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Autore: Phoebe Moon    05/04/2021    1 recensioni
Godric’s Hollow, estate 1899
Albus Silente era avviato alla grandezza finché una bara non si è richiusa su sua madre e sul suo stesso potenziale; vincolato a una sorella che non può abbandonare macera in un risentimento che gli corrode lo spirito.
Gellert Grindelwald è un veggente, nella sua mente suppurano visioni di potere e morte; espulso da Durmstrang viaggia per l’Europa perso in ideali che gli costeranno ogni cosa.
A malapena adulti s’incontrano lungo un cammino sul quale genio, amore e illusioni tramonteranno in nome di un’utopia capace di sublimarsi unicamente nella rovina
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Bathilda Bath, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Prologo
A letter from home
 
 "Il ricordo della gioia non è più gioia,
  il ricordo del dolore è ancora dolore."
       Lord Byron
 
 

“Argo, Nasso...Delfi, ovviamente, e poi...” Elphias Doge afferrò il boccale ormai vuoto di burrobirra e lo sbattè con nervosa impazienza su un angolo della cartina che continuava ad arricciarsi verso l’interno, malgrado continuasse a spianarlo via.
Passò le dita macchiate d’inchiostro in mezzo ai ricci neri, disfando quanto restava della pettinatura ordinata in cui li aveva addomesticati quella mattina, e ponderò l’azzardo di aggiungere Creta all’itinerario.
“Ci sarebbe Cnosso però ci causerebbe rogne con la passaporta” osservò, grattandosi distrattamente una guancia sfigurata dalle cicatrici del vaiolo di drago, prima di sbottare seccato “Non startene zitto come un gargoyle, Albus, è anche il tuo viaggio! Non vuoi dire nulla?”
L’amico nascose uno sbadiglio dietro la mano per poi stropicciarsi le palpebre, come se il solo guardarlo costituisse uno sforzo troppo grande.
Stavano seduti in quell’angolo del Paiolo Magico da ore, a discutere di cos’avrebbero fatto una volta partiti e lui si era lasciato scappare d’aver vissuto praticamente da recluso negli angusti margini di Godric’s Hollow; fosse stato più presente avrebbe accuratamente evitato ogni menzione a casa sua assieme a tutte le implicazioni che sottintendeva ma era appesantito dalla cena e dal sonno e l’ambiente buio del pub non incentivava certo la freschezza intellettuale. Se ne sarebbe volentieri andato a dormire da un pezzo.
Il locale era deserto come non l’aveva mai visto, ad eccezione del barman, indaffarato a far riavere un avventore mezzo collassato sul bancone -come lui stesso si sentiva in procinto di finire- a colpi di aguamenti e uno sparuto tavolo di anziani parecchio presi da una partita a Bridge.
“Dico che ti sta scappando la mano” biascicò, protendendosi a bloccare quel frenetico cerchiare di città “Se ti assecondassi lasceremmo la Grecia a vent’anni”
Elphias si accigliò per un momento, fissando il proprio polso chiuso nel pugno dell’altro come se non riuscisse a capacitarsi.
“Possibile tu non abbia una goccia di spirito d’avventura nelle vene?” s’indignò sottraendosi alla presa con più gentilezza di quanto il suo tono lasciasse presagire.
“Ce l’ho eccome” ribatté Albus incrociando le braccia al petto con piglio leso “Perciò domani parto”
“Un viaggio pianificato non è avventuroso. Dov’è l’imprevisto, l’ignoto? Quello che dovrebbe renderlo memorabile?” s’infiammò prendendo a gesticolare in direzione della mappa completamente scarabocchiata.
“Un Grand tour dovrebbe essere istruttivo, non una scusa per trastullarsi per mezza Europa” replicò, insensibile all’espressione di crescente incredulità che andava allargandosi sulla faccia dell’amico.
