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Autore: ElenCelebrindal    04/04/2021    1 recensioni
Ciò che è accaduto fra Milo e Camus dopo il ritorno in vita dei Cavalieri d'Oro.
Standalone, ma parte dell'universo di "Dietro il Mito" e "Oltre i Cavalieri".
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo Il Ritorno

Milo x Camus

Ambientazione: post serie classica, Hades, e Soul of Gold. Non prende in considerazione "Le Porte del Paradiso"
Fascia temporale: XXI secolo
Headcanon principale: tutti i guerrieri degli dei sono tornati in vita, e Saga è il Gran Sacerdote al posto di Shion
Parte dell'universo di Dietro il Mito e Oltre i Cavalieri
Note di comprensione in fondo al testo
Traduzioni  in fondo al testo
Purtroppo scrivo senza un beta, eventuali errori sono mie sviste che non ho individuato e corretto.
Rating: verde
Personaggi: Milo, Camus

 
Capitolo bonus che non ha avuto spazio nella raccolta principale di Dietro il Mito e Oltre i Cavalieri. Potrebbe essere letto come una one-shot a sé, ma alcune parti rischiano di essere un po’ confusionarie se non prese nel contesto.
 

La mano tesa di Atena era un richiamo difficile da respingere. Fra i campi fioriti dell’Elisio, con una luce splendente a spandersi ovunque, la dea riluceva di cosmo dorato e benevolo,  e li chiamava a sé senza requie.
Paziente, calma, senza fretta. La sua voce si diffondeva fin nell’animo, con una gentilezza che solo i suoi Cavalieri potevano conoscere appieno.
 
Nonostante li attirasse a sé, non era stata una convocazione semplice da accettare.
 
L’Elisio era un luogo di pace, di serenità, dove non esistevano né guerre né passioni umane. I loro spiriti erano liberi, in quel placido giardino senza fine, lontani dal dolore e dallo spargimento di sangue cui erano legati a doppio filo in vita.
La morte, per i Cavalieri, era tanto un onore quanto una liberazione.
I loro corpi erano imprigionati nel ghiaccio, nel gelo imperituro e stridente del Cocito, ma le loro anime dimoravano quiete e senza turbamenti dove gli eroi riposavano sin dal tempo del mito.
Perché rispondere ad una chiamata che li avrebbe evocati nel mondo dei viventi ancora una volta, dunque? Nessuna guerra li avrebbe toccati, lì. Nessuna lacrima. Il dolore dei morti era per i vivi, dopotutto.
 
Tuttavia…
 
C’era così tanto che non avevano fatto, che non avevano visto. Milo si era riunito a Camus, nell’Elisio, ma il suo essere non poteva manifestarsi altro che in una tenue anima dai contorni dorati. Un’esistenza attenuata, priva di quegli ardenti sentimenti che animavano le persone ancora vive.
Ma non era solo Camus.
Con la sua morte, Milo si era lasciato alle spalle tante scuse non dette, tanti sorrisi mai mostrati, tanto affetto mai dimostrato. Crystal, coraggioso come pochi Cavalieri erano stati, così legato alla sua famiglia e così sfortunato da averla dovuta combattere, era rimasto vivo mentre le persone a cui teneva morivano.
 
E quel breve assaggio di vita appena dopo la morte, quel fulmineo ritorno come guerrieri, aveva contribuito a non far sopire il desiderio di sopravvivenza come sempre accadeva a chi visitava il luminoso Elisio.
 
Forse era lo stesso ragionamento che attraversava le menti dei suoi compagni, mentre Atena attendeva con pazienza una loro risposta.
 
 
 
 
 
Tornare in vita gli era sembrato un po’ come infrangere la superficie dell’acqua dopo essere affondato. Da spirito senza corpo si era ritrovato a respirare ancora, a riempire i polmoni d’aria che bruciava ad ogni respiro, accecato da una luce d’oro puro.
Non sapeva ancora chi fosse, perché fosse lì, come mai il suo riposo eterno fosse stato interrotto così bruscamente. Si era inginocchiato, coperto dalle vestigia più sacre del Santuario, con il rumore di pietra spezzata nelle orecchie e piena devozione nelle azioni.
Campane grandi e piccole trillavano, suonavano, echeggiavano ovunque attorno a sé, ma Milo non sapeva ancora di essere vivo. Non ricordava ancora la sua identità, o la sua vita.
Sapeva solo di doversi inginocchiare, al cospetto di una dea che non poteva vedere, in una profusione di cosmo che sembrava senza fine.
 
