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Autore: _Kalika_    15/03/2021    1 recensioni
L’attesa non era mai stato un grande problema per Izou.
Oden aveva ben temprato i foderi rossi a forza di sparire e apparire quando più gli piaceva.
Non era un problema attendere in generale né attendere qualcuno. Ci era abituato.
«Fai attenzione.»
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*Fanfiction partecipante alla challenge Chocolate Box, indetta dal FairyPieceForum*
Coppia: MarcoXIzou
Citazione: #8-"Uno dei più antichi bisogni umani è avere qualcuno che si chieda dove sei quando non torni a casa la notte." [Margaret Mead]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Marco
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Coppia: Marco X Izou
#8 – “Uno dei più antichi bisogni umani è avere qualcuno che si chieda dove sei quando non torni a casa la notte.” [Margaret Mead]

 
 
 
 
Care for me
 

Due braccia calde e forti che lo stringono senza lasciarlo andare, un battito agitato dal cuore anonimo. Oden al suo fianco si ferma, ridacchia discreto come sempre, pesta piano la sabbia con lo zoccolo mentre Izou riprende l’equilibrio, travolto dall’abbraccio.
«Che-che c’è?!»
Il kimono sporco di terra fruscia contro la camicia viola. Marco sposta le mani dalla schiena alle sue spalle, come se non volesse ancora allontanarsi. «Sei scomparso per tre giorni!»
«Oden sama si era perso nella foresta, per questo ci ho messo tanto a recuperarlo.» Quindi non era di Marco, quel sussulto? E cos’è lo strano formicolio che gli sale lungo la gola, sembra voler addormentare la lingua? «Mi dispiace di aver ritardato la partenza.»
Si affretta a camminare verso la Moby, il vento sta già gonfiando le vele appena issate. Qualche pirata si aggira ancora sulla spiaggia dove è ancorata, da dove Marco si è alzato in volo al riconoscere le sagome sua e di Oden.
«Il problema non è la partenza! È che… tre giorni!» Gli scuote la manica destra che era sul punto di lasciar andare, si mette al suo fianco lasciandosi quasi trascinare.
Izou lancia un’occhiata perplessa a Oden, che risponde con un’alzata di spalle. Si rigira verso Marco. «E…?»
«E… Come “e”?! Tre giorni! Ero– eravamo preoccupati!»
«Ah» Si porta una ciocca dietro l’orecchio con la mano sinistra, anche se lo coglie il sospetto che dopo tre giorni nella foresta l’acconciatura non possa sistemarsi spostando un ciuffo. Il pensiero fugge veloce come era arrivato quando si sfiora l’orecchio. Sembra che gli stia andando a fuoco. Che succede?
Stacca lo sguardo da Marco, si sofferma un attimo sulla manica del suo kimono ancora stretta tra le dita dell’altro. «Ma che pericoli possono mai esserci su un’isola del genere?»
Gli sfugge qualcosa. Ma che cosa? Cosa cambiava se fossero stati due, tre o dieci giorni? Sì, gli sfugge qualcosa. Ne ha la conferma quando l’espressione di Marco si fa confusa e le guance rosse.
«Lo so, ma… È…» Fa scivolare il kimono dalle dita, se le porta al petto. «Non lo so, è che…» Si ferma, anche se già strascicava a malapena i piedi alle spalle dei samurai. Gli punta il dito contro, lo sguardo accusatorio. «Non farlo mai più!»
«Eh?! Non-non posso concederti una promessa di questo calibro! Oltretutto, cosa ne beneficeresti?»
Non risponde. Izou percepisce un movimento al margine del suo campo visivo, ma quando volta lo sguardo Marco non si è mosso, ha ancora la mano sul petto. Gli viene quasi voglia di prenderla lui, la sua mano, per assicurarsi che non rimanga indietro perso in chissà che pensieri. Si porta invece le dita all’orecchio, fa sempre più caldo.
«E per concludere, non dipende da me. Non è vero, Oden sama?»
Ride, quel dannato, mentre alza le braccia al cielo per sgranchirsi la schiena come se l’avventura di tre giorni fosse stata un piacevole sonnellino. «Nessuno ti ha obbligato a seguirmi!»
«È mio dovere.»
«Dai, Izou, piantala con questa storia! È da quando sono salito sulla Moby Dick che non sono più il Daymio di Kuri. Non hai alcun dovere nei miei confronti.»
Non gli sfugge come Marco rallenti, cerchi di non intromettersi. Gli sale sulle labbra un sorriso di sfida. «Lo sa che non mi convincerà con queste deboli parole.»
Oden sorride. Izou non ne è sicuro, ma sembra che abbia guardato di striscio Marco prima di rivolgergli l’attenzione e posargli la mano sulla spalla. «Lo so eccome. Però almeno concediti di passare un po’ di tempo con il povero Marco mentre io sono in esplorazione, vuoi?»
 
