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Autore: Angie_Dreyar    20/03/2021    3 recensioni
Raccolta di brevi flashfics AU fantasy su diverse coppie di Fairy Tail.
I draghi sono pericolosi (Natsu/Lucy)
Polvere di fata (Elfman/Evergreen)
Le lacrime delle sirene (Gray/Juvia)
Un’avventura con gli elfi (Fried/Laxus)
Stai lontano dai demoni (Mirajane/Kana)
L’oscurità dei vampiri (Rogue/Minerva)
La magia degli dei (Chelia/Wendy)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Cana Alberona, Gray/Juvia, Minerva, Natsu/Lucy, Wendy
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Salvami dalla mia magia, salvati con la mia magia

 
 

***I draghi sono pericolosi***

Lucy era convinta che quello sarebbe stato il giorno della sua morte. Non c’era modo di sopravvivere, non contro un drago. Si sentiva ridicola a stare lì immobile con il pugnale in mano teso davanti a sé, ma le gambe non le rispondevano e lei non riusciva a scappare. Pur avendo sentito molte storie di draghi, pur sapendo quanto maestosi fossero, non era comunque pronta a uno spettacolo del genere. Sì, uno spettacolo, che lei poteva solo fissare non sapendo se fosse più meravigliata da tale bellezza o più spaventata da tanta potenza. Il drago era a pochi metri da lei, sbuffava sonoramente ma non aveva ancora accennato ad attaccarla, nonostante Lucy fosse lì da lunghi minuti. Solo dopo un po’ notò che non l’aveva ancora fatto perché non poteva. Il drago aveva un’ala completamente spezzata e delle frecce conficcate nel petto. Lucy prese un profondo respiro un po’ sollevata ma subito si sentì in colpa a pensarlo. In fin dei conti era una creatura vivente e stava soffrendo. Alla fine, dopo lunghi ragionamenti fece un passo avanti. Il drago le ringhiò contro e lei si fermò immediatamente.
«Non voglio farti del male» balbettò incerta e si diede subito della stupida, certo non poteva capirla.
«Ti hanno mandata per finirmi, umana?» ringhiò il drago e Lucy sobbalzò. Le stava parlando sul serio. Il drago le stava parlando. Sentì il cuore pompare furiosamente nel petto.
«No… voglio… curarti» disse nervosamente. Il drago le ringhiò di nuovo addosso e Lucy posò il pugnale nella cintura, tanto comunque contro quel drago non le sarebbe stato utile. Tirò fuori dal proprio zaino delle erbe curative. «Io… posso aiutarti».
Il drago questa volta inclinò la testa incuriosito.
«Perché dovresti?» le domandò «Cosa vuoi in cambio?».
«Io… niente, solo… sei una creatura bellissima» mormorò con gli occhi sgranati, allibita dal suo stesso comportamento. Una luce accecante si irradiò dal corpo del drago e Lucy si coprì gli occhi con il braccio, non capendo che cosa stesse succedendo, finché dopo un po’ tutto tornò normale e lei osservò di nuovo. Davanti a lei non c’era più un drago, bensì un uomo con i capelli rosati e gli occhi dello stesso verde intenso che aveva visto prima. Era ferito e stava perdendo sangue, nonostante ciò rise.
«Sei strana. Di solito gli umani ci definiscono terribili» le disse e poi le sorrise «Sono contento di morire così, almeno avrò conosciuto un’umana di buon cuore». Il tono era amichevole, nulla a che fare con i ringhi che aveva sentito prima. Lucy gli si avvicinò con le erbe curative.
«Non morirai oggi» gli promise sedendosi accanto a lui e allungando una mano verso la ferita, chiedendo con lo sguardo il consenso di andare avanti. Il ragazzo le fece un cenno affermativo e lei cominciò a passare le foglie sulla sua ferita.
«Com’è che ti chiami?» le domandò l’uomo.
«Lucy» rispose lei.
«Lucy…» ripeté lui «È un nome che ti si addice, sei una luce in questo mondo pieno di malvagità».
 

