Easter egg
Leggere e poi firmare.
Leggere e poi firmare.
Leggere e poi firmare.
Fanculo.
Yuri contemplò la distesa cristallina
sotto di lui sempre più convito di porre fine a tutti i suoi mali con un tuffo.
Nel peggiore dei casi la sua testa avrebbe fatto la conoscenza con alcuni
scogli mandandolo una seconda volta in coma o incontro a morte certa.
Entrambe le opzioni gli sembravano comunque migliori di quella attuale.
«Uè uagliò!»
Rumorosi.
Il popolo napoletano per lui era soltanto rumoroso.
Dal suo arrivo sul suolo italiano Yuri aveva iniziato a rimpiangere la prima
tappa in Marocco, il che era tutto un dire a suo modesto parere. Solo un pazzo
avrebbe assecondato quel campionato suicida ad aprile, con il riscaldamento
globale in atto, nelle mete più calde del mondo. E lui ne conosceva cinque,
perché al primo posto sulla lista dei decerebrati avrebbe scritto il suo nome a
caratteri cubitali. Aveva firmato senza nemmeno leggere tutte le tappe del
campionato.
Marocco, Italia, Hawaii, California e Brasile.
Un suicidio in piena regola.
«Sembra tu stia meditando il suicidio»
Yuri lasciò perdere il tentativo di
tirarsi via la pelle dopo essere rimasto con la sola canotta nera indosso,
volgendosi verso la stramaledetta allegra voce femminile alla sua destra. All’uscita
dall’aeroporto la sfortuna aveva voluto giocargli l’ennesimo brutto
tiro. Dopo l’errore di prenotazione dei biglietti aerei e la conseguente
suddivisione delle squadre su più tragitti, la nottata passata in aeroporto in
attesa del prossimo volo e l’arrivo in una città in cui l’umidità l’aveva
ucciso appena toccato terra…avevano perso la navetta che li avrebbe portati
all’hotel.
E non erano nemmeno stati gli unici.
«Sembra» ribatté seccamente
guadagnandosi un risolino.
Tra tutte le squadre ovviamente gli
F-Sangre gli erano capitati a tiro.
Il cocente e luminoso astro nel cielo non scalfiva, anzi, aumentava il
buonumore di Julia accomodatasi con nonchalance sulla ringhiera rovente. Lei e
il fratello erano poco dissimili da schizzati canguri sotto effetti di acidi.
Correvano, saltellavano, si esibivano di punto in bianco insieme ad artisti
anonimi delle vie napoletane. Prendevano parte a folkloristici balletti,
abbracciavano estranei appena incontrati ignorando totalmente la buia e oscura
aura emanata da lui e i suoi compagni.
«Sei proprio sicuro di non voler usare
una protezione solare?»
Se Raul aveva giudiziosamente
appoggiato l’idea di reciproca sopportazione nella ricerca del loro hotel di
cui non conoscevano né il nome né tantomeno l’ubicazione, la sorella aveva
adottato l’approccio esattamente contrario. La distanza di sicurezza di tre
metri per lei non esisteva, Julia approfittava di ogni pretesto per attaccare
bottone con tutti loro.
«Sicurissimo»
La protezione solare era superflua
sulle sue spalle ustionatesi sotto il cielo marocchino. Il suo stesso naso
somigliava a quello di un clown, avrebbe volentieri fatto a meno di camminare
con uno strato di crema sulla faccia. La sua dignità era già stata affossata
dai fastidiosissimi piccoli puntini marroncini spuntati sulle sue guance, non
desiderava altri pretesti per finire di ridicolizzarsi. Gli era bastato
l’urletto euforico di Max il secondo giorno di incontri, grazie a lui anche chi
non l’aveva mai degnato di uno sguardo aveva iniziato ad ammirare le sue
lentiggini rendendolo un fenomeno da baraccone.
«Uè fràté! Buona Pasqua!» al suono di una pacca che incontra leggiadramente
una spalla socchiuse gli occhi desiderando la caduta di un fulmine «Oggi è
proprio na bona iurnata, o vèro?»
Una sola cosa sensata aveva detto
loro Gianni nei suoi sproloqui a ora di pranzo.
L’unica che il suo alquanto probabile ex amico nonché altrettanto probabile
ragazzo senza più una squadra non era ancora riuscito a infilarsi nel cervello.
«Boris la vuoi smettere di incrociare
il loro sguardo?!»
Kei materializzatosi dal nulla alla
sua sinistra aveva l’espressione di chi, come lui, quella scena l’aveva già
vista. Legata la sciarpa alla ringhiera in un probabile segnale di soccorso a
Dio aveva spudoratamente ignorato la nuova compravendita innescata da Boris defilandosi
dalla questione con uno sfacciato mimo labiale “Sei tu il capitano” che
gli aveva fatto internamente maledire il giorno in cui l’aveva ripreso in
squadra.
Tra una maglietta nera ed una altrettanto nera più leggera, chiaro sintomo di
un armadio decisamente troppo monocromatico e fatto con lo stampino, Kei si era
elegantemente privato della polo grigia fra gli urletti della fauna femminile
del posto.
«Però…niente male. Quando c’è il
prossimo allenamento della vostra squadra?»
Yuri non era mai stato geloso di
qualcuno o qualcosa ma al piccante commento di Julia ritenne di essere fin
troppo vicino al provare un sentimento simile. Afferrato Hiwatari per la
collottola prima che potesse anche solo pensare di disfarsi dei pantaloni in
mezzo alla città, fulminò Sergej intimandogli di trascinare Boris lontano
dall’ennesimo venditore ambulante con in mano scatole di cioccolatini. Speranza
vana in quanto Raul aveva deciso di usare il suo corpulento amico come scudo
umano per evitare l’insistenza del collega napoletano che non osava avvicinarsi
alla rigida e minacciosa figura.
«Tu mi sì simpatico. Non sì italiano,
ma secondo me io e te jamm d’accordo»
Yuri ispirò a fondo massaggiandosi il
setto nasale per non alzare la voce in mezzo ad una strada sconosciuta
sembrando così un terrorista sul punto di farsi esplodere. Ogni individuo avvicinatosi
a loro aveva esordito con quella frase e anche senza sfruttare ulteriormente le
doti linguistiche di Julia aveva capito benissimo il significato. Non che ve ne
fosse particolare difficoltà dopo quarantotto paia di calzini che non sapevano
più che in valigia infilare e una scorta di accendini da far invidia a una
tabaccheria.
Non avevano nemmeno fumatori in squadra.
«Te vogliò
fa' na' propòst, tu nun te preoccupà e' nullà»
la voce squillante sovrastò il chiacchiericcio enfatizzata da gesticolazioni
estreme con la mano spostata dal petto all’aria per indicare un orizzonte
ignoto «Nun me ricenn nulla
e ascolta chesta proposta. Si vere proprio ca' si nu'
bravo uaglione. Ascolta qua, me sì proprio simpatico.
Io te rong chistu pacco e' cioccolatìn
e tu me dai giusto vinti euro»
Ivan abbassò la borraccia con l’acqua
osservando il siparietto con le guance gonfie quanto un pesce palla alla
ricerca di una traduzione per una frase detta così velocemente da lasciare lo
stesso Yuri fermo al primo “te”. Nello sconforto più totale alla muta
domanda del piccoletto indicò la ragazza accanto a lui che cercando di non
ridere tradusse per loro.
«Sinteticamente: ha definito Boris un
bravo ragazzo ribadendo più volte che gli sta simpatico, proprio per tal motivo
vuole dargli una scatola di cioccolatini alla modica cifra di venti euro»
«Eh no, Kuznestov!»
Ivan ingoiò di getto il boccone
d’acqua all’urlo furioso di Yuri impalato su un rialzo in pietra di appena
dieci centimetri. La potenza delle corde vocali del suo capitano era qualcosa
di misterioso e anormale, spingeva chiunque a portata di tiro a bloccarsi. Anche
un mezzo viale pieno di sconosciuti che nemmeno sapevano chi fosse.
«Azzardati a comprare un’altra
diavoleria e ti farò sembrare Vorkov un dolce e piacevole ricordo»
«Tu come mai li capisci?» ignorando
il botta e risposta fra la furia dai capelli rossi e l’ormai deviato altro loro
compagno, Ivan preferì dialogare con la ragazza «Voglio dire, non parlano
italiano…li capirei in quel caso»
«No, è il dialetto della città» Julia
ridacchiò a disagio lisciando le pieghe vestitino color pesca mentre beandosi
della calda luce solare sulla pelle adocchiava di sbieco la furia moscovita «Il
napoletano è molto simile allo spagnolo, è come sentirli parlare nella mia
lingua madre»
«Yuri quante storie, i soldi sono di
Hiwatari!»