 
 
L’attesa non è mai stato un grande problema per Izou.
Oden aveva ben temprato i Foderi Rossi a forza di sparire e riapparire quando più gli piaceva.
Non è un problema attendere qualcosa né attendere qualcuno. Ci è abituato.
«Fai attenzione.»
Forse è un po’ meno abituato a salutare le persone, ma non capisce proprio dove sia il problema. Un abbraccio, una stretta di mano. Deve davvero lasciarla andare, quella mano?
«Non sarà mica pericoloso.»
Alza un sopracciglio, sconsolato. «Un po’ sì.» Da quand’è che ha voglia di mettere il broncio? Si acciglia nello scacciare quel pensiero.
Si stringe nelle spalle, Marco. Sorride a mo’ di scuse. «Solo un po’.»
Lo lascia andare. Il legno del parapetto della Moby sembra farsi meno saldo mentre ci si appoggia e lo osserva riservargli un ultimo sorriso e trasformarsi.
Le onde riflettono il bagliore del suo viaggio fino alla scialuppa già salpata, poi si spengono e si limitano a sovrapporre uno sull’altro placidi spicchi di luna. Lontano, lontano, già non riesce a vederlo.
È molto buio. Allunga la mano nell’oscurità, Izou, non afferra niente se non un sottilissimo stilo di dolore che si infila nel petto. Vuole andare con lui, si risponde logico.
Non può.
 
 
«Izou»
«Mh?» Ruota la sedia per mettersi davanti al modesto specchio a muro mentre pesca dal tavolo la spazzola. L’angolo della lastra d’argento riflette il movimento nervoso dell’amaca più in alto.
«Cosa è successo in questi tre giorni?»
«Niente di che.» Si volta corrucciato, ma non riesce a vedere niente oltre al ciuffo di capelli biondi che fa capolino dalla brandina. Sembra che abbia affondato il viso nel cuscino. Chissà perché è tanto fissato da questa storia… «Ho rintracciato Oden sama nella prima metà della giornata. Le altre due sono servite per capire dove eravamo e tornare indietro. La foresta è più grande di quanto sembri.»
Si rigira verso lo specchio, passa la spazzola tra i capelli ancora umidi, una risata tra i denti. «Non credevi davvero che fossi morto, vero?»
«Morto no!» L’amaca traballa mentre si sbilancia verso Izou, la testa giù a penzoloni. «Però ero preoccupato...»
«Ma per cosa? Oden sama si allontana sempre senza pensarci ed è sempre tornato illeso. Se mi fossi preoccupato ogni volta che se ne andava ai tempi di Wano, non sarei arrivato a oggi.»
Uno sbuffo dall’alto gli fa intuire che non ha afferrato il concetto. Una mano sbuca dall’amaca, si muove incoerente a destra e sinistra. «Ma non è che riesca a capirlo bene neanche io. Non lo so, tipo… Mi mancavi. Lo sapevo che sicuramente sareste tornati, però comunque continuavo a pensare che forse non ti avrei più rivisto.» L’ultima parte è ovattata, filtrata dalle piume del cuscino.
Fa un po’ caldo nella stanza. Si lascia cadere i capelli sul viso, Izou, si sfiora le orecchie. Di nuovo bollenti. Apre la finestra, si spazzola la chioma con energia un’ultima volta.
Non ha molto da ribattere, né Marco ha da aggiungere. Spegne la lanterna, si sdraia nel letto. C’è tanto silenzio. Una mano scivola giù dal piano di sopra, oscilla a ritmo delle onde.
«La prossima volta puoi restare sulla Moby?» Così dal nulla, parole pensate e ripensate nella mente prima di essere pronunciate. Incerte e leggere.
La luna scandisce ombre nitide sulle dita sospese e lievemente arricciate. «La prossima volta di cosa?»
«La prossima volta che Oden se ne va senza aspettarci.» È un tono quasi colpevole, quello con cui lo chiede. Come se sapesse di non averne diritto. Le dita si ritraggono verso il palmo.
Izou si mette su un fianco. Riflette. Vorrebbe chiedergli il motivo. Vorrebbe chiedergli se è davvero così importante che resti sulla nave. Però ha l’impressione che non sia giusto dirlo ad alta voce. Una risposta ce l’ha già, e gli sta scaldando il cuore e le orecchie.
«Ok. Qualche volta.», sussurra, gli occhi stanchi che già perdono l’immagine della mano rilassata di Marco.
Non sa se lo ha soltanto immaginato, il sospiro sollevato che si perde negli spifferi.