 

***Polvere di fata***

«Che cos’è?» chiese Elfman indicando una piccola gabbia in cui era nascosta una fatina minuscola, che continuava a sbattere le piccole manine sul vetro.
«Una fata, il mio più grande acquisto» disse il proprietario del negozio soddisfatto «Vuoi comprarla? Vale tre milioni di gioielli, non hai idea di quante proprietà abbia la sua polvere» gli disse. Elfman si tirò indietro, non gli serviva e non aveva tutti quei soldi. Gli faceva solo pena vederla imprigionata lì dentro.
«No, io…non ho abbastanza soldi» ammise.
«Puoi comprarla a rate, e se mi fai pubblicità ti faccio uno sconto».
Elfman scosse la testa chinandosi in avanti per osservare meglio quel piccolo esserino. Come poteva la gente catturare delle creaturine così indifese? Se solo avesse avuto i soldi l’avrebbe presa e liberata all’istante, ma faticava già a portare il pasto a casa. Alla fine decise che sarebbe tornato quella notte e l’avrebbe liberata, e così fece. Quando tutti erano a dormire il ragazzo entrò in negozio e, incredibilmente, riuscì a non fare danni e a prendere la gabbia, su cui quella piccola fatina stava ancora sbattendo furiosamente le mani. Il ragazzo si allontanò raggiungendo il piccolo boschetto dietro al villaggio.
«Sei così piccola e carina, adesso ti libero» le disse aprendo la gabbietta. La fata subito volò fuori e lui la guardò meravigliato mentre si trasformava mostrandosi in tutta la sua bellezza a dimensione umana.
«Piccola e carina?» sbottò lei acidamente «Ma con chi credi di parlare? Sono una fata, meravigliosa e potente, stupido umano» gli sibilò addosso. Elfman la guardò stupito.
«Oh… ehm… non volevo offenderti» balbettò imbarazzato.
«Beh, lo hai fatto! Ma cosa mi aspetto da degli umani» ringhiò irritata voltandosi per andare via.
«Aspetta!» esclamò Elfman «Solo…dimmi solo come ti chiami» le disse. Lei si voltò di nuovo squadrandolo dall’alto in basso e alzandosi in volo di un metro per poter essere più alta.
«Evergreen» disse altezzosa «E per tua informazione, sono la regina delle fate».
Elfman non stentava a crederci. La fata svolazzò in aria per un po’ scrutandolo, finché non decise di avvicinarsi e gli afferrò il sacchetto che aveva alla cintura, lo svuotò facendo cadere a terra tutti i suoi gioielli.
«Ehi, fermati subito, ladra!» esclamò afferrandole il polso.
«Ma che ladra e ladra, stupido sbruffone» ringhiò lei cercando di divincolarsi dalla presa «Ti sto solo ringraziando dandoti della polvere di fata, che per tua informazione, vale molto più di quegli stupidi gioielli che ti porti dietro» lo rimbeccò puntigliosa. Elfman sorpreso lasciò la presa, osservando come la fata gli riempiva il sacchetto di polvere dorata.
«Oh» fece sorpreso «E cosa me ne faccio?» chiese, e lei gli lanciò un’occhiata tremenda, tanto che si sentì quasi pietrificare.
«Sei proprio ignorante. Beh, dato che hai la fortuna di essere in presenza di una fata te lo spiegherò io» fece e dopo di che Elfman passò tutta la notte con quella meravigliosa fata, rendendosi conto che le fate non erano affatto creaturine piccole ed indifese.
 

 

