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Autore: Tale Vivo    27/03/2021    0 recensioni
Terje lo sapeva, ma non poteva farci nulla: l’amava più di ogni altra cosa, lei era il suo mondo, non riusciva a lasciarla andare. Iselin adorava addormentarsi tra le braccia di qualcuno, bramava lo sguardo di un persona, desiderava essere amata da un uomo. Non si preoccupava se quel qualcuno, quella persona, quell’uomo era Terje: avrebbe potuto essere chiunque altro, perché a lei bastava l’amore. Di qualsiasi essere umano.
[Questa storia partecipa alla “Challenge delle Parole Quasi Intraducibili” indetta da Soly Dea sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’amore ai tempi dei Vichinghi

 

 

Quello che lei cercava non era il mio braccio,
ma il braccio di qualcuno.
Quello che cercava non era il mio calore,
ma il calore di qualcuno.
Mi sentivo quasi in colpa
ad essere io a occupare quel posto.

(Haruki Murakami – Norwegian Wood)

 

 

 

Il piccolo distretto di Jæren, nella contea di Rogaland, era coperto di neve. Il freddo pungeva quella poca pelle che la scura pelliccia non riusciva a proteggere e riscaldare. Le impronte profonde nella neve si susseguivano regolarmente, alla stessa di distanza l'una dall’altra, senza interrompersi.
Il respiro si condensava non appena lasciava le labbra secche e si mischiava all’aria gelida, donandole un leggero profumo di bacche dolci. Il cesto di legno intrecciato era colmo di aringhe, mentre una lepre polare pendeva accanto alla spalla destra, appesa ad una corda.
Mancavano poche centinaia di metri al piccolo villaggio, Terje lo capiva dai diversi sbuffi di fumo che uscivano dai vari camini di legno e si vedevano tra le fitte chiome degli abeti rossi. L’odore di selvaggina affumicata si faceva sempre più intenso e lo stomaco dell’uomo aumentava i brontolii ad ogni passo.
Quando Terje arrivò alle casupole, vide alcuni bambini che stavano lanciando palle di neve contro gli alberi spogli, sfidandosi l’un l'altro a chi avrebbe tirato la neve più in alto, così da lasciare segni circolari e bianchi sui tronchi scuri. Li salutò e diede loro un’aringa a testa; poi si diresse verso casa, aprì piano la porta e il tepore del fuoco acceso lo avvolse piacevolmente.
Poggiò il cesto e la lepre sul tavolo, si tolse la pelliccia, la mise su una sedia e si sedette sull’altra.
«Terje, sei tornato» la voce calma della giovane donna lo fece sussultare.
Si alzò, trovandosi avvolto dalle braccia esili e ricambiando l’abbraccio.
«Sì, ho preso un bel po’ di aringhe» disse, indicando il cesto colmo sul tavolo, «e sono riuscito a prendere anche questa belle lepre polare».
Sorrise, alzando l’animale in modo trionfale. Lei gli accarezzò la barba ispida e bionda, poi prese la il cesto col pesce e lo portò dall’altra parte della stanza, su di un tavolo accanto al fuoco. Da un piccolo contenitore estrasse un coltellino e iniziò a pulire alcune aringhe.
Terje rimise la preda sul tavolo e si avvicinò a sua moglie. Le strinse i fianchi e le baciò i capelli.
«Ti amo, Iselin» sussurrò sul collo liscio e morbido della ragazza.
«Anche io» rispose lei, sorridendo leggera. Come la neve, che copre e attutisce i suoni, le sue labbra tese nascondevano il suo amore. Terje lo sapeva, ma non poteva farci nulla: l’amava più di ogni altra cosa, lei era il suo mondo, non riusciva a lasciarla andare. Iselin adorava addormentarsi tra le braccia di qualcuno, bramava lo sguardo di un persona, desiderava essere amata da un uomo. Non si preoccupava se quel qualcuno, quella persona, quell’uomo era Terje: avrebbe potuto essere chiunque altro, perché a lei bastava l’amore. Di qualsiasi essere umano.
Il cacciatore se n’era accorto quando lei non gridava il suo nome mentre facevano l’amore, quando gli sorrideva dolce e non lo guardava con passione, quando non gli parlava della sua giornata e non gli poneva domande sulla caccia. Ad Iselin interessava il sentimento, non la fonte.
«Hanno scoperto chi ha commesso l’omicidio di due giorni fai, sai?» domandò Terje, tornando verso il tavolo.
«Bene. Spero proprio lo puniranno, quell’assassino» rispose Iselin, continuando a pulire le aringhe. «Pare sia stato il figlio di Thorvald Asvaldsson, Erik il Rosso» spiegò l’uomo, mentre scuoiava la lepre.
«Oh, davvero? Mi sembrava un ragazzo così intelligente. Chissà perché lo ha ucciso».
«Chissà perché ha pensato di potersela cavare».
In quel momento, immaginando il giovane omicida che escogitava ogni metodo possibile per non essere accusato, Terje si ricordò la frase che la sua anziana nonna soleva ripetere: *L'amore, come ogni altro delitto, non è mai perfetto. Stava forse uccidendo Iselin, tenendola legata a sé? Lei avrebbe potuto trovare qualcun altro, se lui avesse deciso di lasciarla andare. No, non poteva. Iselin era la ragione per cui si alzava ogni mattina, per cui affrontava chilometri di ghiaccio nel gelido vento, per cui sorrideva sempre, anche quando le guance erano ghiacciate. Iselin era la sua ragione di vita. Non poteva lasciarla andare.
Guardò i lunghi capelli rossi che le sfioravano i fianchi, le piccole mani, le labbra fini. Gli occhi grandi e blu di Iselin riempirono per pochi secondi i suoi, facendo esplodere tutto il suo amore per lei e, insieme, il suo egoismo. Terje non l’avrebbe mai lasciata, perché senza di lei sarebbe morto. E l’istinto di sopravvivenza vince sempre, anche sull’amore.







































 

 


* Citazione di Mirco Stefanon.

Questa storia partecipa alla “Challenge delle Parole Quasi Intraducibili” di Soly Dea con la parola giapponese ikigai: la ragione di essere, la cosa che ci dà forza di svegliarci ogni mattina.
 

 

   
 
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