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Autore: sacrogral    25/03/2021    10 recensioni
Secondo antefatto, dove si sospende la trama, si presenta il generale Jarjayes, si ripercorre il passato di madamigella, si scopre che la natura può fare degli sbagli e gli uomini ancora di più, si conosce qualcosa su Oscar e André da fiori e poi si cambia tono e si conosce qualcosa di più su di loro da frutti.
Oggi è il Dantedì, ci tenevo a rendere omaggio. Ma il racconto si basa su personaggi creati da madame Ikeda e tutto è di madame Ikeda.
Questa storia è il continuo di una storia, contiene riferimenti ad altre mie storie.
Avvertenza: nessi e legami con la puntata 28 dell'anime. Sempre un rischio. E mi son preso molte licenze, ma non è una novità.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Secondo antefatto

 Misi me per l’alto mare aperto

 

Dove si sospende la trama, si presenta il generale Jarjayes, si ripercorre il passato di madamigella, si scopre che la natura può fare degli sbagli e gli uomini ancora di più, si conosce qualcosa  su Oscar e André da fiori e poi si cambia tono e si conosce qualcosa di più su di loro da frutti.

 

Oscar Françoise de Jarjayes, dal nome metà maschile e metà femminile, la seconda parte su imposizione della madre – e le volte che madame Marguerite aveva contraddetto il generale, nella vita, si contavano sulla punta delle dita di una mano – era stata cresciuta come un maschio. La leggenda voleva che fosse accaduto perché in culla piangeva forte. Di fatto, il generale Jarjayes desiderava e aveva bisogno di un erede, mentre la sua sposa, quasi per dispetto – pensava lui – continuava a regalargli femmine delle quali non sapeva bene cosa fare, eccetto calcolare la dote che avrebbe dovuto dar loro, e con le quali non sentiva affinità alcuna. Non aveva bisogno di un maschio solo per ragioni economiche, politiche e diplomatiche, ma pure per essere padre davvero, per tramandare quella sapienza atavica fatta di aneddoti bruschi, di ricordi di battaglie che diventavano di volta in volta sempre più cruente, di battute maschie immediate e da caserma. Aveva bisogno di vedersi proiettato in un futuro privo di gale e di vezzi, privo di permalosità ingenue, di timori delicati, di pianti lamentosi.

Oscar a lungo era stata convinta di essere davvero un maschio, in quell’età in cui tutto è confuso e i bambini somigliano più agli angeli e diventano quello che gli si dice che sono. Non aveva termini di paragone. Le sue sorelle venivano trattate in modo molto diverso da lei e sembravano con lei aver poco in comune. Oscar Françoise faceva attività fisica, era educata dal generale in persona, vestiva in maniera diversa dalle bambine, era chiamata “conte” o “signorino”; Oscar Françoise cavalcava da sempre, studiava con un precettore severo, veniva punita a suon di schiaffi tirati da suo padre stesso; suo padre la toccava – non toccava mai le sue figlie, il generale, sembrava averne una pallida repulsione – suo padre la toccava e la guardava e parlava con lei. Oscar Françoise sapeva che questo accadeva perché lei era un maschio.

Fu per questo che, quando un giorno Augustine Rayner de Jarjayes, padre amato e temuto e rispettato oltre quanto le parole possano dire, la convocò per un colloquio privato – aveva poco più di dodici anni, già il piccolo André Grandier era il suo compagno di giochi e il suo migliore amico, già con la spada batteva i maestri d’armi e mostrava una predisposizione notevole per le armi da fuoco – lei pensò di aver commesso qualche imprudenza di troppo rubando cibo nelle cucine, di notte, o addirittura vino avanzato, o che il generale fosse scontento dei suoi progressi nell’arte venatoria, dato che – lo faceva senza batter ciglio, ma – provava un po’ di ripugnanza nello sparare agli animali belli. Ricordava di aver pianto quando aveva dovuto abbattere un cavallo, di sua mano, per ordine del padre. Però l’aveva fatto, si rassicurò.

