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Autore: Aky ivanov    22/04/2021    1 recensioni
Napoli, giorno di Pasqua.
Una prenotazione errata, un aereo perduto e imprevisti acciacchi di vecchiaia.
I Neoborg si trovano a vagare senza meta tra le pittoresche strade della città partenopea durante la seconda tappa del nuovo campionato mondiale.
Tra strambi incontri, dialetto incomprensibile e doppi sensi alleggianti nell'aria anche la giornata più sfortunata si rivelerà indimenticabile con la giusta compagnia.
Dopotutto, gli F-Sangre vagabondano con loro.
"Leggere e poi firmare"
Yuri non avrebbe più dimenticato quel tacito monito.
Mai.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boris, Julia Fernandez, Kei Hiwatari, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Easter egg

 

 

Leggere e poi firmare.

 

 

Leggere e poi firmare.

 

 

Leggere e poi firmare.

 

 

Fanculo.

 

Yuri contemplò la distesa cristallina sotto di lui sempre più convito di porre fine a tutti i suoi mali con un tuffo. Nel peggiore dei casi la sua testa avrebbe fatto la conoscenza con alcuni scogli mandandolo una seconda volta in coma o incontro a morte certa.
Entrambe le opzioni gli sembravano comunque migliori di quella attuale.

« uagliò

Rumorosi.
Il popolo napoletano per lui era soltanto rumoroso.
Dal suo arrivo sul suolo italiano Yuri aveva iniziato a rimpiangere la prima tappa in Marocco, il che era tutto un dire a suo modesto parere. Solo un pazzo avrebbe assecondato quel campionato suicida ad aprile, con il riscaldamento globale in atto, nelle mete più calde del mondo. E lui ne conosceva cinque, perché al primo posto sulla lista dei decerebrati avrebbe scritto il suo nome a caratteri cubitali. Aveva firmato senza nemmeno leggere tutte le tappe del campionato.
Marocco, Italia, Hawaii, California e Brasile.
Un suicidio in piena regola.

«Sembra tu stia meditando il suicidio»

Yuri lasciò perdere il tentativo di tirarsi via la pelle dopo essere rimasto con la sola canotta nera indosso, volgendosi verso la stramaledetta allegra voce femminile alla sua destra. All’uscita dall’aeroporto la sfortuna aveva voluto giocargli l’ennesimo brutto tiro. Dopo l’errore di prenotazione dei biglietti aerei e la conseguente suddivisione delle squadre su più tragitti, la nottata passata in aeroporto in attesa del prossimo volo e l’arrivo in una città in cui l’umidità l’aveva ucciso appena toccato terra…avevano perso la navetta che li avrebbe portati all’hotel.
E non erano nemmeno stati gli unici.

«Sembra» ribatté seccamente guadagnandosi un risolino.

Tra tutte le squadre ovviamente gli F-Sangre gli erano capitati a tiro.
Il cocente e luminoso astro nel cielo non scalfiva, anzi, aumentava il buonumore di Julia accomodatasi con nonchalance sulla ringhiera rovente. Lei e il fratello erano poco dissimili da schizzati canguri sotto effetti di acidi. Correvano, saltellavano, si esibivano di punto in bianco insieme ad artisti anonimi delle vie napoletane. Prendevano parte a folkloristici balletti, abbracciavano estranei appena incontrati ignorando totalmente la buia e oscura aura emanata da lui e i suoi compagni.

«Sei proprio sicuro di non voler usare una protezione solare?»

Se Raul aveva giudiziosamente appoggiato l’idea di reciproca sopportazione nella ricerca del loro hotel di cui non conoscevano né il nome né tantomeno l’ubicazione, la sorella aveva adottato l’approccio esattamente contrario. La distanza di sicurezza di tre metri per lei non esisteva, Julia approfittava di ogni pretesto per attaccare bottone con tutti loro.

«Sicurissimo»

La protezione solare era superflua sulle sue spalle ustionatesi sotto il cielo marocchino. Il suo stesso naso somigliava a quello di un clown, avrebbe volentieri fatto a meno di camminare con uno strato di crema sulla faccia. La sua dignità era già stata affossata dai fastidiosissimi piccoli puntini marroncini spuntati sulle sue guance, non desiderava altri pretesti per finire di ridicolizzarsi. Gli era bastato l’urletto euforico di Max il secondo giorno di incontri, grazie a lui anche chi non l’aveva mai degnato di uno sguardo aveva iniziato ad ammirare le sue lentiggini rendendolo un fenomeno da baraccone. 

« fràté! Buona Pasqua!» al suono di una pacca che incontra leggiadramente una spalla socchiuse gli occhi desiderando la caduta di un fulmine «Oggi è proprio na bona iurnata, o vèro

Una sola cosa sensata aveva detto loro Gianni nei suoi sproloqui a ora di pranzo.
L’unica che il suo alquanto probabile ex amico nonché altrettanto probabile ragazzo senza più una squadra non era ancora riuscito a infilarsi nel cervello.

«Boris la vuoi smettere di incrociare il loro sguardo?!»

Kei materializzatosi dal nulla alla sua sinistra aveva l’espressione di chi, come lui, quella scena l’aveva già vista. Legata la sciarpa alla ringhiera in un probabile segnale di soccorso a Dio aveva spudoratamente ignorato la nuova compravendita innescata da Boris defilandosi dalla questione con uno sfacciato mimo labiale “Sei tu il capitano” che gli aveva fatto internamente maledire il giorno in cui l’aveva ripreso in squadra.
Tra una maglietta nera ed una altrettanto nera più leggera, chiaro sintomo di un armadio decisamente troppo monocromatico e fatto con lo stampino, Kei si era elegantemente privato della polo grigia fra gli urletti della fauna femminile del posto.

«Però…niente male. Quando c’è il prossimo allenamento della vostra squadra?»

Yuri non era mai stato geloso di qualcuno o qualcosa ma al piccante commento di Julia ritenne di essere fin troppo vicino al provare un sentimento simile. Afferrato Hiwatari per la collottola prima che potesse anche solo pensare di disfarsi dei pantaloni in mezzo alla città, fulminò Sergej intimandogli di trascinare Boris lontano dall’ennesimo venditore ambulante con in mano scatole di cioccolatini. Speranza vana in quanto Raul aveva deciso di usare il suo corpulento amico come scudo umano per evitare l’insistenza del collega napoletano che non osava avvicinarsi alla rigida e minacciosa figura.

«Tu mi sì simpatico. Non sì italiano, ma secondo me io e te jamm d’accordo»

Yuri ispirò a fondo massaggiandosi il setto nasale per non alzare la voce in mezzo ad una strada sconosciuta sembrando così un terrorista sul punto di farsi esplodere. Ogni individuo avvicinatosi a loro aveva esordito con quella frase e anche senza sfruttare ulteriormente le doti linguistiche di Julia aveva capito benissimo il significato. Non che ve ne fosse particolare difficoltà dopo quarantotto paia di calzini che non sapevano più che in valigia infilare e una scorta di accendini da far invidia a una tabaccheria.
Non avevano nemmeno fumatori in squadra.

«Te vogliò fa' na' propòst, tu nun te preoccupà e' nullà» la voce squillante sovrastò il chiacchiericcio enfatizzata da gesticolazioni estreme con la mano spostata dal petto all’aria per indicare un orizzonte ignoto «Nun me ricenn nulla e ascolta chesta proposta. Si vere proprio ca' si nu' bravo uaglione. Ascolta qua, me sì proprio simpatico. Io te rong chistu pacco e' cioccolatìn e tu me dai giusto vinti euro»

Ivan abbassò la borraccia con l’acqua osservando il siparietto con le guance gonfie quanto un pesce palla alla ricerca di una traduzione per una frase detta così velocemente da lasciare lo stesso Yuri fermo al primo “te”. Nello sconforto più totale alla muta domanda del piccoletto indicò la ragazza accanto a lui che cercando di non ridere tradusse per loro.

«Sinteticamente: ha definito Boris un bravo ragazzo ribadendo più volte che gli sta simpatico, proprio per tal motivo vuole dargli una scatola di cioccolatini alla modica cifra di venti euro»

«Eh no, Kuznestov!»

Ivan ingoiò di getto il boccone d’acqua all’urlo furioso di Yuri impalato su un rialzo in pietra di appena dieci centimetri. La potenza delle corde vocali del suo capitano era qualcosa di misterioso e anormale, spingeva chiunque a portata di tiro a bloccarsi. Anche un mezzo viale pieno di sconosciuti che nemmeno sapevano chi fosse.

«Azzardati a comprare un’altra diavoleria e ti farò sembrare Vorkov un dolce e piacevole ricordo»

«Tu come mai li capisci?» ignorando il botta e risposta fra la furia dai capelli rossi e l’ormai deviato altro loro compagno, Ivan preferì dialogare con la ragazza «Voglio dire, non parlano italiano…li capirei in quel caso»

«No, è il dialetto della città» Julia ridacchiò a disagio lisciando le pieghe vestitino color pesca mentre beandosi della calda luce solare sulla pelle adocchiava di sbieco la furia moscovita «Il napoletano è molto simile allo spagnolo, è come sentirli parlare nella mia lingua madre»

«Yuri quante storie, i soldi sono di Hiwatari!»

Kei impegnato a tirare le difettose cerniere della valigia rizzò le orecchie all’affermazione voltandosi di scatto, convinto che la voce del demonio sceso in terra sarebbe stata più rassicurante. Abbondò la valigia nell’angolo precipitandosi nevrotico verso gli altri due che finirono per ampliare il caos linguistico in corso.
Tra Yuri che sbraitava i suoi rimproveri in russo strettissimo, Kei che mischiava frasi russe con parole giapponesi, lo sconosciuto che tutto contento continuava a sproloquiare in napoletano e Boris prodigato a rispondere a tutti e tre, Julia si chiese proprio come quest’ultimo non si fosse ancora rimbambito del tutto.

«Ascolt a me, te vogliò bbene comm si mi fossì fràte» (1)

«Non ha fratelli» lo zittì Yuri senza nemmeno preoccuparsi di guardarlo in faccia «E non osare contraddirmi, lo so meglio di te»

«Ah… non ha detto che si è fatto frate?» domandò perplesso Ivan guadagnandosi un’omicida occhiata azzurra e uno sguardo ametista dubbioso.

«Una volta tanto capisco la tua confusione»

«Hiwatari, devo gridare al miracolo?»

«Ci mancava solo il Vorkov dei poveri»

Il sopracciglio di Yuri scattò involontariamente verso l’alto e le mani pallide si trattennero dallo strangolare anche l’ultima persona sana della squadra.
Aveva appena perso anche Sergej.

«Chesta scatòl e' cioccolatìn è speciale, nun ne trovì accussì in girò. Chisti ovettì e' cioccolàt te leggon l''anìm!» al limite dell’infervoramento l’uomo dalla barbetta rada attirò improvvisamente a sé Boris avvolgendo un braccio intorno alle sue spalle «Rinto ad ognunò puo' trovà a' verìtà su e' te! Leggòn o' passatò, o' presènt e o' futurò(2)

Yuri chiuse e riaprì le palpebre frastornato alle esagerate movenze della bocca dell’uomo bloccata in una “o” mai terminata, accompagnata da due enormi occhi sbarrati che non battevano più ciglio. L’uomo si era immobilizzato come una statua di cera fatta eccezione per la mano che ancora ondeggiava le scatole di cioccolata.

«Tuttò dipènd ra' scatolà, è essa a sceglie l''acquirènt

«Il deficiente semmai» commentò scocciato Kei.

«Ma la frase originale non era in quel film di magia dove era la bacchetta a scegliere il mago?»  aggiunse perplesso Boris svincolandosi dall’abbraccio improvvisato.

«Io vi ammazzo»

«Ivanov non hai preso i tuoi calmanti stamattina?»

«Hiwatari, taci»

«Ascoltàm Borìs, te chiamm accussì no?» dal bustone enorme pieno di scatole una turchese venne tirata fuori come se fosse il cartoncino indemoniato a chiedere di essere preso «Nun te sto ricenno na' bugià, ppe me si comm nu' figlio» (3)

«Grande affare» ringhiò Yuri incrociando le braccia al petto «Quello vero gli ha spaccato una bottiglia in testa prima di abbandonarlo in un cassonetto»

«Yuri, questa è roba privata»

«Boris famm capì, tieni a mugliera gelosa?» (4)

«Fernandez!» la ragazza presa alla sprovvista all’urlo prepotente si posò una mano sul cuore rischiando di finire nella distesa salata sottostante «Cosa diavolo ha appena detto?»

«Un per favore sarebbe gradito!» ribeccò lei infastidita scostandosi i capelli sfuggiti alla coda fluente «Ed è meglio che tu non lo sappia»

Julia balzò agilmente giù dalla ringhiera avvicinandosi alla mischia onde evitare di attirare ulteriori occhiate indiscrete addosso, nemmeno nelle esibizioni del circo riceveva tanti sguardi su di sé.

«Solo ora non ha capito cosa ha detto?» bisbigliò Raul spuntando da dietro Sergej che non ne poteva più di stare impalato in mezzo alla strada a fare da montagna vivente.

Kei scosse il capo rimpiangendo i battibecchi inutili fra Daichi e Takao.

«Borìs, non te l'ho ritt prima ma ora so ca' tu mi può capì» ogni traccia di allegria sparì dalla voce dell’uomo, sostituta da un tono melodrammatico «Teng na' vità difficilè, cu cheste scatòl faccio campà undici figli» (5)

«E con Boris sono dodici» puntualizzò ironico Yuri inspirando a fondo per non trascinare di peso il suo amico, l’unico insieme a Julia ancora in grado di divertirsi.

«Undici figli? E sono tutti suoi?»

«Ivan»

Il piccoletto alzò le mani in segno di resa allontanandosi di dieci passi dal suo capitano.

«In Italia non sanno cos’è un preservativo?»

Kei si allontanò a propria volta con un sorrisetto da schiaffi soddisfatto al pericoloso tic nervoso intravisto sul volto di Yuri. Boris gli aveva rovinato la giornata, lui l’avrebbe rovinata a Ivanov.
Boris fissò la scatola di prova del venditore ambulante composta da oltre quindici ovetti di cioccolato grandi all’incirca cinque centimetri. Non era un amante della cioccolata ma gli era sempre piaciuto provare il cibo dei diversi luoghi visitati durante i campionati. Dopo una vita bloccato al Monastero riteneva di avere diritto a un po’di svago e alla conoscenza culinaria del mondo. Soprattutto se si consideravano gli ultimi allenamenti estenuanti a cui li aveva sottoposti il loro schizzato capitano pochi giorni prima. Avevano dovuto correre sulla spiaggia di Rabat tutta la notte per compensare le ore di allenamento perse di giorno.

«Facimm acucssì, te provò ca' funziòn veramente!» così dicendo e mantenendo il manico della busta sotto il mento, l’uomo prese una delle uova incartate da un’altra scatola allungandola verso Yuri «Provalo tu ca' si accussì scettìco»

«Dai Yu, assecondalo» diede manforte Boris abbassandosi quel tanto per passare un braccio intorno alle spalle del capitano «Abbiamo altri quattro giorni di libertà prima delle sfide, non succede nulla se ci svaghiamo un po’»

«Tu da quando sei diventato così espansivo?» ribatté asciutto nella loro lingua natia scoccandogli un’occhiataccia di sbieco «Siamo qui da sole cinque ore e già sei diventato appiccicoso come queste persone»

«Sarà l’aria di mare a farmi venire voglia di vacanza. E poi, dove la trovi tutta questa allegria a Mosca? Goditi questo giorno di pace»

«Pace» ribadì scetticamente schioccando la lingua «Ho i miei dubbi al riguardo»

Yuri con uno sbuffo esasperato prese controvoglia l’ovetto di cioccolato nell’accesa carta rosa shocking, scartandolo altrettanto rudemente. Rotto il cioccolato ne cedette senza pensarci metà ai due accanto a lui. Boris ne approvò contento il sapore mentre Julia restò a contemplare la cioccolata con le guance arrossate finché essa non cominciò a sciogliersi tra le dita. Yuri d’altro canto srotolata la carta pergamena inarcò un sopracciglio contraendo le dita sul foglietto.

“Hai avuto problemi con le donne”

«La compro!» gridò Boris tossendo a causa dai pezzetti di cioccolato andati di traverso a causa delle risate «È semplicemente perfetta!»

«Te l’avèv ritt io» rispose l’altro con un sorriso di chi la sapeva lunga su tali esperienze di vendita, chinandosi poi con fare confabulatorio verso il malcapitato che aveva ormai accartocciato il foglietto «Cu sta bella figliola accànt a te, te mettì a pènsà a Borìs

Julia arrossì fino alla punta dei capelli leccandosi le dita ricoperte di cioccolato pur di non incrociare gli occhi di Yuri, col risultato di trovarsi dall’altra parte Raul sbucato fuori dal suo rifugio segreto.

«Oh Dios Raul, torna a cuccia»

«Sentimi bene» sibilò Ivanov tirando il napoletano per il bavero della camicia, venendo ostacolato nell’impresa d’omicidio dalle improvvise braccia di Boris e Kei attorno allo sterno «Tu non hai la minima idea di quante cose si possano fare con un coltellino svizzero, ed io ne ho uno nella tasca. Sono stato addestrato per mutilare la gente e non lasciare la minima traccia. Ti lascio andare vita senza un graffio a patto che tu venda questa idiozia a dieci euro e sparisca nel nulla senza farti vedere una seconda volta, ci simm capitì??»

