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Autore: DarkWinter    18/03/2021    5 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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49. La mia Vita per te
 
 
 
 
 
 
Era buio, all’1 di notte. La condensa si era ghiacciata sulla strada verso l’ospedale di Verny, sulla quale la jeep di Brent volava.
Elliott sedeva davanti e Lillian di dietro, con la Carlona. Nessuno dei tre aveva mai visto un parto in corso, ma tutti pensavano ci sarebbero state molte più urla.
“Sono solo all’inizio,” disse Carly, tranquilla, stringendo la maniglia sopra la portiera ad ogni sobbalzo. Avrebbe avuto parecchie ore davanti a sé per urlare come una disperata.
Poco prima, nonostante si sentisse tutta tirare Carly era riuscita a chiudere occhio. Pronta a rigirarsi nel letto ancora una volta, si era accorta che qualcosa non quadrava: un'ondata di acqua calda le aveva inzuppato i pantaloni del pigiama.
O era diventata incontinente, oppure…
“Oddio. Oddio, sta accadendo. È tutto vero.”
Che quel bambino dovesse prima o poi uscire, era certo. Carly non sarebbe arrivata al 30 novembre, ma una volta passate le trentasette settimane ogni momento era buono.
Aveva creduto di essere mentalmente pronta…
Eppure, solo preparandosi per andare in ospedale aveva pienamente capito che la sua vita sarebbe cambiata in poche ore.
Dopo tutto quel tempo, il bambino di Lapis stava arrivando.
Prima di salire tutti in macchina, Carly e gli amici avevano chiamato Sev, che non aveva risposto. Chissà come se la stava passando con l’eparviere.
Brent vide che la quasi mamma era abbastanza stressata da quel pensiero.
“Ehi Carly; un uomo entra in un caffè, splash!”
La battuta faceva ridere perchè non faceva ridere; Carly voleva ridere, ma la sua mente era altrove. Troppo lontana da lì.
Elliott continuava a chiamare Diciassette, Brent portava la borsa che Carly aveva preparato solo poche settimane prima e Lillian le circondava con amore le spalle.
Carly era agitata: al corso prenatale aveva imparato che, diversamente dai film, pochissimi travagli iniziano con la rottura delle membrane.
Era un cliché televisivo che stava accadendo a lei.
Un’infermiera fece stendere quella ragazza incintissima su un lettino e le attaccò un monitor alla pancia.
Notò che ella era accompagnata da tre persone diverse.
"Cos'abbiamo qui? Mamma Mia?"
Elliott fu il solo a cogliere il riferimento cinematografico.
"Ah no, nessuno di noi è il padre."
"Due mamme?"
Lillian alzò gli occhi al cielo.
E Carly sbottò, "Il mio ragazzo é a South City, ok?"
"Ohh! Mi dispiace…"
"No, non così."
Carly era nervosa, ascoltava il rumore regolare che il monitor attaccato a lei diffondeva nella stanzetta.
L’infermiera non era preoccupata, il battito cardiaco fetale pareva ottimo.
“Quanto distano le tue contrazioni?”
Bella domanda.
Purtroppo, come si faceva al Centro, gli ospedali ammettevano una partoriente solo quando le contrazioni si riducevano a intervalli di cinque minuti.
Nonostante si aspettasse che sarebbe arrivato presto, Carly non aveva ancora dolore.
La combriccola la riaccompagnò e rimase allo chalet con lei.
Gli uomini si appostarono sul divano in salotto, fra cuscini e coperte; Lillian riaccese la stufa in cucina e il fuoco nel camino della camera di Carly.
Si distese di fianco a lei, occupando il posto di Diciassette.
“Eccoci qui, Carlona. Cerca di dormire un po’.”
Le carezzò i capelli e la coprì per bene col piumone.
Quella sarebbe stata una lunga notte: Carly agognava Lapis, sperava che l’avrebbe raggiunta presto, ma nel frattempo era lieta che i suoi migliori amici fossero lì. Non era sola.
 