“Per la barba di Merlino!” esclamò quello gettando via la penna che teneva fra le dita, risuonando in maniera imbarazzante nel pub semideserto e attirandosi l’occhiata di guardinga ammonizione del barman, a cui replicò con un contrito cenno del capo.
“Abbiamo concluso gli studi. Te ne rendi conto?” riprese in un sibilo a stento contenuto.
“Niente divise o insegnanti, nessuno spettro a infestare i corridoi” sciorinò Albus, osservandosi attorno con ostentata enfasi “Sì, decisamente ci siamo lasciati Hogwarts alle spalle”
“Allora perché, in nome di tutti e quattro i fondatori, ti atteggi ancora a studente modello?”
“Avere giudizio non è mica un male” si difese “Tu piuttosto, a cos’è dovuto quest’improvviso spirito picoresco? Al primo anno ti abbiamo dovuto trascinare di peso al campo di Quidditch perché ancora dovevi salirci su una scopa e già avevi le vertigini”
Lo sguardo di Elphias s’incupì mentre nascosto dal tavolo si torceva le mani.
“È per mio padre” mugugnò riluttante, andando istintivamente a cercare il fez infilato di traverso sulla sedia e cincischiandone nervosamente la nappa “Mi ha trovato un posto al Ministero, per quando torneremo. Pertanto vuole, no, pretende, che per allora mi sia sbarazzato di ogni vezzo infantile” spiegò agitando mogio il copricapo.
Albus gli strinse una spalla, solidale, evitando di dar voce ai propri pensieri.
Accantonare l’infanzia in favore di una carriera di spicco non gli pareva uno scambio sproporzionato, lui poi, che un’infanzia vera e propria non l’aveva vissuta, si sarebbe menomato volentieri di qualunque tratto capace di ancorarlo a Godric’s Hollow.
Sei sveglio e diversamente da me non vivrai mai col terrore di veder vanificati tuoi sforzi.
Ma Elphias era anche mite, accomodante e gentile -pregi in cui Albus stesso si sforzava d’incastrarsi- e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era sentirsi dare sottilmente dell’ingrato dal proprio miglior amico.
“Io nemmeno lo voglio un incarico al ministero!” si lamentò stizzito “Pensi mi abbia chiesto cosa ne pensavo? No! Mi tratta alla stregua di un elfo domestico. L’idea che possa avere delle inclinazioni personali nemmeno lo sfiora”
Albus inarcò un sopracciglio rossiccio.
“Mi pare un po’ difficile se ogni volta ammutolisci come se ti avessero fatto evanescere la lingua”
“Lo so” smozzicò afflitto, afflosciandosi sul tavolo “Ma dopo l’incidente di natale se mi azzardo ad accennare all’astronomia è capace di incatenarmi al suo ufficio senza farmi partire. E la responsabilità è pure tua” l’accusò puntandogli un dito contro.
“Avevo quattordici anni” si difese “L’incantesimo avrebbe dovuto limitarsi a replicare il cielo notturno, non far piovere. Ti pare mi metta ad allagarti casa per divertimento? E comunque fosti tu a trasformare la scalinata principale in una cascata” gli rammentò
“L’ho fatto, eh? Tu invece dov’eri, Albus? Ricordami un po’” fece, sorridendo suo malgrado.
“Che domande, io ero impegnato a modellare quel cavallo d’acqua” sogghignò, ricordando come si erano messi a sguazzare per il primo piano sommersi dalle ginocchia in giù, circondati da elfi allo sbaraglio.
“Oh, al diavolo” borbottò Elphias incurvando un sorriso con troppi denti “Perlomeno l’avrò lontano a sufficienza da infischiarmene di quel che mi dirà. Ho una mezza idea di sgraffignare un uovo di drago in Romania. E guadagnarmi le attenzioni di qualche bella fanciulla” ammiccò calcandosi in testa il fez “E da te non mi aspetto niente di meno” decretò.
“Tra i G. U. F. O. e il Wizengamot ho tutte le attenzioni di cui ho bisogno” si schernì.
 “Ma senti come si vanta il signor Caposcuola!” lo canzonò tirandoselo addosso e sfilando via il laccio con cui si legava i capelli in un codino “Con questo atteggiamento non fossi tanto apprezzato saresti finito a fare da antipasto alla piovra molto tempo fa”