L’uomo barbuto annuì vigorosamente sospirando di sollievo quando la presa sulla camicia venne meno. Boris ghignò divertito lanciando occhiatine allusive non colte all’amico mentre pagava e congedava lo strano simpatico individuo. Lui sapeva bene il perché di tutto quell’improvviso fervore da parte di Yuri, allo stesso livello di come compativa l’inquietudine della ragazza per quella performance.

«Grazie mille Boris, che a Maronna t’accumpagni!» esultò l’uomo afferrando le mani di Boris in un inchino appena accennato prima di sgusciar via alla ricerca della prossima preda.

«Andiamocene prima che torni» ordinò perentorio Ivanov bloccandosi a guardare il mezzo russo dopo il suo esame alla zona circostante «Dov’è la tua valigia?»

Kei istintivamente si voltò nell’angolino tra il pilastro e il parapetto del lungomare potendo quasi vedere delle lineette immaginarie in stile cartoon segnalare la non presenza della suddetta valigia. Il sudore freddo gli colò lungo la tempia mentre freneticamente si guardava intorno sotto le occhiate perplesse di Ivan, la mano sbattuta in fronte di Yuri, il menefreghismo di Boris, la preoccupazione dei due fratelli e l’aiuto fornitogli solamente da Sergej.

«Hiwatari sono quattro pezze, puoi ricomprarle»

«Ivan tu non capisci! C’è in gioco il campionato!» urlò saltando agilmente su uno dei basamenti di pietra del lungomare per avere un punto di vista più alto «Lì dentro c’era Dranzer!»

Yuri fece scivolare lentamente la mano sulla faccia iniziando a comprendere perché Vorkov usciva di testa rinchiudendoli in delle celle isolate alla minima disobbedienza. Al suo posto dopo quattro anni sentiva di avere la stessa violenta inclinazione, e di persone da tenere a bada ne aveva solo quattro.
La zingara mandata al diavolo in Marocco doveva avergli scagliato addosso una fattura usando la magia nera che si era vantata di saper usare. Era stato maledetto e le sciagure si sarebbero abbattute su di lui e i suoi compagni.
Esasperato si girò verso i due gemelli con aria distrutta.

«C’è posto nella vostra squadra?»

«Ehm…no»

«Sì!»

Allo squittio allegro Raul guardò scioccato Julia che con indifferenza si aggiustò il cappello di paglia volteggiando graziosamente su sé stessa alla leggera brezza. Catturando inconsapevolmente l’attenzione di due iridi cerulee sulle sue gambe.

«Kei! Lì!»

L’indice di Sergej indicò un punto in fondo al viale del lungomare in prossimità della curva dove una figuretta sbilenca correva fra la folla con in mano un trolley blu notte. I due scattarono insieme in una corsa a perdifiato riscuotendo Ivanov dalla sua contemplazione che anziché unirsi all’inseguimento si limitò a osservare il polverone alzato.

«Domani il sole sorgerà»

«Cosa?»

Yuri scosse il capo confuso squadrando Boris intento a mangiare il secondo ovetto della giornata, questa volta bicolore. Boris masticava animatamente la cioccolata dall’aroma eccessivamente dolciastro sventolandogli il foglietto ocra davanti la faccia.

«È la frase premonitrice dell’ovetto»

 

 

«Questa sarebbe la Spagna?»

Yuri incrociò le braccia sulle scale mobili della stazione metropolitana con aria di sufficienza. Julia li aveva fatti camminare per più di quindici minuti fino alla stazione metropolitana più vicina – trascinando borsoni e valigia recuperata dopo una scazzottata – affermando più volte di portarli in uno spicchio di Spagna.

«Beh, il nome della stazione è “Toledo”, un po’ di Spagna c’è»

Ivan roteò gli occhi all’ennesima occhiataccia fulminate poggiandosi scocciato al corrimano scorrevole, o meglio, tentando di arrivarci. Il gomito scivolò e se non fosse stato per la repentina presa di Sergej avrebbe fatto un viaggetto per il resto della scalinata trascinando Julia in piedi con il capitano due gradini più in basso.

«L’architetto è catalano, Oscar Tusquets» ribatté appassionata ella facendo tintinnare i grandi bracciali dorati «E smettila di star sempre a brontolare, sembri mio nonno!»

Yuri corrugò la fronte ancor più infastidito ripetendosi mentalmente i motivi che non gli avevano ancora fatto abbandonare la ragazza in qualche stradina dispersa insieme al fratello.
Motivi che non sopraggiungevano. Non aveva alcuna ragione per portarseli dietro, eppure, ancora non era riuscito a rinunciare a quella compagnia nonostante le continue punzecchiature.

«Io non brontolo, sottolineo i fatti»

La scala mobile arrivò al pianerottolo, Raul cercò di sorpassare l’armadio ambulante che aveva davanti così da raggiungere Julia ma casualmente Boris si appoggiò a lui con la scusa di reggersi per allacciare le scarpe. Sfortunatamente fu costretto ad imboccare le successive scale mantenendo ancora i quattro scalini di distanza in compagnia di Ivan e Boris.
Sperò sempre più vivamente un’apparizione di Romero disperso chissà dove.

«, claro, no eres un viejo gruñón» (6)

«Cosa stai borbottando adesso?»

«Aprende español para entenderlo» (7)

«Ochen' khorosho. Vy uchite russkiy» (8)

Julia gonfiò le guance indispettita voltandosi dalla parte opposta con un piede sbattuto a terra, decisa a non dare soddisfazione. Per i suoi gusti chiedere il significato della frase avrebbe accentuato il malsano e sadico sorrisetto.
La scala scattò sul secondo pianerottolo e in vista dell’ultima rampa si aprì anche lei in un ghigno di sfida quando il tripudio delle piastrelle celesti del piano inferiore si parò loro dinanzi.
Soddisfatta e con aria altezzosa indicò al gruppo moscovita la bellezza della stazione che aveva tanto desiderato visitare, un viaggio illusorio nelle profondità dell’oceano. Il blu predominante sfumava nelle diverse tonalità ricoprendo ogni centimetro alternato da spruzzi luminosi che al passo con il movimento delle scale sembravano ricreare il movimento delle onde. La grande apertura centrale nel soffitto enfatizzata dalle lucine soffuse ricreava un’intensa tonalità celeste tanto simile a due occhi che con sua somma gioia erano catturati quanto lei dal suggestivo spettacolo.

«Direi che questa sfida l’ho vinta io»

Yuri abbassò la testa verso la ragazza corsa giù per i restanti gradini giusto in tempo per cogliere una fugace linguaccia diretta nei suoi confronti. Se la sua mente aveva avuto qualche rimostranza, essa perse importanza disperdendosi come schiuma nel mare. La stessa distesa salata in cui le pieghe svolazzanti della gonna ricordavano la pinna di una sirena.

 

Venti minuti dopo, l’idillio precedente sembrò per Yuri un ricordo lontano.
Gambe accavallate e braccia incrociate, aveva trovato la sua posizione di raccoglimento spirituale ad occhi chiusi per estraniarsi il più possibile. Nessuno l’avrebbe visto borbottare velate maledizioni, nessuno si sarebbe sentito in causa da iniziare l’ennesimo battibecco.

«Dov’è il treno?»

«Ivan…come ti ho già detto le altre cinque volte: no tengo idea»

Sergej annoiato chiese a Boris uno dei cioccolatini ottenendone uno con bianche margherite stampate a ridosso della carta arancione. Anni e anni a vivere in un luogo in lotta per la sopravvivenza per ritrovarsi ad avere solo della cioccolata come fonte di sostentamento durante il campionato. Per sua somma gioia anziché il dolciastro cioccolato al latte trovò il cacao extra fondente mandorlato.

«Ti accorgerai di aver smarrito qualcosa dopo averla persa» lesse scettico riserbando un’occhiata altrettanto eloquente al compratore di quella schifezza.

Julia smise di simulare passetti di danza a ridosso della linea gialla placando finalmente l’apprensione di Raul e con titubanza arretrò indietro fino alle sedute azzurre dove si erano arenati i ragazzi. La stazione era stranamente desertica per via della festività.

«Non dovrei essere io a dirlo ma….non manca qualcuno

Bori inclinò la testa guardandosi con aria annoiata.

«Nah bambolina, siamo tutti»

«Non credo…dov’è Kei?»

«Sarà andato sul Vesuvio per far sentire il suo pennuto infuocato a casa»

La testa di Yuri si sollevò all’istante squadrando il piccolo gruppetto accanto a lui più e più volte. Ivan contava annoiato le piastrelle, Boris se ne stava con i piedi sul suo trolley, Sergej faceva uno spuntino, Raul si grattava la testa e Julia guardava lui mordicchiandosi le labbra. La settima persona continuava a mancare all’appello anche dopo il quarto conteggio.

«Dov’è finito quell’altro? Non era con te?»

Sergej accartocciò la carta facendo mente locale sull’ultimo avvistamento del compagno.

«Dopo aver recuperato la valigia abbiamo parlato con una squadra di militari intervenuti a placare la rissa. Vi abbiamo raggiunti e lui c’era ancora…. Pensandoci, non lo vedo dalla nostra piccola sosta davanti il Teatro San Carlo»

«Cioè da più di mezz’ora…» rifletté Raul analizzando inquieto la tranquillità con cui i russi parlavano del loro alquanto disperso compagno «E voi non vi eravate resi conto di aver perso un componente? Dovremo cercarlo? Potrebbe essere ovunque»

Tutto ciò che lo spagnolo ricevette furono quattro spalle scrollate con disinteresse.

 

«Tornerà»

 

Raul inclinò il capo perplesso ai piedi del gruppo scultoreo di Armodio e Aristogitone (foto).
Contro ogni sua aspettativa Yuri aveva avuto ragione. Il componente perduto del loro strampalato gruppo era riapparso nei pressi del Museo Archeologico Nazionale in cui Julia aveva insistito per entrare. Certo, Romero aveva rifiutato la chiamata, il cellulare del presidente Daitenji risultava ancora irraggiungibile, Mao aveva riattaccato a sua sorella sussurrando un veloce e soffocato “sono impegnata” nello stesso identico modo di Rei, Hilary era rimasta bloccata in qualche pizzeria con Takao, Mathilda e il resto del suo team erano andati a trascorrere i giorni di relax da Gianni a Roma, ma nulla di quel cospicuo elenco giustificava il loro effettivo ingresso nel museo. Amava l’arte tanto quanto sua sorella ma tra il dire e il fare con un gruppo di asociali di mezzo aveva pensato non ci passasse il mare bensì tutto l’oceano.
Ed ancora una volta aveva sbagliato.
Incredibilmente, dopo il giro di chiamate infruttuoso – a cui i russi fin dall’inizio avevano laconicamente ammesso di non partecipare – Julia era riuscita a strappare con i suoi occhi da cucciolo bastonato il consenso dal freddo e posato capitano della Neoborg tra le grottesche risatine di Boris. Erano entrati nel museo e persino le probabili rimostranze di Hiwatari – Raul il russo ancora non lo capiva – erano cessate quando Yuri aveva minacciato di usare la candida sciarpa come un guinzaglio per i giorni a venire.
Tutto era sembrato perfetto finché non si era ritrovato a osservare le sculture non con sua sorella ma con la perenne presenza di Boris e Sergey attorno a lui.

«Mi sento come questo qui» enunciò egocentrico Boris sollevando il braccio su cui era riversa la sciarpa di Hiwatari nella medesima posa di Aristogitone «Mi posizionerò così quando vinceremo il campionato»

«Sì, così Yuri ti ucciderà in diretta mondiale»

«Mi farò anche crescere la barba»

Raul al centro fra i due provò a parlare alzando il dito, rinunciandoci un secondo dopo.

«Per sembrare un vagabondo pedofilo?»

«Si vede che sei single. La barba è sexy, farei strage di pulzelle»

«Convinto tu» ribadì sarcasticamente Sergej con un ghigno derisorio «Non mi sembra di vedere alcuno stuolo di ragazzine ai tuoi piedi»

«Non hai visto come la receptionist non scollava gli occhi dai miei pettorali?»

Raul si voltò incuriosito a osservare la canotta grigio topo sentendo la sua autostima scendere sottoterra. I muscoli ben definiti di Boris premevano sul tessuto e tanto valeva che il russo non lo indossasse proprio per quanto era aderente. Le sue acrobazie nel tendone di famiglia richiedevano un fisico asciutto non bicipiti in bella mostra.
Sospirò pesantemente tornando all’osservazione del gruppo scultoreo.

«Smettila di fare la prima donna, c’è qualcuno che sta andando in depressione»

Boris seguì il cenno del capo di Sergej battendo una poderosa pacca sulla spalla del mingherlino spagnolo che per poco si ritrovò ad abbracciare le gambe marmoree difronte a lui.

«Piccoletto non deprimerti, un giorno crescerai anche tu…forse» accennando un movimento con la mano fece segno a Sergej di estrarre dal marsupio uno degli ovetti fatti entrare abusivamente nel museo «Mangia uno di questi per tirarti su»

Raul addentò la cioccolata chiedendosi come e quando uno degli individui più inquietanti mai incontrato nella sua vita fosse diventato la reincarnazione della sua prozia Greta. La donna vestita sempre di mille colori che ad ogni visita offriva caramelle e cioccolata considerati la cura ad ogni problema. Pure dopo la sua operazione all’appendicite.
Incerto e sottopressione srotolò il foglietto con la quarta perla della giornata.

Non scoraggiarti mai. Accetta i tuoi limiti così da poterti amare

«La zia Greta mi parla dal paradiso…»

 

 

Julia dondolò pigramente sui talloni a pochi passi da Yuri.
Il cuoio dei sandali pungeva fastidiosamente attorno alle caviglie costringendola a sfregarle fra loro per placare il prurito pur di non andare a sedersi e perdere quell’unica occasione di pace insieme a lui. Era rilassante girovagare con Yuri, silenzioso e discreto le permetteva di osservare le sculture senza doverlo zittire continuamente come era accaduto ad inizio visita con Boris e Ivan. In mezza giornata in loro compagnia tutte le sue convinzioni dovute alle algide apparenze erano scemate spingendola a pregare si ammutolissero.
Stentava a credere ai suoi stessi pensieri.
Soprattutto perché aveva smesso di osservare il capolavoro di perfezione scultorea dinanzi a lei già da svariati minuti. Tutta la sua attenzione era stata catturata dal corpo longilineo e dal colorito niveo delle flessuose dita immerse nei disordinati capelli fiammeggianti ricaduti sulla nuca. I chili di cera avevano finito il loro compito lasciandole ammirare i muscoli in tensione del busto e delle braccia sollevate sul capo per raccogliere tale massa disordinata. Mai nella vita era stata tanto felice di cedere il suo preferito elastico verde smeraldo, straordinariamente perfetto per dei capelli rossi.
Ti accadrà qualcosa di bello
Il suo magico ovetto sgraffignato prima di entrare al museo le aveva rifilato un’altra di quelle frasi fatte che seppur scontata proprio non voleva saperne di andare via dalla testa. Un qualcosa di veramente bello lei lo stava ancora ammirando con la sensazione di avere l’intero carnevale di Rio nello stomaco. La fonte dei suoi pensieri stuzzicava involontariamente le sue più recondite fantasie restando semplicemente immobile e concentrato davanti l’enorme scultura dell’Ercole Farnese
(foto). Le gambe lievemente divaricate, la canotta sgualcita sollevata leggermente dalla cinta dei pantaloni, il sottile strato scoperto di pelle chiarissima dove si intravedeva l’elastico dei boxer. Indecisa fra il blu scuro o il semplice nero si ritrovò sollevata sulle punte alla ricerca di un’angolazione per colmare quell’improvvisa urgenza di conoscere il colore della biancheria intima. Finendo per non fissare strati di cotone colorato ma due glaciali iridi celesti puntate su di lei.

«Esattamente, cosa stai facendo?»

Mierda. Mierda. Mierda.

«Chi? Io?» la risatina isterica proruppe involontaria insieme all’improvviso ciclone generato dal dépliant del muso sventolato sulla sua faccia accaldata.

«No, Ercole qui dietro»

Julia avrebbe riso e punzecchiato il russo per quel velato sprizzo di comicità se la battuta non fosse stata detta con la stessa espressione di un cronista di cronaca nera. I lineamenti spigolosi del volto accentuati dai capelli raccolti a tutto le facevano pensare tranne ad un’amichevole e svagata chiacchierata tra amici.

Loro erano amici.

Forse.

Forse no.

«Santo infierno, in questa tappa ci dobbiamo scontrare!»

Yuri a braccia conserte inclinò lievemente la testa all’improvviso cambio discorso, squadrandola come un quadro d’arte astratta di difficile interpretazione. Il cuore sussultò sotto l’inquisizione di quei magnetici occhi in cui lentamente riuscì a veder brillare una luce sinistra.

Oh, no.

L’angolo della bocca curvato in un ghigno accattivante non promise nullo di buono ma contrariamente alle sue previsioni nessun commento pungente o sarcastico uscì dalla bocca del moscovita. Yuri le riserbò un’ultima occhiata tornando a contemplare la statua, racchiuso nel suo menefreghismo che la punse nell’orgoglio più di una beffa sulla sconfitta dello scorso campionato.

«Lo so che avresti voluto fare un commento dei tuoi» commentò scocciata avvicinandosi al ragazzo che restò immobile sul posto «Perché trattenersi?»