Kei impegnato a tirare le difettose
cerniere della valigia rizzò le orecchie all’affermazione voltandosi di scatto,
convinto che la voce del demonio sceso in terra sarebbe stata più rassicurante.
Abbondò la valigia nell’angolo precipitandosi nevrotico verso gli altri due che
finirono per ampliare il caos linguistico in corso.
Tra Yuri che sbraitava i suoi rimproveri in russo strettissimo, Kei che
mischiava frasi russe con parole giapponesi, lo sconosciuto che tutto contento
continuava a sproloquiare in napoletano e Boris prodigato a rispondere a tutti
e tre, Julia si chiese proprio come quest’ultimo non si fosse ancora rimbambito
del tutto.
«Ascolt a
me, te vogliò bbene comm si mi fossì fràte» (1)
«Non ha fratelli» lo zittì Yuri senza
nemmeno preoccuparsi di guardarlo in faccia «E non osare contraddirmi, lo so
meglio di te»
«Ah… non ha detto che si è fatto frate?»
domandò perplesso Ivan guadagnandosi un’omicida occhiata azzurra e uno sguardo
ametista dubbioso.
«Una volta tanto capisco la tua
confusione»
«Hiwatari, devo gridare al miracolo?»
«Ci mancava solo il Vorkov dei
poveri»
Il sopracciglio di Yuri scattò
involontariamente verso l’alto e le mani pallide si trattennero dallo
strangolare anche l’ultima persona sana della squadra.
Aveva appena perso anche Sergej.
«Chesta scatòl e'
cioccolatìn è speciale, nun
ne trovì accussì in girò. Chisti ovettì e' cioccolàt te leggon l''anìm!» al limite
dell’infervoramento l’uomo dalla barbetta rada attirò improvvisamente a sé
Boris avvolgendo un braccio intorno alle sue spalle «Rinto
ad ognunò puo' trovà a' verìtà
su e' te! Leggòn o' passatò, o' presènt e o' futurò!» (2)
Yuri chiuse e riaprì le palpebre
frastornato alle esagerate movenze della bocca dell’uomo bloccata in una “o”
mai terminata, accompagnata da due enormi occhi sbarrati che non battevano più
ciglio. L’uomo si era immobilizzato come una statua di cera fatta eccezione per
la mano che ancora ondeggiava le scatole di cioccolata.
«Tuttò dipènd ra' scatolà,
è essa a sceglie l''acquirènt!»
«Il deficiente semmai» commentò
scocciato Kei.
«Ma la frase originale non era in
quel film di magia dove era la bacchetta a scegliere il mago?» aggiunse perplesso Boris svincolandosi
dall’abbraccio improvvisato.
«Io vi ammazzo»
«Ivanov non hai preso i tuoi calmanti
stamattina?»
«Hiwatari, taci»
«Ascoltàm Borìs, te chiamm accussì no?» dal bustone
enorme pieno di scatole una turchese venne tirata fuori come se fosse il
cartoncino indemoniato a chiedere di essere preso «Nun
te sto ricenno na' bugià, ppe me si comm nu' figlio» (3)
«Grande affare» ringhiò Yuri
incrociando le braccia al petto «Quello vero gli ha spaccato una bottiglia in
testa prima di abbandonarlo in un cassonetto»
«Yuri, questa è roba privata»
«Boris famm
capì, tieni a mugliera gelosa?» (4)
«Fernandez!» la ragazza presa alla
sprovvista all’urlo prepotente si posò una mano sul cuore rischiando di finire nella
distesa salata sottostante «Cosa diavolo ha appena detto?»
«Un per favore sarebbe
gradito!» ribeccò lei infastidita scostandosi i capelli sfuggiti alla coda
fluente «Ed è meglio che tu non lo sappia»
Julia balzò agilmente giù dalla
ringhiera avvicinandosi alla mischia onde evitare di attirare ulteriori
occhiate indiscrete addosso, nemmeno nelle esibizioni del circo riceveva tanti
sguardi su di sé.
«Solo ora non ha capito cosa ha
detto?» bisbigliò Raul spuntando da dietro Sergej che non ne poteva più di
stare impalato in mezzo alla strada a fare da montagna vivente.
Kei scosse il capo rimpiangendo i
battibecchi inutili fra Daichi e Takao.
«Borìs, non te l'ho ritt
prima ma ora so ca' tu mi può capì» ogni traccia di allegria sparì dalla voce
dell’uomo, sostituta da un tono melodrammatico «Teng na'
vità difficilè, cu cheste scatòl faccio campà undici figli» (5)
«E con Boris sono dodici» puntualizzò
ironico Yuri inspirando a fondo per non trascinare di peso il suo amico,
l’unico insieme a Julia ancora in grado di divertirsi.
«Undici figli? E sono tutti suoi?»
«Ivan»
Il piccoletto alzò le mani in segno
di resa allontanandosi di dieci passi dal suo capitano.
«In Italia non sanno cos’è un
preservativo?»
Kei si allontanò a propria volta con
un sorrisetto da schiaffi soddisfatto al pericoloso tic nervoso intravisto sul
volto di Yuri. Boris gli aveva rovinato la giornata, lui l’avrebbe rovinata a
Ivanov.
Boris fissò la scatola di prova del venditore ambulante composta da oltre
quindici ovetti di cioccolato grandi all’incirca cinque centimetri. Non era un
amante della cioccolata ma gli era sempre piaciuto provare il cibo dei diversi
luoghi visitati durante i campionati. Dopo una vita bloccato al Monastero
riteneva di avere diritto a un po’di svago e alla conoscenza culinaria del
mondo. Soprattutto se si consideravano gli ultimi allenamenti estenuanti a cui
li aveva sottoposti il loro schizzato capitano pochi giorni prima. Avevano
dovuto correre sulla spiaggia di Rabat tutta la notte per compensare le ore di
allenamento perse di giorno.
«Facimm acucssì, te provò ca' funziòn
veramente!» così dicendo e mantenendo il manico della busta sotto il mento,
l’uomo prese una delle uova incartate da un’altra scatola allungandola verso
Yuri «Provalo tu ca' si accussì scettìco»
«Dai Yu, assecondalo» diede manforte
Boris abbassandosi quel tanto per passare un braccio intorno alle spalle del
capitano «Abbiamo altri quattro giorni di libertà prima delle sfide, non
succede nulla se ci svaghiamo un po’»
«Tu da quando sei diventato così
espansivo?» ribatté asciutto nella loro lingua natia scoccandogli
un’occhiataccia di sbieco «Siamo qui da sole cinque ore e già sei diventato
appiccicoso come queste persone»
«Sarà l’aria di mare a farmi venire
voglia di vacanza. E poi, dove la trovi tutta questa allegria a Mosca? Goditi
questo giorno di pace»
«Pace» ribadì scetticamente
schioccando la lingua «Ho i miei dubbi al riguardo»
Yuri con uno sbuffo esasperato prese
controvoglia l’ovetto di cioccolato nell’accesa carta rosa shocking,
scartandolo altrettanto rudemente. Rotto il cioccolato ne cedette senza
pensarci metà ai due accanto a lui. Boris ne approvò contento il sapore mentre
Julia restò a contemplare la cioccolata con le guance arrossate finché essa non
cominciò a sciogliersi tra le dita. Yuri d’altro canto srotolata la carta
pergamena inarcò un sopracciglio contraendo le dita sul foglietto.
“Hai
avuto problemi con le donne”
«La compro!» gridò Boris tossendo a
causa dai pezzetti di cioccolato andati di traverso a causa delle risate «È semplicemente
perfetta!»
«Te l’avèv ritt io» rispose l’altro con un sorriso di chi la sapeva
lunga su tali esperienze di vendita, chinandosi poi con fare confabulatorio
verso il malcapitato che aveva ormai accartocciato il foglietto «Cu sta bella figliola
accànt a te, te mettì a pènsà a Borìs?»
Julia arrossì fino alla punta dei
capelli leccandosi le dita ricoperte di cioccolato pur di non incrociare gli
occhi di Yuri, col risultato di trovarsi dall’altra parte Raul sbucato fuori dal
suo rifugio segreto.
«Oh Dios
Raul, torna a cuccia»
«Sentimi bene» sibilò Ivanov tirando
il napoletano per il bavero della camicia, venendo ostacolato nell’impresa
d’omicidio dalle improvvise braccia di Boris e Kei attorno allo sterno «Tu non
hai la minima idea di quante cose si possano fare con un coltellino svizzero,
ed io ne ho uno nella tasca. Sono stato addestrato per mutilare la gente e non
lasciare la minima traccia. Ti lascio andare vita senza un graffio a patto che
tu venda questa idiozia a dieci euro e sparisca nel nulla senza farti vedere
una seconda volta, ci simm capitì??»