 
/
 
 
"Rikki, tiralo via di lì!!"
Ordinò il comandante, preoccupata che l'eparviere facesse del male a Diciassette.
"Sono debole di cuore..."
"Tu comandi una nave da guerra!"
"Sì ma quello é un bambino. Fallo scendere."
Rikki rivolse la sua attenzione a John Dubochet, che non sembrava minimamente preoccupato.
"Penso siate molto fortunati."
Chissà se al RNP erano tutti così.
"È curioso che sapessimo tutti della signorina Dahl, ma non di lui."
Il capo ranger era geloso di Diciassette.
"Non ha mai chiesto."
La proprietaria di Monster Island immaginava che avere un cyborg fra i suoi ranger permettesse a John di avere tutto super organizzato, le grane risolte in fretta.
John era, in effetti, molto orgoglioso.
"Ah, sicuro come l'oro: con Diciassette vado tranquillo."
"Non vi spaventa?"
Diciassette non era pronto per una posizione da leader, era ancora troppo caldo di testa, ma John credeva fosse già cresciuto.
"È un esercito in un solo uomo, mi fido di lui. L'unica cosa che sarei reticente a fargli eseguire è il massaggio cardiaco."
Tutti i ranger di John erano allenati in primo soccorso, ma il pensiero di farsi comprimere il petto da Diciassette era spaventoso per chiunque.
Defiance e i MIR, nel frattempo, allungavano i microfoni parabolici e tentavano di capire su cosa il ranger del RNP e la bestia stessero convenendo.
Diciassette sedeva ancora comodo, guardava il casino che l'eparviere aveva seminato su quell'isola.
"So che è divertente, ma non puoi continuare a spaccare tutto. Qui non sanno gestirti, devi andare via."
Chiamavano quell'uccello mostro ma a casa di Diciassette i mostri erano ben altro.
L'eparviere fu forse indispettito da quelle parole molto chiare. Tentò di aggredire coi suoi artigli, gracchiò quando uno di questi si ruppe contro l'avambraccio di Diciassette.
L'isola esclamò, Defiance guardò con un collega attraverso la telecamera.
"Hai ripreso quello?"
Il MIR non credeva ai suoi occhi.
"Ma di cosa è fatto?"
"È un cyborg."
L'eparviere si era fatto male e si era arrabbiato: quella lezione gli stava insegnando che doveva fare come l'umano (che non gli pareva davvero un umano) diceva.
"Zì, hai fatto tutto tu..."
Diciassette non era fiero di sé, l'animale si era ferito solamente toccandolo.
Stava capendo che vedere animali sofferenti gli dava più fastidio che vedere gente in pena.
Era strano? Forse.
Gliene fregava? No.
Sarebbe diventato un animalista? Ma per favore.
Così come il semplice non essere il killer sanguinario che Gero aveva voluto non lo rendeva un santo, preoccuparsi di più di altre creature che non fossero umani non faceva di lui un fanatico animalista.
Diciassette odiava gli -ista, gli estremi.
Dopotutto anche Carly era un'amante degli animali, senza diventare esagerata.