«Non mi andava di rovinare la giornata»

Julia sbatté le palpebre intontita inspirando il profumo muschiato del moscovita passatole accanto in quella constatazione ammessa ad un passo dal suo orecchio. Schiarendosi la gola lo seguì silenziosamente intorno all’Ercole Farnese indecisa se essere felice per quella insolita gentilezza o preoccupata di avergli aumentato spropositamene l’ego. Prima era stata beccata a fissarlo spudoratamente, doveva ringraziare soltanto l’indole eccessivamente riservata del ragazzo se non aveva dovuto fornire spiegazioni.
Julia non aveva affatto voglia di confidare al diretto interessato la curiosità sul colore delle sue mutande o il desiderio di spalmargli della crema all’aloe sulle spalle scottate. Solo al pensiero di potergli sfiorare la pelle di porcellana il sangue le affluì di colpo sulla faccia spingendola nuovamente ad agitare freneticamente il volantino.

«Non mi aspettavo di trovare tanto interessante un museo»

Riflessione personale o meno, Julia gradì quella seconda piccola confidenza. Come si era ridotta ad accontentarsi e gioire per quattro parole stentate non lo sapeva nemmeno lei.

«Il museo può essere un luogo meraviglio se sai come osservarlo» esordì in un sussurro flebile accucciandosi ai piedi della scultura «Non è solo un contenitore di opere ma il luogo in cui sono ospitate le opere» sollevò lo sguardo sull’imponente blocco marmoreo per allontanare ogni piccante pensiero dalla mente «Ognuna ha la sua storia e il suo significato, possono avere lo stesso aspetto, possono essere copie ma nessuna sarà mai uguale all’altra»
Yuri l’ascoltò in silenzio abbassandosi sorprendentemente alla stessa altezza. Il ginocchio fasciato dalla tuta bianca sfiorò la carne nuda del suo provocandole uno sfarfallio nella bocca dello stomaco. Il muschio bianco tornò prepotentemente nelle sue narici vanificando i suoi tentativi di mantenere salda la voce nonostante il perfetto ambito di conversazione.
«Un’artista lascerà sempre la propria firma, magari con un dettaglio microscopio o un elemento ricorrente, riverserà nelle opere la sua forza, la sua sensibilità, la sua debolezza»

Gli affascinanti occhi azzurri seguirono le venature marmoree dell’eroe greco dalle gambe in tensione fino alla mano stretta attorno ai pomi poggiati sulla schiena in una suggestiva prospettiva. Loro in confronto alla maestosità e bravura di antichi maestri del passato erano dei ragazzi piccoli e semplici, ma nemmeno l’ammirazione per quei memorabili capolavori poteva riuscire a surclassare il vero amore celato nel suo cuore.
Julia aveva ammirato quel grado di concentrazione solo durante una sfida o gli allenamenti di Beyblade, ma nemmeno l’incontro più soft aveva fatto sparire il solco teso dalla diafana fronte. Sorprendentemente c’era riuscita una scultura vecchia millenni.

«Non ho mai studiato arte» le dita pallide sfiorarono la lucida superfice all’altezza del polpaccio in un mormorio distante «Non sapevo nemmeno l’esistenza di cose del genere fino a qualche anno fa. A Vorkov non interessavano tali insulse sciocchezze» le labbra si piegarono in un criptico e sarcastico sorriso appena accennato «E credo di averne appena capito il motivo, non erano adatte a persone come noi. Come me»

Julia sussultò sorpresa giocherellando freneticamente con le estremità del sottile cinturino dorato stretto in vita. Sentirlo parlare era un evento sporadico, avere una conversazione ancora più raro. Ricevere confessioni private era semplicemente fuori dalla realtà.

«L’arte rende umani, essere umani ti rende libero»

La sottile malinconia calata sull’ultima parola non sfuggì alle orecchie di Julia che non ebbe il tempo di porre alcuna domanda.
Così com’era giunta, la ventata di intimità era scomparsa. Improvvisa e sconvolgente come i flebili sguardi sinceramente divertiti intravisti nel corso della mattinata.
Il cipiglio severo ritornò al proprio posto sancendo la conclusione della conversazione inattesa, ma non il tumulto interiore. Julia in un impeto di coraggio afferrò la mano del russo ancora sollevata sulla scultura.
Yuri trasalì impercettibilmente placando l’istinto di ritrarre il braccio. La scrutò di sottecchi beandosi di un meraviglioso dolce sorriso capace di scaldargli non solo l’arto bloccato con il suo.

«Yuri…sei più umano di quello che credi»

 

 

Ivan si mosse a disagio sulla stretta panca con il viso afflosciato sul palmo.
Un minuto prima aveva i suoi compagni dietro di lui, il minuto dopo erano tutti spariti nel nulla lasciandogli la sola compagnia di Kei. Grazie alle dolci paroline di Ivanov il mezzo nipponico non aveva completato la sua missione camaleontica con l’arredo per poi sparire nel nulla. Era miracolosamente rimasto all’interno della struttura con il suo maledetto e categorico silenzio che gli stava togliendo pure la voglia di vivere.
Tutti loro erano di poche parole ma avevano un limite.

«Incredibile» provò nuovamente ad intavolare un qualsivoglia dialogo indicando il video esplicativo sullo schermo «Un’eruzione disastrosa ha mantenuto intatta fino ai nostri giorni una città vecchia duemila anni»

«Mh»

Lo sbuffo frustrato di Ivan risuonò fra le deserte sale della sezione epigrafica.
Avevano visto il video sullo schermo in quattro lingue diverse tanto da sapere ormai a memoria le scritte sui diversi graffiti latini presenti e non presenti nelle sale espositive.

«Certo che deve essere proprio una brutta morte quella…sepolti dalla lava»

«Mh»

L’immagine sullo schermo cambiò mostrando la scritta di quello che suppose essere il muro di un’osteria: “L’abbiamo fatta nel letto. Lo riconosco, abbiamo sbagliato, ospite. Se chiedi perché, non c’era nessun vaso da notte.” Ivan avrebbe vissuto volentieri in quei tempi lontani soltanto per sfogare le proprie frustrazioni nello stesso modo.
Aveva voglia di mutilare Hiwatari e usare il suo sangue per scrivere sulle pareti la sua frustrazione.

«Sei lì a festeggiare magari una vittoria e puff…un fiume bollente ti entra in casa»

«Già, bella sfiga»

«Pensa se in quel momento eri in bagno» un brivido gli percorse la schiena al sol pensiero di un liquido bollente sulle sue parti intime «O peggio, a fare sesso»

Kei diede un segno di vita schiudendo le palpebre.
Cosa avesse capito del video senza guardarlo fino a quel momento, Ivan non lo sapeva.

«Almeno saresti morto appagato»

«Hiwatari non ti sembra di essere un tantino cinico?»

«No, è la verità» il ragazzo scavallò le gambe puntando le iridi ametista sul filmato concluso dalla musichetta «Potresti morire anche adesso. Non vorresti addolcire il tuo ultimo viaggio seguendo gli istinti di madre natura?»

«Quello che dovrebbe addolcirsi sei tu» Ivan frugò nel tascone del pantalone mimetico estraendone una sfera rossiccia «Tieni, addolcisciti con questo»

Kei soppesò l’ovetto afferrato al volo aprendosi in una smorfia schifata alla cioccolata semi-sciolta finitagli sulle mani. Con la cautela di un artificiere provò a staccare la carta riuscendone a salvare solo metà uovo.

«Per quanto andrà avanti questa storia?»

«Finché Boris non finirà di smerciarli in giro»

«Sembriate assuefatti dalla cioccolata»

«Non lamentarti, almeno hai qualcosa da mangiare» balzato giù dalla scomoda panca Ivan stiracchiò le braccia al cielo «Piuttosto, cosa dice la sorpresa all’interno?»

Kei contemplò la mano appiccicosa strofinandola riluttante sul pantalone della tuta con il pezzo di cioccolata al caramello infilato tra le labbra. Aprì il fogliettino di carta ripiegato all’inverosimile scattando con i denti alla lettura della frase.
Il pezzettino vagante di cioccolata volò verso il suolo prontamente agguantato prima di sfracellarsi.

«Un giorno morirai»

«Ecco, hai ammorbato pure la cioccolata»

 

 

«Boris, che ci fai ritratto nel tuo post sbornia di capodanno?»
Sergej si frappose fra il chiamato in causa ed Ivan evitando un brutto fine giornata allo sghignazzante e impertinente demonio in miniatura. A meno che la croce sacra non fosse apparsa in sogno oltre che a Costantino pure a Yuri, la scelta di portare una riserva aggiuntiva non era stata la loro tattica strategicamente più vantaggiosa. Il loro capitano doveva avere una gran pazienza o uno spirito masochista smisurato per aver aggiunto pure il topo ai cane e gatto dello scorso anno.
Sergej era piuttosto incline a una posizione mediana fra le due alternative.

«Non ci sarà sempre Sergej a pararti il culo!»

Ivan trotterellò attorno alla scultura del Satiro Ebbro (foto)  diventata il fulcro del loro discorso da dieci minuti, deviando la sua fuga fra i due gemelli rimasti ad osservare sconcertati l’ennesimo sprazzo di vitalità made in Russia. Si erano ricongiunti tutti in una delle sale del primo piano per terminare la visita, ma i programmi erano inaspettatamente cambiati alla vista della scultura del culto dionisiaco.

«Boris, impara ad accettare la verità»

«Tu impara a convivere con la tua statura, ti farò restare un halfling per il resto della vita»

Kei grugnì infastidito allo scatto della segreteria telefonica restituendo il cellulare ad Ivanov poggiato al pilastro accanto a lui. Ivan sfrecciò loro davanti facendo svolazzare i lembi della sciarpa avvolta in un doppio giro attorno al collo per evitare ulteriori furti. Yuri riprese il cellulare inclinandosi al passaggio di Boris per evitare una gomitata e il telefono finì riposto nella tasca posteriore.

«Hai intenzione di fare il lupo da guardia per il resto della giornata?»

«Forse, almeno sarò certo di dove ti trovi»

Yuri alzò meccanicamente le spalle senza scollare gli occhi dalle balze della gonna pesca e dalla sua proprietaria. Julia lo stava evitando dal discorso dietro la scultura, precisamente dall’arrivo del fratello e Sergej.
Dall’eccessiva confidenza era passata al non guardarlo proprio più in faccia.

«Sai, la mania del controllo è un disturbo ossessivo compulsivo»

«Chiamami quando mi trovano una cura» commentò piattamente appurando la mancanza di un brillantino nella coda esterna del vortice disegnato sul ventre del vestito «Ah no, non puoi farlo, ti manca un cellulare»

Kei seguì la traiettoria visiva del capitano alternando la coda dell’occhio dall’uno all’altro senza commentare. Non erano affari suoi gli ormoni altrui se non minavano la loro vittoria al mondiale. Riteneva Yuri una persona con i piedi per terra capace di sapersi controllare.

«Spero per il vecchio che sia in un ospedale»

Kei ghignò serafico voltandosi verso le lunghe dita battute ritmicamente sull’avambraccio.

«Altrimenti ce lo farai finire tu?»

«Esattamente» 

Ivan inciampò in un invisibile ostacolo sbattendo il gomito contro la base della scultura. Al gemito di dolore Boris ritenne la sua vendetta parzialmente realizzata e con rinnovato interesse tornò a osservare la statua bronzea centimetro per centimetro.

«Certo che a quei tempi capivano benissimo le gioie della vita» accennò col capo verso il centro della scultura e il dito verso i suoi gioielli in basso «Si vantavano proprio della loro mercanzia»

Sergej allentò la postura assottigliando pericolosamente gli occhi in un’ammonizione che Boris fece finta di non vedere avvicinandosi ancor di più al pezzo artistico. La decorazione proveniente dalla Villa dei Papiri di Ercolano – secondo le informazioni date da Julia – mostrava il satiro abbandonato su una roccia coperta di pelle leonina con il braccio alzato e il volto in estasi. Nella mente di Boris non era il vino la causa di quell’euforia.

«Sarei stato perfetto come loro modello»

«Boris, no»

«Cosa Sergej? Avrei aumentato gli standard dell’epoca»

«Non ci interessa»

Boris sorrise ampiamente gettando un’ombra sinistra sul suo viso ignorando totalmente le flebili rimostranze di Raul che insisteva per terminare la visita e andare via. Il carattere timido del ragazzo non era adatto a tali discorsi.

«Sergej…» la prima “e” del nome venne dilungata con fare allusivo «Avrei soddisfatto quelle donne non solo visivamente, lo sai»

«Perché dovrei saperlo?»

Julia sospirò camminando in tondo nella sala evitando accuratamente di ascoltare le speculazioni di Boris. Avrebbe voluto smorzare l’egocentrismo del russo con poche e ben dirette parole ma l’intromissione di Yuri avvicinatosi per farli smettere aveva dissuaso ogni iniziativa.
Come le era venuto in mente di afferrargli la mano?
Aveva un incontro da disputare contro di lui, doveva restare lucida e prendersi la sua rivincita. Sicuramente Yuri sarebbe sceso in campo per primo ed il suo sesto senso non sbagliava mai. Almeno nel beyblade.

«Julia!» al richiamo di Boris fissò sconfortata il naso a patata di Tolomeo III trovandolo fin troppo simile a quello di Ivan «Ma questi greci o romani si applicavano tanto ai dettagli per poi lasciare le sculture tutte bianche o color bronzo?»

Perlomeno erano ritornati su un piano di conversazione decente.

«No, molte erano variamente colorate» ritornò sui suoi passi fino al gruppetto disposto ora intorno alla statua del satiro addormentato «Il colore è stato lavato via dal tempo, le puoi immaginare con i colori più disparati»

«Ivan lo vedi che avevo ragione io? I peli pubici potevano essere biondi»

Julia ritenne di aver cantato vittoria troppo precocemente. Incominciava ad apprezzare maggiormente il carattere timido e insicuro del fratello che non si sarebbe mai sognato di iniziare una simile conversazione con lei presente.

«Por el amor de Dios, Boris, estás viendo piezas de historia de valor incalculable...sai pensare solo a questo?!» (9)

«Perché tu non ti sei mai chiesta se Yuri li abbia rossi anche laggiù?»

Julia desiderò essere nel suo circo per potersi gettare in caduta libera dal trapezio e porre fine alle sue continue figuracce della giornata. Perché alla domanda innocente totalmente inaspettata e fuori luogo, l’occhio al punto alluso l’aveva gettato, anche fin troppo allungo. Yuri aveva smesso di incenerire Boris squadrando sorpreso lei quando se ne era accorto.
Il sopracciglio vermiglio si era alzato così lentamente da permettere a Julia di contare mentalmente i cinque secondi sembrati un’eternità.
Detestò sé stessa e la sua grandiosa idea di entrare nel dannato museo.

«Oh, io… ecco, non saprei» tossicchiò a disagio farfugliando sconnesse parole spagnole tanto da divertire persino Hiwatari bellamente posizionato a godersi lo show «Suppongo di sì, è quello il suo colore naturale…ma, non sono cose che mi interessano!»
Boris stava per rispondere ma qualunque fosse il significato delle parole russe tuonate da Yuri esse servirono a zittirlo all’istante.
Kei non riuscì a trattenere il sorrisetto da schiaffi tra l’incapienza di Ivan e gli afflitti sospiri di Sergej. Con i Bladebreakers non si sarebbe mai ritrovato un siparietto tanto fraintendibile che con suo sommo divertimento non era ancora destinato a terminare.

«Dovresti placare le carenze della tua mogliettina»

Il sussurro che tale doveva essere all’orecchio risultò essere invece uno spillo caduto nella Chiesa. Yuri afferrò l’avambraccio di Boris deciso a stritolarlo e a privarsi così di un componente del team per tutta la restante parte del campionato. Il suo amico scrollò le spalle come se non avesse appena lanciato l’ennesima fraintendibile espressione ma una elucubrazione filosofica d’alto rango che non aveva fatto voltare Julia verso di loro.

«Di che carenze estás hablando

Raul scrutò sua sorella indagatore, Ivan cominciò a capirci qualcosa.

«Nulla!» si intromise Sergej bloccando la visuale del duo prossimo alla rissa «Cioccolata. Sì, Boris stava parlando di carenze di cioccolata»

Kei annuì ironico appoggiando lo sproloquio solo per vedere dove sarebbe andati a finire.

«Cioccolata?»

«Sì!»

Julia si ritrovò schiaffato fra le mani uno degli ovetti azzurri chiedendosi se il colore non le fosse stato dato di proposito, ma l’unico propenso a quei giochetti era stato trascinato nell’angolo più remoto del salone adiacente a discutere animatamente in russo.
Il cioccolato al latte quasi non le andò di traverso alla lettura del foglietto.

«Pesce d’aprile!»

 

 

Le rotaie fischiarono stridule nel tunnel sotterraneo.
La visita al museo era terminata nel pomeriggio inoltrato con il giro nel “Gabinetto segreto” anziché la sezione egizia del pianto interrato. Boris aveva trascinato tutti nella piccola ala dedicata alla pittura e oggettistica erotica del passato sostenendo di ampliare il giusto lato della cultura. Raul aveva chiuso gli occhi agli eccessivi commenti espliciti finché il russo non aveva acconsentito a farli nella sua lingua natia dopo averlo visto centrare in pieno una teca.
Il vagone della metro si arrestò alla successiva sconosciuta fermata metropolitana lasciando scendere le poche persone sul vagone silenzioso. La scritta “Dante” monocromatica svanì presto alla vista inghiottita dal buio del tunnel, oscuro come il loro senso dell’orientamento del momento. Nemmeno la rete internet – inesistente dati i trentacinque metri sottoterra – avrebbe potuto dissolvere i dubbi sulla loro posizione geografica.
Perseguivano il loro vagabondaggio senza meta.
All’uscita dal museo Julia aveva maledetto il loro allenatore quando all’ennesima chiamata anziché la voce di Romero aveva udito quella di un poliziotto dal marcato accento italiano. Il telefono del suo attentissimo allentare era stato trovato abbandonato in strada e ora figurava fra gli oggetti smarriti di una qualche stazione di polizia di cui non si era premurata di conoscere il nome.

