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Autore: FanFictioner313    27/03/2021    0 recensioni
Tutti abbiamo visto come è finita "Mare Fuori", l'assalto è fallito, Filippo con un inaspettato gesto di coraggio ha salvato Carmine ed ha ucciso Ciro. Perché, si sa fin troppo bene, che le serie TV devono finire bene, insegnarci che i buoni alla fine in qualche modo vincono, gli viene data una piccola speranza e il male invece viene sconfitto.
Ma la vita reale non è sempre così, a volte la camorra vince e il male trionfa. Allora mi chiedo che cosa potrebbe succedere se Ciro non fallisse in pieno la sua missione e riuscisse almeno in parte nel suo intento?!
P.s: chiedo scusa se il mio napoletano sarà pessimo ma non sono nè di Napoli o della Campania, ma voglio comunque cimentarmi!
BUONA LETTURA E... NON ABBIATE PAURA A LASCIARE UNA RECENSIONE! GRAZIE!!
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nonostante la concitazione del momento, la collutazione e il terrore che aveva impermeato la stanza per un momento sembrò che tutto si fosse fermato, come un istantanea, una di quelle vecchie polaroid degli anni ‘70 in cui un momento era destinato a vivere per sempre.
La speranza, la fuga, il cercare di starsene il più possibile acquattati tra quegli scaffali polverosi erano svaniti come la neve al sole di marzo.
Avevano fatto del loro meglio Filippo e Carmine per salvarsi, avevano seguito alla lettera i consigli concitati di Beppe ma era stato inutile, Ciro gli aveva trovati ed era più che mai pronto a compiere la sua vendetta.

La lotta con Carmine era stata sanguinosa e disperata, aveva cercato in tutti i modi di difendersi, spinto dal pensiero della sua amatissima Nina e della creatura che portava in grembo ma ora Ciro era sopra di lui, lo stava placcando tenendo minacciosamente la lama del coltello appoggiata alla sua gola: “Uomm e mierd! Mi volevi fottere si, mi volevi fregare, pensavi che avrei fatto la figura del fesso davanti a mio padre senza spaccart ‘o culo! Ehhhh! Ma i tacc’upp, acc’capito, t’ammazzo, hai quasi ucciso il mio migliore amico! E lui m’aveva pure avvertito che Chiattil stava in combutta con te pezz e strunz!”

 

Carmine non aveva nemmeno la forza per rispondere, tutte le sue energie erano concentrate a cercare di tenere Ciro lontano da lui; dava qualche fugace e disperata occhiata a Filippo sperando che l’amico trovasse un briciolo di coraggio e riuscisse in qualche modo ad usare il cacciavate che gli aveva dato per mettere ko Ciro e strapparlo dalla morte che era sempre più vicina.

 

Filippo stava osservando tutta la scena stringendo forte il cacciavite nel palmo della mano, così forte che ormai si stava facendo quasi male, eppure era come impietrito e non riusciva a muoversi per quanto lo desiderasse. Era come se ci fossero due Filippo: uno con in mano il cacciavite e pronto a scattare per difendere l’amico, e un altro che osservava la scena come se fosse a teatro e fosse immobilizzato dall’eccitazione di sapere come si sarebbe conclusa la scena.
La mente però era una e si malediceva per aver fatto l’enorme cazzata, perché questo era ancora nella mente di Fillppo ciò che aveva commesso, di aver preso quella pasticca e di aver ucciso il suo amico. Lui non doveva stare lì, non aveva nulla da spartire con quell’ambiente, lui non è un criminale, un boss, uno di quelli che si nutre del sangue altrui per sopravvivere, lui è un “chiattil” di quelli che vanno a scuola con la macchinetta, hanno la media dell’8 al liceo classico e il cui massimo svago è fare tardi il sabato sera all’Holliwood o in qualche altro locale della Milano bene.

 

Poi fu questione di un attimo, Filippo si scosse dal suo torpore e in preda una forza sovrumana che nemmeno lui pensava di poter avere pugnalò violentemente Ciro.