***Le lacrime delle sirene***

Il viaggio era stato inutile, lì non c’era alcuna traccia di sirene. Gray era ormai amareggiato, senza la lacrima di sirena non sarebbe mai riuscito a salvare suo padre dalla malattia. Trascinò la barca a riva pensando che quel viaggio fosse stato solo una perdita di tempo. Stava per tornare al villaggio quando sentì dei piagnucolii. Non seppe nemmeno perché ma ne fu attirato e seguì il suono dei singhiozzi, superando diverse pietre finché non giunse alla fonte del suono. E quando la vide ne rimase allibito.
Una sirena.
Una sirena completamente legata da strette corde, che cercava raggiungere il mare inutilmente. E stava piangendo. Quella era la sua giornata fortunata.
Gray si avvicinò ancora incredulo e prese la boccetta. Non appena la sirena lo vide gli sibilò contro evidentemente spaventata e furiosa, ma il ragazzo non si fermò. Quella era la sua unica occasione. Le si inginocchiò accanto e le afferrò la testa tenendola ferma mentre lei singhiozzava disperata. Gli faceva pena, ma ne aveva bisogno. Riuscì a prendere qualche lacrima e quando fu soddisfatto chiuse la boccetta mettendola nel proprio zaino. La sirena ora singhiozzava ancora più forte.
«Ferma… ti fai solo più male» le disse cercando di usare un tono dolce, e la sirena alzò lo sguardo su di lui. I suoi profondi occhi blu erano colmi di lacrime e Gray le posò una mano sulla spalla, dove una corda la stava stringendo, ma lei si tirò indietro.
«Hai avuto quello che volevi, vattene» gli sibilò addosso con sguardo accusatore.
«Sì, e per sdebitarmi ti libererò» le disse Gray volendola aiutare «So che non ti fidi, ma più ti muovi più le ferite ti si aprono. Posso scioglierti i nodi». La sirena lo fissò in silenzio, non ancora pienamente convinta, ma dopo un po’ fece un cenno con la testa e il ragazzo cominciò a sciogliere i nodi cercando di essere il più delicato possibile. Gray riuscì a liberarla e dopo la prese in braccio avviandosi verso il mare. Lei gli avvolse le braccia al collo e il ragazzo si sentì arrossire sentendosi fin troppo osservato. Aveva sentito che le sirene fossero meravigliose, ma quel termine non spiegava nulla. Non si poteva nemmeno descrivere a parole tale bellezza. Gray arrivò a bagnarsi i pantaloni fino a metà coscia e a quel punto fece per farla scendere, ma lei non accennava a spostarsi.
«Puoi scendere» le fece un po’ a disagio sotto quello sguardo profondo. Lei sorrise e, inaspettatamente, si chinò su di lui dandogli un dolce e morbido bacio sulle labbra. Il contatto fu breve ma bastò a mandare su di giri Gray che arrossì visibilmente imbarazzato, dopo di che la sirena si buttò in mare e riemerse qualche metro dopo.
«Juvia ti ringrazia, passerà ogni sera a cantarti una canzone» gli disse e poi si buttò in mare. Gray non poté fare altro che fissare le onde davanti a sé spiazzato, sentendo ancora calore sulle labbra mentre un leggero sorriso gli si allargava sul volto.
 

 