«Secondo me dormiremo qui stanotte» borbottò Ivan con le gambe incrociate su uno degli scomodi sediolini di plastica «Noi, il treno…e la cioccolata»
«Por favor, no» i capelli castani disordinati ondeggiarono sulla schiena all’aumento di velocità del treno «Ho bisogno di una doccia, dobbiamo trovare il nostro hotel»
«Nel peggiore dei casi puoi sempre usare il mare»

Julia strinse il sostegno giallognolo a cui era aggrappata scoccando un’occhiata seccata al ragazzino che considerava serissimi e utili i propri suggerimenti. Aveva creduto di poter placare la lingua acida dei russi con dei dolci comprati su suggerimento di un passante e per dieci minuti ci era pure riuscita. Era certa che le tondeggianti brioche ripiene di crema al latte, panna e ricotta non fossero state solo il suo miglior momento della giornata.
Le soffici nuvolette cosparse di zucchero a velo avevano stregato persino Hiwatari che ne aveva comprate alcune da portarsi dietro.

«A proposito di cioccolata…»

«No Boris, non aprirne un altro!»

«Non ti è piaciuto l’ultimo biglietto?» cantilenò sornione il russo alla ragazza che senza troppi preamboli gli tirò un calcio sulla gamba sotto lo sguardo terrorizzato di Raul «Quante storie per uno scherzo…Yu, apri il tuo! L’ho scelto con cura»

All’impassibile faccia del capitano in piedi davanti a lui ritirò l’ovetto.

«Ho capito, lo apro io per te»

La metro giunta alla fermata di “Toledo” arrestò momentaneamente la sua corsa attendendo qualche passaggio sui binari. Tra il ronzio del mezzo e le sirene d’allerta per la chiusura delle porte, Boris scartò l’involucro oro estraendo un ovetto al cioccolato bianco lanciando un’occhiatina divertita al suo capitano. Yuri osservò il suo gusto preferito detestando enormemente colui che in un modo o nell’altro continuava a coinvolgerlo con delle stupide uova neanche fosse una gallina.

«E questo cos’è?» con uno schicco aveva aperto l’ovetto tirando fuori un piccolo bastoncino rosso insieme al foglietto «È un peperoncino?»
«Un portafortuna» Julia si avvicinò indicando con la mano libera il piccolo corno rigirato fra le dita «Una volta il nonno me ne ha regalato uno dopo un suo viaggio in Italia, è molto diffuso qui. Funziona come amuleto contro la cattiva sorte solo se è regalato…considerando che ti è stato dato da Boris potrebbe funzionare»

«Teoricamente l’avrei pagato io»

«Sì sì, Hiwatari lo hai pagato tu» ripeté Boris ondeggiando la mano incurante.

«Che sia di Kei o Boris non cambia» sentenziò Yuri infilandosi il cioccolato in bocca e il finto peperoncino in tasca «Non credo a tali sciocchezze»

L’ultima sirena d’avviso cessò di suonare mentre la metro bruscamente riprese la sua corsa. Yuri sbilanciato all’indietro cercò di riafferrare il sostegno mancandolo di qualche centimetro. Il piede calpestò quello di Julia dietro lui, la ragazza urlò per il dolore perdendo la presa e al successivo slancio del treno finirono entrambi sul lurido pavimento calpestato da milioni di persone. Fortuna o meno, Yuri era caduto di spalle addosso alla ragazza da cui si spostò velocemente di lato quando sentì il seno premuto contro la schiena.

«Stai bene?» domandò d’istinto mentre la vedeva rimettersi seduta.

Julia annuì adagio sorreggendosi la testa, troppo indolenzita per badare al colore salitole sulle guance o alla gonna del vestito sollevata più del dovuto.

«La chiamavano fortuna»

«Boris, taci»

 

 

Boris seduto su un vaso di pietra privo di fiori contemplò la piccola piazza con l’obelisco centrale piena di gente. Il campanile rintoccò le diciotto fra il chiacchiericcio festoso delle persone e la musica di un artista di strada. Boris stava rivalutando quella città man mano che il tempo passava, nonostante il broncio contrariato messo su da Ivanov.
Napoli era tanto diversa da Mosca, se non direttamente opposta. C’era una vitalità che nelle strade della sua madrepatria sembrava mancare, come se il clima del luogo potesse influire sull’espansività e carattere dei suoi abitanti. Da quel punto di vita Yuri era l’incarnazione del russo perfetto, freddo e glaciale come la neve. Rigido e chiuso non aveva nemmeno provato a guardare la città con altri occhi, ma anche lo strato di neve più dura alla fine cedeva il passo alla primavera con un piccolo aiuto.
Boris sogghignò guardando nella medesima direzione di Yuri verso il tappetto riccamente lavorato disposto sotto l’obelisco. L’anziano signore con la chitarra battente era stato più che felice dell’aggiunta di due persone alla sua piccola esibizione a cui aveva consegnato rispettivamente un tamburello e un foulard verde acqua.
Per quanto l’affiatamento dei gemelli fosse invidiabile in fatto di coordinazione musicale e movimenti per una canzone folkloristica che sentivano per la prima volta, Boris dubitava altamente che Raul fosse minimamente calcolato dal suo capitano. Gli ondeggiamenti sensuali di Julia purtroppo per lo spagnolo avevano attirato anche la sua attenzione e non solo. Sergej involontariamente si era trovato a battere il piede a ritmo con la musica e Ivan…l’avevano mentalmente perso. Preso da uno schizzo mentale era andato a farsi dare un altro tamburello accovacciandosi accanto al tipo, non azzeccando nemmeno una nota.
«Hiwatari, unisciti alla danza, la sciarpa ce l’hai» proferì alzando la voce per farsi sentire dal ragazzo appoggiato al palo che gli rifilò un dito medio elegantemente alzato.
I piedi di Julia batterono a ritmo con foulard ondeggiato sulla testa nel girotondo improvvisato attorno al fratello, tornarono indietro fino all’orlo del tappeto, poi di nuovo in avanti in una piroetta. La risata cristallina risuonò fra le note nel volteggio e i capelli al vento mentre i due occhi verdi puntarono il pubblico in fondo alle scale della chiesa.
Qualcuno del pubblico, puntualizzo Boris nella sua testa.
Volontariamente o meno Julia non smetteva di incrociare lo sguardo con il suo capitano in movenze che Boris stesso iniziò a pensare non fosse giusto vedere. Non aveva mai avuto una fidanzata ma gli istanti maschili sì, e fantasticare sulla donna del proprio migliore amico era troppo persino per uno come lui.
«Hiwatari, me la fai la lap dance quando torniamo in hotel?» domandò sensuale ottenendo in cambio un vacuo sguardo ametista.
«Cosa c’è di sbagliato in te?»
«Voglio conoscere il fuoco che ti porti dentro» proferì simulando un graffio con la mano che mandò ancor più in confusione il blader dell’aquila rossa.
Kei lo stava studiando come una specie in via d’estinzione al pari del russo in mezzo a loro. Yuri non aveva emesso il più piccolo verso di disapprovazione agli urli nei timpani o alle risposte acide continuate fra loro. Osservava il balletto totalmente immobile da ignorare il leggero pizzico datogli sul braccio.
«È ancora vivo?» chiese il mezzo russo sporgendosi in avanti per osservare il volto niveo.
«Si spera, ci serve per il campionato»
Boris tamburellò le dita sul ginocchio riportando l’occhio sulla ragazza che ferma sul posto e voltata a tre quarti ondeggiava l’estremità del foulard con un sorriso malizioso, ricambiato persino dal tronco di legno accanto a lui.
Il balletto finì in uno scrosciante applauso generale a cui Boris decise di unirsi.
Yuri non diede tale gioia occupato a rispondere al cellulare nello stesso istante in cui un gruppo di ragazzini urlanti riconobbe i due gemelli come membri del team spagnolo.

«Buonasera a lei presidente Daitenji»

Abbassatasi a parlare con una bambina, Julia annuì contenta tramutando in realtà il brutto presentimento di Boris che non ebbe modo di riflettere sulla macabra inflessione usata da Yuri al telefono. La bambina e i suoi amici li avevano circondati in meno di tre secondi, saltellando estasiati alla notizia di avere incontrato non una, ma ben due squadre del campionato.

 

 

 

«Il presidente Daitenji è un uomo ricco?» domandò Ivan portando svogliatamente il borsone sulle spalle nell’unica via con leggera pendenza di tutta Napoli.
«Si presume di sì» rispose Boris trascinando il trolley sul marciapiede dissestato infangando la rotella negli escrementi di un cane «
Ti capiterà qualcosa di brutto… ecco. Continuate pure a dire che le previsioni non siano vere»
«Ok…ignorando i tuoi stupidi biglietti, mi spieghi perché se lui è così ricco noi stiamo camminando in una fottutissima strada diretti ad un appartamento qualunque infilato nel centro antico di questa dannata città?!»
«Perché il carissimo presidente si è dimenticato di prenotare l’hotel per noi» ringhiò in risposta Boris pulendo con una smorfia la ruota della valigia davanti il Duomo «E dato che è Pasqua, non ci sono più posti nella struttura»
«In ogni caso ci è andata comunque meglio di loro» aggiunse Sergej accennando ai gemelli alle loro spalle, Julia continuava a battere pacche consolatorie sulla testa del fratello «Il presidente si è completamente dimenticato di avere un team spagnolo finché Yuri non gliel’ha ricordato»

Ivan represse un brivido lungo la schiena al ricordo delle calme e pacate risposte date dal suo capitano al telefono. Yuri aveva educatamente ringraziato il vecchio, firmato gli autografi ai ragazzini e raccolto le sue cose senza dire una parola. Si era fatto seguire in uno dei vicoli senza dare risposte finché raggiunta una discreta distanza da orecchi indiscrete non aveva iniziato a urlare dalla rabbia.

Era stato un evento surreale.

Yuri aveva sempre alzato la voce per un lancio sbagliato, un comportamento inappropriato, una frase fastidiosa come quella mattina, ma Ivan non aveva mai sentito il suo capitano urlare dalla rabbia nel senso letterale del termine.
Soprattutto, non in russo, spagnolo e napoletano confuso nello stesso momento.

«Siamo quasi arrivati»

Ivan ritornò al presente alla solita tranquilla inclinazione di Yuri in testa al gruppo con il navigatore alla mano. La voce era ancora un po’ rauca dopo lo sfogo ma il suo capitano non sembrava farci particolarmente caso fra le varie istruzioni date nel groviglio di strade.
Svolta a destra, poi sinistra, un vicolo interno, un arco di pietra e il cortile con il piccolo condominio dalla vernice rosa scrostata era davanti ai loro occhi insieme a una donna dai vaporosi cappelli biondi.

«Oh, voi dovete essere i blader di Mister Daitenji»

Yuri non seppe se trovare più inquietante il civettuolo nomignolo o i due baci schioccati improvvisamente sulle sue guance. La donna dal rossetto rosso fuoco aveva totalmente ignorato la sua mano tesa soffocandolo in un abbraccio dal forte profumo di cannella.

«Julia…non è che siete parenti?» chiese Boris arretrando insieme a Kei accanto alla spagnola pur di non incappare nella stessa sorte del loro capitano.

«Me lo hai già chiesto con la presunta veggente» la voce squillante della donna continuò spingendola a sussurrare «Non capisco perché continui a imparentarci tutta la gente più strana»

«Siete proprio un amore di ragazzi, su venite!» Yuri si tastò la faccia appena stritolata dai pizzicotti della dolce signora finendo per essere trascinato dentro proprio da lei «L’appartamento libero è al quarto piano, vi tocca solo un ultimo sforzo!»

«Ultimo…» Ivan sollevò lentamente il capo verso il soffitto nell’androne dal cui vano centrale si vedevano i vari piani, ognuno caratterizzato da tre rampe di scale ad andamento a spirale «…sforzo»

«Non possiamo usare quello?» Boris indicò speranzosamente l’ascensore all’interno di una gabbia metallica auspicandosi di non dover trascinare ulteriormente la valigia.

«Mi dispiace, è rotto»

 

 

L’appartamento concesso dal presidente Daitenji era composto da un tetro corridoio senza finestre su cui erano disposte su di un lato della parete le diverse porte delle stanze, ad eccezione dell’unica posta in fondo a tutto occupata dai russi. A seguire lungo il muro si trovavano la camera da letto col letto matrimoniale scelta dai gemelli, un minuscolo salottino con un tavolo e quattro sedie e una strettissima cucina in cui erano state trovate scatole di ogni tipologia di tè esistente. Giusto difronte l’ingresso era infine situata la porta del bagno. Perlomeno di quello che si presupponeva dovesse essere un bagno e non una latrina uscita da una qualche prigione messicana. Stretto e lungo, il “bagno-corridoio” così etichettato da Boris era largo a malapena due metri e lo spazio diminuiva se si considerava la presenza dei sanitari. Il lavandino dalla porcellana graffiata e il bidet non erano stati considerati un problema, tutt’altro discorso invece aveva ricevuto il water.
«Come dovremmo usarlo?» domandò incerto Boris fermo sulla soglia indicando i venti centimetri di spazio fra la tazza del water e il muro piastrellato.
«Ti lamenti tu?» ribatté Julia  sgusciando al di sotto del braccio alzato del moscovita per esaminare più da vicino non solo il sanitario ma la macchia nera in alto sul muro «Almeno voi una cosa potete farla in piedi, nemmeno io riesco a sedermi!»
«Vorrà dire che dovrai mettere in pratica gli insegnamenti del tuo circo anche in bagno» al sol pensiero Boris cominciò a sghignazzare «Un piede sul lavandino, uno sul pannello della doccia e puoi diventare la versione femminile di spiderman»
«Questi quattro giorni saranno un incubo» sussurrò lugubre Sergej.
«Io non ho problemi» concluse Ivan con un sorriso smagliante invitando tutti a uscire dal bagno «Scusate, ma devo usare il bagno…io che posso»

Il trio si ritrovò la porta sbattuta in faccia.

 

 

«Dobbiamo vincere questo campionato»
Yuri sostenne veemente la sua tesi insieme all’anta dell’armadio rimastagli in mano all’apertura, sotto lo sguardo perplesso di Boris dietro di lui.
«Yu, io credo che tu-» Boris si abbassò di scatto quando il capitano si voltò con tutta l’anta «Io credo che tu debba solo distenderti su un letto e rilassarti»
«Sono perfettamente calmo» ribadì freddamente il russo dagli occhi azzurri voltandosi nuovamente verso il resto dell’armadio mancando di poco Sergej appena entrato in camera «Dobbiamo vincere assolutamente questo campionato»

«A proposito di letti» cominciò Kei gettando la valigia sul letto a castello di sinistra «Questo è mio e non intendo condividerlo con nessuno. Fatevi la conta per vedere chi tra voi dovrà dividere il letto»

«Io sono troppo ingombrante per dormire in due» proseguì Sergej occupando il letto sotto quello di Kei.

«Io non intendo ricevere calci notturni da Boris» aggiunse Ivan precipitandosi sul penultimo letto libero.

Yuri riuscì a rinfilare l’anta nei cardini senza aver prestato ascolta ad una singola parola. Soddisfatto dell’impresa trovò infatti nella sua ripresa relazionale con la realtà il sorriso sbilenco di Boris ad accoglierlo. L’amico mestamente gli indicò dapprima l’ultimo lettino libero sopra la cuccetta di Ivan e poi loro due.

«Perché finisci sempre nel mio letto?»

«Non è tuo, è nostro ora»

Yuri poggiò il proprio borsone sulla scrivania impolverata scoccandogli un’occhiata eloquentemente seccata mentre tirava la cerniera.

«Se vuoi posso sempre accoppare lo spagnolo» alluse casualmente Boris sedendosi al contrario sulla sedia che scricchiolò sinistramente «Così puoi dividere il letto con la bella nell’altra stanza»

«Yuri mi presti una delle tue maglie?»

«Boris prova a dirlo di nuovo…» sibilò il capitano passando una t-shirt nera a Kei senza nemmeno guardarlo «…e stanotte dovrai dormire con un occhio aperto se non vuoi trovarti di sotto»

«Perché ti dà così fastidio ammettere di essere attratto dalla caliente spagnola?»

«Yuri, mi presteresti anche un pantalone?»

«Perché sono solo tue fantasie» ringhiò il russo sbattendo il pantalone fra le mani del bicolore accanto al tavolo «Non mi piace Julia»

«Però è diventata Julia, lo scorso anno era solo Fernandez»

«Yuri…anche dei boxer»

«Anche Kinomiya ora chiamo Takao» rispose seccato cedendo automaticamente il capo estratto dal borsone arrestandosi interdetto a fissare Boris l’istante dopo. Repentinamente si voltò insieme a lui vero Kei «Perché stai usando il mio vestiario? Tu non sei miliardario?»

«Non posso usare le mie cose» Kei strappò via i boxer dalle mani del russo aggiungendoli al mucchio di vesti preso in prestito «Non ho la minima idea di dove siano finite»

«Nella valigia?» chiese retoricamente Boris ricevendo un grugnito in cambio.

«Ho questo nella valigia!» dalla chiusura del trolley venne tirato fuori un reggiseno giallo limone arricchito da pizzo nero sulle coppe, una gonna, un top attillato e altri vestiti decisamente femminili «Devo aver preso la valigia sbagliata quando siamo usciti da quel maledetto museo»

«Oh, ora puoi farmi la lap dance!»

«Che cosa?»