Ah, Carly. Chissà come stava, se gli aveva scritto dei messaggi…
I clic e i trilli dell'eparviere distrassero Diciassette dal suo rimuginare.
L'uccello staccò un grosso pezzo di carne dal povero neoceratopo e lo buttò ai piedi di colui che aveva dimostrato di sapergli tenere testa.
I MIR esclamano in disagio; John guardava dal binocolo.
"Sta facendo così in segno di tregua?"
Sembrava Pencil quando gli portava bestioline stecchite o persino spazzatura, comunicandogli nella sua lingua silenziosa “Ho ucciso questo per te!”.
"No non lo voglio."
Risposta inaccettabile: l'eparviere riprese a girare la testa in modo inquietante, mantenendo lo sguardo fisso sul volto dell'avversario a cui aveva offerto parte della preda. Credendolo incapace di iniziare da solo il mostro strappò un lungo brandello per lui, glielo mise in mano.
Diciassette guardò tutti con la coda dell'occhio.
"Me lo devo davvero mangiare?"
"Accettalo!" Ordinò Defiance con un megafono.
"Alcuni animali fanno così. Offrono la preda al loro avversario, in segno di rispetto. Se l'avversario rifiuta…"
Defiance spiegava e rideva fra sé, grata che non stesse toccando a lei.
Diciassette fece finta, abituato a Marron e alle sue torte di sabbia.
Ma l'eparviere non era Marron: capì immediatamente che aveva declinato la sua offerta.
Offeso, si alzò in volo, minacciando maliziosamente di fare altro casino.
"E va bene! Guarda!"
Diciassette si abbassò la mascherina e azzannò la pellaccia super coriacea di quel povero neoceratopo.
Che gli toccava fare, solo perché a Monster Island non sapevano gestire un mostro gigante.
"Zoomma!" Ordinò Rikki, quasi con urgenza, a un MIR non capiva quello che stava vedendo.
"Nemmeno certi proiettili perforano la pelle di un neoceratopo. Come ha fatto?"
Il cosciotto di neoceratopo era un blob disgustoso da masticare, una volta sotto i denti era viscido ma fibroso e scricchiolava come sabbia.
Diciassette seppe che, alla fine, Kate non l'aveva immunizzato con decadi di pessima cucina.
Perché tutto doveva essere un assalto ai sensi? Di solito erano la vista o l'udito.
Diciassette sapeva già che non poteva ingannare quel pollo da guerra maledetto: mandò giù quell'obbrobrio che voleva tornare su, gli venne un conato davanti alle telecamere dei MIR.
Si diede della mezza sega, le telecamere erano pure live...
"E se vomita?" Ansimò il comandante.
"I cyborg vomitano?" Chiese un MIR.
Che domanda...
L'eparviere invece non faceva domande, voleva solo che non lo si imbrogliasse.
Quando si accertò con i propri occhi che il suo avversario aveva deglutito, fece una specie di sorriso, un'ultima serie di clic e trilli e volò via senza portare il neoceratopo.
Nessuno lo rivide mai più.
 
