia fosse uscita per lasciare il letto, dove, attizzato dalla presenza di Kaori, il suo amichetto smaniava di uscire fuori a giocare con l’oggetto delle più spinte fantasie erotiche del buon Saeba, che fissò con astio e rimprovero quel Mokkori birichino. “Stai a cuccia, dannazione! Lei non deve sapere che ci piace! Kaori non si tocca, lo sai!”

Intimorito dal tono di Ryo, che sembrava minacciarlo di fargli passare il resto della vita in bianco, la virilità dello sweeper tornò a cuccia, e Ryo si lasciò cadere sul letto, coprendosi il volto con le mani: non era mai stato esattamente normale, ma adesso stava decisamente uscendo fuori di testa, doveva fare qualcosa e al più presto.

E fu in quel momento che sentì l’urlo raggelante di Kaori provenire dall’ingresso del loro appartamento; infilandosi al volo un paio di boxer, afferrò la fidata Python dal comodino, e corse a perdifiato lungo la scala, evitando di chiamare la donna facendo battute idiote (“Cos’è, ti sei vista allo specchio?”); puntò l’arma sulla porta, dita sul grilletto, concentrato per prendere la mira, quando tuttavia qualcosa destò la sua attenzione e lo riportò con i piedi per terra.

Kaori fissava qualcosa davanti a lei, terrorizzata, tremante, incapace di proferire una sola parola, e stava indicando quello stesso qualcosa da cui era incapace di distogliere lo sguardo.

“Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo! Ma si può sapere che cavolo ti passa per la testa, brutta cretina che non sei altro?” la accusò lui, ringhiandole contro, sbattendo i piedi per terra, mentre al contempo le si avvicinava per vedere cosa la stesse terrorizzando a tal punto. Un ragno? Un topo? Poteva essere tutto o nulla.

Poi, Ryo, lo vide, ed in modo quasi automatico, il suo corpo assunse la medesima postura di quello di Kaori. Nascondendosi dietro di lei, tremante, indicò lui pure l’oggetto alieno che si trovavano davanti… un passeggino, che era tutt’altro che vuoto, perché dentro c’era… cosa, un neonato? No, Ryo non era quel grande esperto di bambini, ma fino a lì ci arrivava, quello (o quella) doveva avere più di un anno.

Il piccolo – un maschio, dato che sul bavaglino c’era ricamato a punto croce il nome Hide – allungò le manine verso di loro, tutto tranquillo e sorridente, nemmeno si fosse trovato contornato da mille pupazzi, ed esordì con la sua dolce vocina… “Pa- pà.”

Immediatamente lo sweeper si fece piccolo, piccolo e fece un passo indietro, avvertendo montare l’aura assassina della socia, che si voltò per guardarlo in faccia a denti stretti, e invocando il suo più pesante martello, il Punizione Divina da 350 tonnellate, lo colpì alla testa spiaccicandolo nel pavimento, mentre borbottava le frasi maniaco, bugiardo, stronzo, te lo do io la donna che ami, non mi prendi più per il culo senza attendere che lui si spiegasse, che le desse una qualche giustificazione, senza considerare cosa potesse essere accaduto… Hide lo aveva chiamato papà, quindi Ryo non solo era andato a letto con un’altra, ma l’aveva pure messa incinta e adesso la bella voleva mollare a lei il frutto del peccato.

Col cavolo. Stavolta faceva le valigie e lo mollava sul serio, altro che andare a lavorare con Mick… lei si prendeva l’aereo e andava a starsene vita natural durante a New York con Sayuri, pazienza se l’inglese non lo sapeva ancora, lo avrebbe imparato, e nel frattempo qualcosa si sarebbe inventata. Di certo, non sarebbe rimasta lì a reggere il gioco – o peggio, il moccolo -  a quello smidollato di cui cretinamente si era innamorata!

La sua marcia verso la sua stanza, e le valigie, fu però interrotta dalla risata del bambino, che allegro batteva le mani e le allungava verso di lei, chiamandola… “Mama!” 

“Allora sei tu che mi hai nascosto qualcosa!” Ryo ringhiò, indicandola, la rabbia che lo aveva aiutato a liberarsi in un battibaleno del pesante martello e a riprendersi come se nulla fosse accaduto, mentre, la Python impugnata, il dito sul grilletto iniziava a tremargli dalla voglia, e dal bisogno, di sparare un colpo in mezzo agli occhi a chiunque avesse osato insudiciare il corpo della sua Kaori: che lui non la volesse toccare era un conto, che gli altri ritenessero di poterlo fare era un altro. “Confessa… chi è stato? Mick? Quel produttore televisivo da strapazzo? Quello sbirro quattrocchi? Chi ti ha messo le mani addosso? Chi è il padre di tuo figlio?”

