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Autore: Claa    02/04/2021    0 recensioni
Cloud e Tifa ritrovano Aerith nella rimessa. Punto di vista di Aerith.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Note dell'autrice:
E' una storia un po' confusa, non solo per come mi sono espressa, forse anche per com'è caratterizzata Aerith, dato che non ho giocato il videogioco originale e sono ancora nel mezzo del remake, quindi non sono certa di averla "presa". Comunque, spero sia una lettura che vi lascerà qualcosa ♡

 


Still




 
Prima una linea d'amarezza si era allungata sulle sue labbra, poi la presa di coscienza di quella piega sfociò in un'emozione tanto nitida e dura come punta di diamante che fu quasi spiacevole, innescò una reazione quasi di paura non per l'emozione in sé quanto per la decisione con cui l'aveva colpita. Non sapeva quello che stava accadendo, ed era sola. Con l'allontanamento da Cloud e Tifa era stata sottratta di quella limpidezza che si sentiva a suo agio a vestire quando quei due altri corpi amici formavano i capisaldi mobili di una barriera sempre pronta a rinserrarsi davanti a lei, sbarrando il passaggio a qualunque cosa si ammassasse di minaccioso nel mondo. Sì, Tifa e Cloud erano come una fortezza verso cui non nutriva la crepa di alcun dubbio, e lei era la torre più alta che si innalzava sulla base sicura che loro erano, e spingeva il proprio sguardo sempre più in alto, fornendo loro una visione geometricamente precisa delle deboli aperture. Ma ora che era sola, era a terra, e si sentiva come se stesse dedicando quel pianto al potere di quell'unione i cui cocci invisibili sparsi intorno la circondavano. Non voleva vederli, né voleva vedere la propria debolezza in quella posa abbandonata a terra dipinta di un grigiore che le scomponeva squallidamente il vestito e assottigliava la sua figura contro lo sfondo di una scena i cui presagi ingigantivano. Nell'aria c'era come la persuasione che l'incisività del bene che aveva fatto fino a quel momento, sarebbe risultata in vani segni su un muro, una semplice memoria di una progressione soltanto apparente. Tutto quello che aveva fatto, non importava quanto lunghi e profondi gli attimi di cura che gli aveva dedicato, non era servito a nulla, si era illusa, aveva creduto con tutta se stessa in quel gioco e si era sentita parte di esso in modo consistente, ma adesso che era sfumato vedeva come fosse stata solo una piccola bambina con una grande speranza.
Sapeva che tutto si era fatto buio nonostante si fosse rifugiata nei palmi delle mani, quell'oscurità aveva la qualità del gelo di penetrare nelle ossa e nei pensieri, passando la sua falce sulla prospettiva di alzarsi per stagliarsi di nuovo. Sotto quei colpi cadevano le convinzioni di cui persino qualcuno come lei aveva bisogno. Non che la gente che sapeva, avesse mai insinuato che non necessitasse in fondo della stessa premura riservata a qualunque ragazza. Eppure, lei non era una qualunque ragazza, e sarebbe sempre stato diverso, e adesso che la più umana fragilità aveva preso possesso della sua persona spezzandole i respiri in gola, nessuno avrebbe capito, nessuno avrebbe guardato abbastanza a fondo da capire che la mossa giusta fosse prima chinarsi accanto a lei, e solo dopo porgerle la mano. Porgergliela da una posizione di equità, da un posto di comprensione senza asperità di pretese, condividendo il punto più basso senza che una testa superasse l'altra in uno spazio di umiltà creato da sguardi da cui il giudizio scrutatore era bandito. In quella solitudine di emozioni amplificate aveva dimenticato che loro non sapevano. La maggior parte della gente non sapeva. A volte lo dimenticava.
Il chiarore di un presentimento positivo la influenzò prima che potesse rendersi conto di cosa si trattasse. Si era persa in distanze che in un attimo furono dissipate dai rumori di una corsa alle sue spalle, abbassò le mani e schiuse gli occhi sulla realtà che ricordava e che aveva lasciato al momento del rapimento, cominciando velocemente a dimenticare come avesse potuto credere di non riuscire più ad articolare i movimenti delle gambe in una contromossa allo spaesamento. Una fulminea inquietudine, come un'intuizione utilitaristica le suggerì di trattenere le emozioni precedenti, perché non era l'ultima volta che le avrebbe fronteggiate e quell'esperienza, se mantenuta, le avrebbe fornito un punto di partenza avanzato, ma qualcosa nel suo intimo chiedeva con tale irruenza sollievo, che la soddisfazione di questa richiesta fu come un allagamento d'oblio.
Quel vortice disceso in emozioni passate adesso la stava restituendo alla superficie del reale. Con sollievo era testimone impotente del processo che rivoltava il gelo del regno interiore sull'epidermide, cosciente, anche in quell'avvenimento dai contorni indecifrabili, che qualunque temperatura esterna, anche la più bassa, non avrebbe avuto lo stesso potere di spaventarla. Pensando a questo, la verità che timidamente le si squarciava davanti... strinse per un'altra volta le palpebre ad accompagnare il sussulto di una contrazione allo stomaco... la verità difficile da mandar giù che quel posto dentro di lei fosse così vicino, e le vie per raggiungerlo libere e spalancate. Ma malgrado dentro tremasse, sapeva che un giorno lo avrebbe affrontato come ogni essere umano affronta il cambio delle stagioni, con una tranquillità costretta e un senso pressante di caducità nel petto. E stavolta qualcosa era diverso, glielo confermò per primo il proprio nome lanciato nella voce concitata di Cloud quasi il ragazzo volesse agganciarla semplicemente chiamandola. Lo aveva notato nelle sue osservazioni da postazioni arretrate, di sottecchi, accenti d'interesse che le accendevano lo sguardo della capacità di lambire gli intrecci di affinità carpendone dettagli normalmente facili da perdere... aveva notato quello schema che si replicava nell'apprensione, scattava come una misura di sicurezza, protettiva verso coloro che aveva a cuore, e Aerith lo trovava di una tenerezza sconfinata, quel modo di rassicurare e rassicurarsi automatico che lo svelava più di quanto lui immaginasse. Ma sarebbe stata attenta a non fargli intuire la tenerezza che provava, perché lo avrebbe intimorito. Poi una mano la toccò, e così ridivenne concreta, le pelli che si scambiavano calore e le ossa che con la loro durezza si assicuravano le une con le altre un sodalizio in quella presa di dita sulla spalla, sodalizio sicuro proprio in quanto non aveva bisogno di stringere.
Era Tifa. L'aveva trovata, l'avevano trovata. Sentì accumulare nelle sopracciglia una tensione per qualcosa che sul momento non poté sciogliere in comprensione, come accade per la vita quando è viva nel momento presente. Non aveva nulla da dire, le sue emozioni già dicevano ogni cosa, nessuna parola era tanto grande da poter aggiungere qualcosa a ciò che sentiva, cangiante, schiuso come le sue labbra che saggiavano il vuoto in quella certezza di incomunicabilità. Perché le sue emozioni dovevano sempre presentare una doppia faccia e il lato affilato? Anche quell'emozione enorme che vedeva riflessa sul viso chino di Tifa colmo di accoglienza stillata per lei sola, si sfumava tra una grandezza di gratitudine tenera e l'inquietudine per qualcuno di comune che potesse apparire grande nella sua essenza anche a lei, rimescolare i ruoli spingendola a scoprire con malcelata tensione, in quella che invero era una riscoperta, il desiderio di poter appoggiare il proprio bisogno a quegli occhi, e sapere di poterlo fare ancora e ancora.
  
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