«Niente, Yu»

«Qui bisogna festeggiare» Ivan scoppiò a ridere innalzando uno degli ovetti al cioccolato come il calice per un brindisi «Vediamo cosa dice il nostro personale oracolo come suggerimento…Adesso sbadiglierai»

«Vuoi sapere dove infilare quelle uo

Kei non riuscì a terminare la frase colpito da uno sbadiglio.

«Funziona!»

Esultò Ivan sbadigliando a sua volta e innescando una reazione a catena in tutti loro senza più riuscire a terminare un’affermazione di senso compiuto priva di sbadigli. Hiwatari con le lacrime agli occhi dopo il quarto sbadiglio prese i vestiti di Ivanov catapultandosi a torso nudo nel corridoio fra i diversi improperi.
Julia uscita dalla cucina inclinò la testa poggiandosi allo stipite della porta piuttosto interessata alla sfilata non richiesta, particolare che non sfuggì all’altro russo all’inseguimento.

«Kei!» lo richiamò Yuri andandogli dietro con ancora la mano sulla bocca «Fra la varia lingerie della valigia hai almeno Dranzer?»

«Secondo te sarei qui se non l’avessi?!» urlò in risposta il bicolore chiudendo con foga la porta del bagno.

Julia sussultò allo schianto scuotendo confusamente il capo verso Raul sbucato fuori dalla camera. Lei non aveva idea del perché l’algido russo dovesse avere dei completini sexy con sé o più semplicemente, non riusciva a capacitarsi di come sembrassero normali ragazzi fuori dalle telecamere dello stadio.

 

 

Yuri inspirò a fondo nella camera finalmente in pace con sé stesso.
Dopo quasi ventiquattro ore di travagliate avventure era rimasto solo.
Stropicciò gli occhi ancora assonnati nella penombra leggendo il messaggio sul cellulare lasciatogli da Sergej prima di uscire. Lui e Ivan erano andati a fare la spesa, Kei alla ricerca della sua perduta valigia, Boris a fare la doccia. Per quanto riguardava gli spagnoli, a Yuri bastava la musichetta orribile proveniente dalla loro camera per sapere fossero ancora vivi.
Gettò il cellulare sul letto passandosi una mano fra i capelli appiccicati sulla fronte mentre reprimeva il desiderio di aprire una finestra sprovvista di zanzariera. Il caldo poteva sopportarlo seppur sofferente, le punture degli insetti avrebbero soltanto peggiorato il suo umore.
Liberatosi della canotta umidiccia e dei pantaloni afferrò uno degli asciugamani messi a disposizione dalla donna inquietante per andare a sollecitare il suo amico. Boris e le interminabili docce erano uno dei frequenti cliché nel loro appartamento a Mosca, il suo amico restava per mezz’ora sotto il getto ghiacciato sia in inverno che in estate.
Aprì e richiuse la porta del bagno strizzando gli occhi alla luce al neon fin troppo forte per chi come lui usciva dalle tenebre appena sveglio.

«Y…Yuri?!»

Ogni barlume di sonno scomparve dalla pelle del russo quando si rese conto di essersi avvicinato nello strettissimo bagno-corridoio non al suo virile amico ma un grazioso e alquanto svestito corpo femminile. All’urletto isterico di Julia istintivamente si coprì l’orecchio evitando per un soffio una spazzola.

«Ma sei impazzita?!»

«Io?! Ti sembra il modo di entrare?!» urlò inferocita lei sostituendo nell’attimo di distrazione un asciugamano alle braccia inizialmente sollevate a copertura del seno «Chiudi gli occhi ed esci immediatamente da qui!»

«O chiudo gli occhi o esco, deciditi!»

«Devi fare entrambe le cose. Ahora

«Se mi dai il tempo e la smetti di strillare, lo faccio!»

«Tiempo para qué??!» insistette lei prendendo in un atto disperato lo scopino del bagno per brandirlo come una spada «Sono mezza nuda, vedi di sparire!»

Yuri arretrò di un passo all’istante alla massa batteriologica e probabilmente mortale racchiusa tra le setole di un oggetto usato da un numero fin troppo elevato di estranei, trattenendo a stento un conato all’odore di disinfettante misto a qualcosa di cui preferiva non accertare l’origine.

«Me ne vado se togli questo coso dalla mia faccia»

«Ivanov, non sei nella posizione di dare ordini»

«Nemmeno tu se è per questo» rispose pacatamente il russo alludendo fin troppo chiaramente allo sbilenco asciugamano arancione che non arrivava a coprire gli slip in pizzo color carne.

«Julia tutto bene?»

Julia sbiancò all’urlo del fratello proveniente dall’altra camera lanciando di scatto lo scopino del bagno al proprio posto, non potendo godersi appieno la disgustata espressione di Ivanov che nel volo se lo era ritrovato quasi stampato sulla faccia.

«Santo cielo, esto es como una telenovela» borbottò frenetica indicando con gesti fugaci ad un incapiente Yuri i vestiti gettati a terra dietro di lui «Non stare imbalsamato! Passami i vestiti prima che arrivi qui!»

«Datti una calmata, è soltanto Raul» rispose perplesso il russo raccogliendo l’abito color pesca dal pavimento, non troppo incline ad obbedire a quegli ordini isterici «Ed io ho solo sbagliato bagno, cercavo Boris»

«Oh certo, e secondo te Raul crederà che per la tua casuale mancanza di buona educazione siamo chiusi qui dentro mezzi nudi?!» sibilò isterica avventandosi su Yuri per prendere l’abito «Diavolo Yuri, stai ancora dormendo?!»

«No, vorrei averlo fat

«Julia? Ti è successo qualcosa?»

Alla voce di Raul ormai vicino alla porta Julia afferrò il braccio di Yuri trascinandolo con sé nella doccia. Colto alla sprovvista il moscovita scivolò sulla ceramica bagnata finendo con la testa sbattuta contro il rubinetto dell’acqua che azionato riversò su di lui implacabile il getto gelido. Julia richiuse il pannello opaco del box nell’istante in cui Raul aprì la porta e Yuri si ritrovò a gambe all’aria e con i piedi premuti contro la parete a non poter esternare verbalmente il suo dolore.
Se ne sarebbe invischiato dello spagnolo se Julia non l’avesse supplicato con gli occhi.

«Julia sei caduta nella doccia?» domandò titubante Raul scavalcando gli abiti gettati alla rinfusa sul pavimento «Ti sei fatta male?»

«No! Mi ha solo sorpreso il getto troppo freddo» ridacchiò lei con una mano premuta sulla chiusura dei pannelli del box e l’altra sull’asciugamano cercando di ignorare il fatto di essere rimasta incastrata in piedi fra le gambe del russo.

Yuri le lanciò un’occhiataccia fulminante spalancando le braccia nell’impossibilità di esprimere a voce la realtà dei fatti: era lui quello che stava incassando acqua proveniente dall’Alaska. Julia se ne stava rintanata nella porzione di rettangolo in cui il getto non arrivava se non sottoforma di alcuni schizzi.

«Sei il lupo delle nevi, no?» mormorò lei a fior di labbra agguantando meglio l’asciugamano sul procinto di scivolarle via.

«Il mio bitpower lo è, non io» fu la controrisposta nel medesimo status mentre l’improvviso piede di Julia sulla gamba gli bloccava il tentativo di mettersi comodo.

«Sarà saltato di nuovo lo scaldabagno, te lo controllo»

«Stai fermo!» sibilò Julia con fin troppa enfasi tanto da bloccare Raul.

«Non devo controllarti lo scaldabagno?»

«Non tu!» rispose di scatto mordendosi la lingua un secondo dopo «Dicevo all’elastico! Non voglio bagnarmi i capelli prima del previsto»

Alla falsissima e isterica risata Yuri si chiese se Raul non fosse scemo per non aver colto la strampalata bugia, sarebbe stata palese persino a lui che la conosceva da un anno. Ma il fratello tontolone era l’ultimo dei suoi problemi e il maggiore non era rappresentato nemmeno dall’acqua congelata. Il problema più grande era l’angolazione in cui si era ritrovato a osservare Julia, trovata interessante non solo dal suo cervello ma dall’altra parte del corpo in cui il sangue stava affluendo.

«A quanto pare avevo ragione, si è staccato»

Nemmeno l’acqua cascante sul viso riusciva a offuscare completamente la vista del profilo snello e di alcuni dettagli divenuti improvvisamente interessanti. Dal basso verso l’alto il corpo di Julia era una continua scoperta e fonte di inaspettato calore non solo per la faccia. Attratto dalle atletiche gambe a contatto con le sue, Yuri ne aveva seguito i contorni fino alla fascia alta della coscia dove tre piccole stelle adornavano la pelle abbronzata, da lì era poi passato alla curvatura delicata del sedere a malapena coperto dal pizzo della biancheria, fino ad arrivare alla linea del bacino oscurata dall’appariscente asciugamano.
Yuri avvertì la testa farsi leggera, persa, sedotta da quell’unico strato di cotone ricamato posto sulla zona inguinale. D’istinto serrò gli occhi deglutendo a fatica. Aveva il bisogno di rimuovere dalla sua mente la sottile fascia di rose ricamate attorno alla vita.

Julia non poteva avere della biancheria semplice e casta?

Le immagini che cercava di rimuovere si ripresentarono più nitide che mai e l’acqua iniziò a non essere abbastanza fredda per i suoi gusti. Yuri rimpianse di aver lasciato Wolborg in camera promettendo a sé stesso di portarselo sempre dietro da quel momento in poi. Aveva bisogno della tempesta di ghiaccio del suo lupo, della neve, di una tormenta, di una landa ghiacciata, della temperatura sotto lo zero.

Perché era andato in Italia?

«Oh, ecco fatto! Ora dovrebbe funzionare!»

Yuri aprì di scatto gli occhi all’improvvisa pioggia bollente sulla testa e sul petto scattando immediatamente seduto, o almeno provandoci. Nella foga per l’improvviso bruciore sulla pelle aveva schiaffeggiato il ginocchio di Julia intimandole di spostarsi, con gesti goffi e alquanto sconnessi che ad occhi socchiusi a causa del cloro l’avevano portato a creare un danno più grande. Julia colta alla sprovvista era scivolata sulla ceramica del box finendogli completamente addosso e per una volta nella vita Yuri si era ritrovato a ringraziare mentalmente Vorkov e le sue torture per averlo reso incapace di urlare ad ogni forma di dolore. Julia era atterrata con un ginocchio premuto sul suo interno coscia rammentandogli in un prossimo futuro di ricordare ai propri figli – semmai ne avrebbe avuti – chi aveva tentato di porre fine alla loro progenie.

«Julia, sei caduta?! Tutto bene?» domandò preoccupato il gemello scendendo velocemente dal lavandino sul quale si era arrampicato per controllare lo scaldabagno.

«Benissimo!» balbettò Julia distesa cavalcioni su una gamba del russo, con il volto a pochi centimetri dalla faccia di Yuri troppo impegnato a maledirla a occhi chiusi «E non azzardarti ad aprire questa doccia o è l’ultima cosa che farai!»

Yuri inspirò a fondo provando a scacciare il dolore con brevi e profondi sospiri presto inefficaci per placare un altro tipo di emozione. I due occhi azzurri si erano ritrovati a fissarne due verdi a disagio quanto i suoi. L’asciugamano ormai zuppo gli impediva di avere il seno della ragazza a contatto con il suo petto ma non di averla seduta accanto al punto più sbagliato di tutti. Dubitava di poter utilizzare le scuse inizialmente inventate per celare i suoi perversi pensieri, il ginocchio di Julia a contatto con il leggero rigonfiamento aveva potuto appurare da solo l’effetto che gli aveva fatto.

«Ok, ok! Volevo solo dare una mano»

Julia si limitò a rispondere con un mugugno scontroso d’assenso incapace di muoversi. Non sarebbe affogata a causa dell’acqua cadutale addosso ma negli occhi celesti davanti a lei.
Tra il vapore sollevato dall’eccessivo calore e la gelida distesa azzurra dinanzi a lei, Julia si sentiva in bilico fra l’inverno più rigido e un’infernale pioggia rovente.
Sempre più vicina alle sottili labbra bagnate dalle gocce scivolate sul viso.

«Passare troppo tempo con i russi ti fa male»

Yuri sollevò una mano scostando delicatamente la ciocca ramata che ostacolava la visione completa del volto di Julia. Solleticato sul viso dalle punte del ciuffo biondo bagnato lasciò scivolare le dita lungo il morbido fianco avvicinandosi alla bocca della ragazza tanto da sentirne il respiro sulla pelle.

«Non sai quanto…»

Il sussurro di Julia venne coperto dallo scrosciare dell’acqua, interrotto da due labbra premute sulle sue in un contatto leggero. Un bacio fugace, uno sfioramento insicuro che non si addiceva per nulla alla risolutezza a cui era abituata con il moscovita.
Yuri aveva allontanato le labbra attraversate dalla scia d’acqua cullato dal picchiettio bollente arrivato al di sotto della pelle, giù in profondità nel petto verso qualcosa che aveva dimenticato di avere anni addietro. Immerso in un mare smeraldo restò ad ascoltare i battiti rumorosi del suo cuore non sicuro di poterli trattenere.
Le ciglia brune di lei sbatterono ritraendosi piano a quella vicinanza, il filo di corrente entrò dalla piccola finestrella facendolo rabbrividire e in un’istante quell’ultima circostanza superflua svanì quando l’istinto prese il sopravvento.

Ogni sfumatura del bagno venne inghiottita dal colorato mondo sotto le palpebre.

«Mi stai facendo parlare da solo?!...Sai cosa ti dico? Fai come ti pare!»

Yuri ricongiunse le labbra con quelle di Julia in un bacio decisamente più sicuro del precedente, fatto di sospiri e labbra assaporate. La follia diventò più interessante della logica nell’avvertire le braccia di Julia passargli attorno al collo e le dita infilarsi tra i capelli bagnati galleggianti nel sottile strato d’acqua. Quelle attenzioni servirono a spegnere quell’ultima reticenza. Abbassate le proprie difese Yuri lasciò scorrere la mano sulla schiena nuda della ragazza perdendosi nel sapore al cioccolato delle labbra, nel tocco soffice sotto le dita e in uno sfregamento di corpi permesso da un asciugamano ormai scivolato via.
Yuri non si era mai sentito tanto felice in tutta la sua vita.

 

Boris girò il chiavistello ricreando la pista d’autoscontro nel corridoio dell’appartamento.
La porta di ingresso da lui spalancata andò a sbattere contro quella del bagno aperta da Raul rendendo evidente che l’architetto della casa la laurea l’aveva trovata nell’uovo di Pasqua.
«Cosa ci facevi nel bagno con Yuri?» chiese perplesso tirando un colpo secco alla maniglia d’ingresso sganciata che rientrò al proprio posto.
«Yuri?» lo spagnolo inclinò il capo confuso spostandosi lungo il corridoio «Ti sbagli, c’è Julia, è andata a lavarsi poco fa»
Boris restò a riflettere tra sé riscuotendosi dopo alcuni attimi, ricordava di aver stabilito in modo diverso l’ordine d’uso della doccia. Scrollane le spalle fischiò verso lo spagnolo lanciandogli le chiavi che vennero intercettate al volo solo grazie ai continui acrobatici allenamenti.
Raul però non sapeva cosa farsene delle chiavi.

«Sergej e Ivan ti cercano alla pizzeria dietro l’angolo»

«Perché cercano me?»

«Vogliono sapere che pizza comprare a te e Julia, non conosciamo i vostri gusti» Boris l’oltrepassò affacciandosi nella cucina alla ricerca di una bottiglietta d’acqua «In realtà non abbiamo nemmeno i vostri numeri, per questo sono dovuto tornare qui»

Raul sbatté gli occhi sorpreso per tale gentilezza, non pensava davvero di poter auspicarsi una convivenza tanto piacevole con una squadra che perennemente si credeva al di sopra di tutto e tutti.

«Oh, ti ringrazio…allora vado a raggiungerli!»

Boris annuì aprendo il quarto sportello della credenza in cui oltre a una vecchia scatola di cracker scaduta lo scorso anno trovò un biberon abbandonato lì da qualche vecchio soggiornante. Sconfortato dall’infruttuosa ricerca lasciò perdere la cucina in attesa del ritorno di Sergej a cui aveva lasciato le buste della spesa.
Raul uscì dall’appartamento lasciandolo vagare da solo verso la sua stanza in cui non c’era alcuna traccia di Yuri al di là dei vestiti della giornata ordinatamente riposti sulla sedia.
Dubbioso si guardò intorno scorgendo Wolborg appoggiato sul cuscino e il telefono abbandonato sul bordo del letto. Sbloccò l’apparecchio ritrovandosi il messaggio lasciato un’ora prima al loro capitano cominciando a fare due più due nella sua testa. Yuri non sarebbe uscito senza portar dietro il cellulare in una città sconosciuta, non con Hiwatari incline alle sparizioni già presente in squadra.
Ritornava l’ipotesi originale.
Estraendo l’ultimo uovo dalla scatola comprata quel mattino ritornò verso il bagno indeciso sull’approccio da adottare per testare le sue teorie. Se Raul era andato via certo che all’interno ci fosse Julia, non gli risultava difficile pensare alla presenza del suo migliore amico. Seppur l’ida di Yuri finalmente aperto ad esternazioni amorose fosse difficile da prendere sul serio e lo spazio ristretto del bagno non gli spiegava come avesse fatto a sfuggire allo spagnolo.

«Capitano?» chiamò mellifluo battendo due colpi sul telaio a cui si era poggiato «Vorrei ricordati che il nostro programma di allenamento non include gli avversari»

Tutto quello che ricevette dallo stanzino oltre la porta fu il rumore dell’acqua.