“Il… il padre di….” Kaori strabuzzò gli occhi, balbettando con la bocca da pesce lesso. Poi, colpita nel vivo dalla filippica del suo socio, memore di tutti quei complimenti che negli anni le aveva fatto- non per ultimo definirla un mezzo uomo - e ribadire sempre e comunque che no, lui, con una (anzi, uno) come lei non ci sarebbe mai stato, lo polverizzò nuovamente con uno dei suoi pesanti martelli. “Come osi pensare di poter controllare la mia vita, lurido maiale! Non sei mio marito né mio fratello, e comunque, come ti permetti di pensare che avrei potuto nascondere una gravidanza, brutto cavernicolo cretino… al massimo quello può essere figlio tuo, sei tu quello che va con tutte tranne che la sottoscritta!”

Un leggiero ah, già salì da sotto il pesante martello che copriva la testa di Ryo, incastrata di nuovo nel pavimento, per la gioia e delizia del piccolo che continuava a chiamare Papa e Mama e ridere e battere le sue paffute manine colmo di giubilo.

Liberatosi dal martello, ancora coricato a terra, Ryo intanto guardava con tono accusatorio la creatura, chiedendosi chi fosse, da dove venisse, e come porre rimedio all’intera faccenda… di certo, non era figlio suo: non lo avrebbe mai ammesso con Kaori, nemmeno sotto tortura, ma ormai era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che era stato con una donna - ammesso e non concesso che il profilattico avesse fatto cilecca – che quel bambino era troppo piccolo per essere figlio suo.

Si perse tuttavia in quegli occhietti scuri, ed il suo cuore fece uno strano movimento ballerino, il calore gli si diffuse nel petto, quando la sua mente gli fece il crudele scherzo di mostrargli quello che lo sweeper poteva immaginare come solo il paradiso potesse essere, l’utopia suprema…. Si vide coricato a letto, la mattina, con i raggi del tiepido sole che entravano dalle veneziane, e Kaori che, seduta contro la testata, allattava al seno quel marmocchio, mentre lui posava il capo sul grembo della sua compagna, facendo le fusa mentre lei gli accarezzava lo scalpo.  

Istintivamente, allungò la mano verso il bambino, per sfiorare quel nasino e quelle guanciotte, quei grandi occhi scuri, ma si fermò, le dita a mezz’aria. Ma che cavolo vado a pensare? Mica può essere figlio mio e di Kaori… con lei non ci sono mai stato! Anche  se sì, effettivamente, con quel gran bel corpicino qualche pensiero me lo sono sempre fatto, insomma, ha un bel paio di tette e un gran bel culetto, però mica bastano i sogni per fare i figli… si redarguì, maledicendosi per quello sciocco pensiero.

“Ryo!” Seduto a terra ora a gambe incrociate, si sentì chiamare, e si voltò verso Kaori, che, borsa in spalla e scarpine col tacco ai piedi, era già pronta ad uscire (mentre lui era ancora letteralmente in mutande).  “Chiunque siano i genitori di questo bambino dobbiamo capire cosa è successo, e non credo che la casa di City Hunter sia un posto abbastanza sicuro per questa povera creatura innocente, quindi datti una mossa e vestiti, dobbiamo uscire a fare un po’ di domande in giro!”

Come un fedele cagnolino, Ryo si mise a fare cenno di sì col capo, quasi fosse stata Kaori il grande capo- e tutto per la somma delizia di Hide, che non pareva minimamente interessato a smettere di ridere…

 

            Ryo aveva interrogato tutti i suoi informatori, Kaori aveva fatto il giro di tutti gli abitanti più “tranquilli” di Shinjuku, erano andati anche al parco dove si erano conosciuti per vedere se qualcuno sapesse qualcosa di un bimbetto di nome Hide, ma non erano giunti a nulla: nessuno sapeva nulla, ed era come se quel bimbetto fosse apparso dal nulla davanti alla loro porta di casa, neanche fosse stato uno spirito o chissà che altro- peccato che fosse un bimbetto in carne e ossa che Ryo, con suo grande disgusto, chiudendosi il naso con una molletta e guardando in alto, aveva pure cambiato. L’unica cosa positiva era che Kaori aveva sorriso e riso, dandogli una leggera gomitata nel costato constatando che sembrava di entrare in bagno quando lui era appena uscito e che quindi, sei proprio sicuro che non sia figlio tuo?

Purtroppo no, non era figlio loro, nonostante ogni volta che Kaori teneva in braccio la creatura quel pensiero tornasse assillante a perseguitarlo, rendendolo inquieto… un desiderio ed un sogno mai apertamente ammessi, né a sé stesso né, tantomeno, a lei, per quanto fosse pazzo ed irrealizzabile: poteva uno sweeper avere una famiglia? Il Professore gli aveva sempre detto di no, suo padre gli aveva insegnato che amare qualcuno era una debolezza, eppure, guardare la donna (più o meno segretamente) amata che teneva in braccio quel piccoletto lo riempiva di una tenerezza infinita, e gli faceva venire voglia di rimangiarsi quelle assurde affermazioni sul fatto che i bambini non gli piacessero o lui non li volesse.