L’uomo barbuto annuì vigorosamente
sospirando di sollievo quando la presa sulla camicia venne meno. Boris ghignò
divertito lanciando occhiatine allusive non colte all’amico mentre pagava e
congedava lo strano simpatico individuo. Lui sapeva bene il perché di
tutto quell’improvviso fervore da parte di Yuri, allo stesso livello di come
compativa l’inquietudine della ragazza per quella performance.
«Grazie mille Boris, che a Maronna t’accumpagni!» esultò
l’uomo afferrando le mani di Boris in un inchino appena accennato prima di
sgusciar via alla ricerca della prossima preda.
«Andiamocene prima che torni» ordinò
perentorio Ivanov bloccandosi a guardare il mezzo russo dopo il suo esame alla
zona circostante «Dov’è la tua valigia?»
Kei istintivamente si voltò
nell’angolino tra il pilastro e il parapetto del lungomare potendo quasi vedere
delle lineette immaginarie in stile cartoon segnalare la non presenza
della suddetta valigia. Il sudore freddo gli colò lungo la tempia mentre
freneticamente si guardava intorno sotto le occhiate perplesse di Ivan, la mano
sbattuta in fronte di Yuri, il menefreghismo di Boris, la preoccupazione dei
due fratelli e l’aiuto fornitogli solamente da Sergej.
«Hiwatari sono quattro pezze, puoi
ricomprarle»
«Ivan tu non capisci! C’è in gioco il
campionato!» urlò saltando agilmente su uno dei basamenti di pietra del lungomare
per avere un punto di vista più alto «Lì dentro c’era Dranzer!»
Yuri fece scivolare lentamente la
mano sulla faccia iniziando a comprendere perché Vorkov usciva di testa
rinchiudendoli in delle celle isolate alla minima disobbedienza. Al suo posto
dopo quattro anni sentiva di avere la stessa violenta inclinazione, e di
persone da tenere a bada ne aveva solo quattro.
La zingara mandata al diavolo in Marocco doveva avergli scagliato addosso una
fattura usando la magia nera che si era vantata di saper usare. Era stato
maledetto e le sciagure si sarebbero abbattute su di lui e i suoi compagni.
Esasperato si girò verso i due gemelli con aria distrutta.
«C’è posto nella vostra squadra?»
«Ehm…no»
«Sì!»
Allo squittio allegro Raul guardò
scioccato Julia che con indifferenza si aggiustò il cappello di paglia
volteggiando graziosamente su sé stessa alla leggera brezza. Catturando
inconsapevolmente l’attenzione di due iridi cerulee sulle sue gambe.
«Kei! Lì!»
L’indice di Sergej indicò un punto in
fondo al viale del lungomare in prossimità della curva dove una figuretta
sbilenca correva fra la folla con in mano un trolley blu notte. I due
scattarono insieme in una corsa a perdifiato riscuotendo Ivanov dalla sua
contemplazione che anziché unirsi all’inseguimento si limitò a osservare il
polverone alzato.
«Domani
il sole sorgerà»
«Cosa?»
Yuri scosse il capo confuso
squadrando Boris intento a mangiare il secondo ovetto della giornata, questa
volta bicolore. Boris masticava animatamente la cioccolata dall’aroma
eccessivamente dolciastro sventolandogli il foglietto ocra davanti la faccia.
«È la frase premonitrice dell’ovetto»
«Questa sarebbe la Spagna?»
Yuri incrociò le braccia sulle scale
mobili della stazione metropolitana con aria di sufficienza. Julia li aveva
fatti camminare per più di quindici minuti fino alla stazione metropolitana più
vicina – trascinando borsoni e valigia recuperata dopo una scazzottata –
affermando più volte di portarli in uno spicchio di Spagna.
«Beh, il nome della stazione è “Toledo”,
un po’ di Spagna c’è»
Ivan roteò gli occhi all’ennesima
occhiataccia fulminate poggiandosi scocciato al corrimano scorrevole, o meglio,
tentando di arrivarci. Il gomito scivolò e se non fosse stato per la repentina
presa di Sergej avrebbe fatto un viaggetto per il resto della scalinata
trascinando Julia in piedi con il capitano due gradini più in basso.
«L’architetto è catalano, Oscar Tusquets» ribatté appassionata ella facendo tintinnare
i grandi bracciali dorati «E smettila di star sempre a brontolare, sembri mio
nonno!»
Yuri corrugò la fronte ancor più
infastidito ripetendosi mentalmente i motivi che non gli avevano ancora fatto abbandonare
la ragazza in qualche stradina dispersa insieme al fratello.
Motivi che non sopraggiungevano. Non aveva alcuna ragione per portarseli dietro,
eppure, ancora non era riuscito a rinunciare a quella compagnia nonostante le
continue punzecchiature.
«Io non brontolo, sottolineo i fatti»
La scala mobile arrivò al pianerottolo,
Raul cercò di sorpassare l’armadio ambulante che aveva davanti così da
raggiungere Julia ma casualmente Boris si appoggiò a lui con la scusa di
reggersi per allacciare le scarpe. Sfortunatamente fu costretto ad imboccare le
successive scale mantenendo ancora i quattro scalini di distanza in compagnia
di Ivan e Boris.
Sperò sempre più vivamente un’apparizione di Romero disperso chissà dove.
«Sí, claro, no eres un viejo gruñón» (6)
«Cosa stai borbottando adesso?»
«Aprende español para entenderlo» (7)
«Ochen' khorosho. Vy uchite
russkiy» (8)
Julia gonfiò le guance indispettita
voltandosi dalla parte opposta con un piede sbattuto a terra, decisa a non dare
soddisfazione. Per i suoi gusti chiedere il significato della frase avrebbe accentuato
il malsano e sadico sorrisetto.
La scala scattò sul secondo pianerottolo e in vista dell’ultima rampa si aprì
anche lei in un ghigno di sfida quando il tripudio delle piastrelle celesti del
piano inferiore si parò loro dinanzi.
Soddisfatta e con aria altezzosa indicò al gruppo moscovita la bellezza della
stazione che aveva tanto desiderato visitare, un viaggio illusorio nelle
profondità dell’oceano. Il blu predominante sfumava nelle diverse tonalità
ricoprendo ogni centimetro alternato da spruzzi luminosi che al passo con il
movimento delle scale sembravano ricreare il movimento delle onde. La grande
apertura centrale nel soffitto enfatizzata dalle lucine soffuse ricreava
un’intensa tonalità celeste tanto simile a due occhi che con sua somma gioia
erano catturati quanto lei dal suggestivo spettacolo.
«Direi che questa sfida l’ho vinta
io»
Yuri abbassò la testa verso la
ragazza corsa giù per i restanti gradini giusto in tempo per cogliere una
fugace linguaccia diretta nei suoi confronti. Se la sua mente aveva avuto
qualche rimostranza, essa perse importanza disperdendosi come schiuma nel mare.
La stessa distesa salata in cui le pieghe svolazzanti della gonna ricordavano la
pinna di una sirena.
Venti minuti dopo, l’idillio
precedente sembrò per Yuri un ricordo lontano.
Gambe accavallate e braccia incrociate, aveva trovato la sua posizione di
raccoglimento spirituale ad occhi chiusi per estraniarsi il più possibile. Nessuno
l’avrebbe visto borbottare velate maledizioni, nessuno si sarebbe sentito
in causa da iniziare l’ennesimo battibecco.
«Dov’è il treno?»
«Ivan…come ti ho già detto le altre
cinque volte: no tengo idea»
Sergej annoiato chiese a Boris uno
dei cioccolatini ottenendone uno con bianche margherite stampate a ridosso
della carta arancione. Anni e anni a vivere in un luogo in lotta per la
sopravvivenza per ritrovarsi ad avere solo della cioccolata come fonte di
sostentamento durante il campionato. Per sua somma gioia anziché il dolciastro
cioccolato al latte trovò il cacao extra fondente mandorlato.
«Ti
accorgerai di aver smarrito qualcosa dopo averla persa»
lesse scettico riserbando un’occhiata altrettanto eloquente al compratore di
quella schifezza.
Julia smise di simulare passetti di
danza a ridosso della linea gialla placando finalmente l’apprensione di Raul e
con titubanza arretrò indietro fino alle sedute azzurre dove si erano arenati i
ragazzi. La stazione era stranamente desertica per via della festività.
«Non dovrei essere io a dirlo ma….non manca qualcuno?»
Bori inclinò la testa guardandosi con
aria annoiata.
«Nah
bambolina, siamo tutti»
«Non credo…dov’è Kei?»
