II. Carpe diem
Giovedì, 17 settembre 2015
Per Marco da Alice
Caro estraneo,
sono lieta, stupita e spaventata da ciò
che ho trovato scorrendo le pagine del libro che sto leggendo. Non ti porrò
domande scontate a cui non risponderesti. È, sotto molti aspetti, inquietante
sapere che tu conosci me ed io non te. Potresti essere solo un brutto scherzo
inflittomi da qualcuno che ha voglia di divertirsi a mio discapito.
Infatti, questa potrebbe essere non solo la prima, ma anche l'ultima volta che
ti rispondo. Ad ogni modo, a dispetto della tua idea, ho un’opinione
completamente opposta alla tua riguardo al tempo: è quando smettiamo di
sentirlo scorrere che diventa infinito. Non è necessaria la morte per
l’eternità; basterebbe cogliere l’attimo giusto. D’altronde, finché la matematica
non sarà in grado di quantificare la durata di un attimo, mi godrò l’istante di
sorpresa che mi hai donato. Hai imposto dei binari che ora accetto di
percorrere. Detto ciò, diamo il via alle danze.
Che tu sia per me la fine.
P.S.: mi farebbe piacere se mi
indicassi un luogo in cui trovare la tua risposta.
Lo stupore suscitato da
quel foglio ritrovato nella mia lettura corrente è stato ampio. Perché sono
stata scelta come vittima di questo mistero? A cosa devo quest’onore o gravosa
sfortuna? Ho trovato la breve lettera una volta giunta a casa, quando ho spento
l'apparecchio acustico. Ho letto quelle parole ad alta voce, ma senza sentirle;
così le ho sfiorate piano con le dita, sentendo i solchi lasciati dalla penna
sulla carta sottile. Echi
d’inchiostro che solleticano i polpastrelli.
Al mio fianco sento la presenza di mio
padre, che dolcemente mi accarezza la testa. Guarda il foglio spiegazzato posto
sulle mie ginocchia scoperte, io rimetto l'apparecchio acustico per poterlo
sentire senza dover comunicare con il linguaggio dei segni.
«Scusa se l'ho tolto. Ho un gran mal di
testa», chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie doloranti. L’emicrania
ostacola i miei pensieri e, al momento, non posso che considerarla una fortuna.
«Il viaggio nel Paese delle Meraviglie è
stato faticoso oggi?» sorrido, quell'uomo sa
sempre come far increspare le mie labbra in un sorriso leggero.
«Più che Alice mi sento Giulietta», gli
occhi di papà guizzano incuriositi da me alle lettera, dalla lettera a me.
«Posso avere l'onore di leggere le
parole del tuo Romeo?» arrossisco,
vergognandomi della carta leggera rovinata dal tremore delle mie mani.
Annuisco a mio padre, che in un paio di minuti divora il contenuto della
lettera.
«Abbiamo un poeta, cara. Non è un Romeo
come tutti gli altri!» papà sorride e si alza
per andare a servire il pranzo in tavola.
Finisco rapidamente di
mangiare e mentre salgo le scale diretta alla camera, mi sorge un dubbio.
«Papà, non lo dirai alla mamma, vero?»
«Beh, forse...» accenna dalla cucina, la
voce accompagnata dal sottofondo dell'acqua del lavandino e del rumore delle
stoviglie.
«Papà!» grido per farmi sentire.
Si affaccia alla porta con un
asciugamano umido fra le mani. Alza quest'ultime in segno di resa: «D'accordo,
d'accordo... Prometti però di farmi sapere se ti importuna».
«Promesso.»
Voglio bene in egual modo ad entrambi i
miei genitori, ma con mia madre le questioni sentimentali sono sempre tasti
dolenti.
Tuttavia, non posso fargliene una colpa:
la mia vita sociale, soprattutto se collegata all’ambito scolastico, non è stata
una bella esperienza. Apprezzo, nonostante tutto, la sua preoccupazione.
Siamo una famiglia molto unita, e lo
siamo in tutto: nella gioia e nel dolore.
La giornata è scivolata via come sabbia fra le
dita. Ho avuto tempo a sufficienza per soddisfare la mia fame di cultura, di
perdermi fra le lettere di Che tu sia per
me il coltello, di David Grossman. Questo libro
fa da monito anche per la situazione in cui attualmente mi trovo: non voglio
presumere che il mittente della lettera che ho ricevuto abbia letto questo
libro, ma se lo avesse fatto non sarebbe più una coincidenza. Sarebbe un vero e
proprio attimo colto.
Per scacciare via i pensieri, decido di godermi
il momento migliore di tutta la giornata: la doccia.
Non sento lo scrosciare dell'acqua, ma è sufficiente sentirla sulle
membra stanche per rilassarmi. Il vapore mi fa
pensare che non ci sia altro posto al mondo in cui vorrei essere. Le parole di
quel misterioso mittente mi restano però attaccate alla pelle, e non c'è
detergente che riesca a farle sparire.
E ora? Come farò a rispondere alla sua lettera?
Non posso far altro che prepararmi a una notte piena di quesiti e scarna di
risposte.
***
Fuori piove e il cielo ristagna di malinconia.
Penso alle lacrime di pioggia che versano le nuvole e mi chiedo perché anche
loro piangano, se i tuoni che tengono sveglia me le notti tempestose spaventino
anche loro. Chissà.
Alla fine, grazie al consiglio che
spesso porta la notte, l’altro giorno ho deciso
di lasciare la mia risposta tra le incustodite pagine di Che tu sia per me il coltello. La lettera è sparita, ma non saprei
ben dire in che momento preciso: onestamente, in questi giorni ho lasciato il mio
zaino spesso solo a sé stesso, abbandonato contro la mia sedia. Chiunque sia il
mio Romeo, non ho intenzione di scoprirlo o, almeno, non agli albori di questa
corrispondenza che ogni tanto mi fa tremare i pensieri.
