Ancora
il suo passato la tormentava. Ancora quando dormiva quell’incubo tremendo
l’attanagliava.
Ed
erano passati oramai sei anni.
Sei
lunghi anni, in cui la sua vita era totalmente cambiata.
Ora
era felice.
Povera,
ma felice.
Avrebbe
voluto possedere qualcosa in più per dare alla sua bambina una vita migliore,
ma non poteva, non ce la faceva anche se ce la metteva tutta. Sì, è vero, il
suo piccolo tesoro si accontentava di ciò che aveva (e spesso di ciò che non
aveva) senza fiatare; sorrideva sempre nel guardarla, era sempre pronta ad
aiutarla, non si lamentava nemmeno nelle situazioni più tragiche.
Questo
la faceva sentire ancora più fiera ed orgogliosa di lei… della sua piccola dea.
Ma sapeva che in fondo non era giusto: lei era una bambina, doveva potersi
godere la libertà, prettamente infantile, di fare, dire, pensare tutto ciò che
voleva. Perché tanto le scuse, per lei, erano sempre pronte.
O,
almeno, doveva essere così. Per tutti i bambini era così, perché per la sua
Venus no?
E’
vero, non lo era stato nemmeno per lei… ma lei non era nata fra la gente
comune.
Nel
luogo ove era venuta alla luce, i bambini non esistevano. Si era adulti fin da
piccoli. E fin da piccoli si era giudicati come degli adulti.
E
gli errori… venivano fatti pagare molto cari.
Basta.
Il
suo passato… non esisteva più. Era stato sepolto sotto metri e metri di terra.
Era morto, ucciso dalla gioia delle risate di sua figlia, dai suoi occhi
splendenti, dal suo cuore sempre pronto ad amare tutto e tutti.
Amava
la sua bambina.
Ma
non era amore il modo in cui era stata concepita.
Erano
state lacrime di dolore, di spavento, di rabbia, di odio immenso a consacrare
quel momento.
Ma
poi era fuggita.
Aveva
quindici anni, eppure era riuscita a scappare da tutti loro e nascondersi fra
la gente comune, fra quelli che venivano chiamati dispregiativamente ‘babbani’.
La
vita era rincominciata ben presto, in una casa d’assistenza per ragazze madri
lì, a Londra, città così diversa e così lontana dalla sua buia Glasgow.
All’inizio,
avrebbe voluto morire.
Perché
doveva dare la vita ad un essere tanto orripilante?! Ad un essere che era il
tramite per quel mondo orribile?!
La
risposta la ebbe quando tenne sua figlia, per la prima volta, fra le mani, due
settimane dopo averla data alla luce. Prima non ce l’aveva fatta a guardarla…
temeva che non avrebbe resistito ad ucciderla, e così facendo avrebbe perso
anche l’opportunità di libertà assoluta che quel nuovo mondo in cui era appena
entrata già le garantiva.
Era
andata da lei, una mattina, sul fare dell’alba.
Le
rose nero – rosse sbucavano dalla finestra, riempiendo l’ambiente di dolce
profumo.
E
lei era lì, tranquilla nella sua culla, che la guardava con quegli splendidi
occhioni del colore della miosotide, quel fiore che molti chiamano ‘occhi della
Madonna’… e che altri invece nominano nontiscordardimé…
…
ed era proprio questa la tenera, dolce, commovente, e allo stesso tempo
imperiosa preghiera che essi le porgevano…
…Non ti scordar di Me…