 
 
La sua coscienza tornò dopo quello che gli parve un tempo infinito. Al suo risveglio, con un cosmo stabile ma ancora debole, un uomo – forse uno dei guaritori del Santuario – gli comunicò di come fosse rimasto privo di sensi per giorni. Parlava lentamente e a voce moderata, e Milo gliene fu grato; con la ripresa di coscienza si abbatté su di lui anche la consapevolezza di essere davvero tornato, vivo, con un cuore che gli batteva nel petto e circondato da migliaia di forze vitali.
Il suo cosmo captava ogni singola forma di vita assiepata lì attorno, non più imbrigliato da anni di appreso autocontrollo, e accettò di buon grado il bicchiere d’acqua che il guaritore gli stava porgendo. Mescolata ad essa Milo riconobbe il sapore a stento discernibile di una mistura che un vecchio Gran Sacerdote aveva creato, in grado di calmare lo spirito e acquietare il cosmo; Shion si era premurato di insegnar loro a riconoscerla, prima che la sua vita venisse estinta troppo presto.
 
Non appena si sentì abbastanza conscio della sua nuova esistenza, però, Milo non perse tempo e gettò le gambe al lato del letto dov’era disteso, alzandosi con fare ancora un po’ barcollante. Forse immaginando le sue intenzioni, e senza volersi ritrovare sul cammino di un Cavaliere d’Oro, il guaritore si fece da parte con solo un avviso; poi, lo Scorpione si fiondò verso la porta quanto più velocemente le sue condizioni gli permisero.
 
Non andò lontano.
Aperta la porta, prima di poter correre via dai suoi alloggi, si pietrificò sul posto quasi come fosse stato reso immobile da una visione. Incorniciato dagli stipiti della porta, con la stessa stanchezza sul viso e abbigliato solo di un leggero chitone, stava proprio la persona che aveva intenzione di raggiungere.
Incapace di muoversi, stregato, Milo guardò Camus nello stesso modo in cui lo aveva guardato la prima volta, quando erano ancora ragazzini, ancora sconosciuti senza la benché minima idea della vita che avrebbero vissuto e dei sacrifici che avrebbero compiuto.
Guardò la spigolosità appena accennata del suo volto, i lunghi capelli d’un vivo turchese che gli incorniciavano il viso con una morbidezza simile ad acqua, il chiarore delle labbra sottili, la curva del naso e delle sopracciglia. Così diverso dalla soffice giovinezza con cui l’aveva conosciuto, ma mai meno affascinante, mai meno incantevole.
I suoi occhi erano così belli, contornati da lunghissime ciglia nere come la notte, e brillanti di iridi colorate da uno splendido indaco.
 
C’era la vita, dietro quegli occhi, la vita che Milo non aveva più visto per anni, per così tanti anni…
L’ultima volta che aveva incrociato lo sguardo di Camus, i suoi occhi erano opachi, ciechi, incapaci di trasmettergli alcuna parvenza di vita. E ancor peggio prima, quando lo aveva trovato riverso nel ghiaccio, nient’altro che un uomo da celare in un sarcofago di pietra con due monete d’oro a coprire gli occhi vuoti.
Ma adesso… quegli occhi splendevano di vitalità. Splendevano perfino più di quanto non avessero fatto in quei pochi giorni che gli erano stati concessi da Odino per vivere ancora.
 
Fu ciò che ruppe l’incantesimo.
 
Milo si sentiva soffocare ancora una volta, e il respirò continuò a mancargli ad ogni ricordo che lo assaliva, ad ogni fitta di dolore che gli attraversava l’anima.
La scelta di Camus di farsi uccidere da Crystal, la scelta di rinascere come Specter e combattere contro il Santuario, la scelta di seguire Surt… Milo sapeva che per lui non era esistita altra scelta, che per Camus il tradimento era stata l’unica via, l’unica strada che avrebbe portato ad una vita migliore coloro che abitavano quel mondo, ma non lo aveva sopportato.
Sentì le lacrime sul viso prima ancora di rendersi consapevole di star piangendo, sentì la sua voce che gridava prima ancora di sapere ciò che stava dicendo.
 
«Come hai potuto?! Come hai potuto fare ciò che hai fatto!?», si sentì urlare, la voce rotta dal pianto, ancora debole e arrocchita.
 
Non sapeva per quanto aveva continuato ad urlare, aveva perso cognizione perfino di ciò che gli stava dicendo, delle parole che gli stava rivolgendo. Forse alcune non avevano neppure senso, forse stava solo gridando alla rinfusa, incapace di smettere, di calmarsi, di mettere un freno alle sue lacrime.
Milo non aveva mai urlato in quel modo contro Camus. Mai, neppure nei giorni peggiori, neppure quanto la frustrazione di entrambi per l’addestramento e le mille difficoltà della loro vita aggiungevano carico a carico.
Urlò finché non si stancò di farlo.
 
