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Autore: PitViperOfDoom    10/03/2021    1 recensioni
Midoriya cede sotto il peso di cose che potrebbero essere fuori dal suo controllo. Bakugou affronta il problema buttandogli in pasto Todoroki.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Be Enough
 


Katsuki era indisposto.

Non poteva nemmeno classificarlo come cattivo umore, in realtà. Di certo non era di buonumore, visto che aveva passato l’intera giornata a “recuperare il tempo perso” con Doppia-Faccia, il Lecca Lecca immusonito; ma almeno non gli sembrava di aver buttato via il suo tempo. Stava imparando cose. Portando a ternime altre. Non erano le cose che voleva fare, ma erano quelle che doveva fare se voleva spiccare tra tutti. Alla fine della fiera era stata una giornata un po’ di merda, ma almeno non completamente.

(Passare del tempo insieme ai Variopinti Fenomeni da Baraccone Omicidi tendeva a farti rivalutare le tue priorità. “Come t’è andata la giornata, Bakugou?” “Beh non l’ho passata ad ascoltare Freddy Krueger e il suo sclero senza senso sul mio reclutamento, quindi è andata una meraviglia.”)

Ma, anche se non era stata completamente una merda, i lividi e i graffi sulla faccia gli facevano ancora un male dannato e dal momento che non aveva intenzione di andare a piagnucolare dall’infermiera per elemosinare un cerotto per la bua, avrebbe dovuto mettersela via e stringere i denti finché i processi di guarigione del suo corpo non si ricordavano di fare il loro fottuto lavoro.

E per peggiorare le cose, non c’era nessuno con cui potesse lamentarsi. Kirishima era ancora fuori a fare chissà che cazzo di cosa grazie al suo tirocinio di lusso (fortunato pezzo di MERDA) e a Katsuki mancava ancora l’abilitazione per studenti di cui aveva bisogno per fare faville al test di recupero quella primavera; quindi per il resto della giornata era confinato nel dormitorio con un mucchio di secchioni, sfigati e Uraraka.

Quindi, anche se Katsuki non era esattamente arrabbiato con qualcuno o qualcosa in particolare, gli sembrava comunque di star mordendo il freno per qualcosa e col suo caratteraccio era pronto a scattare per un nonnulla. Grazie a Dio l’area comune era perlopiù vuota, altrimenti avrebbe perso la voce a forza di imprecare da solo per gli ultimi venti minuti.

Ovviamente la sua maledetta fortuna non si fece pregare: la porta si aprì ed entrò Deku. Katsuki sentì l’irritazione impennarsi alla sua mera vista. Era sudato e ansimante come se avesse appena corso e la sua cravatta faceva schifo, come sempre. Prima che Katsuki potesse decidere se digrignare i denti o girarsi per andare nella direzione opposta, Deku gli passò accanto di voltata, quasi dandogli una mezza spallata nel mentre.

Scattò, più per abitudine che per altro. “Deku guarda dove caz-“ Si fermò quando realizzò di stare parlando al vuoto. Deku era già arrivato alla porta delle scale e un momento dopo era sparito.

Fu solo grazie al suo istinto di “attacca prima e fai domande mai” che aveva guardato Deku abbastanza da accorgersene in primo luogo. Deku manteneva una cauta distanza da lui, anche dopo che erano arrivati al loro “compromesso”. L’unica ragione per cui era andato addosso a Katsuki, poco prima, era perché non lo stava guardando e il motivo per cui non lo stava dannatamente guardando era perché era troppo impegnato a cercare di non piangere.

“Oh, porca puttana.” Mormorò. L’idiota elettrico alzò la testa dal divano e disse qualcosa, ma Katsuki era troppo impegnato a pensare per prestargli attenzione. Che cazzo aveva Deku da piangere, in quel momento? Katsuki non lo faceva piangere da… okay, beh, non da così tanto, ma comunque. L’unico motivo per cui Deku piangeva in quel periodo era…

“Porca puttana.” Ripeté sottovoce, perché non voleva che gli importasse di Deku o di quello che faceva, ma alla curiosità non fregava un cazzo della roba di cui non voleva impicciarsi, specialmente quando c’entravano Deku e i suoi oscuri e profondi segreti.