Il generale Jarjayes la fece sedere, la guardò più a lungo del solito – non era buon segno, si disse – e per la prima volta le consentì di bere con lui. Le sue guance si colorirono prima ancora di toccare il bicchiere.

Capì che suo padre era nervoso. Poi iniziò un discorso lungo e serio, prendendola larga:

“Oscar, la natura è la madre di tutti noi, pone e dispone a suo piacere le creature sulla Terra benedetta dal Signore e dal nostro eccellente Sovrano – deve aver parlato col prete nuovo, rifletté Oscar fra sé e sé – e noi tutti la rispettiamo, consapevoli che un giorno dovremo rendere l’anima a Dio” – deve aver parlato con qualche alto prelato, ridacchiò Oscar in silenzio, adesso mi rimprovera perché mi sono addormentato durante la messa, domenica scorsa – “Però non è detto che la natura disponga tutto nel migliore dei modi. Per questo Dio ha dato agli uomini, in particolare ai padri di famiglia, il libero arbitrio, così da correggere gli errori della natura, mi sono spiegato?”

“Certo, padre” – rispose in fretta Oscar, che non aveva capito nulla – “Mi domando tuttavia cosa vogliate dire di preciso” si azzardò a chiedere, forse perché il primo dito di vino bevuto le dava coraggio.

“Voglio dire” prese fiato il generale “che di fatto, e senza tanto girarci intono, e per usare le parole più gentili possibili, e anche più chiare, voglio dire che con te la natura ha fatto uno sbaglio, e io vi ho posto rimedio”. 

Sembrò fiero di sé e della sua chiarezza. Lo aveva spiegato, la sera prima, alla sua consorte riverita, che non c’era bisogno di lei e lui medesimo era in grado di dire a Oscar quel che c’era da dire.

“Adesso puoi andare, figlio mio”.

“Certo padre” disse Oscar, alzandosi “Devo però farvi presente, col dovuto rispetto, che non ho ben afferrato lo sbaglio. Forse la natura non mi ha fatto abbastanza forte? Vi ho forse deluso in quanto a resistenza al dolore? O trovate, padre, che abbia delle debolezze negli studi? Mi avete sempre detto che l’intelletto serve a un militare per la strategia, ma per la tattica occorrono la pratica e l’esperienza delle armi”.

Il generale impallidì un poco e la invitò a sedersi di nuovo. Forse non aveva scelto le parole più adatte. Buttò giù un bicchiere tutto d’un fiato, poi schiarì la voce.

“No, Oscar. Voglio dire solo che in teoria sei nata femmina e io ho fatto di te il maschio che sei. Tutto qui” buttò fuori di getto.

Oscar Françoise ebbe un momento di panico. 

“Padre, non credo di aver capito bene” disse, e sentì le lacrime a fior di pelle.

“Non è nulla di importante, figlio mio” si affrettò il generale “È veramente una sciocchezza priva di importanza”.

“Ma io non voglio essere una femmina! Non sono mai stato una femmina!” si inalberò, e sembrava un piccolo leone.

“Certo che è così! È proprio come dici tu!” ribadì il generale “Soltanto, Oscar, dovrai fare più fatica degli altri maschi per essere un maschio. Anzi, di qualcuno dovrai anche fare meno fatica. L’hai visto il figlio di monsieur Gallimard? Gracile e piagnucoloso, con due gambette torte che sembrano bastoncini di ginepro!”

“Sì, padre – confermò Oscar – e se non ci fosse André ad aiutarlo a portare le ceste, neppure quelle con le uova, riuscirebbe a sollevare!”

“Proprio così” disse di nuovo il conte Jarjayes “Si può definire un maschio, quello? Vedi, Oscar, io ho visto oltre la natura e le sue debolezze. Tu sei il mio erede, l’ho capito subito, sei il futuro conte Jarjayes, erediterai il mio titolo, sarai un giorno a capo delle Guardie Reali. Proteggerai la Corona e onorerai il nome della tua famiglia, come accade da secoli. Proprio come deve essere”.

“Così è e così sarà, padre!”