«Sarà andato sul Vesuvio per far
sentire il suo pennuto infuocato a casa»
La testa di Yuri si sollevò
all’istante squadrando il piccolo gruppetto accanto a lui più e più volte. Ivan
contava annoiato le piastrelle, Boris se ne stava con i piedi sul suo trolley,
Sergej faceva uno spuntino, Raul si grattava la testa e Julia guardava lui
mordicchiandosi le labbra. La settima persona continuava a mancare all’appello
anche dopo il quarto conteggio.
«Dov’è finito quell’altro? Non era
con te?»
Sergej accartocciò la carta facendo
mente locale sull’ultimo avvistamento del compagno.
«Dopo aver recuperato la valigia
abbiamo parlato con una squadra di militari intervenuti a placare la rissa. Vi
abbiamo raggiunti e lui c’era ancora…. Pensandoci, non lo vedo dalla nostra
piccola sosta davanti il Teatro San Carlo»
«Cioè da più di mezz’ora…» rifletté
Raul analizzando inquieto la tranquillità con cui i russi parlavano del loro
alquanto disperso compagno «E voi non vi eravate resi conto di aver perso un
componente? Dovremo cercarlo? Potrebbe essere ovunque»
Tutto ciò che lo spagnolo ricevette
furono quattro spalle scrollate con disinteresse.
«Tornerà»
Raul inclinò il capo perplesso ai
piedi del gruppo scultoreo di Armodio e Aristogitone (foto).
Contro ogni sua aspettativa Yuri aveva avuto ragione. Il componente perduto del
loro strampalato gruppo era riapparso nei pressi del Museo Archeologico
Nazionale in cui Julia aveva insistito per entrare. Certo, Romero aveva
rifiutato la chiamata, il cellulare del presidente Daitenji risultava ancora
irraggiungibile, Mao aveva riattaccato a sua sorella sussurrando un veloce e
soffocato “sono impegnata” nello stesso identico modo di Rei, Hilary era
rimasta bloccata in qualche pizzeria con Takao, Mathilda e il resto del suo team erano andati a trascorrere i giorni di relax da
Gianni a Roma, ma nulla di quel cospicuo elenco giustificava il loro effettivo
ingresso nel museo. Amava l’arte tanto quanto sua sorella ma tra il dire e il
fare con un gruppo di asociali di mezzo aveva pensato non ci passasse il mare
bensì tutto l’oceano.
Ed ancora una volta aveva sbagliato.
Incredibilmente, dopo il giro di chiamate infruttuoso – a cui i russi fin
dall’inizio avevano laconicamente ammesso di non partecipare – Julia era
riuscita a strappare con i suoi occhi da cucciolo bastonato il consenso dal
freddo e posato capitano della Neoborg tra le grottesche risatine di Boris. Erano
entrati nel museo e persino le probabili rimostranze di Hiwatari – Raul il
russo ancora non lo capiva – erano cessate quando Yuri aveva minacciato di
usare la candida sciarpa come un guinzaglio per i giorni a venire.
Tutto era sembrato perfetto finché non si era ritrovato a osservare le sculture
non con sua sorella ma con la perenne presenza di Boris e Sergey attorno a lui.
«Mi sento come questo qui» enunciò
egocentrico Boris sollevando il braccio su cui era riversa la sciarpa di
Hiwatari nella medesima posa di Aristogitone «Mi
posizionerò così quando vinceremo il campionato»
«Sì, così Yuri ti ucciderà in diretta
mondiale»
«Mi farò anche crescere la barba»
Raul al centro fra i due provò a
parlare alzando il dito, rinunciandoci un secondo dopo.
«Per sembrare un vagabondo pedofilo?»
«Si vede che sei single. La barba è
sexy, farei strage di pulzelle»
«Convinto tu» ribadì sarcasticamente
Sergej con un ghigno derisorio «Non mi sembra di vedere alcuno stuolo di
ragazzine ai tuoi piedi»
«Non hai visto come la receptionist
non scollava gli occhi dai miei pettorali?»
Raul si voltò incuriosito a osservare
la canotta grigio topo sentendo la sua autostima scendere sottoterra. I muscoli
ben definiti di Boris premevano sul tessuto e tanto valeva che il russo non lo
indossasse proprio per quanto era aderente. Le sue acrobazie nel tendone di
famiglia richiedevano un fisico asciutto non bicipiti in bella mostra.
Sospirò pesantemente tornando all’osservazione del gruppo scultoreo.
«Smettila di fare la prima donna, c’è
qualcuno che sta andando in depressione»
Boris seguì il cenno del capo di
Sergej battendo una poderosa pacca sulla spalla del mingherlino spagnolo che
per poco si ritrovò ad abbracciare le gambe marmoree difronte a lui.
«Piccoletto non deprimerti, un giorno
crescerai anche tu…forse» accennando un movimento con la mano fece segno
a Sergej di estrarre dal marsupio uno degli ovetti fatti entrare abusivamente
nel museo «Mangia uno di questi per tirarti su»
Raul addentò la cioccolata
chiedendosi come e quando uno degli individui più inquietanti mai incontrato
nella sua vita fosse diventato la reincarnazione della sua prozia Greta. La
donna vestita sempre di mille colori che ad ogni visita offriva caramelle e
cioccolata considerati la cura ad ogni problema. Pure dopo la sua operazione
all’appendicite.
Incerto e sottopressione srotolò il foglietto con la quarta perla della
giornata.
“Non
scoraggiarti mai. Accetta
i tuoi limiti così da poterti amare”
«La zia Greta mi parla dal paradiso…»
Julia dondolò pigramente sui talloni
a pochi passi da Yuri.
Il cuoio dei sandali pungeva fastidiosamente attorno alle caviglie
costringendola a sfregarle fra loro per placare il prurito pur di non andare a
sedersi e perdere quell’unica occasione di pace insieme a lui. Era rilassante
girovagare con Yuri, silenzioso e discreto le permetteva di osservare le
sculture senza doverlo zittire continuamente come era accaduto ad inizio visita
con Boris e Ivan. In mezza giornata in loro compagnia tutte le sue convinzioni
dovute alle algide apparenze erano scemate spingendola a pregare si
ammutolissero.
Stentava a credere ai suoi stessi pensieri.
Soprattutto perché aveva smesso di osservare il capolavoro di perfezione
scultorea dinanzi a lei già da svariati minuti. Tutta la sua attenzione era
stata catturata dal corpo longilineo e dal colorito niveo delle flessuose dita
immerse nei disordinati capelli fiammeggianti ricaduti sulla nuca. I chili di
cera avevano finito il loro compito lasciandole ammirare i muscoli in tensione del
busto e delle braccia sollevate sul capo per raccogliere tale massa
disordinata. Mai nella vita era stata tanto felice di cedere il suo preferito
elastico verde smeraldo, straordinariamente perfetto per dei capelli rossi.
“Ti accadrà qualcosa di bello”
Il suo magico ovetto sgraffignato prima di entrare al museo le aveva
rifilato un’altra di quelle frasi fatte che seppur scontata proprio non voleva
saperne di andare via dalla testa. Un qualcosa di veramente bello lei lo stava
ancora ammirando con la sensazione di avere l’intero carnevale di Rio nello
stomaco. La fonte dei suoi pensieri stuzzicava involontariamente le sue più
recondite fantasie restando semplicemente immobile e concentrato davanti
l’enorme scultura dell’Ercole Farnese (foto). Le gambe lievemente
divaricate, la canotta sgualcita sollevata leggermente dalla cinta dei
pantaloni, il sottile strato scoperto di pelle chiarissima dove si intravedeva l’elastico
dei boxer. Indecisa fra il blu scuro o il semplice nero si ritrovò sollevata
sulle punte alla ricerca di un’angolazione per colmare quell’improvvisa urgenza
di conoscere il colore della biancheria intima. Finendo per non fissare strati
di cotone colorato ma due glaciali iridi celesti puntate su di lei.
«Esattamente, cosa stai facendo?»
Mierda.
Mierda. Mierda.
«Chi? Io?» la risatina isterica
proruppe involontaria insieme all’improvviso ciclone generato dal dépliant del
muso sventolato sulla sua faccia accaldata.
«No, Ercole qui dietro»
Julia avrebbe riso e punzecchiato il
russo per quel velato sprizzo di comicità se la battuta non fosse stata detta
con la stessa espressione di un cronista di cronaca nera. I lineamenti
spigolosi del volto accentuati dai capelli raccolti a tutto le facevano pensare
tranne ad un’amichevole e svagata chiacchierata tra amici.
Loro erano amici.
Forse.
Forse no.
«Santo infierno,
in questa tappa ci dobbiamo scontrare!»
Yuri a braccia conserte inclinò
lievemente la testa all’improvviso cambio discorso, squadrandola come un quadro
d’arte astratta di difficile interpretazione. Il cuore sussultò sotto
l’inquisizione di quei magnetici occhi in cui lentamente riuscì a veder
brillare una luce sinistra.
Oh, no.