(Preoccupato era un’altra cosa che non voleva dannatamente essere in quel momento, ma la vita non era giusta. Oppure lo era, e quello era il suo modo per bilanciare tutte le stronzate per cui Katsuki l’aveva passata liscia nel corso degli anni. Non c’era punizione migliore degli improvvisi sensi di colpa per tutte le stupide puttanate di cui un tempo non gli importava.)

Nella rampa di scale sentì Deku prima di vederlo, trovandolo nel primo pianerottolo, rintanato nell’angolo del muro a piangere come se qualcuno avesse appena pestato un gattino a morte davanti ai suoi occhi.

“Che cazzo di problemi hai?” Chiese.

Deku sussultò al suono della sua voce e quello fu l’istante in cui Katsuki capì che non avrebbe dovuto essere lì. Era la persona più dannatamente sbagliata per quello che stava cercando di fare. L’unica ragione per cui era lì in primo luogo era che sapeva cose che nessun’altro sapeva; e se Deku non era andato a piangere da All Might per qualsiasi cosa fosse successa, allora chi altro rimaneva?

“C’entra-” Si guardò intorno per assicurarsi che le scale fossero vuote. “C’entra All Might o qualche stronzata simile? Che c’è?”

Deku si strinse ancora di più su se stesso e scosse la testa.

“Va bene, lasciamo stare.” Katsuki alzò le spalle e tornò al piano terra. Non che si fosse aspettato una risposta, in ogni caso. Come già detto, era la persona sbagliata per una roba simile.

Se non altro, la vita gli diede un aiutino. Katsuki uscì dalla rampa di scale e quasi si scontrò contro qualcuno che poteva essere una scelta migliore di lui per quella faccenda.
 
-
 

Era semplice guarire i lividi quando per applicarci del ghiaccio bastava toccarsi la faccia.

Tagli e graffi erano un po’ più complicati, ma Shouto aveva subito molto peggio da piccolo. In verità, non era sicuro di aver bisogno di un allenamento supplementare; aveva imparato la sua lezione già alla fine di quel disastroso esame per la licenza provvisoria. Ma se voleva essere onesto con se stesso, se lo meritava. Il suo comportamento era stato inaccettabile per un eroe, nonostante le ragioni che l’avevano motivato. E poi, quella era stata una lezione di cui aveva disperatamente bisogno; ci sarebbe voluto molto di più di qualcuno che gli urlava addosso durante il Festival dello Sport per aggiustare ciò che si era spezzato in lui.

E poi, si sentiva quasi indifferente, ma quello poteva essere perché aveva il dubbio piacere di condividere quell’esperienza con Bakugou. E il massimo che provava per Bakugou era un’opprimente apatia, con un tocco di avversione, perché sapeva che c’era qualcosa di malvagio e marcio tra lui e Midoriya, ma Midoriya non gli aveva mai detto cosa fosse.

Quando marciò verso l’ascensore con tutte le intenzioni di recuperare terreno con le materie scolastiche nella privacy della sua stanza, la porta che conduceva alle scale si spalancò – quasi colpendolo – e si trovò faccia a faccia con Bakugou.

“Dovresti prendere le scale.” Scattò Bakugou.

Shouto sbatté lentamente le palpebre in sua direzione. Che Bakugou gli parlasse di sua iniziativa era talmente raro da essere praticamente un evento mitologico.

“Mi hai sentito?” Ringhiò il suo compagno di classe.

“Cos’ha l’ascensore che non va?” Chiese.

Bakugou lo fulminò con lo sguardo. “Nulla. Prendi le scale e basta, Doppia-Faccia.”

Shouto non strinse gli occhi, né cambiò espressione. “Perché?”

L’occhio di Bakugou fece un tic. “Porca di quella puttana, vacci e basta prima che Deku allaghi tutto il cazzo di edificio, ti costa tanto?”

Inizialmente, l’intento di Bakugou fece un flebile fischio mentre mancava clamorosamente il cervello di Shouto. Non era mai stato bravo con i sottintesi. Gli ci volle un po’ per capire – e sicuramente non aiutava che quella non fosse il tipo di cosa che si sarebbe aspettato infastidisse Bakugou. “Cos’è successo?" Chiese.

“Ottima domanda del cazzo. Pensi che lo direbbe a me?” Non aveva tutti i torti. “Immagino che siccome hai passato un sacco di tempo appiccicato al suo culo, magari se tu provi a parlarci la pianterebbe.”

Shouto non riuscì a nascondere la rabbia, né a impedire che l’astio trapelasse nel suo tono. “Da quando te ne importa?”