 
 
Camus accusò il colpo, ma non con indifferenza.
Non poteva piangere, non ancora, ma sentì il dolore nella voce di Milo con tanta fierezza da farlo tentennare fin nei recessi più profondi del suo cosmo. Lo aveva già visto, quando si era imposto nei suoi pensieri durante la Guerra Sacra, ma ciò non rese le accuse meno taglienti.
Lo aveva fatto soffrire, gli aveva portato via ogni barlume di speranza che ancora gli restava, e senza dirgli nulla.
Camus aveva appreso di dover morire molto presto. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto alla guerra civile che aveva scosso i Cavalieri fino alle fondamenta. Aveva deciso di dare la vita per consentire a Crystal di diventare il guerriero di cui Atena aveva bisogno.
A Milo non aveva detto nulla.
Gli aveva dato una falsa speranza, un fioco bagliore a cui aggrapparsi, e lo aveva strappato via a quella irraggiungibile realtà senza neppure permettergli un addio.
 
Lo aveva rovinato.
 
Aveva inquinato il suo animo fiero e premuroso con la follia di chi non aveva più nulla in cui credere, di chi non aveva più nessuno in grado di salvarlo da se stesso. Aveva causato la spaccatura che si era aperta fra lui e Crystal, la solitudine di chi non riusciva ad essere compreso da nessuno, e la tremenda disperazione di chi non aveva altra scelta se non di gettarsi nelle fauci spalancate del mondo.
 
«Ho sbagliato», gli disse, senza osare fare un passo avanti. «Ho sbagliato, e non ho fatto altro che continuare a sbagliare. Non ho avuto scelta».
Le sue decisioni erano state giuste, ma erano state giuste solo per chi non aveva dovuto sopportarne il peso. Per Milo, per ciò che lo aveva portato sull’orlo del baratro, quelle decisioni erano state la rovina. Camus avrebbe voluto sopravvivere, avrebbe voluto restare con lui, morire con lui e non prima. Avrebbe voluto scegliere di far passare Crystal senza costringerlo a macchiarsi di un sangue che non meritava di avere sulle mani. Avrebbe voluto scegliere di non accettare il dono effimero di Ade e seguire Shion nella loro missione per ottenere la dipartita di Atena, di non affrontare Milo da nemico. Avrebbe voluto scegliere di non seguire Surt e mettere da parte un senso di colpa che non era davvero suo di diritto.
 
 
 
«Mi hai tradito», scosse la testa Milo, quasi incapace di parlare tanto le labbra gli tremavano.
In un impeto di rabbia, si lanciò in avanti e afferrò Camus per il davanti del chitone, stringendo la stoffa tra le mani con tanta foga che le sue nocche sbiancarono: «Tu mi hai tradito!».
 
 
 
Era il punto di rottura.
Camus annuì, debolmente, e lacrime fredde quanto il suo carattere scivolarono pigre sulle sue guance. Non poteva negarlo. Non avrebbe mai potuto farlo.
«Ti ho lasciato solo. Ti ho fatto soffrire», disse, confessando uno ad uno i suoi crimini. «Ti ho costretto a sopravvivere».
Lo aveva accoltellato una volta di troppo già la prima volta. Già quando si era rassegnato alla morte.
La sua scelta di tornare come Specter aveva riaperto la ferita, la sua decisione di seguire Surt aveva rigirato il coltello dentro di essa.
E il sangue di Milo era fatto di lacrime.
 
Cauto, Camus sollevò una mano sul suo viso, tentando inutilmente di asciugare delle lacrime che non sembravano aver fine: «Non voglio perderti, ma capirò se… capirò se non vorrai perdonarmi».
Neppure la sofferenza di lasciarselo alle spalle avrebbe ripagato ciò che gli aveva fatto.
La reazione di Milo, però, fu di terrore.
 
 
 
Spaventato, lo Scorpione scosse la testa e tirò Camus a sé, terrorizzato dal perderlo ancora. Il cuore, quel cuore che non aveva cantato per dieci lunghi anni, gli batteva all’impazzata.
«Non tradirmi più», gli chiese, a corto di respiro, mozzato dall’improvvisa paura che si era impossessato di lui. «Non lasciarmi, non andartene. Non tradirmi più».
Ormai lo stringeva così forte da chiedersi se gli stesse facendo male, ma non poteva lasciarlo. Non poteva, non voleva.
Non un’altra volta.
«Ti prego, non lasciarmi».
 