Si era sbagliato e Yuri non c’era?

«Va bene, dato che sono pazzo parlerò da solo» continuò spaccando l’ovetto di cioccolata al pistacchio «In casa ci sono solo io al momento ma tra circa venti minuti sono certo che torneranno tutti gli altri»

All’interno del bagno l’acqua cessò di scorrere, ci furono lunghi minuti di silenzio prima che la maniglia venisse abbassata costringendolo a spostarsi.
Boris restò interdetto con l’ultimo pezzetto di cioccolata penzoloni.
Yuri completamente fradicio dalla testa ai piedi con addosso solo la biancheria gli aveva rivolto un’occhiata seccata richiudendo la porta alle sue spalle. Avrebbe pensato a un modo alternativo di far la doccia se non avesse notato il leggero rossore sulle guance e il respiro affannato prima che si defilasse come un fulmine nella loro camera grondando acqua ovunque.
Lo scroscio all’interno del bagno riprese.

Aveva indovinato.

«Sai Yu, mi ricordo una frase detta te» disse con finta noncuranza raggiungendo la camera in cui Yuri era cascato sulla sedia con l’asciugamano fra i capelli «Non vorrei sbagliarmi ma avevi esplicitamente detto “Non mi piace Julia”»

Yuri strofinò con foga la testa sembrando un barboncino appena lavato.

«Sì, e con ciò?»

«Oh, nulla. Mi chiedevo solo cosa faceste insieme sotto la doccia» batté le mani soddisfatto poggiando le braccia sul tavolo «Discorrevate dei massimi pensieri? Della pace del mondo? Del voto di castità? Yu aiutami a capire, proprio non so di cosa poteste parlare»

Per tutta risposta l’asciugamano bagnato gli venne sbattuto poco carinamente in faccia.

«Permaloso» borbottò inseguendo la sua preda in giro per la stanza, deciso a non fargli recuperare i vestiti in tranquillità «Non puoi scappare per sempre, te lo dice pure l’uovo!»

Boris infilò l’accurato fogliettino ripiegato nell’elastico dei boxer di Yuri, propendendo per una fuga istantanea verso la cucina all’occhiata gelida.

«Non mentire»

Yuri restò a fissare corrucciato la scritta sbilenca.




«Riprenderai a parlarmi prima o poi?»
Yuri ignorò il sussurrò all’orecchio voltandosi verso la parte opposta del letto, per quanto la stazza di Boris glielo consentisse. Nel buio della camera fissò il muro preda dei mille tormenti a causa dei quali la cena gli era rimasta sullo stomaco.
Aveva mangiato la pizza più buona della sua vita senza riuscire appieno ad apprezzarla, Julia a cena si era comportata come al solito ignorando però ogni possibile sguardo e interazione con lui. Al bicchiere di coca cola rovesciato quando l’aveva involontariamente toccata sulla spalla per chiamarla era fortunatamente intervenuto Boris a evitargli uno straziante e disagiato silenzio. Tutti avevano attribuito il suo successivo malumore a una discussione con lui e non al piccolo incidente in bagno con Julia.
Forse poteva anche concedergliela la grazia.

«Dormi adesso»

Boris dietro di lui si mosse facendo sobbalzare l’intero materasso con poca grazia, quasi fossero sul giro mortale delle montagne russe.

«Mi hai parlato? È una tregua?»

«Stai zitto e dormi» ribadì scrollandosi la mano che gli stava fastidiosamente scompigliando i capelli in un gesto palesemente non richiesto.

«Sapevo che il lupo solitario non poteva fare a meno dello zio Boris»

«Ti ho detto di dormire» ringhiò stringendo la fodera del cuscino per non colpire il ragazzo alle sue spalle togliendosi così il capriccio di rompergli il naso.

«Ehi, giovanotto non parlarmi così, sono pur sempre tuo zio!»

Alla finta e forzata voce grossa Yuri decise di girarsi per mostrare tutto il suo disappunto con una semplice occhiataccia che purtroppo al buio sembrò non essere recapita.

«Boris vuoi far silenzio?!» sbottò Ivan torcendosi per calciare il sottile materasso sopra di lui che gli procurò un richiamo fin troppo elevato del suo capitano «Scusa Yuri, volevo prendere solo il deficiente»

«Volete stare zitti tutti quanti?!»

Un cuscino volò dal letto di Kei diretto a quello di Yuri e Boris centrandoli in pieno anche nella penombra della camera.

«Musone, questo è confiscato!» il grido di Boris nell’orecchio di Yuri non fu particolarmente gradito dalla vittima improvvisamente sorda «Ehi, no!...Yuri!»

Boris volò giù dal letto al calcio in pieno stomaco schiantandosi di faccia sul pavimento su cui rotolò supino per inveire contro il suo capitano comodamente tornato disteso.

«Questo è troppo»

Kei al limite dell’esasperazione scostò via le coperte balzando giù dal letto, squadrando per un istante Sergej placidamente addormentato e incurante di tutto il disagio circostante.

«Io me ne vado»

«E dove vorresti andare?» chiese perplesso Ivan seguendo i movimenti nervosi del bicolore mentre si infilava il pantalone.

«Ovunque» rispose lui seccato indossando la maglietta presa in prestito a Yuri in assenza del suo ancora introvabile vestiario «Basta che non resti qui un altro minuto»

«Esagerato» sbuffò Boris sistemandosi sotto la testa il cuscino portato nella caduta «Anzi no, non tornare così mi prendo il tuo letto»

Kei chiuse la cintura fermando la possibile risposta all’improvviso flash bianco proveniente dalla finestra sgangherata. Un lampo di luce accecante che fu certo di non aver immaginato dato il volto confuso di Ivan sedutosi sul letto.

«Cos’è stato?» chiese incerto scostando la sedia della camera e udendo un boato proveniente dall’esterno, un suono simile a uno scoppio.

Kei restò in ascolto non riuscendo a distinguere altro se non urla improvvise dette in un dialetto stretto che non era in grado di comprendere. Un brutto presentimento cominciò a farsi largo nella testa accentuato dalla serietà riassunta da Boris. La fredda mente calcolatrice doveva essere arrivata alla stessa conclusione: una luce più uno scoppio con conseguenti grida poteva significare solo una cosa. Lo sparo di una pistola.
Una voce sovrastò il restante vociare concitato, più forte delle altre.

«Calì?...Catarì?» ripeté assorto Boris provando a dare un senso alle parole sconnesse provenienti dal basso «Patarì?...Polizì?» ai passi cauti di Kei verso la finestra si precipitò da lui spingendolo a terra «No! Non muoverti, dicono polizì! Polizia!»

«Ne sei certo?»

«Hiwatari non farmi rimpiangere di salvarti»

«Forse Boris ha ragione» si aggiunse Ivan scivolato fuori dalle lenzuola per avvicinarsi al duo al centro del pavimento mentre Yuri si metteva seduto osservandoli dall’alto.

«Veco n'ombra e chest'ombra si' tu»

«Aspettate!» Ivan zittì i due litiganti per cercare di cogliere il significato della frase

«Un’ombra! Sì, qualcuno ha detto che ha visto un’ombra!»

«Da quando siete diventati intenditori di napoletano?»

«Da quanto tu anziché stare con noi ti sei messo a cercare la tua stupida valigia» sibilò il più piccolo guadagnandosi uno sguardo contrito alla menzione della parola “valigia” «Julia ha tradotto un’intera giornata»

«Saglie 'ncielo e cchiù ghianca addeventa»

«Cielo…Dicono: Santo cielo!»

«Lo scoppio di prima…polizìun’ombrasanto cielo» Boris ripeté in sequenza le parole contandole sulle dita scambiandosi un’occhiata d’intesa con Kei «Mi sembra chiaro che qualcuno stia chiedendo aiuto»

Yuri corrugò le sopracciglia scendendo con un salto dal letto per richiamare i tre prima che facessero qualche sciocchezza mettendosi in pericolo. Lui aveva una squadra del campionato da salvaguardare, compreso il compagno che bellamente continuava a dormire.

«Ok che non ce ne importa degli altri» rimbeccò Ivan guardando i due «Ma non possiamo seriamente lasciar morire qualcuno sotto la nostra finestra!»

Al termine della frase i vetri della finestra tremarono allo schianto lasciando intravedere i pioli di una scala. In un istante Boris tirò un calcio al piede del tavolo rovesciandolo a mo’ di barricata da possibili intrusioni, nascondendosi dietro di esso con Kei e Ivan.

«Abbiamo tergiversato troppo» Ivan tirò fuori il lanciatore, la sua fedelissima riproduzione di un mitra, puntandolo verso la finestra «Ci hanno scoperto»

«Hiwatari chiama la polizia» ordinò Yuri catapultandosi dietro il tavolo dove caricò la pseudo pistola in cui inserire Wolborg.

«Lo sai che non ho un-» la frase venne interrotta dal cellulare scagliatogli addosso dal capitano «-telefono»

«Ti ci pulisci il culo con i soldi ma non sai comprarti un dannato telefono?»

«Boris non è il momento» il braccio di Yuri sullo sterno bloccò ogni possibile rimostranza «Dobbiamo prepararci ad affrontare qualcuno di realmente armato. Se lo cogliamo alla sprovvista possiamo farcela»

Il lanciatore produsse un sinistro “clic” al perfetto innesto di Wolborg, adagiato sul bordo del tavolo per prendere la mira. A Kei sembrò non solo di rivivere l’attacco a sorpresa dei russi durante il primo campionato ma una squadra dei servizi segreti in azione. Soprattutto osservando Yuri che si era calato perfettamente nel ruolo di generale di truppe.

«Hiwatari la polizia. Ivan mira alla base della finestra appena lo vedi arrivare. Boris tu pensa alla faccia» Yuri semi inginocchiato ruotò nuovamente sui talloni puntando la pistola fittizia verso i vetri «Io mirerò al petto»

«Ricevuto!» risposero insieme Ivan e Boris aumentando i silenziosi pensieri di Kei sul perché lui avesse un comunissimo lanciatore mentre il resto della squadra la riproduzione dell’armamentario di un plotone d’esecuzione.

La luce della camera si accese improvvisamente mettendoli in allarme.

Kei alzatosi di scatto mollò un calcio all’indietro all’assalitore, Ivan scagliò il proprio beyblade alla cieca verso la porta nella medesima traiettoria di Falborg sparato dalla sottospecie di mitraglietta e una lastra di ghiaccio si alzò all’istante andando in frantumi quando i due beyblade ci finirono contro. All’impatto, Wolborg finì schizzato nel corridoio, Falborg contro un quadro di San Gennaro che si staccò dalla parete mentre Wyborg centrò in pieno una lampada mandandola in frantumi.

Julia in piedi sulla soglia alternò sconcertata lo sguardo da Raul con il naso sanguinante steso per terra al gruppo di terroristi davanti a lei. Se non fosse stato per i riflessi di Yuri sarebbe stata trafitta dalle lame dei due pseudo assassini.

«Estás loco?!» urlò infuriata chinandosi verso il fratello «Stavate cercando di ucciderci?!»

«Non noi, qui fuori lo sta facendo qualcuno!» gridò in risposta Ivan prendendo il suo cellulare «Hai rovinato il nostro piano accendendo la luce!»

«Yuri abbiamo un problema, la scala si muove» sussurrò Boris senza perdere di vista la finestra.

«Raúl, estás bien? Respóndeme

«Sergej vuoi svegliarti?!» proseguì Boris lanciando il cuscino trovato atterra addosso all’amico che si rigirò tranquillo dall’altro lato.

«Dov’è finito Dranzer? Era sul tavolo…Kuznestov!»

«Qual è il numero delle emergenze in Italia?» chiese Ivan catapultandosi verso la porta dove Julia inginocchiata a terra dava piccoli schiaffetti sul volto del fratello.

«Il 112» rispose lei sconcertata accettando il fazzoletto datole da Yuri per tamponare il sangue dal naso di Raul «Si può sapere cosa sta succedendo?»

«Stavamo per andare a dormire quando abbiamo sentito del caos provenire da fuori» Yuri si guadagnò un’occhiata scettica al “fuori” che lo spinse a guardarsi intorno nella caotica camera in cui svolazzavano le piume di un cuscino trucidato da Sergej ormai sveglio «Dicevo, qualcuno deve aver sparato e come puoi vedere ora sta tentando di entrare»

«No…no, non avete capito niente!» Julia si affrettò ad aiutare il fratello a star seduto squadrando Ivanov dal basso in alto «Nessuno ha sparato a nessuno, stanno semplicemente cantando una serenata!»

«Una cosa?»

«Una serenata» ribadì con foga sorreggendo il fratello per un braccio «È un’usanza di queste zone, la notte prima delle nozze l’uomo fa una serenata sotto il balcone della futura sposa» si voltò per andare verso la sua camera in cui far sdraiare il ragazzo aggiungendo in un sospiro «Non guardatemi così voi due, stanno semplicemente cantando»

«Cantando» si ripeté Yuri per nulla convinto che le grida dal basso potessero essere definite delle canzoni, accompagnato da un’espressione ancora più perplessa di Ivan.

«Pronto, polizia. Qual è l’emergenza?»

Ivan sobbalzò perdendo per un attimo la presa sul cellulare dove la centralinista aveva appena risposto. In gesti frenetici cercò di attirare l’attenzione del suo capitano che era rimasto imbambolato a fissare il corridoio propendendo infine per staccare il telefono in faccia alla donna con la scusa di “aver sbagliato numero”.

«Si può sapere cosa sta succedendo qui?!»

«Alla buon’ora Sergej, eri andato in coma?»

Boris e gli altri – compreso Kei prossimo ad un nuovo tentativo di fuga – restarono bloccati e totalmente senza parole ad osservare la finestra al leggero “toc toc” sul vetro. Un uomo di circa trent’anni con una rosa fra i denti li salutò allegramente come se trovarsi su una scala a oltre dodici metri da terra in piena notte alla finestra di estranei fosse la cosa più normale del mondo. Yuri provò a dire qualcosa repentinamente bloccato dallo sconosciuto che con un colpo ben assestato spalancò i vetri invitandoli a scendere e ad unirsi alla festa in un confuso suono di parole, per poi proseguire la sua scalata del condominio.

«Sbaglio o ha detto che possiamo andare quaggiù a mangiare?»

«Boris, abbiamo cenato nemmeno un’ora fa» commentò sconsolato Sergej all’ormai inesistente figura dell’amico defilatosi oltre la porta con un recalcitrante Hiwatari al seguito, poco incline all’essere trascinato senza consenso «Yuri devi fare qualcosa per questa sua ossessione, deve smetterla di voler assaggiare tutto in ogni meta del campionato!»

«Perché, ti sembra ancora di essere in un campionato?» fu l’atona risposta del capitano voltatosi per tornare a morire sul proprio letto «A me sembra di essere in un circo»

Attimi di tranquillità seguirono una serie di inespresse domande nel silenzio della camera, nettamente contrapposto al baccano esploso sotto la loro finestra fra scrosci di applausi e musica alzata a tutto volume.

«Mi stavo solo chiedendo..» esordì dopo un po’ Ivan ancora intento a girare in tondo con un’espressione totalmente seria da mettere in allarme gli altri due rimasti lì «Noi siamo al quarto piano, dove hanno trovato una scala tanto alta?»

Sergej guardò preoccupato il suo capitano tentare di auto soffocarsi con un cuscino.

 

 

Julia toccò con la punta dei piedi nudi la carta da parati sul muro.
L’angusto salottino immerso nel buio non era sicuramente la meta perfetta se si considerava la flebile luce rossastra proveniente dal corridoio. Al supermercato l’assenza di normali lampadine li aveva costretti ad acquistarne una rossa della giusta tonalità per ricreare il set di un film horror. Tra il corridoio e la sua camera, Julia era sicuramente stata felice che i russi non avessero scelto la seconda.

«Non fare il melodrammatico, non ti serve il pronto soccorso»

La voce di Ivan giunse attutita dal muro e dal caos sottostante facendole salire i sensi di colpa. Aveva lasciato suo fratello nelle mani dei Neoborg dopo il piccolo incidente, Ivan si era proposto di sistemare il danno compiuto – o qualunque altra cosa fosse il significato delle parole russe borbottate – per mettersi a posto la coscienza e lei aveva acconsentito gettando nel terrore più assoluto il suo povero fratello. Il pensiero che il russo potesse voler approfittare della guardia abbassata per finire l’opera iniziata da Hiwatari e mettere fuori gioco uno dei loro prossimi avversari l’aveva persino sfiorata per poi essere accantonato.

I russi non sarebbero ricorsi a quei mezzucci per vincere.

Non in quel momento, non per come li aveva conosciuti lei.

Forse tre anni prima, l’aveva vista anche lei la diretta del primo campionato mondiale. Aveva visto la pericolosità di quei ragazzi, la violenza riversata su Takao e compagni, ma Yuri non le aveva ancora sradicato alcun albero addosso né Boris aveva tentato di ucciderla con il coltello con cui aveva giocherellato tutta la sera.
Erano strani sì ma non li riteneva pericolosi per la sua incolumità. Dei “demoni” da cui l’avevano messa in guardia Mao ed Emily era rimasta solo l’ombra.

«No, non voglio scendere!»

«Andiamo e non fare storie» obbiettò scocciato Ivan continuando a camminare con la mano stretta attorno al polso di uno scontento Raul che tentava di andare nella direzione opposta «Non ti mangiano sai? Hanno altro di più commestibile e ti serve del ghiaccio che qui non abbiamo»

Julia sorrise leggermente alla scenetta appena svoltasi davanti la porta della stanza ringraziando il buio che aveva celato la sua presenza al fratello. Raul poteva cavarsela da solo lasciandola a risolvere i suoi problemi, per lei decisamente più importanti e imminenti.