Alla fine, avevano preso una decisione: i loro informatori non sapevano nulla? Forse quelli di Falcon invece avevano udito di qualche coppietta nei guai con la mala, e dove non arrivava l’amico scimmione poliposo forse sarebbero giunte le orecchie di Miki con cui le clienti erano più aperte alla confidenza, dato il suo sorriso ed i suoi modi affabili. Un po’ più speranzosi, avevano quindi varcato la soglia del Cat’s Eye Cafè, dove Ryo si era esibito nel suo solito numero, gettandosi nelle braccia di Miki librandosi in volo nonostante il pericolo di padelle (di Umi e Miki) e martelli (di Kaori) che lo sweeper sapeva lo avrebbero colpito in testa…

Tuttavia, a fermarlo nel suo impeto amoroso, mentre, con le braccia alla vita delle donna, affondava il viso nei morbidi seni, non furono né le une né gli altri, ma un martelletto di quelli in gomma dura usati per il montaggio dei mobili – ed il fatto che fosse di gomma non lo rendeva di certo meno doloroso – brandito nientepopodimeno che… dal piccoletto, che fissava lo sweeper con il labbro tremulo, chiara indicazione che stesse per scoppiare a piangere.

Cosa che fece, lacrimando goccioloni talmente grossi che pareva una fontana, agitando le braccine in direzione di Kaori, urlando Papa ancora e ancora e ancora, apparentemente inconsolabile, nonostante le rassicurazione della donna ed il fatto che Ryo, una volta ripresosi dalla shock di quel comportamento così peculiare (così da Kaori) avesse cessato le sue avances per correre in aiuto della partner facendo facce buffe e smorfie per far smettere di piangere il botolo, che, resosi conto di essere di nuovo al centro dell’attenzione dell’uomo, si era fatto prendere in braccio, allungandosi sorridente verso lo sweeper che acconsentì a realizzare quel semplice desiderio. Ryo, guardandolo con occhi dolci, prese a massaggiargli la schiena, fino a che il piccolo non si fu addormentato,  e solo allora si rese conto del rossore sulle guance di Kaori. Osservandolo con sguardo interrogativo, si chiedeva il perché di quella inusuale risposta del suo corpo, ma poi notò le espressioni, alcune stupite, altre incredule, altre ancora divertite, del loro gruppetto di sgangherati amici – c’erano proprio tutti quella mattina, nemmeno si fossero dati appuntamento lì apposta – e fu il finimondo.

Si parlavano addosso l’uno all’altra, dando loro addosso con tale enfasi che non avevano nemmeno il tempo di reagire o di provare a rispondere alle domande e alle accuse…

“Non riesco a credere che vi siate sposati in segreto e abbiate avuto un bambino!” piagnucolò Reika. “Povera me, i miei sogni di poter far parte di un’affascinante e sexy coppia di sweeper in amore e affari andati in fumo!”

“Beh, almeno ha preso quasi tutto dalla dolce e bella Kaori, sarebbe stato terribile se avesse ereditato il tuo brutto muso!” lo schernì Mick, mentre fingeva di rubare il naso del piccolo.

“Però, non riesco a credere che così magra tu sia riuscita a nascondere una gravidanza… ma come hai fatto, Kaori?” Domandò Kazue, preoccupata, col tono scientifico della brava dottoressa, senza tuttavia disdegnare un’occhiata accusatoria all’indirizzo di Ryo. “Questo maiale non ti ha fatto stare a dieta, vero? Durante gravidanza ed allattamento mantenere una dieta equilibrata e  prendere il giusto peso è importante per la salute della mamma e del bambino!”

“Ih, ih, ih, hai finito di fare il cascamorto con tutte adesso che sei padre!” lo prese in giro Umibozu, che sorrideva a trentadue denti a quella curiosa scenetta.

“La mia migliore amica non mi ha detto nulla… non riesco a crederci, mi hai sempre confidato tutti i tuoi sentimenti su Ryo, tutte le tue preoccupazioni, i tuoi dubbi, e non mi hai reso partecipe di una cosa così importante!” Piagnucolò Miki con tono petulante ed accusatorio. Non fu però questo a mettere in allarme Ryo, che guardava da Miki a Kaori e viceversa, quanto l’aver udito la parola dubbi… come poteva la sua Kaori avere dubbi sul suo amore per lei? Certo, lui era cafone, era stronzo, diceva un mucchio di cattiverie, ma lei doveva saperlo che era solamente un meccanismo di difesa, la loro routine, che la voleva tenere saldamente lontana dal suo cuore per difenderla dai loro nemici!