 

Ciro si volse, in preda agli spasmi del dolore verso il suo aggressore e per un attimo sembrò che i suoi occhi diventassero di vetro, ma poi con un ultimo ghigno beffardo sussurrò: “Chiattil, ‘navrei mai pensato che tenessi tanto fegato da fare una cosa accusi, m’hai fatt male i conti, perché un Ricci un lavoro ‘nlo lascia mai a metà” e nel volgere di un attimo, prima che Filippo avesse il tempo di disarmarlo, ancora inebetito dal suo improvviso gesto di coraggio, recise la gola di Carmine provando in lui una soddisfazione talmente forte che il dolore causato dalla pugnalata di Filippo sembrò scomparire del tutto sostituita dalla gioia di aver portato a termine il compito che la sua famiglia gli aveva affidato.

 

Un urlò squarciò la stanza, così forte e così profondo che sembrava provenire dagli inferi, dal centro stesso della terra, Filippo si accasciò stremato sull’amico e in preda ad un dolore tale che ben pochi potrebbero immaginarlo singhiozzava a dirotto supplicando l’amico di non arrendersi, che tutto si sarebbe sistemato, sarebbe arrivata un ambulanza a soccorrerlo e poi avrebbe visto nascere la sua bambina, la sua famiglia gli avrebbe trovato un posto dove ricominciare da capo e si sarebbero lasciati tutto alle spalle.
Ma ormai quelle parole suonavano come il tetro necrologio di un ragazzo rapito nel fiore degli anni da un sistema antico, quello camorristico, che aveva mietuto l’ennesima vittima.

 

Proprio in quel momento la porta si spalancò con violenza e Massimo entrò: “Che cazzo è successo qua?!” Gli ci vollero pochi istanti per capire che cosa era successo così come, ahimè, per capire che ormai per Carmine non c’era più nulla da fare mentre Ciro era ferito ma ancora vivo.

Fate venire un ambulanza urlò con quanto fiato aveva in corpo prima di accogliere tra le sue braccia Ciro che ferito ma ancora lucido sussurrò: “Comandante, qualunque cosa succeda dite a mio padre che ho fatto quello che dovevo, sono stato un uomo d’onore e che il fetente è morto…”
 

Filippo in stato di choc, vedendo Massimo intento a “cullare” Ciro urlò tra le lacrime: “Quando arriva l’ambulanza Massimo, digli di correre, urlagli di sbrigarsi Carmine sta malissimo, ha perso molto sangue…” Massimo non rispose ma gli rivolse uno sguardo ammutolito.
Solo allora Filippo realizzò la terribile verità: il suo unico amico li dentro era morto, Nina era vedova e la figlioletta non sarebbe mai stata cullata dalle braccia di suo padre.
Si sentì morire e per un istante desiderò con tutto se stesso di crepare anche lui, fulminato all’istante. Ancora una volta un suo amico era morto per colpa sua, ancora una volta era responsabile della vita di una persona. Tutto era cominciato con quella maledetta pasticca perché l’aveva presa, perché aveva voluto fare quell’enorme cazzata, aveva ucciso due persone, aveva mandato a puttane il suo futuro di musicista, distrutto la sua famiglia… “Perché incomincio a gridare a pieni polmoni, perché grido di nuovo fissando il lucernario che mostrava un pezzetto di cielo dove stava un Dio che pareva troppo lontano per starlo a sentire, Perché…”

 

Ciro ignorando del tutto il turbine di pensieri che coinvolgeva Chiattil e credendo che quel grido di dolore fosse rivolto alla morte dell’amico ruotò a mala pena la testa verso e Filippo e in un sussurro rispose: “Perché te ne potevi stare con il Principe di Napoli e avresti potuto vivere a palazzo ma invece ai preferito stare insieme alla merda e sei finito dentr’o’cess…” poi sentì la porta aprirsi ed il personale medico entrare, ebbe giusto il tempo di volgere loro un veloce sguardo e poi perse i sensi stremato.

   
 
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