 
 Diciassette scese dal nido e fu accolto dagli applausi di tutti, da altre telecamere piantate contro la sua faccia mascherata.
Si erano tutti aspettati che sarebbe stato un compito ostico, forse anche una lotta da film d’azione.
Diciassette stesso ci era quasi rimasto male, non era stato così eccitante. Alla fine, negoziare con un mostro era meglio che coi bracconieri.
Il lavoro era finito. I MIR salutarono il ranger del Nord con rispetto e incredulità, il White Star attraccò di nuovo a South City.
Prima di congedarsi dai consulenti, Malina diede a Diciassette il suo biglietto da visita.
John non poteva quasi crederci.
"Mi fai bracconaggio anche con lui, adesso? Davanti ai miei occhi?"
"Dubochet! Sto solo parlando col ragazzo. Diciassette, se mai ti andasse di lavorare per noi…"
Diciassette stava bene al RNP e non era interessato a Monster Island, almeno non per il futuro prossimo: al Nord c'era lavoro anche per Carly, avrebbe ripreso non appena il bambino avesse compiuto cinque mesi.
Diciassette voltò le spalle al White Star, Malina gli sfiorò la schiena.
"E poi niente inverno qui."
"A me piace l'inverno."
Diciassette cominciava a non gradire la confidenza che il comandante si stava prendendo con lui.
Aveva anche fretta di tornare.
Rikki avvertì John che avevano un appuntamento con un avvocato: si doveva trattare legalmente la questione che Diciassette aveva risolto sul piano pratico, bisognava lasciare una traccia scritta del compenso che lui avrebbe ricevuto, e altre cose noiose che Kate conosceva meglio di lui.
Dopotutto, Monster Island era un’impresa.
Defiance andò da Diciassette.
"Ehi terminator, lo vuoi uno spuntino?"
"Sta' zitta."
Rikki condusse i nordici in uno dei suoi salotti.
"No sul serio, fermatevi per l’appuntamento e per un tè. Ma un momento, forse Diciassette non beve perchè è un cyborg?"
"Sì, beve."
Tagliò corto Defiance, non dimentica di aver praticamente perso contro di lui.
"Se vuoi che rifacciamo, qui e ora."
Le propose lui, ambiguo.
Al diavolo il tè.
"Sai cosa? Sì!"
"Cosa diamine...”
Diciassette si era infine tolto la maschera e, incurante di Rikki che (finalmente) lo fissava con due occhi più spiritati di quelli dell'eparviere, aveva riacceso il cellulare: trovò cinquantadue chiamate perse da Carly e dal resto della combriccola.
Erano le 4 del pomeriggio del 15 novembre, a South City, ma il suo cellulare segnava le 7 di mattina del 16.
I messaggi con insulti non erano stati risparmiati, un altro messaggio-minaccia di morte gli arrivò da Lillian in tempo reale.
Il suo cuore cominciò a battere forte.
"Urca." Defiance si avvicinò e vide la raffica di messaggi.
E quando Diciassette fece un'espressione che sfoderò le sue fossette, anche Rikki si avvicinò.
"Oh sì…"
Si azzardò persino a stringergli con calore le spalle. "Che meraviglia. Pizzicato dagli angeli sulle guance, tratti affilati, occhi a mandorla..."
L'espressione schifata/sprezzante di Diciassette era tragicomica.
Defiance perse le staffe, "Mamma!! Giù le mani e scusati immediatamente!"
Sua madre era particolare, in senso benevolo e non faceva mai nulla per malizia, ma a volte superava davvero il limite. La spinse via e aspettò di farsi ingoiare dal pavimento.
Il telefono del cyborg continuava a squillare. Doveva andare.
Malina tentò inutilmente di fermarlo, "Aspetta, l’appuntamento con l’avvocato?"
John Dubochet sarebbe rimasto.
"Per quella basto io, Diciassette deve tornare: sta nascendo suo figlio."
Non c'era più tempo per nessun rematch; Defiance gli corse dietro, incapace di raggiungerlo in aria.
"Sono felice per te, auguri! Ma la prossima volta ti straccio, ricordatelo!"
"L'importante è crederci!"
Diciassette le fece l'occhiolino e volò verso nord.
Quando l’avvocato lasciò la residenza De Villiers, Defiance trascinò la madre in privato.
"Sei stata morbosa, ma di brutto. Ha fossette e occhi azzurri, e allora? Vogliamo farne un caso di stato?"
Il terminator non c'entrava niente, non era la reincarnazione della sua defunta zia.
Ma Rikki sembrava esasperata, incompresa.
Era un caso di stato!
"Senti, Defiance, io non sono né Dio né un test del DNA ambulante. Ma che Dio mi fulmini se quel ragazzino non è un Lang."
 