L’angolo della bocca curvato in un
ghigno accattivante non promise nullo di buono ma contrariamente alle sue
previsioni nessun commento pungente o sarcastico uscì dalla bocca del
moscovita. Yuri le riserbò un’ultima occhiata tornando a contemplare la statua,
racchiuso nel suo menefreghismo che la punse nell’orgoglio più di una beffa sulla
sconfitta dello scorso campionato.
«Lo so che avresti voluto fare un
commento dei tuoi» commentò scocciata avvicinandosi al ragazzo che restò
immobile sul posto «Perché trattenersi?»
«Non mi andava di rovinare la
giornata»
Julia sbatté le palpebre intontita
inspirando il profumo muschiato del moscovita passatole accanto in quella
constatazione ammessa ad un passo dal suo orecchio. Schiarendosi la gola lo seguì
silenziosamente intorno all’Ercole Farnese indecisa se essere felice per quella
insolita gentilezza o preoccupata di avergli aumentato spropositamene l’ego.
Prima era stata beccata a fissarlo spudoratamente, doveva ringraziare soltanto
l’indole eccessivamente riservata del ragazzo se non aveva dovuto fornire
spiegazioni.
Julia non aveva affatto voglia di confidare al diretto interessato la curiosità
sul colore delle sue mutande o il desiderio di spalmargli della crema all’aloe
sulle spalle scottate. Solo al pensiero di potergli sfiorare la pelle di
porcellana il sangue le affluì di colpo sulla faccia spingendola nuovamente ad
agitare freneticamente il volantino.
«Non mi aspettavo di trovare tanto
interessante un museo»
Riflessione personale o meno, Julia
gradì quella seconda piccola confidenza. Come si era ridotta ad accontentarsi e
gioire per quattro parole stentate non lo sapeva nemmeno lei.
«Il museo può essere un luogo
meraviglio se sai come osservarlo» esordì in un sussurro flebile accucciandosi
ai piedi della scultura «Non è solo un contenitore di opere ma il luogo in cui
sono ospitate le opere» sollevò lo sguardo sull’imponente blocco
marmoreo per allontanare ogni piccante pensiero dalla mente «Ognuna ha la sua
storia e il suo significato, possono avere lo stesso aspetto, possono essere
copie ma nessuna sarà mai uguale all’altra»
Yuri l’ascoltò in silenzio abbassandosi sorprendentemente alla stessa altezza.
Il ginocchio fasciato dalla tuta bianca sfiorò la carne nuda del suo
provocandole uno sfarfallio nella bocca dello stomaco. Il muschio bianco tornò
prepotentemente nelle sue narici vanificando i suoi tentativi di mantenere
salda la voce nonostante il perfetto ambito di conversazione.
«Un’artista lascerà sempre la propria firma, magari con un dettaglio
microscopio o un elemento ricorrente, riverserà nelle opere la sua forza, la
sua sensibilità, la sua debolezza»
Gli affascinanti occhi azzurri
seguirono le venature marmoree dell’eroe greco dalle gambe in tensione fino
alla mano stretta attorno ai pomi poggiati sulla schiena in una suggestiva
prospettiva. Loro in confronto alla maestosità e bravura di antichi maestri del
passato erano dei ragazzi piccoli e semplici, ma nemmeno l’ammirazione per quei
memorabili capolavori poteva riuscire a surclassare il vero amore celato nel suo
cuore.
Julia aveva ammirato quel grado di concentrazione solo durante una sfida o gli
allenamenti di Beyblade, ma nemmeno l’incontro più soft aveva fatto sparire il
solco teso dalla diafana fronte. Sorprendentemente c’era riuscita una scultura
vecchia millenni.
«Non ho mai studiato arte» le dita
pallide sfiorarono la lucida superfice all’altezza del polpaccio in un mormorio
distante «Non sapevo nemmeno l’esistenza di cose del genere fino a qualche anno
fa. A Vorkov non interessavano tali insulse sciocchezze» le labbra si piegarono
in un criptico e sarcastico sorriso appena accennato «E credo di averne appena
capito il motivo, non erano adatte a persone come noi. Come me»
Julia sussultò sorpresa
giocherellando freneticamente con le estremità del sottile cinturino dorato
stretto in vita. Sentirlo parlare era un evento sporadico, avere una
conversazione ancora più raro. Ricevere confessioni private era semplicemente
fuori dalla realtà.
«L’arte rende umani, essere umani ti
rende libero»
La sottile malinconia calata
sull’ultima parola non sfuggì alle orecchie di Julia che non ebbe il tempo di
porre alcuna domanda.
Così com’era giunta, la ventata di intimità era scomparsa. Improvvisa e sconvolgente
come i flebili sguardi sinceramente divertiti intravisti nel corso della
mattinata.
Il cipiglio severo ritornò al proprio posto sancendo la conclusione della
conversazione inattesa, ma non il tumulto interiore. Julia in un impeto di
coraggio afferrò la mano del russo ancora sollevata sulla scultura.
Yuri trasalì impercettibilmente placando l’istinto di ritrarre il braccio. La
scrutò di sottecchi beandosi di un meraviglioso dolce sorriso capace di
scaldargli non solo l’arto bloccato con il suo.
«Yuri…sei più umano di quello che
credi»
Ivan si mosse a disagio sulla stretta
panca con il viso afflosciato sul palmo.
Un minuto prima aveva i suoi compagni dietro di lui, il minuto dopo erano tutti
spariti nel nulla lasciandogli la sola compagnia di Kei. Grazie alle dolci
paroline di Ivanov il mezzo nipponico non aveva completato la sua missione
camaleontica con l’arredo per poi sparire nel nulla. Era miracolosamente
rimasto all’interno della struttura con il suo maledetto e categorico silenzio
che gli stava togliendo pure la voglia di vivere.
Tutti loro erano di poche parole ma avevano un limite.
«Incredibile» provò nuovamente ad
intavolare un qualsivoglia dialogo indicando il video esplicativo sullo schermo
«Un’eruzione disastrosa ha mantenuto intatta fino ai nostri giorni una città
vecchia duemila anni»
«Mh»
Lo sbuffo frustrato di Ivan risuonò
fra le deserte sale della sezione epigrafica.
Avevano visto il video sullo schermo in quattro lingue diverse tanto da sapere
ormai a memoria le scritte sui diversi graffiti latini presenti e non presenti nelle
sale espositive.
«Certo che deve essere proprio una
brutta morte quella…sepolti dalla lava»
«Mh»
L’immagine sullo schermo cambiò
mostrando la scritta di quello che suppose essere il muro di un’osteria: “L’abbiamo
fatta nel letto. Lo riconosco, abbiamo sbagliato, ospite. Se chiedi perché, non
c’era nessun vaso da notte.” Ivan avrebbe vissuto volentieri in quei tempi
lontani soltanto per sfogare le proprie frustrazioni nello stesso modo.
Aveva voglia di mutilare Hiwatari e usare il suo sangue per scrivere sulle
pareti la sua frustrazione.
«Sei lì a festeggiare magari una vittoria
e puff…un fiume bollente ti entra in casa»
«Già, bella sfiga»
«Pensa se in quel momento eri in
bagno» un brivido gli percorse la schiena al sol pensiero di un liquido
bollente sulle sue parti intime «O peggio, a fare sesso»
Kei diede un segno di vita schiudendo
le palpebre.
Cosa avesse capito del video senza guardarlo fino a quel momento, Ivan non lo
sapeva.
«Almeno saresti morto appagato»
«Hiwatari non ti sembra di essere un
tantino cinico?»
«No, è la verità» il ragazzo scavallò
le gambe puntando le iridi ametista sul filmato concluso dalla musichetta «Potresti
morire anche adesso. Non vorresti addolcire il tuo ultimo viaggio seguendo gli
istinti di madre natura?»
«Quello che dovrebbe addolcirsi sei
tu» Ivan frugò nel tascone del pantalone mimetico estraendone una sfera
rossiccia «Tieni, addolcisciti con questo»
Kei soppesò l’ovetto afferrato al
volo aprendosi in una smorfia schifata alla cioccolata semi-sciolta finitagli
sulle mani. Con la cautela di un artificiere provò a staccare la carta riuscendone
a salvare solo metà uovo.
«Per quanto andrà avanti questa
storia?»
«Finché Boris non finirà di
smerciarli in giro»
«Sembriate assuefatti dalla
cioccolata»
«Non lamentarti, almeno hai qualcosa
da mangiare» balzato giù dalla scomoda panca Ivan stiracchiò le braccia al
cielo «Piuttosto, cosa dice la sorpresa all’interno?»
Kei contemplò la mano appiccicosa
strofinandola riluttante sul pantalone della tuta con il pezzo di cioccolata al
caramello infilato tra le labbra. Aprì il fogliettino di carta ripiegato
all’inverosimile scattando con i denti alla lettura della frase.