 
 
La voce flebile e sfiduciata di Milo, così spezzata e inconsolabile, lo colpì dritto al cuore.
Che cosa gli aveva fatto?
 
Agghiacciato, Camus restituì l’abbraccio con tanta più foga quanto ne era capace, in un corpo nuovo e scarso di forze, e gli permise di nascondere il viso nell’incavo del suo collo, accarezzandogli i capelli con una mano e stringendolo con l’altra.
Non poteva promettergli la felicità che gli aveva portato via con la violenza di una tempesta, ma poteva promettergli di non lasciarlo più da solo.
 
 
 
 
 
Un’ora più tardi entrambi i Cavalieri erano seduti a terra, Milo accoccolato al fianco di Camus e ancora stretto nel suo abbraccio. L’acquario era gelido, freddo come neve e ghiaccio, ma era un freddo che per lui significava vita. Non era il gelo della morte, quello che sentiva sotto mani che rifiutavano di smettere di toccarlo, di assicurarsi che fosse davvero lì e non una mera illusione creata ad ingannarlo.
Gli aveva posato una mano sul cuore, e non l’aveva più mossa.
«Giura che non mi tradirai più», ruppe il silenzio all’improvviso, già stanco perfino di parlare. «Giuralo su Atena, sul Santuario, su chi vuoi. Ma giuralo».
 
 
 
Camus chiuse gli occhi a quelle parole, che pure si aspettava. Trova un’altra scelta, gli stava dicendo fra le righe. Ne esiste sempre un’altra, trovala.
Un giuramento nel nome di Atena era un voto infrangibile, una parola che, se l’avesse rinnegata, lo avrebbe spogliato di ogni singola briciola di orgoglio e di onore. Milo gli stava chiedendo lo stesso giuramento che declamavano in quanto Cavalieri, senza passi indietro. Lo stesso che, sebbene nessuno potesse ascoltarlo tranne altri guerrieri, li faceva inginocchiare al cospetto di Atena nel momento della loro investitura.
Un giuramento, però, che stava chiedendo per lui.
 
Un giuramento vero, non una promessa facile da infrangere. Un giuramento solenne quanto il loro cosmo.
 
«Lo giuro», disse, senza alcuna esitazione. «Sulla nostra dea Atena, e sul Santuario cui siamo votati, giuro di non volgere mai la mia scelta al tradimento. E lo giuro a te, Milo, e per te. Lo giuro con la mia voce, con il mio cosmo, e con tutto ciò che posso offrire in redenzione per i miei errori».
Come a volerlo confermare, il suo cosmo sfavillò per un istante, d’oro com’era giusto che fosse.
 
La prima parte di quel giuramento era la stessa che i Cavalieri recitavano, parola per parola, una volta ricevuta ufficialmente la sacra armatura della costellazione che li proteggeva. La seconda era solo per lui.
 
Aprì gli occhi, e li fissò in quelli bagnati di Milo, in quello sfavillante azzurro che rivaleggiava perfino con i cieli: «Come Cavaliere di Aquarius ho giurato di essere votato ad Atena. Come Camus, il mio giuramento si volge a te, e a te soltanto».
 
 
 
Per tutta risposta, Milo trovò finalmente il coraggio di baciarlo.
 
 
 
 
 
«Credo che… Camus, dovrei chiederti perdono anch’io».
Anche se Milo non se la sentiva di affrontare l’argomento, forse doveva farlo. Era rimasto abbracciato a Camus per un tempo ormai indefinito, anche se entrambi avrebbero voluto scambiarsi ben più di qualche bacio, ma la stanchezza delle loro membra era ancora qualcosa di ben presente, e la stanchezza dello spirito non si era ancora dissipata.
Dopotutto, anche Milo aveva compiuto la sua estensiva dose di azioni riprovevoli, in quei quattro anni.
 
 
 
Camus scosse la testa, carezzando placidamente i riccioli violetti di Milo: «Non chiedere perdono per ciò di cui non hai colpa», lo redarguì, sebbene in tono gentile. «Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, mon amour, non dirmela se non sei pronto a farlo».
Non era difficile, infatti, capire che Milo si trovava in un’indecisione delle sue; il francese aveva imparato a distinguere i suoi comportamenti, i suoi sbalzi d’umore, il suo modo di fare quando era pensoso o dubbioso. Non sempre riusciva a capire fino in fondo, e forse quella volta era una di quelle, ma sentiva l’incertezza sanguinare anche nel suo cosmo, che sembrava non volersi ritirare neppure nella debilitazione che la loro rinascita non aveva ancora dissipato del tutto.
Gli lasciò un altro bacio, appena accennato, sulla fronte: «Io sono qui. Lo sarò sempre».
Una rassicurazione che, lo vide, fece diradare un po’ di tensione.
Presto avrebbero dovuto accogliere la presenza della loro dea, o dei loro affetti, ma Milo non sembrava aver voglia di alzarsi. Preferiva restare lì a terra, come quando erano nient’altro che bambini intenti a conoscersi, abbracciato a chi aveva perso troppe volte.
 