“Certo” affermò di nuovo il generale “Però, ragazzo mio, dovrai combattere. Intendo, che ti succederanno per forza delle cose che succedono o possono succedere alle donne – inciampò sulle parole e come sempre pronunciò la parola donne con un po’ di commiserazione – e te le spiegherà tutte madame Marie e tu farai finta che non ti stiano succedendo”.

“Di cosa parlate, padre?”

Il generale fece un gesto vago.

“Oh, beh… sempre cose di natura… alcune ti succederanno e non dovrebbero succederti, altre non accadranno e dovrebbero accadere… cose, insomma… tutto a suo tempo, figlio mio. Tu devi avere ben chiaro che sei il mio erede maschio e che dovrai dominare qualsiasi debolezza da ragazzina, cose indegne di noi Jarjayes. È tutto molto semplice”.

“Certo, padre”.

“Ora va’, Oscar. Desidero rimanere solo”.

Scattò, Oscar Françoise.

“Arrivederci, padre” salutò, marziale.

Non appena fu uscita, il generale si sentì orgoglioso di suo figlio. E di se stesso. Poi, ogni cosa a suo tempo.

Appena fu uscita, Oscar si pose delle domande: “Chissà perché proprio io sono uno sbaglio di natura. Chissà cosa vuol dire essere una femmina”; e poi se ne dimenticò, perché niente era cambiato e aveva altro da fare.

 

Da quando Oscar aveva memoria, ricordava di aver avuto André Grandier al fianco. Ormai le sembrava naturale, come avere l’ombra proiettata in terra, quando il sole batte a picco sulla pianura che attraversi, o si staglia alto nel cielo mentre procedi a cavallo con pigra fermezza, e ti accompagna la tua immagine un po’ allungata, un po’ distorta, che sembra seguirti silenziosa. E anche per lui era sempre stato naturale essere un pezzo di lei, una parte di lei, come lo era la spada, come avrebbe potuto esserlo uno scudo. Bambino di una certa brillantezza anche se obbediente e posato, consapevole fin troppo e fin da subito del suo ruolo nella vita, non aveva avuto nessun dubbio mai né riguardo al suo debito di gratitudine verso la famiglia Jarjayes né tantomeno sul senso della vita, che gli si dispiegava davanti incarnato in Oscar. 

Quello che a lungo non aveva ben decriptato era però Oscar stessa come figura, e quando lei stessa gli parlò di quella cosa dello sbaglio di natura non disse niente ma si fece più perplesso. Se Oscar era davvero una ragazza – sua nonna lo diceva, ma lui non ci aveva mai creduto – si spalancavano per lui vastità che non poteva esplorare, che nemmeno ci pensava ad indagare. Per istinto però si sentiva investito di una responsabilità più grande, l’istinto di protezione gli si risvegliava raddoppiato, archiviando pure quella cosa dello sbaglio di natura che la mente del generale aveva così ben confezionato, ma che lui era propenso a sintetizzare nelle parole di sua nonna quando era irritata: “Quel vecchio dissennato che si crede il padreterno!” 

Si comincia col desiderare quello che si ha sempre davanti agli occhi, quello che ci sembra di poter avere e fu così naturale per lui voler bene ad Oscar, desiderare la felicità di Oscar e poi amare Oscar che neanche gli sembrò una scoperta, la volta che si trovò a dirlo a voce alta, da solo, guardandola da lontano stesa sull’erba, in attesa che sorgesse l’alba del suo duello – una trottola, un coltello dal manico rosso, il suo amore ancora protetto dalla terra vergine, dall’incanto fanciullesco. Un amore giovane che volava oltre gli impedimenti del rango sociale, delle differenze di classe, del cuore di lei. Avrebbe ricordato per sempre quel momento di illusione così profonda, in cui si era sentito come il primo uomo che ha dato un nome a un sentimento che lui, prima di ogni altro, provava. Eppure, avesse dovuto definire cosa voleva davvero, non avrebbe saputo dirlo. Forse – ripensandoci, anni dopo – avrebbe voluto cristallizzare il presente, così che non entrasse fra di loro altra vita.