“LA VOLETE PIANTARE?! NON SIAMO I GENITORI DI QUESTO MARMOCCHIO!” Ryo sbraitò, svegliando suddetto marmocchio che si mise a piangere, di nuovo, nonostante i tentativi di Ryo di calmarlo, le piccole pacche sulla schiena, le smorfie e tutto il resto. “Su, su, dai che scherzavo, che sei il mio preferito, dai, smettila che ci guardano tutti, stai buono Hide…”

“Hide?” Saeko sobbalzò, lasciando lo sgabello dove, compiaciuta e divertita, si stava godendo la scenetta. Raggiunse gli sweeper e con le lacrime agli occhi li accolse entrambi nel suo abbraccio, cosa che sconvolse talmente tanto Ryo che nemmeno si rese conto che aveva il seno della procace poliziotta che premeva contro il suo petto. “Chiamare vostro figlio come Hideyuki… è la cosa più dolce che avreste potuto fare, grazie mille.”

“Ma… ma…” Ryo sbottò, tenendo la voce bassa, temendo di turbare il bambino, ma con uno sguardo che glaciale era dir poco. “Oh, sentitemi bene tutti quanti e mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte: io di figli, prima di aver raccolto tutti i debiti che tu, cara la mia ispettrice, mi devi, non ne voglio avere, chiaro? E comunque, il mio obiettivo….”

“Sì, sì, lo so, il tuo personalissimo obbiettivo e scopo unico della tua esistenza è dare una bottarella a tutte le donne della terra prima di passar a miglior vita, lo sappiamo…” Mick lo prese in giro, alzando gli occhi al cielo quasi rassegnato. “Lo ripeti da quando ti conosco, brutto cretino…”

“No, non tutte!” sibilò, indicando Kaori al suo fianco. “A quella una bottarella non la darei mai! Io, lo stallone di Shinjuku, il fulgido sogno erotico delle donne del nostro Paese, andare con un mezzo uomo, una virago? Mai!”

“Cos’è che avresti detto, scusa?” Gli domandò lei, secca, alzando un sopracciglio. “Ripetilo ancora se ne hai il coraggio, brutto maiale stronzo che non sei altro!” Appena pronunciate quelle parole, dettate più dall’abitudine a ripeterle ad nauseam per ricordare a nemici/avversari/criminali vari che no, Kaori non era la sua donna (quindi era inutile che pure loro la rapissero per ricattarlo) che da un pensiero tangibile ed onesto, Ryo, avvertendo l’aura della donna incupirsi, prese a tremare e si voltò verso di lei, indietreggiando verso il muro con le mani alzate nel vano tentativo di difendersi ed arrendersi, supplicando perdono per l’ennesima volta, e sempre per la stessa ed unica ragione.

Non fece in tempo a difendersi o scusarsi che uno dei martelli della donna, per il sommo divertimento di Hide, lo colpì nel cranio, facendolo volare nella strada attraverso la spessa vetrata del locale – vetrata antiproiettile, tra l’altro. Lasciando cadere il martello a terra, Kaori prese il passeggino, stizzita, naso all’insù senza degnare di uno sguardo la creatura che il destino e la sfortuna avevano voluto essere suo partner nonché l’amore della sua vita.

“Andiamo Hide, ci penserò io a trovare la tua mamma ed il tuo papà, non abbiamo bisogno di questo cretino!”

Vedendola allontanarsi, il cuore che gli palpitava nel petto al pensiero di saperla sola per le strade di Shinjuku, dove lei e quella povera creatura innocente sarebbero stati facile preda dei tanti balordi che popolavano il quartiere, urlando a squarciagola di aspettarlo e di non correre con quel trabiccolo, Ryo si alzò e galoppò alla rincorsa della sua bella, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti che non poterono che commentare come, effettivamente, quel riccioluto bimbetto dai furbi occhi scuri e i riflessi veloci sembrasse figlio della coppia…

“Già….” Saeko commentò con un sorrisetto, nonostante l’aria affranta della sorella anche aveva visto il suo sogno di sposare Ryo e con lui aprire una loro agenzia, infrangersi davanti ai suoi stessi occhi. “Quei tre sono proprio carini insieme, e poi, ormai lo sanno tutti, Ryo è cotto di Kaori e sarebbe solo ora che lo ammettesse!”