Il pezzettino vagante di cioccolata volò verso il suolo prontamente agguantato
prima di sfracellarsi.
«Un
giorno morirai»
«Ecco, hai ammorbato pure la
cioccolata»
«Boris, che ci fai ritratto nel tuo
post sbornia di capodanno?»
Sergej si frappose fra il chiamato in causa ed Ivan evitando un brutto fine
giornata allo sghignazzante e impertinente demonio in miniatura. A meno che la
croce sacra non fosse apparsa in sogno oltre che a Costantino pure a Yuri, la
scelta di portare una riserva aggiuntiva non era stata la loro tattica strategicamente
più vantaggiosa. Il loro capitano doveva avere una gran pazienza o uno spirito
masochista smisurato per aver aggiunto pure il topo ai cane e gatto dello
scorso anno.
Sergej era piuttosto incline a una posizione mediana fra le due alternative.
«Non ci sarà sempre Sergej a pararti
il culo!»
Ivan trotterellò attorno alla scultura
del Satiro Ebbro (foto) diventata il fulcro del
loro discorso da dieci minuti, deviando la sua fuga fra i due gemelli rimasti
ad osservare sconcertati l’ennesimo sprazzo di vitalità made in Russia. Si
erano ricongiunti tutti in una delle sale del primo piano per terminare la visita,
ma i programmi erano inaspettatamente cambiati alla vista della scultura del
culto dionisiaco.
«Boris, impara ad accettare la
verità»
«Tu impara a convivere con la tua statura,
ti farò restare un halfling per il resto della vita»
Kei grugnì infastidito allo scatto
della segreteria telefonica restituendo il cellulare ad Ivanov poggiato al
pilastro accanto a lui. Ivan sfrecciò loro davanti facendo svolazzare i lembi
della sciarpa avvolta in un doppio giro attorno al collo per evitare ulteriori
furti. Yuri riprese il cellulare inclinandosi al passaggio di Boris per evitare
una gomitata e il telefono finì riposto nella tasca posteriore.
«Hai intenzione di fare il lupo da
guardia per il resto della giornata?»
«Forse, almeno sarò certo di dove ti
trovi»
Yuri alzò meccanicamente le spalle
senza scollare gli occhi dalle balze della gonna pesca e dalla sua
proprietaria. Julia lo stava evitando dal discorso dietro la scultura, precisamente
dall’arrivo del fratello e Sergej.
Dall’eccessiva confidenza era passata al non guardarlo proprio più in faccia.
«Sai, la mania del controllo è un
disturbo ossessivo compulsivo»
«Chiamami quando mi trovano una cura»
commentò piattamente appurando la mancanza di un brillantino nella coda esterna
del vortice disegnato sul ventre del vestito «Ah no, non puoi farlo, ti manca
un cellulare»
Kei seguì la traiettoria visiva del
capitano alternando la coda dell’occhio dall’uno all’altro senza commentare.
Non erano affari suoi gli ormoni altrui se non minavano la loro vittoria al
mondiale. Riteneva Yuri una persona con i piedi per terra capace di sapersi
controllare.
«Spero per il vecchio che sia in un
ospedale»
Kei ghignò serafico voltandosi verso
le lunghe dita battute ritmicamente sull’avambraccio.
«Altrimenti ce lo farai finire tu?»
«Esattamente»
Ivan inciampò in un invisibile
ostacolo sbattendo il gomito contro la base della scultura. Al gemito di dolore
Boris ritenne la sua vendetta parzialmente realizzata e con rinnovato interesse
tornò a osservare la statua bronzea centimetro per centimetro.
«Certo che a quei tempi capivano
benissimo le gioie della vita» accennò col capo verso il centro della scultura
e il dito verso i suoi gioielli in basso «Si vantavano proprio della loro
mercanzia»
Sergej allentò la postura
assottigliando pericolosamente gli occhi in un’ammonizione che Boris fece finta
di non vedere avvicinandosi ancor di più al pezzo artistico. La decorazione
proveniente dalla Villa dei Papiri di Ercolano – secondo le informazioni date
da Julia – mostrava il satiro abbandonato su una roccia coperta di pelle
leonina con il braccio alzato e il volto in estasi. Nella mente di Boris non
era il vino la causa di quell’euforia.
«Sarei stato perfetto come loro
modello»
«Boris, no»
«Cosa Sergej? Avrei aumentato gli
standard dell’epoca»
«Non ci interessa»
Boris sorrise ampiamente gettando
un’ombra sinistra sul suo viso ignorando totalmente le flebili rimostranze di
Raul che insisteva per terminare la visita e andare via. Il carattere timido
del ragazzo non era adatto a tali discorsi.
«Sergej…» la prima “e” del
nome venne dilungata con fare allusivo «Avrei soddisfatto quelle donne non solo
visivamente, lo sai»
«Perché dovrei saperlo?»
Julia sospirò camminando in tondo
nella sala evitando accuratamente di ascoltare le speculazioni di Boris.
Avrebbe voluto smorzare l’egocentrismo del russo con poche e ben dirette parole
ma l’intromissione di Yuri avvicinatosi per farli smettere aveva dissuaso ogni
iniziativa.
Come le era venuto in mente di afferrargli la mano?
Aveva un incontro da disputare contro di lui, doveva restare lucida e prendersi
la sua rivincita. Sicuramente Yuri sarebbe sceso in campo per primo ed il suo
sesto senso non sbagliava mai. Almeno nel beyblade.
«Julia!» al richiamo di Boris fissò
sconfortata il naso a patata di Tolomeo III trovandolo fin troppo simile a
quello di Ivan «Ma questi greci o romani si applicavano tanto ai dettagli per
poi lasciare le sculture tutte bianche o color bronzo?»
Perlomeno erano ritornati su un piano
di conversazione decente.
«No, molte erano variamente colorate»
ritornò sui suoi passi fino al gruppetto disposto ora intorno alla statua del
satiro addormentato «Il colore è stato lavato via dal tempo, le puoi immaginare
con i colori più disparati»
«Ivan lo vedi che avevo ragione io? I
peli pubici potevano essere biondi»
Julia ritenne di aver cantato
vittoria troppo precocemente. Incominciava ad apprezzare maggiormente il
carattere timido e insicuro del fratello che non si sarebbe mai sognato di iniziare
una simile conversazione con lei presente.
«Por el
amor de Dios, Boris, estás viendo piezas de historia de valor incalculable...sai
pensare solo a questo?!» (9)
«Perché tu non ti sei mai chiesta se
Yuri li abbia rossi anche laggiù?»
Julia desiderò essere nel suo circo
per potersi gettare in caduta libera dal trapezio e porre fine alle sue
continue figuracce della giornata. Perché alla domanda innocente totalmente
inaspettata e fuori luogo, l’occhio al punto alluso l’aveva gettato, anche fin
troppo allungo. Yuri aveva smesso di incenerire Boris squadrando sorpreso lei
quando se ne era accorto.
Il sopracciglio vermiglio si era alzato così lentamente da permettere a Julia
di contare mentalmente i cinque secondi sembrati un’eternità.
Detestò sé stessa e la sua grandiosa idea di entrare nel dannato museo.
«Oh, io… ecco, non saprei» tossicchiò
a disagio farfugliando sconnesse parole spagnole tanto da divertire persino
Hiwatari bellamente posizionato a godersi lo show «Suppongo di sì, è quello il
suo colore naturale…ma, non sono cose che mi interessano!»
Boris stava per rispondere ma qualunque fosse il significato delle parole russe
tuonate da Yuri esse servirono a zittirlo all’istante.
Kei non riuscì a trattenere il sorrisetto da schiaffi tra l’incapienza di Ivan
e gli afflitti sospiri di Sergej. Con i Bladebreakers non si sarebbe mai
ritrovato un siparietto tanto fraintendibile che con suo sommo divertimento non
era ancora destinato a terminare.
«Dovresti placare le carenze
della tua mogliettina»
Il sussurro che tale doveva essere
all’orecchio risultò essere invece uno spillo caduto nella Chiesa. Yuri afferrò
l’avambraccio di Boris deciso a stritolarlo e a privarsi così di un componente del team per tutta la restante parte del campionato. Il suo
amico scrollò le spalle come se non avesse appena lanciato l’ennesima
fraintendibile espressione ma una elucubrazione filosofica d’alto rango che non
aveva fatto voltare Julia verso di loro.
«Di che carenze estás hablando?»
Raul scrutò sua sorella indagatore,
Ivan cominciò a capirci qualcosa.
«Nulla!» si intromise Sergej
bloccando la visuale del duo prossimo alla rissa «Cioccolata. Sì, Boris stava
parlando di carenze di cioccolata»
Kei annuì ironico appoggiando lo
sproloquio solo per vedere dove sarebbe andati a finire.