***Un’avventura con gli elfi***

Odiava la sua vita. Da quando il nonno era morto era costretto a vivere con quell’uomo che si definiva suo padre. Non che non lo fosse, ma Laxus faticava a considerarlo tale. Non c’era più quell’allegria che contraddistingueva la casa quando Makarov era vivo ed ora Laxus si era pentito di aver sprecato tanti anni a trattarlo male. Sbuffò irritato.
«Giornata pesante?» chiese una voce sopra di lui e Laxus alzò il volto per vedere il più bell’uomo che avesse mai visto in vita sua. Era appollaiato su un ramo dell’albero con un libro tra le mani, i lunghi capelli verdi si confondevano tra le foglie, il volto era illuminato dai raggi di sole che passavano tra i rami. Sembrava uno spirito dei boschi.
«Abbastanza» fece secco Laxus. Il ragazzo chiuse il libro e agilmente scese dall’albero. Laxus lo squadrò. Era davvero un elfo, le orecchie appuntite non lo ingannavano.
«Pensavo che gli elfi odiassero gli umani» commentò Laxus.
«La maggior parte lo fa, io vi trovo… interessanti» disse il ragazzo avvicinandosi «Fried, piacere di conoscerti…?».
«Laxus» fece lui.
«Vuoi sfogarti con me? So essere un bravo ascoltatore» propose l’elfo sedendoglisi accanto. Laxus ci pensò, in fondo non lo avrebbe più rivisto, poteva buttare fuori tutto l’odio che provava.
«Mio padre è un bastardo» cominciò, era un buon inizio e sintetizzava tutta la sua vita. Fried non replicò e Laxus andò avanti, raccontandogli di come era costretto a lavorare tutto il tempo per lui, solo perché quell’uomo voleva accumulare sempre più ricchezze, senza dargli nulla in cambio se non un tetto sulla testa. Si sfogò parecchio e Fried lo ascoltò per tutto il tempo in silenzio. Quando Laxus finì di parlare si sentì decisamente meglio, era stata una bella liberazione. «Bella la mia vita, no?».
«Fa schifo» fece Fried schiettamente e Laxus sorrise leggermente. Perlomeno non lo guardava con pietà. «Mi chiedo perché tu sia ancora qua».
«Che altro dovrei fare?» domandò Laxus.
«Qualunque cosa tu voglia» rispose Fried «Non hai nulla che ti leghi qua, potresti andare dove più ti piace. Potresti perfino andare alla capitale e diventare uno dei guerrieri più forti, un capitano senza ombra di dubbio» disse.
«Non so cosa voglio» ammise Laxus «E non voglio stare sotto alle dipendenze di un re, sarebbe come scappare da una prigione all’altra».
«Quindi vorresti essere libero» commentò Fried.
«Indipendente» precisò Laxus.
«Allora semplicemente viaggia, vai dove vuoi, con tutto ciò che sai fare non avresti nessuna difficoltà» gli disse l’elfo. Laxus si voltò curioso verso di lui.
«È quello che fai tu?» chiese e Fried sorrise divertito alzandosi in piedi.
«Lo hai capito subito» commentò «Sì, non mi piace la monotonia. Vivo per l’avventura, per viaggiare in posti lontani e sperduti, per vedere di persona ciò che leggo dai libri» raccontò. «Se questa vita ti ispira, perché non vieni con me?» domandò tendendogli la mano. Laxus la osservò per qualche secondo, prima di afferrarla e alzarsi in piedi. Fried aveva ragione, non aveva nulla che lo legava a quel posto e il brivido dell’avventura scorreva in lui.
 

 

***Stai lontano dai demoni***

Sapeva che prima o dopo a forza di bere avrebbe avuto delle allucinazioni, non pensava però di averne una così. La ragazza davanti a lei non era bella. Era una bomba sexy da paura, tanto che Kana si strizzò gli occhi più volte per assicurarsi che non fosse un’allucinazione dovuta al troppo alcol. Ma lei rimaneva lì, seduta per terra sull’erba della notte.
«Tu sei reale?» domandò avvicinandosi e la ragazza si alzò di scatto tendendo un artiglio davanti a sé.
«Stammi lontana» le disse. Kana si immobilizzò di colpo. Vederla così era ancora meglio, i suoi capelli bianchi e i suoi occhi limpidi e azzurri contrastavano con il corpo ricoperto da crepe e con gli artigli che aveva al posto delle mani.
«Non ti voglio fare niente» fece per tranquillizzarla, dato che la ragazza sembrava terrorizzata. Forse aveva subito qualche molestia. Chissà quanti depravati ci avevano provato con lei.
«No, io non voglio farti del male» fece la ragazza un po’ stupita. Kana inclinò la testa di lato e ridacchiò.
«E allora non farmene» fece tranquilla, avvicinandosi ancora un po’ ma la ragazza indietreggiò.
«Tu… non hai paura?» le chiese sorpresa.
«Paura?» fece Kana «Capisco se hai paura che possa allungare le mani su di te, sono parecchio brilla ma ti posso assicurare che non sono ubriaca, non ti farei mai nulla» sbiascicò un po’ e la ragazza la guardò perplessa sbattendo più volte le palpebre.
«Tu… sei davvero ubriaca» commentò dopo un po’ e fece un profondo respiro abbassando l’artiglio e rilassando le spalle «Penso che dovresti andare a casa, qualcuno potrebbe approfittare di te».
«Che ci provino soltanto!» esclamò Kana «Che ne dici di bere qualcosa assieme?».
«Come?» chiese la ragazza sorpresa.
«Sì, beviamo in compagnia, sarà divertente» le disse la castana.
«Io… non posso entrare nei locali» mormorò.
«Perché no?» chiese Kana inclinando la testa di lato.
«Ma mi vedi? Sono orrenda!» sbottò la ragazza a quel punto e Kana la guardò basita. Lasciò scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo. Certo, era diversa dalle altre ragazze e forse era un mezzo demone o qualcosa di simile, aveva una lunga coda dietro e delle ali nere sulla schiena. Ma non era affatto orrenda. La crepa che le passava su un occhio le dava quel tocco in più che la rendeva ancora più sexy, e le sue labbra erano solo da baciare.
«Oh ti vedo, e anche piuttosto bene. E ti posso assicurare, io che di donne ne ho viste parecchie, che tu sei una bomba sexy da paura. Com’è che ti chiami?» le disse schietta.
«Mirajane» mormorò sorpresa e Kana si avvicinò di un altro passo, ma barcollò e cadde in avanti sentendo il mondo girare attorno a sé. Mirajane la prese prima che potesse cadere a terra e Kana sorrise beata tra le sue braccia.
«Mirajane…sei il mio angelo salvatore» mormorò osservando estasiata quel volto ancora più da vicino. La ragazza la guardò sorpresa e poi sorrise leggermente.
«E tu sei davvero ubriaca».
 