 

            Si erano fermati in un piccolo parco giochi, un’area dove soffice sabbia era circondata da splendente erbetta verde e ombreggiata dalle fronde degli alberi dove gli uccellini cinguettavano allegri, corteggiandosi, oppure circondati dalla loro prole, quasi una presa in giro dell’assurda situazione in cui Ryo era finito. Pigramente spaparanzato su una panchina a pensare, Ryo gettava occhiate furtive alla compagna, che giocava su una giostrina per i più piccoli con Hide…. Kaori era proprio carina, quel giorno, con i capelli corti e quel grazioso vestitino  di jeans e le scarpette con quel leggiero tacco sembrava una giovane mamma al parco col suo bambino… di nuovo la sua mentre, normalmente controllata e perennemente all’erta, gli giocò un tiro mancino, mostrandogli lui e Kaori seduti sull’erba, accoccolati, con un cesto da pic-nic tra di loro, e Hide, ormai cresciuto, sui tre anni, che provava a dare calci ad un pallone che sembrava più grande di lui, tra le risate ed i sorrisi dei genitori che si scambiavano coccole furtive, lontano dallo sguardo del bambino…

Sospirò, alzandosi per raggiungere Kaori dalla giostrina. Non andava per nulla bene; non era solo il fatto di avere quei pensieri, già di per sé pericolosi, era quello che stavano facendo, il giocare all’allegra famiglia felice, l’esporsi in quel modo ed il permettersi di sognare, illudersi che quella potesse essere, divenire la loro quotidianità, che potessero tenere quel bambino e crescerlo come loro.

Avevano provato tutte le strade ufficiose, non avevano funzionato, quindi, Ryo, mani in tasca e sguardo truce, dovette ammettere che era ora di passare a quelle ufficiali, e lasciare Hide nelle capaci mani dello Stato. Lo faceva tanto per il piccolo, per non esporlo ai pericoli del loro mondo, quanto per sé stesso e Kaori, che, lo poteva capire da quella luce negli occhi, quasi considerava già suo quel bambino che tanto le assomigliava.

“Kaori…” sussurrò, mesto, avvicinandola, e appena lo vide e sentì quel tono, la donna abbassò gli occhi, immediatamente rattristata, conscia che la scenetta della famigliola felice stava per finire. “Kaori, non possiamo tenerlo con noi, è troppo pericoloso, lo sai anche tu. Forse dovremmo chiedere a Saeko di contattare gli assistenti sociali perché lo prendano in custodia e possano trovare i suoi veri genitori…”

“Sei solo un verme!” Con le lacrime agli occhi, Kaori strinse i denti, ed abbracciò il bambino, tenendolo premuto contro il petto; con le ditine tozze, Hide prese a solleticarle il mento, inconsapevole di cosa gli stesse capitando attorno. “Come puoi abbandonare così un bambino così piccolo… un bambino che ti è stato affidato, poi! Cos’hai al posto del cuore, una pietra?”

“Ma andiamo, rifletti, questo potrebbe essere l’unico modo per trovare i suoi veri genitori!” Ryo sibilò, cercando di calmare i bollenti spiriti di entrambi. “E comunque qui stiamo sfiorando il ridicolo… tutti che credono che noi siamo i genitori di questo… questo botolo, e adesso ti ci metti pure tu a comportarti da mammina! Cristo santo, Kaori, te lo vuoi mettere in quella testaccia dura che noi non siamo i suoi genitori, e non ci possiamo permettere di giocare alla famigliola felice?”

Stava per continuare il suo attacco verbale, insolente come solo lui sapeva essere, ma vide Kaori piangere, le lacrime che cadevano nella chioma rossiccia del bambino che la donna stringeva a sé quasi ne fosse dipesa la sua stessa vita.

“Credi che non lo sappia?” Mugolò tra le lacrime, la voce bassa rotta dal pianto. “Io volevo una famiglia, Ryo, ho sognato di sposarmi in abito bianco e di avere un figlio… ma so che scegliere di rimanerti accanto ha significato rinunciare a vedere quei sogni realizzati… ma almeno per qualche ora, volevo poter vedere come sarebbe stata la mia vita se avessi preso una strada diversa, o se…. Se noi due fossimo stati diversi, due persone normali che si incontravano lungo la strada, in un parco, attaccavano bottone e si innamoravano…”

Ryo alzò una mano in sua direzione, desiderava dirle qualcosa, ammettere che sì, anche lui aveva avuto quei sogni, li aveva ancora, ma non poté; le parole gli morirono in bocca mentre la gola gli si seccava, arida, all’improvviso, e sentiva la propria anima piombare nella fredda oscurità mentre il suo corpo, nonostante l’arsura estiva, rabbrividiva al pensiero di una vita senza Kaori… e se lei avesse deciso che lo voleva, il matrimonio, i figli? Conscia che lui non avrebbe voluto darglieli, si sarebbe allontanata, lo avrebbe lasciato per trovare consolazione tra le braccia di un uomo meno codardo, più aperto a vivere i suoi sentimenti? Solo quella mattina aveva pensato di allontanarla, adesso, l’idea che lei potesse avere quelle cose con qualcun altro, che un altro uomo potesse guidarla attraverso quelle cruciali tappe della sua vita di giovane donna, lo attanagliava.