Quando monsieur Bambousse, il primo stalliere, su ordine e regalo del generale, lo portò a puttane, perché “non è bello un capretto che non si sfoga mai” , capiva a stento cosa ci si aspettasse da lui. Lo capì il suo corpo prima della sua testa, davanti ad una esposizione di nudità desiderabili che non aveva mai visto, neppure nei suoi sogni. Vide com’era fatta una donna davvero, si sentì intimidito dai complimenti rituali ma diversi da quelli che era abituato sentirsi rivolgere. Provò piacere e delusione. Desiderò di nuovo una donna, una donna qualsiasi, ma non trovò nel cuore qualcosa di diverso da ciò che c’era prima, né si trovò cambiato, se non in una sensazione di potenza nuova, di forza lasciata andare. Si sentì cresciuto, perché anche se continuava a scherzare come un bambino, adesso sapeva cos’era una donna e cosa ci poteva fare; si sentì turbato, perché vide Oscar sotto una luce nuova, non avendo più l’ignoranza per difendersi; si sentì misero, perché capì che quella signorina non voleva davvero lui, le andava bene anche monsieur Bambousse, e pensò che non avere scelta non è mai una bella cosa. Si ripromise in vita sua di non comprare mai quello che deve esser dato in dono. Se il generale aveva voluto fargli un favore, glielo aveva fatto a metà  e di sicuro aveva sottovalutato il pensiero del ragazzo, in un’età in cui il baldanzoso Jarjayes aveva ragionato coi calzoni e già considerava le donne come considerava i biancospini: quando fioriscono, hanno già fatto tutto quello che possono. Se aveva pensato di indirizzare il desiderio del ragazzo fuori da casa sua aveva sbagliato i suoi calcoli, quel “dissennato che si credeva il padreterno”.

Di contro André – se ne rendeva conto allora, continuò a esserne consapevole in maniera lucida – si era votato a Oscar scientemente, quasi come un fedele che riceve la chiamata e sceglie controvoglia la castità e solo perché Dio gliela impone come prova. Non poteva farci nulla.

 

Il taglio netto della sua vita non fu la perdita dell’occhio sinistro. Non lo avrebbe annoverato fra i momenti più belli, il dolore era stato quasi insopportabile, la fatica dell’adattarsi lo aveva provato, giorno dopo giorno. Però poteva sostenerlo. Era l’attendente di Oscar, era sempre con lei, poteva sostenere tutto. Aveva sostenuto l’amore di lei per il conte e diplomatico svedese Hans Axel von Fersen, uomo di grande bellezza, di indiscusso fascino, di antico lignaggio e di cervello guazzo, avrebbe detto madame Marie Grandier.  Aveva incassato quell’amore palese come di incassa un pugno tirato bene, a nocche strette e alla sprovvista. Aveva tremato all’dea – eppur consapevole che fosse impossibile a realizzarsi, quell’amore, per mille motivi; eccetto la bellezza di Oscar, per la quale lui avrebbe spaccato il mondo – ma non aveva detto niente. Aveva forse il diritto di dire qualcosa, lui? Gli era rimasta l’illusione di poter meritare un giorno l’amore di lei. Si desidera quello che si ha sempre davanti agli occhi. Il taglio netto della sua vita fu la sera in cui lei gli disse che davanti agli occhi non lo voleva più avere, che non aveva più bisogno di lui. Le parole, il giro di frase. Non essere servo, non servire più, essere quindi inutile. La vista che si offuscava di giorno in giorno, il futuro senza promesse, il presente privo di senso. La sua ribellione misera, con parole scelte, a ricordarle a modo suo che era una donna. La guancia a bruciare delle dita di lei. Il tepore dei polsi di lei. Toccarla. E poi si era cancellato il mondo sulle labbra di lei nude e vulnerabili.

