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Autore: deathkilledveronica    21/04/2021    0 recensioni
In questo caso c'è ben poco da ascoltare ed Alice lo sa bene. La sordità che l'accompagna l'ha circondata di silenzio, di rumori non sentiti e di parole non recepite. Alice vive nel suo paese delle meraviglie, dove i libri sono la sua casa, le poesie il suo tripudio d'amore.
Anche Marco sa bene che c'è ben poco da ascoltare: conta ogni passo che compie, vive sommerso dai suoi numeri. Nel suo mondo le pietanze non si toccano, tutte le sue camminate iniziano col piede destro ed i sentimenti non sono ingarbugliati tutti nel suo stomaco.
É seguendo il ritmo delle sue emozioni - e non il numero dei suoi passi - che Marco incappa in una coincidenza meravigliosa, casualità fortuita di un destino che non vuole dargli l'ordine che tanto brama: Alice è nascosta fra le fronde degli alberi dove l'unico raggio di sole illumina lei. Lei che non può sentire, lei che non può ascoltare, lei che si nasconde dietro un libro, vivendo dietro al suo silenzio che gli altri danno troppo per scontato.
La poesia non sarà più solo un lontano sogno d'amore: diventerà la chiave fondamentale di una tiepida e dolce corrispondenza epistolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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II. Carpe diem

Giovedì, 17 settembre 2015
Per Marco da Alice

Caro estraneo,
 sono lieta, stupita e spaventata da ciò che ho trovato scorrendo le pagine del libro che sto leggendo. Non ti porrò domande scontate a cui non risponderesti. È, sotto molti aspetti, inquietante sapere che tu conosci me ed io non te. Potresti essere solo un brutto scherzo inflittomi da qualcuno che ha voglia di divertirsi a mio discapito.
Infatti, questa potrebbe essere non solo la prima, ma anche l'ultima volta che ti rispondo. Ad ogni modo, a dispetto della tua idea, ho un’opinione completamente opposta alla tua riguardo al tempo: è quando smettiamo di sentirlo scorrere che diventa infinito. Non è necessaria la morte per l’eternità; basterebbe cogliere l’attimo giusto. D’altronde, finché la matematica non sarà in grado di quantificare la durata di un attimo, mi godrò l’istante di sorpresa che mi hai donato. Hai imposto dei binari che ora accetto di percorrere. Detto ciò, diamo il via alle danze.
Che tu sia per me la fine.

P.S.: mi farebbe piacere se mi indicassi un luogo in cui trovare la tua risposta.

 Lo stupore suscitato da quel foglio ritrovato nella mia lettura corrente è stato ampio. Perché sono stata scelta come vittima di questo mistero? A cosa devo quest’onore o gravosa sfortuna? Ho trovato la breve lettera una volta giunta a casa, quando ho spento l'apparecchio acustico. Ho letto quelle parole ad alta voce, ma senza sentirle; così le ho sfiorate piano con le dita, sentendo i solchi lasciati dalla penna sulla carta sottile. Echi d’inchiostro che solleticano i polpastrelli.
 Al mio fianco sento la presenza di mio padre, che dolcemente mi accarezza la testa. Guarda il foglio spiegazzato posto sulle mie ginocchia scoperte, io rimetto l'apparecchio acustico per poterlo sentire senza dover comunicare con il linguaggio dei segni.
 «Scusa se l'ho tolto. Ho un gran mal di testa», chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie doloranti. L’emicrania ostacola i miei pensieri e, al momento, non posso che considerarla una fortuna.
 «Il viaggio nel Paese delle Meraviglie è stato faticoso oggi?»
sorrido, quell'uomo sa sempre come far increspare le mie labbra in un sorriso leggero.
 «Più che Alice mi sento Giulietta», gli occhi di papà guizzano incuriositi da me alle lettera, dalla lettera a me.
 «Posso avere l'onore di leggere le parole del tuo Romeo?»
arrossisco, vergognandomi della carta leggera rovinata dal tremore delle mie mani.
Annuisco a mio padre, che in un paio di minuti divora il contenuto della lettera.
 «Abbiamo un poeta, cara. Non è un Romeo come tutti gli altri!»
papà sorride e si alza per andare a servire il pranzo in tavola.