Non era passata inosservata alla terza persona sopraggiunta davanti l’uscio.

Al pari di un lupo in allerta in mezzo alla foresta Yuri aveva lasciato perdere il suo compito di pedinamento precedente bloccandosi a guardarla. Lasciandole la sensazione di trovarsi davanti proprio l’ombra evanescente di un demone tanto il colore dei capelli si era fuso con quello della lampadina.

Julia distolse a disagio lo sguardo nell’oscurità circostante, strizzando gli occhi alle spiacevoli macchioline colorate formatesi a causa della luce fissata troppo a lungo, spostandoli verso la porta solo quando lo avvertì muoversi. Passi non diretti verso l’uscita dove erano andati Raul e Ivan, e prima ancora tutti gli altri, ma verso di lei.
Era rimasta da sola con il demone.
Di nuovo.

«Serata movimenta, vero?» si costrinse a parlare per alleggerire il prossimo e lungo silenzio che di lì a poco sicuramente avrebbe preso piede.

Non le piacevano i silenzi.

«Già» fu la coincisa risposta del ragazzo fermatosi accanto al bordo del tavolo, ad una discreta distanza di sicurezza, quel tanto necessario per osservare chiaramente il volto illuminato dalle luci esterne.

Perfetto, ed eccolo il silenzio.

Julia batté leggermente i palmi sulle ginocchia in un mero tentativo di prestare più attenzione alle note provenienti dal cortile in cui si ritrovò a ricercare speranzosa un qualche aiuto divino per uscire dalla contorta situazione in cui si era infilata con le sue stesse mani, anzi, con la sua stessa bocca poche ore prima.

«Uhm…credo che dovresti salvare i tuoi compagni» borbottò incerta attirandosi un’espressione scettica dal russo piuttosto distratto, Yuri sembrava avere la testa da un’altra parte e per chiarire la sua risposta dovette indicargli un punto in basso oltre la finestra «Penso che Boris abbia intenti suicidi»

Yuri contrariamente alle sue iniziali ed inesatte previsioni non uscì dalla stanza ma si avvicinò velocemente al davanzale per constatare la realtà dei fatti. A Julia mancò il respiro ed ogni precedente osservazione sul perché Boris avesse legato la sciarpa di Kei attorno alla tromba di uno dei musicisti della piccola banda passò in secondo, terzo, quarto piano.
Yuri nella sua dismessa tuta usata come pigiama era di nuovo troppo vicino in una casa in cui pure le finestre erano state progettate male. Troppo piccole per consentire due persone affacciate contemporaneamente, troppo strette per consentirle di ritrarre ulteriormente le gambe senza che il russo vi poggiasse le mani sopra per sporgersi, troppo limitanti per impedire a Yuri di ignorare il leggero sussulto quando le dita gelide incontrarono la pelle.

«Tutto normale, sopravviverà»

Julia restò a fissare il profilo niveo del volto chiedendosi se la risposta fosse stata reale o frutto della sua fantasia, le labbra si erano mosse ma il suono era arrivato in ritardo. Era strano vedere quell’indifferenza dopo averlo visto intromettersi in mezzo ai propri compagni al minimo accenno di rissa un’intera giornata. Realmente convinto o meno della sua decisione, Yuri era tornato a toccare terra con i talloni e le mani erano lentamente state ritratte per tornare inermi lungo i fianchi. Yuri però non si era allontanato, era rimasto impalato davanti al davanzale con lo sguardo fisso sulla baldoria sottostante.
Non era chiaro a chi dei due stesse impedendo una fuga.

«Oh, che fortuna!» commentò con finta leggerezza evitando di incrociare lo sguardo a pochi centimetri da lei «Sembra che abbiano trovato il ghiaccio!»

«Fortuna…» ripeté Yuri in un sussurro distante quanto la presa della realtà nei suoi occhi.

Julia si limitò a osservare di sbieco la mano infilata nella tasca sgualcita e il piccolo oggetto trovato nell’uovo quel pomeriggio. L’unica vera sorpresa mai uscita da quelle uova che per tutta la giornata avevano riversato consigli di vita sconclusionati. Nelle migliori ipotesi aveva creduto che il peperoncino rosso facesse compagnia a qualche altra cianfrusaglia in uno dei secchi dell’immondizia oltrepassati durante il loro girovagare.

«Pensavo non credessi agli amuleti portafortuna»

Julia si morse le labbra a quel pensiero non rimasto tale nella testa. Si era fatta cogliere in fallo mentre l’osservava, di nuovo.

«Infatti, non credo a queste cose»

«Queste cose» ripeté facendo il verso all’acidità intrisa su quelle due parole «Ne parli come se fossero il male del mondo. Tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa»

«La stai prendendo sul personale?»

«No!...Anzi, sì!» ribatté di scatto ricevendo in cambio un sopracciglio inarcato su un volto corrucciato ben lontano dall’afferrare la situazione «Se una cosa non rientra nella tua striminzita fascia di “cose accettabili e tollerabili ” la tratti come se fosse insignificante. Lo hai fatto anche oggi, alla stazione metropolitana e al museo. Ti sarai anche ricreduto in secondo momento e no, por el amor de Dios non sto provando a fartelo ammettere» agitò le mani per zittire il russo decisamente contrariato non solo per le parole ma anche per il tono sarcastico «Dovrei aspettare la glaciazione della terra per tale evento. Io voglio solo sottolineare che non dai alle cose lo stesso peso che ve ne danno altri» e la lingua batté l’urlo della ragione «Non quanto ne dia io»

Julia restò ad osservare controvoglia gli ormai stramaledetti occhi azzurri puntati su di lei.
Nel suo inappropriato e fuori luogo sfogo Yuri aveva letto tra le righe. Tacitamente racchiuso nel suo bozzolo di riservatezza era rimasto a fissarla con quell’intensità tale da bloccarla sul posto provocandole brividi lungo la schiena.
Il museo e la metro non c’entravano nulla, il vero fulcro della sua accusa risiedeva nella mancanza di interesse mostrata da Yuri nel chiarire lo scambio d’effusioni nella doccia. Senza l’intromissione di Boris non si sarebbero fermati ai semplici baci, lei per prima non si sarebbe accontenta. Avrebbe voluto chiarire la questione nell’immediato, dopo essere uscita dalla doccia, approfittando dell’inusuale occasione di pace fornitagli da Boris prima che tornassero tutti gli altri. Ma, sperare nel picco d’intelligenza di due russi contemporaneamente era risultato paragonabile all’idea di vedere Takao a dieta. Il russo dei suoi pensieri si era defilato via con nonchalance alla seconda telefonata del presidente Daitenji rientrando in sala quando la cena era ormai in tavola.

«Lasciamo stare…» mormorò infine Julia stanca di quelle innumerevoli parole non dette alleggianti fra loro in un vortice senza fine, affranta dalla velata ammissione di tenere a lui in un modo decisamente diverso e non corrisposto «Semmai ti verrà voglia di parlarne sai dove trovarmi. Ora, cortesemente, potresti farti da parte? Vorrei scendere»

Yuri immerso nel suo ingarbugliato mondo di pensieri non prestò attenzione alle parole di Julia né a qualunque altro suono, riscuotendosi dal torpore solo al piede premuto sull’addome nel dolce invito a spostarsi. Intento a riflettere sullo strano discorso fatto da lei si era ritrovato a guardare meccanicamente il peso contro il suo stomaco per poi far ricadere l’attenzione sul piccolo cornetto rosso ridotto a mero antistress ancora rigirato fra le dita.

«Ora capisco perché ti sono piaciute così tanto quelle sculture di marmo» all’amara constatazione di Julia tornò a osservarla mentre lei incrociava nuovamente le gambe che il corto pigiama non copriva adeguatamente «Siete identiche. Rigide e posate, bloccate nella medesima e perenne espressione»

«Sei contraddittoria» si decise infine a parlare ricevendo in risposta un’occhiataccia per nulla incline ad accettare l’offesa «Ti stai sbagliando. “Nessuna sarà mai uguale all’altra”, l’hai detto tu, non io»

«A fatti tuoi parli»

Julia finì per sospirare affranta al desiderio scemato di abbandonarlo lì solo soletto, ricaduta nel giogo malato scaturito da quelle poche parole che mostravano la faccia meno scontrosa, quella vera. Il lato meno visibile che appariva raramente come nella piccola confidenza del pomeriggio, nei fugaci momenti in cui Yuri smetteva di avercela con il mondo.
Potevano non piacerle le frasi ritortole contro ma sapeva ormai riconoscere l’assenza della cruda e dura freddezza quando si trovava ad ascoltarla.
D’altro canto, Yuri non si era allontanato.

«Prima dicevo sul serio» esordì lei dopo un profondo sospiro accennando col capo verso il piccolo portafortuna «Tutti abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Chi in un Dio onnipotente, chi nell’esistenza di un destino, chi nell’esistenza di una felicità superiore, chi negli ovetti di Pasqua magici» un risolino leggero le sfuggì dalle labbra all’ultima allusione spingendo il russo a sbuffare al sol ricordo delle stramberie dell’amico «Io credo nei portafortuna, in un bacio sincero, è così sbagliato?»

«No» fu la strana e alquanto immediata risposta di Yuri «C’è chi ha creduto in cose peggiori. Non intendevo offenderti prima, sei tu che hai capito male»

«Aspetta, aspetta, aspetta» Julia rizzò la schiena sporgendosi con il capo verso il ragazzo in tono fin troppo allusivo «L’egocentrico e presuntuoso Yuri Ivanov mi sta chiedendo scusa?»

«No» chiarì lui aspro senza riuscire ad intaccare il sorrisetto sfacciato della madrilena che sembrava aver rimosso ogni traccia di imbarazzo «Non ho niente di cui scusarmi, hai frainteso e fatto una scenata tutta da sola. Non credo nella fortuna, essa non è altro che una diversa manifestazione della casualità. Si induce la gente a crederci con sciocche frasi fatte come quelle che ci siamo sorbiti nell’arco dell’intera giornata o con oggetti come questo a cui si finirà per attribuire la grazia di ogni evento definibile come “fortunato”»

«C’è un “ma” dico bene?»

«Sì, ognuno è libero di credere quel che vuole. Tu sei libera di credere quello che ti pare… » Yuri lasciò la frase in sospeso facendosi sfuggire un verso stizzito «Compreso il significato attribuito a quel bacio»

Julia trasformò il ghigno divertito in un sorriso più morbido contemplando la figura apparentemente cinica davanti a lei. Yuri era come il bucaneve trovato durante la vacanza in montagna, il piccolo fiore a cui nessun altro oltre lei aveva prestato attenzione. Candido come la neve in cui era sbocciato, forte al punto da sopravvivere nei luoghi più ombrosi anche a rigidissime temperature sotto lo zero. Esteriormente imperturbabile al soffio più gelido ma internamente delicato. Il bianco fiorellino invernale incapace di sopportare la calda luce solare…o nel caso di Yuri, l’acqua bollente.
Julia l’aveva colta quella delicatezza nelle piccole carezze e nei morbidi baci sulla pelle in quello sfuggente momento nel bagno. Aveva tastato il lato più fragile nelle ammissioni scivolose della giornata e ancora prima visitandolo in ospedale lo scorso anno senza dirlo al diretto interessato. C’era altro oltre la tenebrosa e glaciale aura che Yuri aveva forgiato intorno a sé, qualcosa di cui nemmeno il diretto interessato era a conoscenza.

Lei non era disposta a rinunciare, ad arrendersi senza provare.

Un chiaro e diretto rifiuto non lo aveva ancora ricevuto.

«Quindi…» Julia si umettò le labbra allungandosi per sollevare la mano di Yuri stretta intorno al portafortuna «Per tutte le mie insistenze ormai… questo lo devi considerare proprio un magnete di sfortuna»

«No, il contrario»

Per la seconda volta nell’arco della serata Julia non fu certa di aver udito o immaginato le parole. Avevano girato intorno al discorso fino ad un secondo prima, Yuri aveva appena terminato di sottolineare la sua avversione. Non poteva aver appena ritrattato il tutto definendo le sue insistenze una fortuna.

La sua silenziosa espressione confusa parlò al suo posto.

Yuri sembrò sul punto di voler rimangiare quanto appena detto osservando un punto imprecisato dei ghirigori floreali stampati sul muro, indeciso come non l’aveva mai visto per una semplice elaborazione di una frase.
Julia inspirò cercando invano di non farsi coinvolgere emotivamente da quel contatto a cui non era ancora riuscita a rinunciare o dalla piccola luce di speranza che aveva ripreso forza. Per la sorpresa aveva stretto involontariamente la mano tra le sue propendendo per non lasciarla finché non avesse incontrato resistenza.

Un’opposizione inesistente, Yuri non aveva ritratto il braccio ma aveva ricambiato delicatamente la stretta procurandole un’accelerazione dei battiti.

«Se proprio devo credere in qualcosa, allora preferisco affidarmi unicamente al mio istinto»

Yuri forzò le sue corde vocali nel mettere insieme frammenti vaganti di frasi provate e riprovate mentalmente nel suo rigirarsi nel letto prima che Boris iniziasse a tormentarlo. Julia aveva surclassato il suo migliore amico nella brevissima scala di persone per lui importanti dalla fine dello scorso campionato. Parlare, discutere, persino litigare con lei era stato divertente nei brevi scambi sull’aereo, nell’arena o nel loro primo incontro avvenuto proprio sul campo di gioco, l’uno contro l’altro. L’eccentricità della ragazza l’aveva travolto lasciandolo persino interdetto al termine dell’incontro. Julia gli aveva teso la mano in un gesto che di innocenza sportiva aveva solo la facciata, dopo aver ricambiato la stretta si era ritrovato a vederla andar via con un’ostentata aria d’indispettita superiorità come se fosse stata lei la vera vincitrice dell’incontro. Ed era stato forse proprio da quel commento che il carattere peperino si era insinuato sempre più frequentemente nei suoi pensieri. 

«Non fraintendermi, non è l’istinto di Takao. Quello di cui parlo io è diverso, un istinto più regolato, controllato il più delle volte. Potrei definirlo più un sesto senso su cui faccio affidamento…con qualche falla come hai avuto modo di costatare tu stessa nel bagno»

Yuri per tutto il tempo delle sue parole non aveva staccato gli occhi da Julia, alla ricerca di un qualunque barlume di derisione o traccia di emozione scettiche per frenare il suo discorso fuori dal comune. Incerto si era bloccato a metà non per aver scoperto un giubilo malsano nascosto ma per l’esatto opposto.

Lo sguardo di Julia era indescrivibile nel senso più positivo del termine.

Yuri era certo di non essere mai stato guardato in quel modo da tempo immemore, forse nemmeno era certo di averne mai ricevuto davvero uno così caldo e accogliente.

«Anche se non l’ho seguito, credo che quanto accaduto non sia del tutto sbagliato ma…» Yuri si ritrovò la frase smorzata dall’improvvisa stretta accentuata attorno alla mano «…non capisco il perché di tutta questa incertezza. Non mi capisco e questo non mi piace»

Forse per il troppo sole da inizio campionato, forse l’eccesso di zuccheri ingerito nella giornata, forse anche a causa della bibita corretta rifilatagli da Boris a cena, Yuri per la prima volta non si sentì sbagliato nell’ammettere a qualcuno una sua debolezza.

Forse l’avrebbe rimpianto a notte fonda nel suo letto, ma quel momento sembrava fin troppo distante per acquisire importanza o probabili ripensamenti. C’erano troppi forse e poche certezze per ammettere che sopprimere quel sentimento nato per Julia fosse più importante del suo orgoglio intatto.

«Io avrei una spiegazione diversa» mormorò Julia con voce roca accarezzando il dorso pallido stretto ora in una sola mano «Solitamente ti fidi della ragione» il braccio venne sollevato fino a che le dita non toccarono la fronte «Ora ti sei affidato al cuore» concluse lasciando scivolare l’arto fino all’altezza del petto.

Yuri si ritrovò a socchiudere gli occhi sotto la delicata carezza dei polpastrelli discesi lungo la guancia, sul collo fino alla stoffa su cui si fermarono. Erano troppi diversi, lui e Julia non avevano nulla in comune, nemmeno la temperatura corporea. Poteva sentire il calore irradiarsi dove adesso si era adagiato l’intero palmo, era ingiusto trascinarla con sé e farle del male. Inevitabilmente l’avrebbe ferita.
Provò a sottrarsi senza riuscire a spostare le suole di un millimetro.
Le dita strette attorno alla maglietta glielo impedirono, gli occhi lucidi di Julia lo bloccarono smorzando il suo coraggio. Come supposto l’aveva già fatta star male.

«Yuri…non è rifiutando il tuo cuore che starai bene» la voce di Julia tremolava, a tratti si incrinava ma rilasciava una sicurezza che Yuri involontariamente sentì di voler ascoltare nonostante l’udito cominciasse a fargli brutti scherzi «Posso non capire appieno, non potrò mai riuscire a immedesimarmi completamente nel dolore che ti porti dentro…ma vorrei tanto poterlo allievare e farti andare avanti. La tua vita non deve fermarsi pensando che tutto sia orribile come il posto in cui hai vissuto…mentre eri in coma lo scorso anno ho sentito Takao parlarne con Rei durante il torneo professionistico contro Vorkov e lo so che quella era solo la punta dell’iceberg, loro non hanno vissuto con te»

Yuri sentì il panico scorrergli nelle vene alle veloci immagini che iniziarono ad attraversagli la mente alla sola menzione del suo passato. Sarebbe scappato se l’orgoglio non gli avesse ricordato la codardia dell’atto. Lui non era il tipo da scappare. Ci aveva convissuto. Aveva imparato ad affrontare le sue paure.