 
/
 
 
 
Carly gemeva, accucciata sul parquet di camera sua. Gridava ogni volta che una contrazione stringeva, con scioccante dolore.
Non sapeva più in che posizione stare.
Lillian si sentiva così impotente: era inginocchiata dietro di lei con i palmi premuti contro le sue reni, era terribile vedere la sua amica del cuore stare così male e non essere capace di aiutarla.
Carly si vergognava ad urlare come si sentiva fare nei film, ma non poteva impedirselo: era tutta la notte che soffriva, tutti avevano dormito solo due ore.
Brent leggeva una pagina web, tanto valeva provare.
“Ha le contrazioni nella schiena anziché davanti, prova a massaggiarla così...”
Elliott stava cominciando a chiamare anche Defiance, visto che Sev non aveva ancora risposto.
“Tieni,” le porse con affetto una barretta di cereali. Erano le 7 e Carly doveva cercare di mangiare qualcosa, il travaglio si preannunciava lungo. I cinque minuti di intervallo fra una contrazione e l‘altra sembravano ancora un obiettivo irraggiungibile.
Tutto quello che si poteva fare era distrarre Carly, cercare di farla restare comoda fra un dolore e l’altro.
Presto Carly non ce la fece più e implorò gli amici di portarla in ospedale. Arrivò al reparto maternità zoppicando, mezza portata da Brent. Dovevano fare una pausa ogni volta che una doglia le serrava la schiena.
Un controllo veloce rivelò che Carly era dilatata abbastanza per venire ammessa:
l'amore della vita del cyborg n°17 si era buttata sul letto e aveva guardato fuori dalla porta aperta.
 Una ragazza dai capelli neri finti camminava avanti e indietro, stoica, capace di stare in piedi.
Un'ostetrica era venuta a prenderla.
"Iris, nella piscina! È pronta."
Carly provò per un attimo invidia che quell'Iris stesse avendo semplici contrazioni, non coliche renali.
“Appena lo vedo, lo ammazzo.” Masticò la top ranger. Non aveva mollato la Carlona per un secondo.
“Arriverà...”
Seppur la sua voce fosse solo un filo, Carly non perdeva mai la speranza.
E infine Diciassette la trovò su quel letto, entrando dalla porta col fiatone.
Solo dall'espressione sul viso di Carly si poteva evincere il livello di dolore che la stava affliggendo.
"Villano! Alla buon'ora!" Lo rimbeccò Lillian.
Ma Diciassette non si era quasi accorto di lei. Si fiondò da Carly, martoriato dal vederla soffrire così...per colpa sua.
Era stato lui a renderla così.
Ma Carly lo stringeva a sé, lo chiamava piano, Lapis, Lapis,  stravolta ma con occhi trasfigurati dall'amore.
Non c'erano colpe, lì: Carly stava mettendo al mondo suo figlio, ed era la cosa migliore che Diciassette avesse fatto.
"Ti amo tanto, Lapis."
Diciassette non voleva separarsi da quell'abbraccio con lei.
"Sono qui."
 
 
 
Era di nuovo sera.
Carly non si ricordava nemmeno se tutto era pronto a casa, aveva lasciato la cucina disordinata.
"Ma quindi quando torneremo a casa col bambino sarà tutto disordinato? Mi viene male..."
Come poteva iniziare un nuovo capitolo della sua vita con la casa a soqquadro?
Diciassette non diede adito a quella corrente ormonale.
"Pensa che torneremo a casa col bambino."
Carly aveva passato le ultime ore in uno stato quasi letargico, fra la benefica vicinanza di Lapis e il fastidio di dottori e ostetriche che la esaminavano con occhi e mani.
In origine i piani di Carly non avevano previsto l'anestesia epidurale, ma poco dopo essere arrivata in ospedale si era resa conto di quanto fosse stanca: erano già state tredici ore -senza sollievo- di dolore logorante.
Doglie come le sue erano le peggiori, tutti lo sapevano: Carly non voleva arrivare così al momento in cui sarebbe toccato a lei spingere, aiutare il figlio suo e di Lapis a venire alla luce.
Lapis era lì vicino a lei, la guardava, la toccava, era così bello coi capelli sciolti e i suoi orecchini.
Carly si ritenne, per un attimo, la donna più fortunata della Terra: perchè sapeva che quella sofferenza era la conferma finale che il seme di Lapis fosse germogliato in lei.
Realizzarlo la fece piangere di gioia, abbracciò Lapis e gli confessò quei pensieri un po' sdolcinati: non aveva segreti per lui.
 