“Senti, Ryo…” Kaori sussurrò, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “E se tornassimo a casa? Proviamo ancora a fare un giro intorno al palazzo, chiediamo ancora un po’, magari qualcuno ha visto qualcosa, e potremmo anche controllare i nastri di video-sorveglianza…”

Ryo non rispose. Mogio, mani in tasca, si limitò a fare cenno di sì col capo, mentre si incamminarono verso casa, Kaori con in braccio il bambino, lui a guidare il passeggino vuoto un paio di passi indietro. Non riusciva a staccare lo sguardo dalla schiena di Kaori che si allontanava, e una parte di lui temeva che quello non fosse null’altro che un sinistro presagio di cosa sarebbe accaduto nel loro futuro.

Era così perso nei suoi sinistri pensieri che non si era nemmeno accorto di averli superati, mentre attraversano ad un semaforo un attraversamento pedonale.

“Oh, accidenti!” la sentì sibilare, notando che era rimasta indietro e non lo raggiungeva. Ryo si voltò per vedere cosa l’avesse fatta tardare, e vide Kaori con la scarpa impigliata in un tombino, che sembrava non volerne sapere di liberarsi. La rossa, con ancora il bebè in braccio, mentre la campanella prese a squillare, annunciando che presto la luce del semaforo da verde sarebbe divenuta rossa, si contorceva nel tentativo di liberarsi, ma non fece altro che procurarsi una dolorosa distorsione alla caviglia incriminata. Ryo rabbrividì, e vide un grosso camion  giungere all’incrocio velocemente, senza dare nessuna indicazione di voler rallentare. Quando il veicolo fu ormai su di loro, scattando rapido come un gatto, l’uomo abbandonò il passeggino e si gettò sulla donna e sul piccolo, per fare loro da scudo e allontanarli dal pericolo, e mentre guardava con la morte nel cuore il sorriso del bambino, che lo chiamava papà accarezzandogli la guancia ispida per la barba, Ryo e Kaori rotolarono a terra, lontano dal camion impazzito che andava a sbattere contro il guard-rail.

Seduti a terra, con il bambino tra di loro, mentre Kaori sembrava in stato di shock, Ryo la afferrò per le spalle e la strinse a sé, lasciandole un bacio forte, deciso sulle labbra tra le lacrime di entrambi, bacio a cui Kaori, aggrappandosi agli avambracci di Ryo, rispose con ardore, l’adrenalina generata dalla paura che la rendeva più coraggiosa, e prona a risposte immediate… non ci pensò due volte a affondare una mano in quei gloriosi capelli scuri, solleticando lo scalpo di Ryo proprio come faceva nelle più dolci e languide fantasie di lui, mentre, sospirando languida sulle labbra del suo amore, permetteva alla sua lingua di uscire a giocare, stuzzicando la bocca dell’uomo che non se lo fece ripetere due volte, ed approfondì il bacio intrecciando la sua lingua a quella di Kaori, i loro movimenti tuttavia sempre cauti per non causare fastidi al piccolo Hide.

Tuttavia… tuttavia, dopo un attimo la coppia si diviSe, quando avvertì come un vuoto tra i loro corpi, e guardando in basso, si resero conto che il bambino era scomparso; velocemente, si guardarono intorno, ma non ne trovarono traccia alcuna, anche il passeggino era sparito, e la gente che chiedeva loro se stessero bene, e rimproveravano Kaori per aver preferito una scarpa alla sua incolumità personale, non sembravano accennare in alcun modo al bebè… proprio come se non ci fosse mai stato.

Tremante, incapace di comprendere fino in fondo cosa stesse accadendo, Ryo si limitò ad offrire la sua mano a Kaori, che la accettò, e mentre la aiutava ad alzarsi, facendola appoggiare al suo corpo, la donna si guardò intorno, spaesata, alla ricerca di qualcosa che sentiva mancarle, anche se iniziava a pensare che, forse, non ci era mai stato, fin dal principio…

 

            Quella notte, Ryo era in piedi sulla terrazza del palazzo, con il viso alzato a guardare le stelle del firmamento, con un’espressione di intima tristezza che gli velava gli occhi. Con la sigaretta spenta in bocca, si chiedeva cosa fosse accaduto, se Hide fosse esistito davvero o fosse stato solo un frutto della sua mente malata, dettata dal desiderio di poter essere finalmente onesto con Kaori, dopo tutti quegli anni, ed ammettere il suo amore per lei.

Socchiuse gli occhi, sorridendo, quando avvertì avvicinarsi l’aura che ben conosceva, colma di calore, amore, affetto, un’aura che trasmetteva pace e tranquillità, e che gli faceva venire in mente la parola casa: dopo un attimo, Kaori fece capolino dalla porta, e piano, lentamente, lo raggiunse, e gli si mise accanto, nella stessa posizione di Ryo. L’uomo si voltò verso di lei, e vide grosse lacrime rigarle le guance, mentre al cuore stringeva un oggetto: il bavaglino di Hide, prova tangibile che non fosse stato solo uno scherzo delle loro menti.