Le sue paure ma non l’interesse per una ragazza.

Al Monastero non c’erano ragazze. Erano sempre stata una presenza sporadica ed evanescente che Vorkov non era mai stato convinto di voler davvero utilizzare. Soprattutto, le reclute femminili non avevano mai avuto oltre gli otto o nove anni, non si provava interesse a quell’età. Non che Vorkov l’avrebbe comunque permesso, era una futilità.

Tutte quelle nuove interazioni le aveva provate in particolar modo con Julia. Boris l’aveva preso in giro per non aver rivolto la parola a nessuna delle altre ragazze del campionato se non strettamente necessario agli incontri. Yuri aveva invidiato il repentino adattamento del suo migliore amico e degli altri due componenti della sua squadra. Erano riusciti a gettarsi alle spalle il passato molto più velocemente di lui, avevano mostrato più forza anche se Boris gli aveva dato dell’idiota quando aveva confidato tali pensieri.

Ed ora, non riusciva a lasciare andare, ad accettare quel cambiamento proposto da Julia.

«Quel dolore fa parte di te, anche quello ti ha reso ciò che sei ora…la persona di cui io mi sono innamorata» Julia mordicchiò il labbro inferiore cercando ossigeno improvvisamente inesistente, era riuscita ad ammetterlo e ora sentiva mancare la terra sotto i piedi anche se tecnicamente seduta su un davanzale, quella comunque non l’avrebbe sentita «Non hai idea di quanto sia bello vederti sorridere come hai fatto oggi al museo. Vederti discutere con i tuoi compagni senza quell’aura truce che cerchi di mantenere in ogni occasione. Guardarti finalmente rilassato mentre eravamo nella piazza. Vedere quella scintilla quando parlavi di Wolborg a quei bambini che ti hanno chiesto l’autografo… queste ed altre cose sono quei piccoli dettagli di cui non riesco più a fare a meno»

«No…non è così» Yuri si ritrovò a negare convinto dopo l’iniziale attimo insicuro, Julia si era fatta un’idea completamente sbagliata «Questo è ciò che credi di vedere, ciò che vuoi vedere ma non puoi dimenticare tutt

Yuri si ritrovò zittito e se fosse stato un’altra persona a compere l’azzardo probabilmente ora avrebbe provato l’ebrezza di un volo dal quarto piano. Julia scuoteva lentamente la testa non accennando a voler spostare le dita poggiate gentilmente sulla sua bocca.

«Sei sicuro che invece non si tratti di ciò che non vuoi vedere tu?»

Yuri restò in silenzio colto impreparato dalla domando a bruciapelo.
Per una vita intera si era chiesto chi fosse senza ottenere una risposta soddisfacente. Prima era stato l’errore, il bambino di cui i genitori si erano sbarazzati. Poi era diventato Yuri l’orfanello delle strade ed infine l’arma della Borg. A conti fatti dell’indipendenza di cui amava vantarsi non aveva nulla, era sempre stato quello che avevano voluto gli altri.
Era la sconfitta dell’essere umano.

«Julia, io sono sicuro di quello che sono. Hai sbagliato persona»

«No»

«No?»

«No»

Yuri si costrinse ad ammettere a sé stesso che Julia non aveva nulla da invidiare alla sua testardaggine. Avrebbe potuto anche dirle di aver ucciso qualcuno e lei sarebbe rimasta convinta della sua idea.
Lei aveva lo stesso sguardo, la stessa convinzione di quel pomeriggio.

«Yuri…sei più umano di quello che credi»

Le parole più belle che avesse mai osato chiedere.
Julia non lo vedeva come il contenitore vuoto e sterile in cui avevano provato a trasformarlo, aveva persino ammesso di essere innamorata di lui.

Innamorata di lui.

Doveva essere una cosa buona, no?
Erano le stesse parole sentite in un telefilm, le stesse urlate da Mao a Rei nell’atrio dell’hotel a Rabat. Cosa spingeva una persona a capire di essere innamorata di un’altra? Curioso aveva provato a cercare la definizione su internet arrivando alla conclusone che significasse nutrire amore per qualcuno. Poteva lui provare amore per qualcuno non avendolo mai provato in prima persona sulla sua pelle?

Yuri non ne era per nulla sicuro.

Era soltanto certo di pensare costantemente a Julia più di quanto fosse disposto ad ammettere. Di voler ringraziare persino le dimenticanze del presidente Daitenji per avergli dato l’occasione di passare un’intera giornata e le prossime seguenti tre in sua completa compagnia. Perché in un modo o nell’altro con lei si sentiva bene, era come trovare la pace.

Julia era come il bicchiere di limonata nelle giornate estive.
Acida e dolce al contempo.
Indispensabile.

Rinfrescante.

Bastava il suo sorriso per fargli desiderare di non perderla mai.

«Julia…»

No, Yuri si convinse di non essere proprio bravo con le parole.
Inaspettatamente Julia aumentò il suo sorriso.
Il verde acquoso contornato da ciglia inumidite sembrò brillare nella penombra.

«Cosa ti suggerisce il tuo istinto ora?»

Era stato poco più che un sussurro.
Una sorta di invito che Yuri non riuscì a rifiutare.

La musica divenne un suono lontano, un accompagnamento cullante per la nuova presa sulle labbra in cui il burro cacao alla ciliegia finì presto di cessare di esistere. Yuri racchiuse fra le mani il volto di Julia desideroso di non staccarsi mai più, di non smettere mai di provare quell’emozione sgorgata dal cuore in grado da fargli tremare ogni fibra del corpo.

Voleva quello come prossimo ricordo dei suoi sogni.

Le mani di Julia risalirono lungo il petto con una lentezza quasi esasperante ma di cui si sarebbe beato per il resto della vita affinché non finisse mai. Le braccia gli cinsero il collo e nella perdita di coscienza della realtà si ritrovò circondato dalle gambe strette attorno alla vita, schiacciato per metà contro il muro sotto la finestra.

Un sospiro.

Un bacio.

Yuri avrebbe potuto continuare all’infinito, con i sospiri divenuti sempre più corti e i baci sempre più lunghi finché l’aria nei polmoni non l’avesse completamente abbandonato.
Affannato si distaccò leggermente dalle labbra umide poggiando la fronte a stretto contatto con quella di Julia perdendosi nel contemplare la distesa smeraldo, le guance arrossate, la piccola fossetta nell’angolo della bocca.

Il più dolce dei sorrisi.
Si sarebbe preso a schiaffi da solo in un’altra realtà per il sol desiderarne uno sempre più zuccheroso, ma quella era la sua mente, poteva giudicarsi da solo.

E davanti a lui c’era Julia.
Lei meritava una vera risposta.

«Cosa?...»

Julia allentò la presa attorno al collo alternando confusa lo sguardo dal piccolo peperoncino rosso sollevato tra loro agli occhi azzurri puntati su di lei. Sentiva già la mancanza del tocco sulle guance, dei baci mozzafiato, del corpo leggermente distanziato da lei.
Sollecitata da quella tacita richiesta afferrò l’oggetto tra i battiti tumultuosi e il sangue salitole al volto chiedendo altrettanto silenziosamente una risposta.

«Tu credi veramente tanto a queste cose»

Il cuore di Julia se ne avesse avuto opportunità avrebbe fatto una capriola al sorrisetto maliziosamente scherzoso, così vero e sincero da arrivare a colorare quelle iridi celesti di una sfumatura meno gelida.
Tanto speciale da farle porre da parte il leggero sfottò sulle ultime parole.

Queste cose.
Yuri non se lo sarebbe dimenticato facilmente.

«Funziona solo se regalato, giusto?» Julia avrebbe voluto chiedere il perché di tale regalo ma si ritrovò la risposta prima di arrivare a formulare la domanda «Ti servirà tutta la fortuna del mondo per tollerare il sottoscritto»

Julia sbarrò gli occhi certa di aver sbagliato a sentire per la terza volta, promettendosi di tornare in Spagna a fare visita all’otorino alla quarta perplessità. Non poteva continuare a restare come un pesce fuori dalla boccia ogni volta che Yuri le rivolgeva la parola.

«È il tuo modo per dire che ricambi i miei sentimenti?»

All’otorino avrebbe aggiunto anche il neurologo.
Era diventata pazza.

«Sei arrossito, vero? Non me lo sto immaginando»

Allo sguardo di puro orrore il colorito roseo assunse una sfumatura decisamente vermiglia ricordandole l’esatto tipo di persona che aveva davanti. Yuri avrebbe negato fino alla morte anche se avesse avuto spiattellata in faccia una fotografia.
Doveva accontentarsi della certezza appurata da sola.

Yuri guardò contrariato l’improvviso scoppio di risa davanti a lui.
Julia rideva appoggiandosi sulla sua spalla per non andare all’indietro, sghignazzando per il quel colorito fin troppo appariscente sulla sua pelle chiara. Tornato in Russia si sarebbe chiuso in un solarium, tanto nel caso peggiore sarebbe diventato interamente del colore dei suoi capelli.

«Sì Yuri, io voglio stare con te»

Yuri non fece in tempo a registrare il termine delle risate e la frase appena mormorata ad un soffio dal collo che si ritrovò le labbra rapite da un tenero bacio.

 

 

 

«Perché devo restare qui con voi?!»

«Hiwatari che ti piaccia o no, purtroppo, fai parte della squadra»

Kei assottigliò pericolosamente gli occhi nella speranza di mettere fuoco a Boris con la sola forza dello sguardo. Con uno strattone provò a tirar via la sciarpa legata attorno ai suoi polsi senza successo, il tubo ove era ancorata l’altra estremità si limitò a un leggero tremolio imbrattando il candido tessuto di ruggine.

Non ne aveva nemmeno di ricambio.

«Lo hai preso per un cane?»

Ivan saltò sul piccolo muretto con un piatto di pasta in mano accennando in direzione del pazzo che aveva iniziato a prendere a calci il tubo con l’intento di romperlo.

«E tu lo hai preso per un cameriere?» rimbeccò infastidito Kei alludendo ad uno sconsolato Sergej che al seguito del piccoletto era giunto portando quattro pieni ricolmi di svariati stuzzichini.

«Me lo domando anche io» bofonchiò il biondo appoggiandosi con la schiena al medesimo muretto «La mamma della futura sposa…com’è che si chiamava? Catarì mi sembra» non capendone bene il perché decise di soprassedere alle occhiate incenerirtici di Ivan e Kei dirette a Boris improvvisamente interessato a guardarsi le unghie «La signora non si allontanava più da noi, continuava a insistere che Ivan era troppo deperito e dovevo farlo mangiare di più. Gli ha persino regalato dei biscotti, caramelle e…cos’era? Un lecca-lecca?»

Ivan riscossosi annui soddisfatto agitando una piccola bustina poggiata accanto a lui.

«Adoro questo posto» ammise estasiato fra un boccone e l’altro.

«Chissà come mai» borbottò Sergej massaggiandosi la tempia per poi voltarsi verso un fin troppo divertito Boris con ara scettica «Ci credi che lo hanno pure invitato al matrimonio di domani? Nemmeno lo conoscono!»

«Veramente hanno invitato anche te e il resto della squadra»

«Non andremo a quel matrimonio Ivan»

«L’ultima parola non è tua» ammise candidamente il piccoletto infilandosi l’ennesima forchettata di spaghetti in bocca «Spetta a Yuri e ho le mie carte da giocare per convincerlo»

«Certo, credici pure»

«In ogni caso, lasciatemi in Italia»

«Non dirlo piccoletto, potremo farlo davvero» lo punzecchiò Boris poggiandosi innocentemente sulla spalla di Kei che per tutta risposta provò infruttuosamente a scrollarselo di dosso «Hiwatari non fare così, te l’avevo data la scelta»

Kei scosse la testa per allontanare il ciuffo dalla fronte sudaticcia desiderando immensamente anche una sola mano libera. Boris l’aveva bloccato dopo lo stupido scherzetto della tromba impedendogli di andare via, annunciando a quel popolo di scalmanati lui come nuova ballerina della serata. Ovviamente li aveva mandati tutti al diavolo non aspettandosi l’assalto alle spalle del gorilla della squadra che l’aveva legato al primo appiglio disponibile.

«Kuznestov, questa te la faccio pagare»

«Sì? Risparmia le energie per allora»

Kei provò a tirar via la sciarpa con i denti ancora una volta senza esiti.

«Tu e le tue maledette perversioni»

«Non ho alcun interesse nei tuoi confronti» rispose annoiato Boris incrociando le braccia poggiato contro il muro «Voglio solo evitare che Yuri debba mettersi alla tua ricerca per tutta Napoli»

«A proposito, dov’è Yuri?» domandò Sergej improvvisamente conscio dell’assenza del suo capitano, aveva bisogno di un po’ di sana razionalità in quel momento.

«In casa»

Al lugubre tono proveniente da sotto il muretto si sporse per osservare Raul rannicchiato a terra con una bustina di ghiaccio premuta sulla faccia. Sergej si era completamente dimenticato di quella compagnia aggiuntiva, d’altro canto pensava che dopo un’ora il dolore al naso fosse passato.

«Pensavo fossi tornato in camera, non eri stanco?»

Raul riscossosi come una molla si era voltato decisamente lontano dalla migliore versione di sé stesso: pallido, assonnato e nevrotico.

«Infatti, volevo andare a dormire» sottolineò con enfasi l’ultima parola lanciando un’occhiataccia alle corte gambe penzoloni sopra la sua testa «Stavo salendo tranquillamente le scale finché Ivan non mi ha travolto facendomi sbattere la faccia sul corrimano. Chiedi al tuo compagno quale droga ha assunto salendo a prendere la giacca nell’appartamento. Mi ha praticamente impedito di andarmene»

Al livido violaceo mostrato sulla guancia Sergej ebbe il brutto presentimento che metà delle squadre avrebbero pensato a una loro volontaria aggressione verso il più docile degli spagnoli anziché ad un incidente. Colto dall’illuminazione si guardò intorno alla ricerca della sorella del ragazzo malconcio venendo fermato da un calcio dietro la sua schiena prima di poter dare aria alla bocca.

Ivan che aveva attirato poco gentilmente la sua attenzione con gli spaghetti penzolanti alla bocca gli stava intimando con gli occhi di far silenzio. Perplesso si era rivolto a Boris che impercettibilmente aveva scosso il capo muovendo la bocca in un’unica parola che paradossalmente aveva colmato tutti i suoi dubbi.

Yuri.

Il suo capitano era rimasto solo con Julia.
Ivan era salito in casa.
Ivan vantava di avere una scusa per il matrimonio.

Dubitava di poter ancora chiedere aiuto al suo capitano per un po’ di sanità quella sera.

Kei osservò esasperato il film muto a due passi da lui scivolando affranto lungo il tubo fino a sedersi a terra. Finché il trio non avesse deciso di aver lasciato abbastanza da soli i due piccioncini non avrebbe potuto vedere nemmeno il suo letto.

L’unico a non aver capito niente era solo Raul.

Iniziava a rimpiangere la scelta di quella squadra per il campionato.

«Mi manca Takao»

 

Note finali

(1)    «Ascoltami, ti voglio bene come se fossi mio fratello»

(2)    «Questa scatola di cioccolatini è speciale, non ne trovi così in giro. Questi ovetti di cioccolato sono capaci di leggerti l’anima!»
«Dentro ad ognuno di questi potresti trovare la verità su di te! Leggono il passato, il presente e il futuro»

(3)    «Ascoltami Boris, ti chiami così no?»
«Non ti sto dicendo una bugia, per me sei come un figlio»

(4)    «Boris fammi capire, hai la moglie gelosa?»

(5)    «Boris, non te l’ho detto prima ma ora so che tu puoi capirmi»
«Vivo una vita difficile, la mia famiglia composta da undici figli sopravvive grazie alla vendita di queste scatole di cioccolata»

(6)    , claro, no eres un viejo gruñón = Sì, chiaro, non sei un vecchio brontolone

(7)    Aprende español para entenderlo = Impara lo spagnolo, così lo capirai

(8)    Ochen' khorosho. Vy uchite russkiy = Benissimo. Tu impara il russo

(9)    Por el amor de Dios, Boris, estás viendo piezas de historia de valor incalculable = Santo cielo Boris, sei davanti a pezzi preziosissimi di storia

 

Buona Pasqua!! ^o^
Come sempre sono in perfetto orario non trovate anche voi?
Ma chi voglio ingannare, non so più se ridere o piangere per essere puntualmente in ritardo. Anzi, lo so benissimo cosa provare. ç.ç

Ad ogni modo prima di perdere il filo del discorso, in queste note volevo precisare soprattutto a eventuali lettori partenopei che non ho nulla contro Napoli o i napoletani, anzi, tutt’altro! Ho studiato in quella città e me ne sono innamorata
💚
Tendo spesso a far vivere ai poveri protagonisti delle mie fanfiction cose che mi capitano e ammetto che in questa qui ho giocato molto su questo aspetto, all’interno ho inserito più di una cosa vissuta in prima persona ma…lascio a voi capire cosa sia realmente vero e cosa no :p

Mi concedo un po’ di mistero rimpiangendo tutto il cioccolato che ho mangiato durante la stesura di questa storia.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia, spero vi siate divertiti! 💚

Inoltre, ringrazio anche il mio squilibrato fidanzato che con le sue frasi gettate a caso continua ad aumentare i deliri che poi siete costretti a sorbire voi…

“Pensa se finivano a Napoli”

Oh, sì, ci ho pensato caro >.>

 

Alla prossima!

Aky

   
 
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