 
 
 
Cinque giorni. Cinque giorni per andare e tornare. Questo il programma.
Entra nella cabina, lo accoglie il silenzio. Indossa lentamente la vestaglia per dormire. Si scioglie i capelli, li spazzola con movimenti ampi davanti allo specchio. Si gira verso il letto salvo poi immobilizzarsi. Non c’è nessuno con cui parlare come fa sempre mentre si pettina. Non c’è nessuno che commenta quanto dev’essere faticoso tener curati dei capelli così lunghi, non c’è nessuno che si offre di tagliarli o di pettinarli a seconda dell’umore.
Dei passi risuonano vicino alla porta, Izou drizza l’orecchio. Ma non entrano, passano oltre. Non è lui. Come non lo è da undici giorni.
Posa la spazzola. Spegne la lampada ad olio e scivola nella brandina. C’è troppo silenzio. Non è abituato a vivere da solo, l’ha realizzato negli ultimi giorni. Non che sia davvero solo, si corregge mentalmente. Ha tutti gli altri fratelli, ha Oden e Toki sama, può perfino giocare con il piccolo Momonosuke. La sua mancanza si sente, però. L’aria è un po’ tesa sulla Moby da quando Marco non è tornato nel tempo previso.
E se durante il giorno ha di che distrarsi, la notte è diverso. La piccola cabina che hanno da sempre condiviso – erano il nuovo mozzo e il servitore clandestino di Oden, finiti per forza di cose ammucchiati nella vecchia piccola stanza di cartografia – non è abituata a tanta tranquillità, e così non lo è Izou.
Chissà quanto ci metterà a dormire. Non sarà molto facile.
Non finché il posto sopra di lui resterà vuoto e non ci sarà nessuno a ipnotizzarlo con il suo dondolio, nessuno a calare una mano verso il vuoto per comunicare con una lingua sconosciuta a entrambi, per il solo gusto di far ridere, anche a costo di risvegliarsi col braccio addormentato.
Ma tornerà.
Ovvio che tornerà, non è niente di pericoloso. Non troppo. Giusto un po’.
Però… la vita del pirata è imprevedibile.
Fissa la brandina immobile. Un solo respiro riempie la stanza. Si porta una mano al viso, la passa tra i capelli.
La mente scorre indietro nel tempo. Ricorda i tanti, tantissimi giorni passati ad attendere Oden sama. A Wano, quando partiva da solo per chissà quale impresa. Sulla Moby, sulla terraferma, da quando è abituato a lasciarlo andare da solo.
Si è mai sentito così? Certo che no. Al massimo infastidito. Preoccupato, naturalmente, ancora ricorda l’affanno della corsa verso Kuri, tutti convinti dell’imminente morte del loro signore a opera di Ashura.
Però perché…
Non sta molto comodo. Ruota piano sull’altro fianco, cerca di coprire il silenzio con il fruscio delle coperte.
…perché quelle attese non facevano male?
«Non è la partenza! È che… tre giorni!»
«E…?»
Vorrebbe almeno sapere come sta. O cosa sta facendo. Dove sta. Con chi sta. Qualcosa.
Degli stralci di conversazione gli parlano nella mente. Gli viene quasi da ridere mentre ricorda a poco a poco quelle parole. Quanto tempo fa è successo? Un anno? Forse di più.
«Ma non è che riesca a spiegarlo bene. Lo so che sicuramente sareste tornati, però comunque continuavo a pensare che forse non ti avrei più rivisto.»
Kami, quant’è preciso. Si rivolta di nuovo nella brandina, un sospiro gli lascia le labbra arricciate. Possibile che ci sia voluto così tanto per capire cosa voleva dirgli in quel momento?
Le orecchie vanno a fuoco. Il petto gli fa male, però sorride. Non è l’unico a provarlo. In qualche contorto modo, sapere di non essere l’unico a preoccuparsi lo fa stare bene.
 
 

Kimono immacolato contro una camicia viola impregnata di terra e sangue. Un sorriso amaro sulle labbra tinte di rosso.
«Non farlo mai più, per favore.»




***Angolo autrice***
Che corsa! Ho cambiato taaante cose dall’idea iniziale della storia e non sono ancora soddisfatta al 100%, ma dire che per essere una Run va bene!
Il finale, poi, ci tenevo a lasciarlo aperto: la camicia di Marco è sporca di sangue? È vivo? È morto?
Io volevo ammazzarlo, ringraziate il mio amico Sava che si è opposto. Quindi decidete voi, davvero. Lascio che sia la vostra immaginazione a decidere con che tono far pronunciare il “non farlo mai più” di Izou: magari è un sussurro tra le lacrime, magari un soffio in una risata di sollievo. Li ho fatti soffrire troppe volte per non lasciare almeno la possibilità che siano entrambi vivi, per una volta.
Spero vi sia piaciuta! Comincio a credere di star esaurendo gli argomenti di cui parlare con Marco e Izou, ma volevo farmi perdonare per non aver scritto qualcosa per loro nel C&S Day, dove mi sono limitata a farli apparire un istante!
Alla prossima!
Kalika

 
   
 
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