 

È colpa mia, si era detta allora Oscar Françoise, da donna. L’ho provocato. L’ho volutamente provocato. Volevo che soffrisse per me, come io sto soffrendo per un altro. Io lo sapevo cosa provava – era la verità – e l’ho fatto lo stesso. In scienza e coscienza.  Ma adesso?
 
Sentì la sua voce, bella e dura: “Adesso ti mostro cosa vuol dire essere un uomo, Oscar, vuoi?” e senza volerlo lei tremò.
 
Si rendeva conto, seppur vagamente, di cosa parlasse. Le sembrava di essere divisa in due: da un lato c’era lei che era il suo corpo, e sentiva le mani di lui su quel corpo che nessuno toccava mai, le labbra su quella pelle che nessuno sfiorava mai, e percepiva sensazioni nuove, che la immiserivano- non può essere, io non sono come le altre -e la rinfrancavano- può essere, sono come le altre, mi sta desiderando.
Pensò che era sfuggita alle braccia di Fersen quando il contatto era divenuto troppo ravvicinato, quando il ballo si era trasformato in un abbraccio: dal corpo era fuggita, e maledetto il corpo che appesantiva l’anima fatta di ben altra consistenza.
E poi, dall’altro lato, c’era lei che si osservava dall’esterno e si vedeva quasi finalmente indifesa, nella sensazione dell’innocenza che le dava l’aggressione, e che frattanto le permetteva di provare qualcosa che non aveva mai neppure ammesso di poter desiderare, e che non conosceva. Cercare di respingere, ma non poter respingere veramente, e analizzare anche passo passo le sensazioni mentre le provava, sentendo la disperata foga di lui che non tratteneva una forza e una potenza sottovalutata negli anni, ignorata nei duelli, deprezzata nel quotidiano.
Aveva sentito la consistenza delle sue ossa, dibattendosi, e percepito vana la propria resistenza, forse persino incoraggiante e niente di peggio della perdita di controllo di chi è controllato, niente di più irrazionale della natura – lo sbaglio di natura – che si riprende i suoi diritti. Qual era la differenza fra lui e quello che stava facendo, e un’annata di carestia che riduce alla fame un villaggio, oppure un terremoto che devasta una città, costruita in modo inutile e paziente dagli uomini?
 
Sentì le labbra di lui sul collo, adesso lente, anche se non meno sicure. La lentezza le fece ancor più paura. La lentezza è coscienza.
“Lasciami, André. Smettila, o chiamo aiuto”, si sentì infine dire, ma la sua voce non era determinata, era spezzata.
Pensò che non l’avesse neppure udita. Poi lottò ancora con la bocca contro la sua bocca. E soltanto quando si fu preso ancora quei baci di cui aveva bisogno per risponderle, lo sentì fermo su di sé: “Grida quanto vuoi. Fammi uccidere, fammi sbattere nella prigione più buia . Non mi importa. Chiama tuo padre, e che ti veda adesso, e capisca finalmente che sei una donna. Che ti veda per una volta con gli occhi miei”.
 
Lei restò immobile, e senza voce. Vide in un lampo la scena, il generale entrare, strappare a forza dal suo corpo quell’uomo che si sarebbe lasciato strappare senza resistenza, quello sì, che si sarebbe afflosciato come un cencio sotto le parole e i pugni di Augustin Francois de Jarjayes, rispettato come un padrone, come un genitore, senza proferir parola, né di scusa né di giustificazione; e poi suo padre avrebbe guardato lei, con la compassione che il generale riservava alle donne, alle vittime e alle volpi durante le battute di caccia; e quel figlio da lui così tenacemente voluto sarebbe morto e mai tornato. Sarebbe nata madamigella Oscar dalla morte dell’erede del casato. Niente più soldati da comandare, niente più uniformi per lei. Altre conversazioni, altri cibi, altri obblighi. Nel dubbio, un matrimonio riparatore col primo partito accettabile. I discorsi a mezza voce sussurrati a Versailles: “Dicono che il suo attendente, una notte…” “Li avrei creduti amanti da anni…” “Forse sì, ma quando il generale li ha scoperti…” “… non avrebbe potuto far finta di niente, chiaro!” “Adesso lei organizza pregevoli serate danzanti… una sera partecipiamo, voglio vederla…” e poi ancora, in un crescendo, in un vortice che adesso la trasportava nel futuro, più spaventoso del presente.
Non poteva gridare, nessuno doveva sapere.
 