«Cioccolata?»
«Sì!»
Julia si ritrovò schiaffato fra le
mani uno degli ovetti azzurri chiedendosi se il colore non le fosse stato dato
di proposito, ma l’unico propenso a quei giochetti era stato trascinato
nell’angolo più remoto del salone adiacente a discutere animatamente in russo.
Il cioccolato al latte quasi non le andò di traverso alla lettura del
foglietto.
«Pesce
d’aprile!»
Le rotaie fischiarono stridule nel
tunnel sotterraneo.
La visita al museo era terminata nel pomeriggio inoltrato con il giro nel “Gabinetto
segreto” anziché la sezione egizia del pianto interrato. Boris aveva
trascinato tutti nella piccola ala dedicata alla pittura e oggettistica erotica
del passato sostenendo di ampliare il giusto lato della cultura. Raul aveva
chiuso gli occhi agli eccessivi commenti espliciti finché il russo non aveva
acconsentito a farli nella sua lingua natia dopo averlo visto centrare in pieno
una teca.
Il vagone della metro si arrestò alla successiva sconosciuta fermata
metropolitana lasciando scendere le poche persone sul vagone silenzioso. La
scritta “Dante” monocromatica svanì presto alla vista inghiottita dal
buio del tunnel, oscuro come il loro senso dell’orientamento del momento. Nemmeno
la rete internet – inesistente dati i trentacinque metri sottoterra – avrebbe potuto
dissolvere i dubbi sulla loro posizione geografica.
Perseguivano il loro vagabondaggio senza meta.
All’uscita dal museo Julia aveva maledetto il loro allenatore quando all’ennesima
chiamata anziché la voce di Romero aveva udito quella di un poliziotto dal marcato
accento italiano. Il telefono del suo attentissimo allentare era stato
trovato abbandonato in strada e ora figurava fra gli oggetti smarriti di una
qualche stazione di polizia di cui non si era premurata di conoscere il nome.
«Secondo me dormiremo qui stanotte»
borbottò Ivan con le gambe incrociate su uno degli scomodi sediolini di
plastica «Noi, il treno…e la cioccolata»
«Por favor, no» i capelli castani disordinati ondeggiarono sulla schiena
all’aumento di velocità del treno «Ho bisogno di una doccia, dobbiamo trovare
il nostro hotel»
«Nel peggiore dei casi puoi sempre usare il mare»
Julia strinse il sostegno giallognolo
a cui era aggrappata scoccando un’occhiata seccata al ragazzino che considerava
serissimi e utili i propri suggerimenti. Aveva creduto di poter placare la
lingua acida dei russi con dei dolci comprati su suggerimento di un passante e
per dieci minuti ci era pure riuscita. Era certa che le tondeggianti brioche
ripiene di crema al latte, panna e ricotta non fossero state solo il suo miglior
momento della giornata.
Le soffici nuvolette cosparse di zucchero a velo avevano stregato persino
Hiwatari che ne aveva comprate alcune da portarsi dietro.
«A proposito di cioccolata…»
«No Boris, non aprirne un altro!»
«Non ti è piaciuto l’ultimo
biglietto?» cantilenò sornione il russo alla ragazza che senza troppi preamboli
gli tirò un calcio sulla gamba sotto lo sguardo terrorizzato di Raul «Quante
storie per uno scherzo…Yu, apri il tuo! L’ho scelto con cura»
All’impassibile faccia del capitano
in piedi davanti a lui ritirò l’ovetto.
«Ho capito, lo apro io per te»
La metro giunta alla fermata di “Toledo”
arrestò momentaneamente la sua corsa attendendo qualche passaggio sui binari.
Tra il ronzio del mezzo e le sirene d’allerta per la chiusura delle porte,
Boris scartò l’involucro oro estraendo un ovetto al cioccolato bianco lanciando
un’occhiatina divertita al suo capitano. Yuri osservò il suo gusto preferito
detestando enormemente colui che in un modo o nell’altro continuava a coinvolgerlo
con delle stupide uova neanche fosse una gallina.
«E questo cos’è?» con uno schicco
aveva aperto l’ovetto tirando fuori un piccolo bastoncino rosso insieme al
foglietto «È un peperoncino?»
«Un portafortuna» Julia si avvicinò indicando con la mano libera il piccolo
corno rigirato fra le dita «Una volta il nonno me ne ha regalato uno dopo un
suo viaggio in Italia, è molto diffuso qui. Funziona come amuleto contro la
cattiva sorte solo se è regalato…considerando che ti è stato dato da Boris
potrebbe funzionare»
«Teoricamente l’avrei pagato io»
«Sì sì, Hiwatari lo hai pagato tu»
ripeté Boris ondeggiando la mano incurante.
«Che sia di Kei o Boris non cambia»
sentenziò Yuri infilandosi il cioccolato in bocca e il finto peperoncino in
tasca «Non credo a tali sciocchezze»
L’ultima sirena d’avviso cessò di
suonare mentre la metro bruscamente riprese la sua corsa. Yuri sbilanciato
all’indietro cercò di riafferrare il sostegno mancandolo di qualche centimetro.
Il piede calpestò quello di Julia dietro lui, la ragazza urlò per il dolore
perdendo la presa e al successivo slancio del treno finirono entrambi sul
lurido pavimento calpestato da milioni di persone. Fortuna o meno, Yuri
era caduto di spalle addosso alla ragazza da cui si spostò velocemente di lato
quando sentì il seno premuto contro la schiena.
«Stai bene?» domandò d’istinto mentre
la vedeva rimettersi seduta.
Julia annuì adagio sorreggendosi la
testa, troppo indolenzita per badare al colore salitole sulle guance o alla
gonna del vestito sollevata più del dovuto.
«La chiamavano fortuna»
«Boris, taci»
Boris seduto su un vaso di pietra
privo di fiori contemplò la piccola piazza con l’obelisco centrale piena di
gente. Il campanile rintoccò le diciotto fra il chiacchiericcio festoso delle
persone e la musica di un artista di strada. Boris stava rivalutando quella
città man mano che il tempo passava, nonostante il broncio contrariato messo su
da Ivanov.
Napoli era tanto diversa da Mosca, se non direttamente opposta. C’era una
vitalità che nelle strade della sua madrepatria sembrava mancare, come se il
clima del luogo potesse influire sull’espansività e carattere dei suoi
abitanti. Da quel punto di vita Yuri era l’incarnazione del russo perfetto,
freddo e glaciale come la neve. Rigido e chiuso non aveva nemmeno provato a
guardare la città con altri occhi, ma anche lo strato di neve più dura alla
fine cedeva il passo alla primavera con un piccolo aiuto.
Boris sogghignò guardando nella medesima direzione di Yuri verso il tappetto
riccamente lavorato disposto sotto l’obelisco. L’anziano signore con la chitarra
battente era stato più che felice dell’aggiunta di due persone alla sua piccola
esibizione a cui aveva consegnato rispettivamente un tamburello e un foulard verde
acqua.
Per quanto l’affiatamento dei gemelli fosse invidiabile in fatto di
coordinazione musicale e movimenti per una canzone folkloristica che sentivano
per la prima volta, Boris dubitava altamente che Raul fosse minimamente
calcolato dal suo capitano. Gli ondeggiamenti sensuali di Julia purtroppo per
lo spagnolo avevano attirato anche la sua attenzione e non solo. Sergej
involontariamente si era trovato a battere il piede a ritmo con la musica e
Ivan…l’avevano mentalmente perso. Preso da uno schizzo mentale era andato a
farsi dare un altro tamburello accovacciandosi accanto al tipo, non azzeccando
nemmeno una nota.
«Hiwatari, unisciti alla danza, la sciarpa ce l’hai» proferì alzando la voce
per farsi sentire dal ragazzo appoggiato al palo che gli rifilò un dito medio
elegantemente alzato.
I piedi di Julia batterono a ritmo con foulard ondeggiato sulla testa nel
girotondo improvvisato attorno al fratello, tornarono indietro fino all’orlo
del tappeto, poi di nuovo in avanti in una piroetta. La risata cristallina
risuonò fra le note nel volteggio e i capelli al vento mentre i due occhi verdi
puntarono il pubblico in fondo alle scale della chiesa.
Qualcuno del pubblico, puntualizzo Boris nella sua testa.
Volontariamente o meno Julia non smetteva di incrociare lo sguardo con il suo
capitano in movenze che Boris stesso iniziò a pensare non fosse giusto vedere.
Non aveva mai avuto una fidanzata ma gli istanti maschili sì, e fantasticare
sulla donna del proprio migliore amico era troppo persino per uno come lui.