“L’ho trovato nella mia borsetta,” ammise lei, abbassando lo sguardo ed inalando il profumo di talco e fiori della stoffa. Il suo cuore era in affanno, e la mente talmente colma di pensieri che le pareva le stessero sfuggendo via. “Ryo, ho parlato con Miki e gli altri, e… nessuno di loro si ricorda di Hide. Come è possibile? Insomma… tu ed io ci ricordiamo di lui, e poi io ho trovato questo nella borsa… tu ci capisci qualcosa?”

“Non lo so, so solo che io di lui mi ricordo, e… e mi sembra che mi manchi una parte di me.” Ryo sospirò, sfiorandola, cercando la sua mano, che Kaori afferrò, stringendola nella sua. L’uomo si voltò a guardarla, mentre la sua presa si faceva quasi dolorosa talmente era forte, quasi fosse colma di disperazione. “Kaori, noi di cose strane ne abbiamo viste, e se… e se fosse stato… non so, un angelo? O… o un fantasma? Credi che potrebbe essere stato…. Insomma…”

L’uomo ingoiò a vuoto. Non aveva il coraggio di terminare la frase: quel pensiero era troppo folle, anche per lui, lei, ed il loro mondo.

“Tu….” A Kaori mancò il respiro quando comprese cosa volesse dire Ryo. “Credi che quell’Hide fosse… fosse il nostro Hide, mio fratello? Ma… ma come, perché?”

“Chissà… forse è stato il nostro angelo custode, e voleva che mi trovassi al posto giusto al momento giusto per evitare che venissi investita….” Ipotizzò lui con una scrollata di spalle. “O forse…  forse voleva darci un assaggio di….” Ryo si fissò i piedi, arrossendo lievemente, e fece una lunga pausa, così lunga che per un attimo Kaori dubitò che lui avrebbe terminato la frase. “Di come potrebbe essere… sì, insomma, un figlio nostro.”

Si guardarono negli occhi, e a quella candida ammissione, fatta senza battute, senza espressioni disgustate o altro, a Kaori mancò il fiato in gola: percepiva l’onestà di Ryo, come se quel desiderio, forse sempre covato, e mai espresso, di paternità dello sweeper permeasse il suo intero essere.

Sorridendole incantato da quello sguardo innamorato e speranzoso, Ryo le dette uno strattone, e Kaori finì tra le sue braccia; l’uomo la avvolse nel suo caldo, tranquillizzante abbraccio, ed affondò il naso nei capelli ricci, rossi, ed inalò quel delicato profumo che l’aveva stregato fin dalla volta in cui, dopo averla salvata da quei trafficanti, le aveva offerto la sua giacca per coprirsi. Quella volta, il profumo di Kaori era rimasto attaccato alla stoffa quando lei gliel’aveva restituita, e per settimane Ryo aveva annusato  il capo di abbigliamento di tanto in tanto, perdendosi in quell’aroma di vaniglia, avvertendo che il suo mondo fosse stato appena stravolto, senza tuttavia capire esattamente il come od il perché – per farlo, gli ci erano voluti anni, e quel giorno, quando Kaori era stata attaccata da Silver Fox, Ryo aveva compreso: per la prima volta nella sua vita, si era innamorato davvero, e di una donna che era, apparentemente, il contrario di quella che aveva sempre ritenuto essere il suo tipo.

Aveva rifuggito quel sentimento, pensando che lo stesse facendo per proteggere lei, darle la possibilità di scegliere, vivere una vita normale, ma adesso, dopo averla quasi persa in quel maledetto incidente, dopo aver stretto tra le braccia un frugoletto che aveva il nome del suo defunto migliore amico,  che aveva i capelli di lei ed i suoi stessi occhi, che li chiamava Mama e Papa… beh, quello che era accaduto era stato il proverbiale scossone, e Ryo aveva compreso che per tanti anni non era stata lei quella che lui aveva difeso dalla potenza dei loro sentimenti, ma sé stesso. Era rimasto solo fin da bambino, Kaibara gli aveva insegnato che l’amore era una debolezza, il Professore che era pericoloso,  aveva perso tutti i suoi migliori amici, era stato tradito, abbandonato, messo da parte, e l’idea che Kaori avrebbe potuto riservagli lo stesso trattamento lo aveva impietrito, Ryo aveva preferito combattere quell’emozione, rifuggirla, continuare la sua vita come se lei non fosse esistita o non fosse nessuno di importante.

Adesso, era giunto il momento di mettere fine a quella finta. Forse avrebbe finito col soffrire, forse le cose non sarebbero andate tra di loro – anche se, visto come erano ingranati, e dalle scintille che facevano quando si baciavano con un vetro tra di loro ne dubitava – ma adesso sapeva che ne valeva la pena, perché se le cose avessero funzionato, allora… allora, Hide sarebbe tornato nelle loro vite, e Ryo gli avrebbe messo al collo quel bel bavaglino quando fossero andati al parco, a fare un pic-nic, o anche solo per stare a casa, accoccolati tutti quanti assieme sul divano guardare un film e mangiare pop-corn.