 
 
 La combriccola non intendeva lasciare l'ospedale fino a che Sev non fosse venuto a dire loro che il bebè era nato.
Era quasi mezzanotte.
Lillian si era appisolata fra le braccia di Brent, si svegliò con un gran sussulto e un "Ahh, cazzo!"
"Brutto sogno, Lilli?"
Quello era un eufemismo, la top ranger si sfregò faticosamente un occhio.
"Ho sognato che mi facevano un taglio cesareo d'emergenza."
"Whaaaat?! Tu e Bre-"
"No!!"
Entrambi zittirono Elliott, ad alta voce, ed egli alzò le mani.
"Allora sicuramente sei solo preoccupata per Carly."
Per fortuna Carly stava bene, le cose stavano solo andando per le lunghe.
Il breve sogno di Lillian era stato di quelli che sembrano veri: meno male che non lo era, nella vita reale la maternità non faceva per lei, non avrebbe mai scelto di tirarsi addosso tali preoccupazioni!
Lasciò che l'incubo sfumasse in sciocchezza.
"E niente, io poi ero preoccupata perché il neonato era tutto spettinato."
"Perchè sei una perfezionista," la rassicurò Brent, sfiorando una ciocca dei suoi capelli.
"Perchè ti piace quando tutto è sotto controllo."
E grazie, a chi non piace?
"Magari in una realtà parallela è successo davvero, che ne sai?" Alzò le spalle Elliott.
"Potresti essere tipo una matrona da 200 kg, con sette figli."
Il multiverse? Che menate da nerd!
Lillian preferiva restare nel suo universo.
"Anche se avessi sette figli resterei comunque figa."
Non era il tipo da parlare di se stessa così, ma ci voleva.
"Ecco, diglielo Lilli!" Brent le batté la mano sulla coscia. "Però sarebbe bello, sette-"
"No."
Brent pareva quasi esaltato, "C'ero io in sala operatoria con te, no?"
La risposta uscì da Lillian veemente, quasi arrabbiata.
"Eh non mi chiedere dettagli, non ricordo!" In realtà ricordava benissimo.
 
 
 