 Finisco rapidamente di mangiare e mentre salgo le scale diretta alla camera, mi sorge un dubbio.
 «Papà, non lo dirai alla mamma, vero?»
 «Beh, forse...» accenna dalla cucina, la voce accompagnata dal sottofondo dell'acqua del lavandino e del rumore delle stoviglie.
 «Papà!» grido per farmi sentire.
 Si affaccia alla porta con un asciugamano umido fra le mani. Alza quest'ultime in segno di resa: «D'accordo, d'accordo... Prometti però di farmi sapere se ti importuna».
 «Promesso.»
 Voglio bene in egual modo ad entrambi i miei genitori, ma con mia madre le questioni sentimentali sono sempre tasti dolenti
.
 Tuttavia, non posso fargliene una colpa: la mia vita sociale, soprattutto se collegata all’ambito scolastico, non è stata una bella esperienza. Apprezzo, nonostante tutto, la sua preoccupazione.
 Siamo una famiglia molto unita, e lo siamo in tutto: nella gioia e nel dolore.

***

 La giornata è scivolata via come sabbia fra le dita. Ho avuto tempo a sufficienza per soddisfare la mia fame di cultura, di perdermi fra le lettere di Che tu sia per me il coltello, di David Grossman. Questo libro fa da monito anche per la situazione in cui attualmente mi trovo: non voglio presumere che il mittente della lettera che ho ricevuto abbia letto questo libro, ma se lo avesse fatto non sarebbe più una coincidenza. Sarebbe un vero e proprio attimo colto.

 Per scacciare via i pensieri, decido di godermi il momento migliore di tutta la giornata: la doccia. Non sento lo scrosciare dell'acqua, ma è sufficiente sentirla sulle membra stanche per rilassarmi. Il vapore mi fa pensare che non ci sia altro posto al mondo in cui vorrei essere. Le parole di quel misterioso mittente mi restano però attaccate alla pelle, e non c'è detergente che riesca a farle sparire.
E ora? Come farò a rispondere alla sua lettera?
Non posso far altro che prepararmi a una notte piena di quesiti e scarna di risposte.

***

 Fuori piove e il cielo ristagna di malinconia. Penso alle lacrime di pioggia che versano le nuvole e mi chiedo perché anche loro piangano, se i tuoni che tengono sveglia me le notti tempestose spaventino anche loro. Chissà.
 Alla fine, grazie al consiglio che spesso porta la notte, l’altro giorno ho deci
so di lasciare la mia risposta tra le incustodite pagine di Che tu sia per me il coltello. La lettera è sparita, ma non saprei ben dire in che momento preciso: onestamente, in questi giorni ho lasciato il mio zaino spesso solo a sé stesso, abbandonato contro la mia sedia. Chiunque sia il mio Romeo, non ho intenzione di scoprirlo o, almeno, non agli albori di questa corrispondenza che ogni tanto mi fa tremare i pensieri.
 Il fine settimana ci ha comunque separati; nonostante il sabato scolastico e la mia nuova lettura, non ho trovato alcuna risposta da parte dell’enigmatico ragazzo. Magari non gradisce il mio nuovo libro della Mazzantini? Eppure Zorro è meraviglia pura. Soprattutto, chissà se legge, Romeo.

 

 «Alice, torna dal Paese delle Meraviglie!» la professoressa Moriggi mi riprende ed io penso solo che con un nome come il mio, potrebbero trovare almeno cose più fantasiose da dire. Quella Alice non è mica l’unica in tutto il panorama letterario!
 «Sì, Sara, scusami, stavo pensando.»
 «Me ne sono accorta! Ti stavo dicendo...», ascolto le sue raccomandazioni sull'imminente esame di Stato, ma ascoltare non è forse il verbo corretto. Sto sentendo, ma senza sentire nulla. Breve storia della mia vita. Nel frattempo la professoressa di sostegno continua a verbalizzare oralmente i suoi monologhi, ma la mia mente è già altrove.