Il fine settimana ci ha comunque separati;
nonostante il sabato scolastico e la mia nuova lettura, non ho trovato alcuna
risposta da parte dell’enigmatico ragazzo. Magari non gradisce il mio nuovo
libro della Mazzantini? Eppure Zorro è meraviglia pura. Soprattutto, chissà se legge, Romeo.
«Alice, torna dal Paese delle Meraviglie!» la
professoressa Moriggi mi riprende ed io penso solo
che con un nome come il mio, potrebbero trovare almeno cose più fantasiose da
dire. Quella Alice non è mica l’unica in tutto il panorama letterario!
«Sì, Sara, scusami, stavo pensando.»
«Me ne sono accorta! Ti stavo
dicendo...», ascolto le sue raccomandazioni sull'imminente esame di Stato, ma
ascoltare non è forse il verbo corretto. Sto sentendo, ma senza sentire nulla.
Breve storia della mia vita. Nel frattempo la professoressa di sostegno continua
a verbalizzare oralmente i suoi monologhi, ma la mia mente è già altrove.
Penso alla prima volta che ho conosciuto
persone nuove; alla prima volta che ho faticato a captare le loro parole; al
primo "ma sei sorda?!"
ricevuto, come di scherno, come se l'udito fosse prerogativa di tutti; penso a
tutte le volte in cui ho sentito l'apparecchio acustico sin dentro il mio
cervello.
Le persone sono curiose e spesso
finiscono per esserlo in modo eccessivo. Quando posso, evito sempre argomenti
che riguardano la mia sordità, soprattutto con persone su cui so di non poter
contare. Mi domando se lo sappia, Romeo, che alla sua Giulietta è stato
mutilato l’udito.
Non ho molti amici, o meglio, non
all'interno dell'istituto. Agli occhi degli altri appaio come una disabile,
come se oltre all'udito avessi disabilità cognitive, ma per loro sfortuna
quelle ancora mi mancano sulla lista. Come biasimarli, però? Al liceo, luogo
meglio noto come Inferno, chi si prenderebbe il peso di avere un'amica per cui
essere derisi?
Quando Sara ha finito il suo flusso di
coscienza torno in classe, scusandomi con la professoressa di italiano per il
ritardo. Siedo al mio posto in prima fila sotto gli sguardi di tutti e apro il
tomo che ci aspetta quest'anno. Oggi l'insegnante introdurrà Leopardi e la mia
attenzione è solo per lei.
Quasi.
Spostando uno dei quaderni riposti sul mio banco, fa capolino una scritta sul
legno chiaro.
Troverai
la risposta proprio qui sotto.
La mia mano scorre lenta sul legno liscio, la trepidazione mi fa tremare le
dita. Il mio sguardo si sposta ansioso da quella scritta alla professoressa. E
se fosse solo una presa in giro? Sospiro, magari è solo uno scherzo dei miei
compagni che a breve si sbellicheranno dalle risate prendendosi gioco di me. I
miei polpastrelli sfiorano della carta ruvida e qualcosa mi esplode nel petto,
forse rabbia, forse gratitudine, forse paura. Sono certa di sentirmi, anche
solo per pochi secondi, la ragazza più fortunata del mondo.
Sabato, 19 settembre 2015
Per Alice da Marco
Sono
dunque sorpreso di aver ottenuto risposta, lo ammetto. Non solo
sorpreso, ma dolcemente meravigliato. Sono rimasto un quarto d'ora buono a
gioire delle curve morbide della tua calligrafia, della filosofia delle tue parole.
Avrei
tante domande da porti e che risparmierò per il futuro: prima vorrei che tu sapessi
come ti ho conosciuta ed il motivo per cui ho scelto di scriverti in questo
modo anonimo e anacronistico. Non voglio in alcun
modo che tu sia spinta dai dubbi a credere che questo sia un gioco di cattivo
gusto o uno scherzo fatto a tua perdita da terzi.
Posso
dire di te che il tuo pensiero mi attanaglia la mente dal primo giorno di
scuola. Sono un ragazzo comune, difficilmente mi avrai
notato e mi noterai, non solo perché passo facilmente inosservato: ho visto il tuo sguardo bramare la bellezza del mondo,
delle arti, ma non quella umana. Ti spaventano le persone?
Scusa.
Avevo detto niente domande.
Posso dire che quel giorno leggevi seduta sul marciapiede
e l'unico raggio di sole in tutto il viale, illuminava te. Era anch'essa una
coincidenza? Può darsi, ma ho deciso di abbandonare per un po' il “panta rei” eraclitiano per
accogliere – forse un po' meno saggiamente – il “carpe diem”. Così
ho vagato per la scuola (sì, ora almeno sai che frequento lo stesso istituto) e,
per la prima volta nella mia vita, non ho avuto bisogno di contare le
piastrelle che calpestavo. Ti ho cercata tanto fino a che, passando di fronte a
una classe con la porta aperta, ho scorto la tua chioma inconfondibile. Ho
dovuto cogliere l'occasione, ormai si era palesata più volte di fronte ai miei
occhi e come rifiutarsi di fronte ad un mistero simile?
Attualmente, per me sei questo. Un mistero. E, per ora, anche il più curioso e
bello che io conosca.
P.S. Temo che qualcuno possa trovare il
nascondiglio sotto il tuo banco. Vorrei evitare spiacevoli inconvenienti,
quindi se ancora ti andrà di rispondere, puoi lasciarmi le tue parole candide
in un antro dietro la macchinetta al terzo piano, quella utile a disintegrare
bicchierini di plastica. Almeno dietro quelle, sono sicuro che nessuno andrà a
guardare.