 

***L’oscurità dei vampiri***

Ora che aveva avuto la sua vendetta su quegli assassini che le avevano preso la vita si sentiva abbastanza soddisfatta. Aveva placato la sua fame e grazie a quei bastardi era cambiata. Era potente ed immortale. Certo, era condannata a una vita senz’anima, ma quello passava in secondo piano se pensava al suo potere.
«Minerva, giusto?» fece una voce alle sue spalle e la ragazza si voltò. Era un ragazzo ad aver parlato.
«Tu chi saresti?».
«Rogue, sono un vampiro come te» si presentò lui.
«Come fai a sapere il mio nome?» domandò lei assottigliando lo sguardo e il ragazzo indicò un foglio appeso a un muro, c’erano il suo ritratto e il suo nome sopra. Minerva lo guardò accigliata, dopo come suo padre l’aveva trattata si preoccupava per lei? Semplicemente ridicolo. Vedere quei poster appesi in giro per il villaggio le dava il voltastomaco. «Cosa vuoi da me?» chiese indagatoria.
«Darti una casa, l’immortalità è piuttosto lunga se vissuta da soli» spiegò. Minerva lo squadrò dall’alto al basso. Non si fidava affatto, oltretutto lei stava benissimo da sola. «Non voglio costringerti, quando vorrai un po’ di compagnia sarai la benvenuta. Abito là» le disse indicandole l’enorme villa che si ergeva sopra una collina.
«Non ho bisogno della tua compagnia» chiarì lei voltandosi e quella stessa sera partì in viaggio per un altro villaggio. Passarono le settimane e più il tempo passava più lei si abituava al suo corpo, era forte, pericolosa, tutti la temevano. Ogni volta che si muoveva in un nuovo villaggio sceglieva con cure le vittime che avrebbero sfamato la sua fame, assassini come quelli che l’avevano uccisa senza pietà. Girovagò a lungo, le settimane divennero mesi, i mesi divennero anni e alla fine tornò al proprio villaggio e scoprì che suo padre era morto di vecchiaia. Non lo pianse, ma osservò la villa che si ergeva sulla collina.
Si avviò silenziosa nella notte ed entrò nella grande casa.
«Sei arrivata» la ragazza vide Rogue comparire dalle ombre della notte.
«Ero curiosa di vedere se qualcuno ti aveva ammazzato» fece tagliente «Non resterò a lungo, sto bene da sola» chiarì osservando la grande villa, forse ci si sarebbe adattata bene, pensò. Era molto spaziosa ed era sicura che si sarebbe rigirata quel ragazzo come voleva, non sembrava aggressivo.
«Io preferisco la compagnia» ribatté lui.
«Eppure vivi da solo».
«No, lui è il mio compagno» le disse e Minerva osservò il punto che stava indicando.
«Una rana?» chiese scettica.
«Non è una rana, è Frosch» ribatté Rogue come se lo avesse offeso. Minerva inarcò un sopracciglio.
«E cosa sarebbe?» chiese avvicinandosi per osservarlo meglio «Una sottospecie di gatto immortale?».
«È semplicemente Frosch, e non trattarlo male» ringhiò lui prendendolo in braccio. Minerva sorrise divertita da quella reazione. Anche quel tipo sapeva diventare aggressivo se si toccava il suo gatto, o qualunque cosa fosse.
«Prendo la stanza più grande» decise lei con un tono che non ammetteva repliche.
«Quanto resterai?» domandò Rogue.
«Non lo so, una settimana forse». Alla fine Minerva rimase lì per tutta la sua vita.
 