“Oscar, basta con questa pazzia. Sei una donna. E sei bellissima”. Parlava in maniera roca, con sforzo “Ti amo da sempre. Ti desidero da sempre. Ti sogno da sempre” le disse ancora, e lei sapeva d’istinto che era vero. Forse, quando le aveva serrato i polsi, quando ancora il volto gli bruciava solo per lo schiaffo ricevuto, forse, si era illuso di potersi controllare – forse voleva davvero soltanto dimostrare qualcosa a lei, che una donna resta sempre una donna, qualcosa del genere – ma adesso lui non c’era più. E invece era solo lui che avrebbe potuto aiutarla e salvarla da lui, proprio quando aveva negato di aver ancora bisogno del suo aiuto, di lui. C’era solo il suo desiderio da animale liberato, da fiera troppo costretta al movimento minimo indispensabile, e quella forza sopraffaceva e forse sorprendeva lui anche più di quanto sopraffacesse e sorprendesse lei.
Sentì i propri capelli afferrati con violenza, la testa trattenuta con mano salda, e la bocca che senza volontà le si apriva in un grido fioco, soffocato da lui alla ricerca di altri baci; e l’altra mano altrettanto salda accarezzare il seno sotto la camicia in disordine, senza che lei riuscisse a intercettare lo sguardo coperto dal nero dei capelli, né a muovere le braccia in forma di difesa.
 
“Lo senti, lo capisci il desiderio?” si sentì chiedere, da una voce sconosciuta e disperata  – da quando aveva accumulato quella disperazione, e com’era possibile che lo avesse fatto, con la vita di ombra e sfumature e obbedienza che lui conduceva da sempre? Da quando era capace usare parole come quelle, di pronunciarle?
Aveva sottovalutato quella voglia da uomo, forse solo perché in un altro uomo non era riuscita a suscitarla.

E perché allora negargli qualcosa che sembrava desiderare solo lui? Se lo domandò in un lampo ma con determinazione, mentre una parte di lei ammetteva con rabbia e disgusto di sé che le piaceva sentirselo addosso, che le sue mani erano forti e colme di lei, e che ci son momenti in cui le differenze di classe sembrano una convenzione inutile, un’idea ridicola nata da una mente folle, che una donna sotto il corpo di un uomo è creta da plasmare, universo da scoprire, e che adesso lei era quell’universo e quella creta, e chissà per qual motivo o primavera mancata era andata incontro a quel momento senza intenzione ma con passi piccoli – le sembrava adesso –  e studiati, composti nei tasselli degli anni e rendendosene conto a metà. E mentre i secondi passavano lenti come le primavere che li avevano portati fin lì, danzanti e insinuantesi in ogni pertugio , pensò che tanto valeva arrendersi a quelle braccia e a quella bocca che respingere era impossibile, e cedere in silenzio e il silenzio chiedendo a quella voglia sorda e greve, che come la primavera giungeva inaspettata sempre, e però puntuale. Prendersi il proprio piacere di donna e donare a lui il suo di uomo, cedendo, piegandosi, e prendendosi la soddisfazione di piegarsi e cedere, e regalare a lui tutto il senso di colpa, tutta la colpa, e tutto il silenzio.
 
Con stupore quasi sentì i polsi ancora bloccati sopra la  testa, il respiro di lui spezzato, affondato sul seno protetto da quel velo di camicia che le sembrava troppo leggero e inutile, e il tocco di lui poi forte sulla gamba, pensò al domani, pensò che le si voleva portare via qualcosa che era suo e a cui solo lei teneva davvero ed era la sua identità, quello che si era costruita nei lustri, giusto o sbagliato che fosse, e voleva ribellarsi, e l’avrebbe ucciso, se avesse potuto.
 