“Da quando non sono cazzi tuoi.” Disse seccamente Bakugou. “Senti, non me ne sbatte una minchia. Ho solo immaginato che per te sarebbe stato il contrario.”

“Ma innanzitutto cos’è su-”

Bakugou lo superò con una spallata e gli diede uno spintone verso le scale. “Ma che cazzo ne so. Mettici una pezza.”

Prendere ordini da Bakugou non era ciò che Shouto avrebbe considerato, beh, una buona idea. Ma in quel momento non trovò motivo di rifiutare.

Non appena la porta si chiuse dietro di lui, lo sentì. Era flebile, ovattato quasi, come se Midoriya stesse cercando di fare piano; e fu in quel momento che Shouto realizzò che forse stava commettendo un errore. Non era la sua area di competenza. Poteva combattere, poteva allenarsi e studiare e pianificare e usare entrambi gli aspetti del suo quirk con un effetto devastante, ma non aveva assolutamente idea di cosa fare quando qualcuno stava piangendo di fronte a lui.

Il che era un po’ patetico, visto che il suo amico più stretto era Midoriya Izuku. Avrebbe dovuto saperne qualcosa, arrivati a quel punto.

Quasi perse coraggio, ma il debole singhiozzare sopra di lui gli impedì di darsela a gambe levate. Shouto non poteva vedere molto del pianerottolo, ma era abbastanza sicuro che quelli che sbucavano fuori fossero i capelli di Midoriya, che facevano capolino giusto al margine del suo campo visivo. La scala era avvolta dal silenzio; ma questo significava che anche se ovattati, i singhiozzi di Midoriya avrebbero potuto benissimo essere tuoni.

Shouto salì i gradini.

La sua visione del pianto era di spietata praticità. Era una valvola di sfogo e un segnale di emergenza e soprattutto era qualcosa che facevano le altre persone, non lui. Piangere era positivo quando le altre persone lo facevano, perché se i villain piangevano allora significava che stavano per arrendersi e se dei civili piangevano significava che erano vivi e respiravano. Il pianto era il mezzo con cui le persone comunicano di essere nei guai.

Ma Midoriya non stava comunicando niente. Non stava piangendo per essere sentito – tutto il contrario. E quello significava che stava piangendo semplicemente perché non riusciva a fermarsi.

Si inginocchiò di fianco a lui prima di poterci pensare troppo su. “Cosa c’è che non va?”

L’unica sua risposta fu scuotere la testa.

“Dev’esserci qualcosa che non va.” Disse Shouto. “Non sei nemmeno riuscito ad arrivare alla tua stanza.”

Questa volta ricevette un respiro profondo e tremante come risposta. Non era sicuro che fosse meglio o peggio di un cenno della testa.

Shouto strinse i denti, perso. “Non sono bravo in queste cose.” Disse. “Sai che non lo sono. Non so cosa fare quando qualcuno mi piange davanti. Probabilmente è qualcosa su cui dovrei lavorare. Ma, uhm…” La mente gli si svuotò. “Non so dove sto andando a parare.”

Midoriya aveva il viso nascosto tra le mani, ma alzò la testa abbastanza per guardare Shouto attraverso i buchi tra le dita. Aveva gli occhi rossi dal pianto e non sembrava che avrebbe smesso nell’immediato futuro.

“Vuoi… vuoi parlarne?”

Questa volta, scosse la testa più a lungo e con più energia.

“Okay.” Shouto si spostò, appoggiando un ginocchio per terra. “Vuoi, uhm… Vuoi che me ne vada?”

Le parole erano a malapena uscite dalla sua bocca quando la mano di Midoriya scattò, attaccandosi alla sua manica.

“Okay.” Disse di nuovo, perché Midoriya non aveva detto ancora nulla, ma Shouto lo sentiva forte e chiaro. “Uhm. Devo fare qualcosa? C’è qualcosa che posso fare?”

Midoriya alzò gli occhi umidi e sussurrò: “Non lo so.”

“Okay.” In qualche modo non era ancora andato nel panico. “Siamo in due, allora.”

“Mi dispiace.” La voce di Midoriya era quasi troppo rauca e spezzata da capire. “Mi dispiace, solo-“ Risucchiò un altro respiro spezzato dai singulti. “Non posso dirti cosa non va. Vorrei poterlo dire, ma non posso.”