 

***La magia degli dei***

Wendy non poteva fare altro che singhiozzare disperata, aveva sempre sognato di fare mille avventure, di girare il mondo, di farsi tanti amici, e invece si ritrovava a morire per la sua stupidità. “Stupida, stupida, stupida” pensò trascinandosi lontano dai rovi. Osservò le spine sul proprio polpaccio e come questo stava diventando sempre più scuro a causa del veleno che si stava allargando. Era uscita solo per prendere delle ciliegie e stupidamente, non avendone già abbastanza, si era arrampicata sui rami più alti, per poi ritrovarsi a cadere su quei maledettissimi rovi velenosi. Pianse ancora più forte, faceva male e lei non riusciva più a camminare.
«Perché piangi?» le chiese una voce e Wendy si voltò sorpresa, vedendo una ragazzina con dei capelli rosa raccolti in due codini camminare verso di lei. La osservava curiosa e Wendy le indicò la gamba.
«Piango perché sto morendo» piagnucolò e la ragazzina le si avvicinò subito.
«Tranquilla, sei fortunata, ti aiuto io» le disse e aprì le mani sopra la sua ferita. Wendy corrugò la fronte, ma subito dopo sgranò gli occhi vedendo una luce azzurra irradiarsi dalle sue mani e sentendosi meglio. Il dolore si affievoliva, la gamba stava ritornando del colore normale e i graffi stavano sparendo. La ragazzina aveva un’espressione concentrata e quando le ferite furono completamente richiuse si sedette per terra, passandosi una mano sulla fronte sudata.
«Ancora non sono abituata» borbottò. Wendy sorpresa si guardò la gamba e si chiese se per caso stesse sognando. Si diede un pizzicotto sul braccio. «Ehi, non farti male da sola, mi sono già affaticata abbastanza» fece la ragazzina.
«Tu…mi hai salvata?» balbettò Wendy con gli occhi spalancati.
«Sì certo, è la mia magia!» esclamò l’altra e poi abbassò la voce «Non dovrei dirtelo, ma sono la figlia del Dio del Vento» le fece «Mi chiamo Chelia, tu come ti chiami?» le domandò tendendole la mano. Wendy gliela strinse ancora un po’ scossa.
«Io… mi chiamo Wendy».
«Piacere di conoscerti, come hai fatto a farti male?» le domandò e Wendy arrossì imbarazzata.
«Io… volevo prendere le ciliegie, e sono caduta dall’albero» ammise indicando il ciliegio davanti a loro. Chelia alzò lo sguardo e ridacchiò.
«Sei proprio imbranata, te le prendo io» le disse alzandosi in volo. Wendy la osservò allibita mentre la ragazzina raccoglieva diverse ciliegie, per poi scendere di nuovo accanto a lei e aprire la mano. Wendy ne prese una mangiandola in silenzio e sputando il nocciolo, ancora perplessa da ciò che aveva visto.
«Sei davvero la figlia di un Dio?» domandò dopo un po’.
«Certo!».
«Quindi puoi fare diverse magie?» le domandò Wendy e Chelia annuì.
«Posso controllare il vento e guarire le persone» le spiegò.
«Quindi tu abiti… nel cielo?» chiese curiosa Wendy e Chelia rise.
«Più o meno, abito in quel monte là» le rispose indicandolo oltre l’albero «Sopra le nuvole. Però sai, è un po’ noioso, lassù sono tutti vecchi e non ho nemmeno un’amica» borbottò alla fine «Perciò, che ne dici di diventare amiche?».






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Nota: Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui, spero che queste brevi e veloci flashfics vi siano piaciute. Se vi va di lasciare un commentino sarò molto felice di leggervi <3
   
 
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