“Mi limito a esporre...”
Un gufo planò dall’alto dritto sul loro tavolo, atterrando fra carte, piatti e bicchieri.
Albus avvertì un rimescolio allo stomaco nel riconoscere il gufo di sua madre, seguito da un moto di stizza nel distinguere la calligrafia del fratello scarabocchiata sulla busta che stringeva nel becco.
La prese con una smorfia, rigirandosela tra le dita e fortemente tentato d’ignorarla. Era la vigilia della partenza, possibile dovesse guastargliela con l’ennesimo carico di sensi di colpa per non esser tornato a casa, da bravo fratello maggiore?
Le occhiate torve per i corridoi di Hogwarts nelle ultime settimane di lezione non l’avevano appagato?
Fissò la busta con un’intensità tale da darle fuoco e per un attimo contemplò l’ipotesi di farlo per davvero con un rapido colpo di bacchetta.
C’era sempre stata una frattura tra lui e il fratello, un vuoto che ambedue negli anni avevano ingozzato di silenzi, rancori e piccole meschinità tenute a bada solo dall’affetto nutrito l’uno per l’altro ma era un collante debole, pronto a stemperarsi al minimo dissapore; quando aveva espresso i propri piani Abeforth l’aveva fissato a metà fra lo schifato e il deluso per poi levargli il saluto una volta compreso che versargli addosso il proprio malanimo non l’avrebbe dissuaso.
Ora tornava a scrivergli e lui non era sicuro di volerne scoprire il motivo.
“Cosa aspetti? Aprila” l’esortò Elphias con una spallata amichevole “Davanti alle carrozze il muso ti toccava terra per quant’era lungo, pareva ti avesse affatturato il gatto”
“O magari ha affatturato questa” fece meditabondo.
“Ma figurati!” obiettò l’amico ruotando gli occhi “Vorrà far pace. Già mi figuro il contenuto” si schiarì la voce prima di enunciare in tono pomposo “Mio inestimabile fratello maggiore, con questa mia tengo a esprimere il mio rammarico per lo screzio intercorso tra noi al momento d’accomiatarci, pertanto...”
“Ma smettila!” lo spinse via ridendo “Non sarebbe credibile nemmeno dopo una bottiglia di whisky incendiario. È già tanto sappia impugnare una penna e non si esprima a grugniti”
Stracciò l’involucro appallottolandolo noncurante nel palmo con la familiare inquietudine che accompagnava ogni missiva da casa inchiodata alle viscere; si stravaccò obliquamente sul tavolo in modo da evitare Elphias cogliesse sprazzi troppo privati del suo contenuto.
Al, c’è stato un incidente.
La mamma è morta, torna a casa
Albus si fece di gesso, esangue al punto da spaventare l’amico, il quale prese a scuoterlo per un braccio ma lui lo realizzò a malapena, troppo impegnato a trattenere a morsi singhiozzi che premevano per uscire insieme alle lacrime, finché cedettero e prese ad imbrattare di lacrime una lettera già sbavata di macchie rotonde con la bocca storpiata in una smorfia grottesca.
 
 





N. d. A.: Salve a tutti, questa è la prima storia che pubblico qui su Efp dopo molto, molto tempo.
L’idea di scrivere di quella famosa estate del 1899 mi ha sempre stuzzicata ma l’ho ripetutamente accantonata dando la precedenza ad altro...almeno fino a questo nuovo lockdown.
Prima di Animali Fantastici mi ero già figurata un progetto specifico su dinamiche, contesto e rapporti tra i personaggi pertanto ci tengo a precisare che NON inserirò riferimenti a quella saga ma m’impegnerò per rendere questa mia fanfiction interessante; studiando per l’università non potrò essere regolare negli aggiornamenti ma se questo prologo ha stimolato il vostro interesse spero resterete con me fino alla fine.
A presto, Phoebe
  
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