 Penso alla prima volta che ho conosciuto persone nuove; alla prima volta che ho faticato a captare le loro parole; al primo "ma sei sorda?!" ricevuto, come di scherno, come se l'udito fosse prerogativa di tutti; penso a tutte le volte in cui ho sentito l'apparecchio acustico sin dentro il mio cervello.
 Le persone sono curiose e spesso finiscono per esserlo in modo eccessivo. Quando posso, evito sempre argomenti che riguardano la mia sordità, soprattutto con persone su cui so di non poter contare. Mi domando se lo sappia, Romeo, che alla sua Giulietta è stato mutilato l’udito.
 Non ho molti amici, o meglio, non all'interno dell'istituto. Agli occhi degli altri appaio come una disabile, come se oltre all'udito avessi disabilità cognitive, ma per loro sfortuna quelle ancora mi mancano sulla lista. Come biasimarli, però? Al liceo, luogo meglio noto come Inferno, chi si prenderebbe il peso di avere un'amica per cui essere derisi?
 Quando Sara ha finito il suo flusso di coscienza torno in classe, scusandomi con la professoressa di italiano per il ritardo. Siedo al mio posto in prima fila sotto gli sguardi di tutti e apro il tomo che ci aspetta quest'anno. Oggi l'insegnante introdurrà Leopardi e la mia attenzione è solo per lei.
Quasi.
Spostando uno dei quaderni riposti sul mio banco, fa capolino una scritta sul legno chiaro.
 Troverai la risposta proprio qui sotto.
La mia mano scorre lenta sul legno liscio, la trepidazione mi fa tremare le dita. Il mio sguardo si sposta ansioso da quella scritta alla professoressa. E se fosse solo una presa in giro? Sospiro, magari è solo uno scherzo dei miei compagni che a breve s
i sbellicheranno dalle risate prendendosi gioco di me. I miei polpastrelli sfiorano della carta ruvida e qualcosa mi esplode nel petto, forse rabbia, forse gratitudine, forse paura. Sono certa di sentirmi, anche solo per pochi secondi, la ragazza più fortunata del mondo.

Sabato, 19 settembre 2015
Per Alice da Marco

  Sono dunque sorpreso di aver ottenuto risposta, lo ammetto. Non solo sorpreso, ma dolcemente meravigliato. Sono rimasto un quarto d'ora buono a gioire delle curve morbide della tua calligrafia, della filosofia delle tue parole.
 Avrei tante domande da porti e che risparmierò per il futuro: prima vorrei che tu sapessi come ti ho conosciuta ed il motivo per cui ho scelto di scriverti in questo modo anonimo e
anacronistico. Non voglio in alcun modo che tu sia spinta dai dubbi a credere che questo sia un gioco di cattivo gusto o uno scherzo fatto a tua perdita da terzi.
 Posso dire di te che il tuo pensiero mi attanaglia la mente dal primo giorno di scuola. Sono un ragazzo
comune, difficilmente mi avrai notato e mi noterai, non solo perché passo facilmente inosservato: ho visto il tuo sguardo bramare la bellezza del mondo, delle arti, ma non quella umana. Ti spaventano le persone?
 Scusa. Avevo detto niente domande.

 Posso dire che quel giorno leggevi seduta sul marciapiede e l'unico raggio di sole in tutto il viale, illuminava te. Era anch'essa una coincidenza? Può darsi, ma ho deciso di abbandonare per un po' il “panta rei” eraclitiano per accogliere forse un po' meno saggiamente il “carpe diem”. Così ho vagato per la scuola (sì, ora almeno sai che frequento lo stesso istituto) e, per la prima volta nella mia vita, non ho avuto bisogno di contare le piastrelle che calpestavo. Ti ho cercata tanto fino a che, passando di fronte a una classe con la porta aperta, ho scorto la tua chioma inconfondibile. Ho dovuto cogliere l'occasione, ormai si era palesata più volte di fronte ai miei occhi e come rifiutarsi di fronte ad un mistero simile?
Attualmente, per me sei questo. Un mistero. E, per ora, anche il più curioso e bello che io conosca.

P.S. Temo che qualcuno possa trovare il nascondiglio sotto il tuo banco. Vorrei evitare spiacevoli inconvenienti, quindi se ancora ti andrà di rispondere, puoi lasciarmi le tue parole candide in un antro dietro la macchinetta al terzo piano, quella utile a disintegrare bicchierini di plastica. Almeno dietro quelle, sono sicuro che nessuno andrà a guardare.


 

 

   
 
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