Se anche Camus avesse voluto far notare a Milo quanto anche lui fosse stato colto da una tremenda sofferenza, non lo avrebbe mai fatto. Non tanto perché era convinto di non averne diritto, ma perché sapeva che Milo aveva tribolato molto più di lui. Pur senza conoscere appieno – ancora – ciò che gli era accaduto durante gli anni, non poteva neppure pensare di poter comparare il suo tormento a quello che le sue azioni avevano inflitto a Milo.
Ciò che aveva visto, che aveva percepito durante quel tentativo di riconciliazione durante la Guerra non era stato abbastanza, ma gli aveva raccontato di un uomo completamente in frantumi, di un Cavaliere che aveva perso sé stesso quando un pezzo del suo cosmo gli era stato strappato via dalla morte.
 
Si irrigidì, quando una delle realizzazioni peggiori lo sconvolse, ma diradò le preoccupazioni di Milo con un lieve cenno della testa. Non aveva intenzione di chiederglielo.
Ma voleva maledirsi in tutte le lingue in suo possesso per ciò a cui, a quel tempo, non aveva pensato di preparare il suo compagno.
Il terrore di Milo, quando lo aveva implorato di non lasciarlo più, non era per il tradimento. Non era per ciò che Camus gli aveva detto, per l’involontaria rinuncia che gli aveva quasi esposto. No, era per qualcosa di peggiore, per qualcosa che l’acquario avrebbe dovuto riconoscere non appena Milo gli aveva messo una mano sul petto rifiutandosi di toglierla.
Lo aveva sentito morire.
Camus sperò che la foga della battaglia fosse stata abbastanza da averlo distratto nel momento in cui la vita lo aveva abbandonato, ma la consapevolezza ci sarebbe stata comunque. Se Milo lo aveva sentito morire, presto o tardi doveva averne subito il contraccolpo.
E se ciò che aveva visto non era frutto di ricordi confusi, se le memorie di Milo in ginocchio sulla sua tomba, e con il suo corpo esanime fra le braccia, erano vere…
 
Come poteva Camus biasimarlo per aver paura?
 
«Прости дурака», gli sussurrò, facendo sì che Milo nascondesse il viso nell’incavo del suo collo per poter posare la testa sulla sua, e lasciargli un bacio sulla sommità del capo. «Ti prometto che non soffrirai più. Non per mia colpa».
 
 
 
«Resta con me», gli rispose Milo, accennando finalmente un sorriso, anche se nascosto. «Anche gli sciocchi possono essere amati».
 

Traduzioni (prese da internet, ahimè non parlo russo)
 
Прости дурака: (Prosti duraka) Perdonami per essere stato uno sciocco (lett. perdona lo sciocco)
 
 
Note di comprensione
 
I Cavalieri giurano fedeltà ad Atena durante la loro investitura, e si tratta di un giuramento sacro. Infrangendolo si perdono onore e fiducia, ed è impossibile riacquistarli a meno di non ricevere il perdono della stessa Atena.
Un esempio è Kanon, che pur essendo stato redento da Milo non sarebbe potuto diventare Cavaliere né restare al Grande Tempio, se Atena non l’avesse perdonato.
 
All’investitura dei Cavalieri, dal tempo di Shion come Gran Sacerdote in poi, non è possibile assistere a meno di non essere un Cavaliere, per ragioni di sicurezza.
Questo non è successo al tempo di Arles come Gran Sacerdote (quando Seiya ha preso Pegasus), perché Arles non si cura delle Leggi Sacre.
 
 
N.d.A.
 
Ho voluto trattare in maniera più sintetica le circostanze in cui Camus ha promesso a Milo di non tradirlo più principalmente perché questo è un capitolo diciamo “extra”, e nella raccolta è stato più che confermato di come Camus sia tornato completamente fedele (anche se non ha davvero tradito perché gli andava di farlo, è stato sempre per necessità).


Grazie per aver letto!
Lasciate recensioni, se vi è piaciuto o se avete critiche a riguardo. L'importante è restare corretti ed educati.
Chi siamo noi scrittori, dopotutto, senza la parola di voi lettori?
Alla prossima!

ElenCelebrindal
   
 
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