Quando si sentì strappare di dosso quella sua unica e inutile protezione, e si sentì esposta e paralizzata, reagì però da donna, con le lacrime e con la resa.
E lui, vedendola esposta e arresa, toccando con gli occhi le lacrime di lei e la propria follia – sono un animale, sono un pazzo – reagì da uomo e si fermò.
 
E poi fu tutto in salita per lui e pure per lei. Singolarmente fecero i conti con ciò che erano e lo accettarono lentamente. Senza alcun dubbio lui si arruolò fra i nuovi soldati di lei – si desidera quello che si ha sempre davanti agli occhi – con la benedizione del generale Jarjayes, miglia e miglia distante da qualsiasi afflato; senza un’esitazione la difendeva, le obbediva, si faceva immobile come albero di quercia. Imparò da capo a convivere con i suoi demoni, a tenerli a bada. Sentiva la vita scorrere, nel suo bene e nel suo male e rimpiangeva costantemente il suo fallo.
 
Con molti dubbi lei scacciò dalla mente un amore che non avrebbe mai potuto ricambiare, accettò la propria debolezza e ne fece una sua forza, comprese che tanto passato e tanto presente non si cancellavano in una sera. Chiuse la mente, pensò ad altro e continuò a pensare a un bacio che non si sarebbe ripetuto e a se stessa a contatto con altra carne. Imparò a fidarsi di nuovo. Ritrovò il sangue freddo quando si trovava da sola con lui. Non lo toccava mai e lui non la toccava mai. Lui non incombeva mai su di lei, si rendeva conto. Non le faceva in alcun modo pesare un amore, forse l’unico della sua giovane vita, sprecato. Si sorprendeva come il suo sentimento per il conte di Fersen  che aveva creduto così profondo , che per anni l’aveva fatta sognare a occhi aperti, fosse stato spazzato via di colpo – tanto costringersi ad uno sforzo per ricordare a se stessa che doveva ancora sentirsi rifiutata e delusa –  dalla concretezza di un bacio concreto e dalla forza di un amore di carne. E pensava una sera sì e una sera pure che non avrebbe mai potuto ricambiare quell’amore, né rivivere quel bacio, né ricevere da lui altri baci. Nei giorni che scorrevano ancora, si diceva ogni sera che era impossibile e che lei era Oscar de Jajayes e questo chiudeva la questione. Non ne parlarono mai più.


E fu così che, in un mattino qualunque, mentre già avevano raggiunto un equilibrio più che stabile e già ne avevano passate tante insieme, e lui aveva dato così tante prove di lealtà da riempire un pozzo senza fondo, e l’unica confidenza che si prendeva era darle del “tu” quando erano soli – senza mai toccarla, senza mai sfiorarla – e lei in maniera confusa sentiva che avrebbe invece voluto che le mettesse almeno una mano sulla spalla, che le parlasse più spesso del passato e del presente, che le dicesse qualche volta se era infelice e non sempre che andava tutto bene, e senza ammetterlo mai qualche volta aveva pure desiderato rivedere quello sguardo torbido e privo di ogni filtro dettato dalle circostanze e dal caso, quello sguardo in cui – nel ricordo – capiva di aver visto quello che avrebbe potuto essere se la vita non fosse quel tiro di dadi che fin dalla nascita ti condiziona; in un mattino qualunque, appunto, mentre stava compilando scartoffie per i superiori lamentando le condizioni igieniche inesistenti e il vitto scarso e la carne verminosa, le si fecero davanti i tre disperati con una storia senza senso da raccontarle.

Lei vedeva un uomo triste e cupo, di una bruttezza rara ma dagli occhi buoni; un tipo strano con un volto dalle simmetrie mutevoli, più sottile d’intelletto di quanto volesse apparire; e Foret, che si era buttato su André come se avesse ritrovato un fratello, il cui candore la inteneriva. E quella storia – aveva pensato – poteva riguardare solo una partita di vino avariata, da ritirare dal mercato e via, finché il nome del marchese de Sade non era caduto come una pietra nella stanza.

  
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