 Diciassette guardava con meraviglia -e un po' di disagio- la sua Carly che combatteva come una leonessa il culmine delle contrazioni, mostrandogli ancora una volta come non tutta la forza fosse misurabile in ki e imprese sovrumane.
Era impressionato da come la sua compagna potesse non morire, nel tentare tentare disperatamente di arginare quel dolore che non la lasciava nemmeno parlare, con il cuore a mille e le ossa che si spostavano per lasciare passare il piccolo.
"Allora... i nomi, amore?" Carly ansimò.
Diciassette doveva distrarla.
"Qual era il nome da maschio che piaceva anche a me?"
"Heathcliff…"
"Heath, sì. Invece-"
"Forza, Carly, stai andando bene. C'è una testolina lì," interruppe l'ostetrica, con le mani sulle cosce della rossa.
Carly si sentiva come se stesse spingendo una zucca fuori dal grembo, la sua pancia era così grossa e sporgente che non vedeva nulla al di là delle sue ginocchia: era, perciò, ignara dello spettacolo a cui Lapis stava assistendo.
"Bimbo è pel di carota…" L'ostetrica descrisse.
Lapis tremò inconsciamente e Carly ebbe un moto di tenerezza.
"Come me, amore! Come me…"
Carly stava provando il dolore peggiore della sua vita, nonostante l'anestesia, ma quello era un momento incredibile, magico: quel giorno lontano in cui era scesa di malavoglia in concessionaria non si sarebbe mai immaginata che, una decina di anni dopo, quel ragazzo bellissimo sarebbe stato lì a vederla partorire. Carly si sentiva onorata.
E nemmeno Diciassette, fra tutte le sue (dis)avventure, si sarebbe immaginato che avrebbe avuto ancora diritto all'amore: che avrebbe continuato la sua vita con Carly, che l'avrebbe vista cambiare giorno per giorno mentre suo figlio le cresceva dentro.
E che infine sarebbe stato lì. Da un laboratorio sterile ad una sala parto.
Diciassette non diceva niente, ma pensò che era lui ad essere onorato.
Il viso di Carly divenne rosso vivo mentre spingeva con tutte le sue forze.
"Dai. Fra poco potrei portarti del sushi."
Diciassette riuscì a farla ridere.
E alla fine, dopo venticinque ore, la madre diede l'ultimo grido e il bambino scivolò fuori da lei.
Diciassette rimase a guardare l'ostetrica rimuovere il brandello di sacco amniotico che copriva il piccolo viso.
E quando quello fu tolto, Diciassette fu colpito da due occhi obliqui e curiosi che lo guardavano nei suoi.
Fino in fondo, dentro al cuore.
Il volto di Diciassette fu la prima cosa che quegli occhi nuovi videro della vita.
Carly sembrava svenuta, ma il personale medico assicurò che era solo stanchezza momentanea.
"Papà, prendila tu mentre io taglio il cordone." Chiamava un'ostetrica, vedendolo quasi imbambolato.
C'era spazio per un altro grande amore nella sua vita? Diciassette si sentiva ebbro di emozione, come quando aveva incontrato Carly di nuovo.
Forse l'amore l'avrebbe ucciso.
"Ragazzo? Mi hai sentita?"
"Diciassette…"
Diciassette reagì solo alla voce di Carly.
E appena lo vide reagire, l'ostetrica ritentò di comunicare con lui mettendogli la creatura fra le braccia.
"Ecco, tienila così."
Ci mise un po' a elaborare.
E poi la tenne stretta.
Sua figlia.
La bambina che aveva tanto desiderato.
Diciassette aveva temuto che non sarebbe stato capace di gioire.
Che qualche meccanismo sarebbe scattato nella sua testa, facendogli credere che non meritava tutta quella pienezza, rendendogli impossibile da credere che quella nuova vita fosse il suo sangue.
Ma le cose terribili che Diciassette aveva vissuto non dovevano essere le sole che lo definivano: c'erano ancora cose meravigliose in un mondo che pareva fare così schifo.
E della meraviglia più grande, Diciassette era l'artefice.
Come aveva vissuto tutto quel tempo senza di lei? Quella bambina era l'alfa e l'omega, la ragione di tutto.
L'avrebbe amata fino alla morte, era solo così che Diciassette amava davvero.
N°17 inspirò con gli occhi serrati e il viso basso, contro la sua manica.
Ricordava male il gusto salato della gioia incontenibile, quella che trafigge il cuore.
L'ostetrica sorrise: le lacrime dei neopapà l'intenerivano, specialmente dei neopapà con l'aria da duro come quello lì.
La sua piccola gli stava raggomitolata fra le mani, forse non si era ancora resa conto di non essere più nel ventre.
L'ostetrica se la riprese per un controllo di routine e poi la posó sul seno di Carly.
Solo allora, vedendo la bambina fra le braccia della sua amatissima madre, Diciassette si rese davvero conto che era papà. Erano una famiglia.
"Congratulazioni, ragazzi. Una bella bambina di 3 kg e 8."
Carly strinse il frutto di tanta vita insieme: tolse delicatamente la patina cremosa che ancora ricopriva le sue guance, guardò gli occhi che già le ricordavano altri occhi che amava da impazzire.
Aveva atteso nove mesi per quello.
Cercò le labbra di Lapis.
"Ce l'abbiamo fatta, amore mio…"
Ce l'avevano fatta, tutti e tre insieme.
Carly prese la mano di Lapis e la posò sul fagottino. Ripensò a quella domenica di fine maggio, quando aveva trovato quei quadrifogli e aveva saputo che lei c'era.
Fede, speranza, amore e fortuna.
"È lei il nostro quadrifoglio. La nostra Clover."
Diciassette sfiorò con un dito il suo nasino a bottoncino, ascoltò i suoi primi versetti.
"Tutta la mia vita è per te."
E l'amò per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pensieri dell'autrice.
 
 
E niente, che devo dire? È nata la figlia di Diciassette😭😇
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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