Con un senso di calore che lo riscaldò e gli trasmise una sensazione ineguagliabile di pace e gioia, comprese che ciò che quel giorno aveva immaginato non fossero meri sogni, ma la realtà che avrebbe potuto attenderli, una quotidianità a cui non credeva di aver diritto ad aspirare ma senza cui non sarebbe più potuto sopravvivere.

Il loro bambino. Il loro piccolo angelo. Lo voleva, di nuovo, nelle loro vite, il prima possibile, se Kaori avesse accettato – se Kaori lo avesse ancora voluto- e avrebbe difeso la sua famiglia come un leone, con le unghie e con i denti, implacabile con i nemici se fosse stato necessario.

Stringendola a sé, Ryo rubò un bacio a Kaori, prima di farla squittire quando la sollevò in aria come se non pesasse nulla, e, tenendola in braccio, corse giù lungo le scale a tre scalini per volta, mentre lei gli stringeva le braccia al collo e, arrossita, nascondeva il viso nel petto dello sweeper.

“Ma… ma… Ryo, cosa fai?” riuscì finalmente a chiedere quando lui, con un calcio, spalancò la porta della camera da letto, e lui si immobilizzò un attimo, colmo di dubbi, cercando di percepire il recondito significato dietro a quelle due semplici parole. Che non lo volesse? Che non si sentisse pronta? Possibile che Kaori, innocente vergine, fosse spaventata all’idea di finalmente consumare il loro rapporto? Temeva forse che sarebbe stato solo sesso? Che lui si sarebbe tirato nuovamente indietro? Oppure, semplicemente, voleva che lui la conquistasse, che la corteggiasse, prima di oltrepassare quella soglia?

“Beh, ecco, io, insomma, pensavo, ma se tu non vuoi…” le rispose, completamente privo di senso, verbi senza soggetto, complemento oggetto, un miscuglio di parole che a molti sarebbero parse prive di senso compiuto, ma non a Kaori, che sorridendo, gli si accoccolò contro, sospirando languida, mentre con le dita giocherellava con ciocche ribelli di capelli neri che avrebbe davvero visto bene su una bambina, Anna – il sogno.

“Io… no, lo voglio anch’io, Ryo, da tanto, ma…” si morse il labbro, timida, e lui le sorrise, dolce, baciandole la fronte come aveva fatto tanto tempo prima, facendole capire forse per la prima volta quanto tenesse a lei, quanto lei fosse già il perno della sua esistenza. “Però… possiamo andarci piano, per favore?”

Non le rispose, non a voce, almeno - d’altronde, loro da tempo ormai non avevano più bisogno delle parole per comunicare, un tocco, uno sguardo valevano più di lunghi discorsi – e sempre sorridendole, la posò sul suo – loro- letto, e le si adagiò accanto, prendendola tra le braccia e lasciando che il ritmo del suo cuore, placato dalla presenza angelica della donna dopo che per anni la tempesta vi aveva imperversato, la cullasse, facendola addormentare.

Ryo passò ore a guardarla, a godersi quella visione, e mentre le accarezzava i capelli, e immaginò cosa potesse attenderli nel loro futuro: Kaori addormentata tra quelle stesse coperte, nuda e sudata dopo aver fatto l’amore, oppure con indosso solo una delle sue camicie, o una sua maglietta, ma anche scoprire chi fosse realmente, ottenere, con le buone o le cattive, un nome, per poterla sposare, vedere realizzato il sogno di Kaori di indossare un abito bianco per andare all’altare – accompagnata dal professore, dal polipo? – e poi cercare quei bambini, un maschietto con i capelli di lei e gli occhi di lui, ed il cuore della mamma, ed una femminuccia intraprendente come il papà, con occhi da cerbiatta color nocciola e setosi capelli neri ribelli.

Dandole un ultimo bacio sulla fronte, stringendola forte a sé come un tesoro prezioso, Ryo si lasciò cadere tra le braccia di Morfeo – e per la prima ma non l’ultima volta, controllare dove la Python esattamente fosse nella camera da letto  fu l’ultimo dei suoi pensieri.

A/N: Anna è il nome della bambina che i protagonisti di “Il Dono dell’Angelo” trovano, e che si rivela essere… un angelo, un’apparizione dal futuro? Mistero: Lei, tre anni nel manga, sa di essere loro figlia, e serve a far capire al padre, donnaiolo il cui unico scopo nella vita è sposarsi una principessa, che la ragazza che ha avuto sotto al naso da una vita è quella giusta per lui e lo ama…

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart / Vai alla pagina dell'autore: Little Firestar84