Shouto voleva chiedere perché no? Io ti ho detto cosa non andava prima ancora di chiamarti amico e tu hai ascoltato e mi hai creduto e io posso fare lo stesso. Ma non lo fece, perché Midoriya non gli doveva niente. “Va bene.” Disse, invece. “Puoi… fare quello che vuoi?” Era troppo noncurante? Gli sembrava che fosse un po’ troppo noncurante come frase.

Ma in quel momento Midoriya si chinò in avanti e Shouto si irrigidì quando sentì la fronte del suo amico premersi piano sul suo petto.

“Scusa.” Sussurrò Midoriya. “Scusa, scusa.” La sua voce si ammorbidì – aveva di nuovo il viso tra le mani, ma era ancora appoggiato sul suo petto e Shouto lo abbracciò perché non sapeva cos’altro poteva fare con le braccia.

“V-va tutto bene.” Desiderò sapere cosa fosse successo. Magari così avrebbe potuto dire qualcosa di utile. Ma se c’era qualcosa di giusto da dire non sapeva cosa fosse, quindi si inginocchiò sul pavimento duro e lasciò che Midoriya gli piangesse addosso, sperando che fosse abbastanza.

Tese le orecchie per captare il suono della porta che si apriva ancora, vagamente preoccupato che qualcuno salisse le scale e li trovasse e facesse domande a cui lui non poteva rispondere e Midoriya non voleva rispondere. Si chiese, tentativamente, se Bakugou non avesse trovato un modo per intimidire tutti e farli girare al largo delle scale per un po’, ma non conosceva abbastanza Bakugou per giudicare quanto fosse possibile quello scenario.

Il suo amico si mosse un po’.

“Midoriya?” Chiamò. “Sei sicuro che non puoi…?” La sua voce si affievolì.

No, non sono sicuro.” Quasi non sentì quelle parole prima che l’amico singhiozzasse nuovamente per prendere fiato. “E se non fossi abbastanza? E se non importasse? E se-“ Si strozzò con un singulto. “E se non riuscissi a cambiare nulla?”

“Non ho idea di cosa tu stia dicendo.” Disse Shouto, onestamente. “Ma se c’è qualcuno che può trovare un modo, quello sei tu.”

Midoriya si irrigidì. “Non lo puoi sapere.”

“Ci sono molte cose che non so in questo momento.” Disse, sempre onesto.

Midoriya si scosse ancora, ma questa volta Shouto udì una risata bagnata. “Mi dispiace tanto.” Disse. Shouto aveva perso il conto delle volte che lo aveva sentito dire quella frase. “Scusa, non posso dirti nulla. Penso… Penso che te lo dirò, un giorno. Ti spiegherò tutto. Solo- Solo non ora. Non posso ancora.”

“Va bene.” Disse Shouto. Midoriya si spostò di nuovo per allacciare le braccia intorno a lui, senza un minimo dell’imbarazzo ed esitazione che aveva avuto Shouto.

“Grazie.” Sussurrò Midoriya.

“Di niente.” Disse Shouto e Midoriya, finalmente, si tirò indietro. Shouto non seppe articolare il motivo, ma sembrò riluttante nel modo in cui lo fece.

“Devo- uhm.” La sua faccia era ancora rossa, per il pianto o per l’imbarazzo.

“Ci vediamo dopo, allora?” Disse, offrendogli una via di scampo prima che andasse nel panico o iniziasse a balbettare.

Midoriya la colse al volo. “Sì. Grazie ancora.” Si strofinò di nuovo il viso e scivolò fuori dalla porta del corridoio del secondo piano.

Traumatizzato, Shouto lo fissò andare via per un paio di secondi e riprese fiato. Abbassò lo sguardo e vide le macchie umide sulla sua maglietta e quasi gli scappò un mezzo sorriso.

Non aveva mai fatto nulla del genere. Confortare le persone non faceva per lui; non era qualcosa che suo padre si era mai scomodato a insegnargli.

Quello da solo era un motivo più che sufficiente per imparare.



Note traduttrice: Siccome per Barefoot ci sto mettendo più tempo del previsto e prevedo una concentrazione totale su di esso non appena riuscirò a sbloccarmi, ecco a voi lo speciale per Pit! Questa one-shot in particolare è stata una vera e propria tortura da tradurre e da betare (sono sicura di poter parlare anche a nome di DanceLikeAnHippogriff), quindi speriamo davvero che apprezziate il frutto dei nostri sforzi! Stay healthy and stay safe!
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