«Hiwatari, me la fai la lap dance quando torniamo in hotel?»
domandò sensuale ottenendo in cambio un vacuo sguardo ametista.
«Cosa c’è di sbagliato in te?»
«Voglio conoscere il fuoco che ti porti dentro» proferì simulando un graffio
con la mano che mandò ancor più in confusione il blader dell’aquila rossa.
Kei lo stava studiando come una specie in via d’estinzione al pari del russo in
mezzo a loro. Yuri non aveva emesso il più piccolo verso di disapprovazione
agli urli nei timpani o alle risposte acide continuate fra loro. Osservava il
balletto totalmente immobile da ignorare il leggero pizzico datogli sul
braccio.
«È ancora vivo?» chiese il mezzo russo sporgendosi in avanti per osservare il
volto niveo.
«Si spera, ci serve per il campionato»
Boris tamburellò le dita sul ginocchio riportando l’occhio sulla ragazza che
ferma sul posto e voltata a tre quarti ondeggiava l’estremità del foulard con
un sorriso malizioso, ricambiato persino dal tronco di legno accanto a lui.
Il balletto finì in uno scrosciante applauso generale a cui Boris decise di
unirsi.
Yuri non diede tale gioia occupato a rispondere al cellulare nello stesso
istante in cui un gruppo di ragazzini urlanti riconobbe i due gemelli come
membri del team spagnolo.
«Buonasera a lei presidente Daitenji»
Abbassatasi a parlare con una
bambina, Julia annuì contenta tramutando in realtà il brutto presentimento di
Boris che non ebbe modo di riflettere sulla macabra inflessione usata da Yuri
al telefono. La bambina e i suoi amici li avevano circondati in meno di tre
secondi, saltellando estasiati alla notizia di avere incontrato non una, ma ben
due squadre del campionato.
«Il presidente Daitenji è un uomo
ricco?» domandò Ivan portando svogliatamente il borsone sulle spalle nell’unica
via con leggera pendenza di tutta Napoli.
«Si presume di sì» rispose Boris trascinando il trolley sul marciapiede
dissestato infangando la rotella negli escrementi di un cane «Ti capiterà qualcosa di brutto…
ecco. Continuate pure a dire che le previsioni non siano vere»
«Ok…ignorando i tuoi stupidi biglietti, mi spieghi perché se lui è così ricco
noi stiamo camminando in una fottutissima strada diretti ad un appartamento qualunque
infilato nel centro antico di questa dannata città?!»
«Perché il carissimo presidente si è dimenticato di prenotare l’hotel
per noi» ringhiò in risposta Boris pulendo con una smorfia la ruota della
valigia davanti il Duomo «E dato che è Pasqua, non ci sono più posti nella
struttura»
«In ogni caso ci è andata comunque meglio di loro» aggiunse Sergej accennando
ai gemelli alle loro spalle, Julia continuava a battere pacche consolatorie
sulla testa del fratello «Il presidente si è completamente dimenticato di avere
un team spagnolo finché Yuri non gliel’ha ricordato»
Ivan represse un brivido lungo la
schiena al ricordo delle calme e pacate risposte date dal suo capitano al
telefono. Yuri aveva educatamente ringraziato il vecchio, firmato gli autografi
ai ragazzini e raccolto le sue cose senza dire una parola. Si era fatto seguire
in uno dei vicoli senza dare risposte finché raggiunta una discreta distanza da
orecchi indiscrete non aveva iniziato a urlare dalla rabbia.
Era stato un evento surreale.
Yuri aveva sempre alzato la voce per
un lancio sbagliato, un comportamento inappropriato, una frase fastidiosa come
quella mattina, ma Ivan non aveva mai sentito il suo capitano urlare dalla
rabbia nel senso letterale del termine.
Soprattutto, non in russo, spagnolo e napoletano confuso nello stesso momento.
«Siamo quasi arrivati»
Ivan ritornò al presente alla solita
tranquilla inclinazione di Yuri in testa al gruppo con il navigatore alla mano.
La voce era ancora un po’ rauca dopo lo sfogo ma il suo capitano non sembrava
farci particolarmente caso fra le varie istruzioni date nel groviglio di
strade.
Svolta a destra, poi sinistra, un vicolo interno, un arco di pietra e il
cortile con il piccolo condominio dalla vernice rosa scrostata era davanti ai
loro occhi insieme a una donna dai vaporosi cappelli biondi.
«Oh, voi dovete essere i blader di Mister
Daitenji»
Yuri non seppe se trovare più
inquietante il civettuolo nomignolo o i due baci schioccati improvvisamente
sulle sue guance. La donna dal rossetto rosso fuoco aveva totalmente ignorato
la sua mano tesa soffocandolo in un abbraccio dal forte profumo di cannella.
«Julia…non è che siete parenti?»
chiese Boris arretrando insieme a Kei accanto alla spagnola pur di non
incappare nella stessa sorte del loro capitano.
«Me lo hai già chiesto con la
presunta veggente» la voce squillante della donna continuò spingendola a
sussurrare «Non capisco perché continui a imparentarci tutta la gente più
strana»
«Siete proprio un amore di ragazzi,
su venite!» Yuri si tastò la faccia appena stritolata dai pizzicotti della dolce
signora finendo per essere trascinato dentro proprio da lei «L’appartamento
libero è al quarto piano, vi tocca solo un ultimo sforzo!»
«Ultimo…» Ivan sollevò lentamente il
capo verso il soffitto nell’androne dal cui vano centrale si vedevano i vari
piani, ognuno caratterizzato da tre rampe di scale ad andamento a spirale
«…sforzo»
«Non possiamo usare quello?» Boris
indicò speranzosamente l’ascensore all’interno di una gabbia metallica
auspicandosi di non dover trascinare ulteriormente la valigia.
«Mi dispiace, è rotto»
L’appartamento concesso dal
presidente Daitenji era composto da un tetro corridoio senza finestre su cui
erano disposte su di un lato della parete le diverse porte delle stanze, ad
eccezione dell’unica posta in fondo a tutto occupata dai russi. A seguire lungo
il muro si trovavano la camera da letto col letto matrimoniale scelta dai
gemelli, un minuscolo salottino con un tavolo e quattro sedie e una
strettissima cucina in cui erano state trovate scatole di ogni tipologia di tè
esistente. Giusto difronte l’ingresso era infine situata la porta del bagno.
Perlomeno di quello che si presupponeva dovesse essere un bagno e non una
latrina uscita da una qualche prigione messicana. Stretto e lungo, il “bagno-corridoio”
così etichettato da Boris era largo a malapena due metri e lo spazio
diminuiva se si considerava la presenza dei sanitari. Il lavandino dalla
porcellana graffiata e il bidet non erano stati considerati un problema,
tutt’altro discorso invece aveva ricevuto il water.
«Come dovremmo usarlo?» domandò incerto Boris fermo sulla soglia indicando i
venti centimetri di spazio fra la tazza del water e il muro piastrellato.
«Ti lamenti tu?» ribatté Julia
sgusciando al di sotto del braccio alzato del moscovita per esaminare
più da vicino non solo il sanitario ma la macchia nera in alto sul muro «Almeno
voi una cosa potete farla in piedi, nemmeno io riesco a sedermi!»
«Vorrà dire che dovrai mettere in pratica gli insegnamenti del tuo circo anche
in bagno» al sol pensiero Boris cominciò a sghignazzare «Un piede sul
lavandino, uno sul pannello della doccia e puoi diventare la versione femminile
di spiderman»
«Questi quattro giorni saranno un incubo» sussurrò lugubre Sergej.
«Io non ho problemi» concluse Ivan con un sorriso smagliante invitando tutti a
uscire dal bagno «Scusate, ma devo usare il bagno…io che posso»
Il trio si ritrovò la porta sbattuta
in faccia.
«Dobbiamo vincere questo campionato»
Yuri sostenne veemente la sua tesi insieme all’anta dell’armadio rimastagli in
mano all’apertura, sotto lo sguardo perplesso di Boris dietro di lui.
«Yu, io credo che tu-» Boris si abbassò di scatto quando il capitano si voltò
con tutta l’anta «Io credo che tu debba solo distenderti su un letto e rilassarti»
«Sono perfettamente calmo» ribadì freddamente il russo dagli occhi azzurri
voltandosi nuovamente verso il resto dell’armadio mancando di poco Sergej
appena entrato in camera «Dobbiamo vincere assolutamente questo
campionato»
«A proposito di letti» cominciò Kei
gettando la valigia sul letto a castello di sinistra «Questo è mio e non
intendo condividerlo con nessuno. Fatevi la conta per vedere chi tra voi dovrà
dividere il letto»
«Io sono troppo ingombrante per
dormire in due» proseguì Sergej occupando il letto sotto quello di Kei.
«Io non intendo ricevere calci
notturni da Boris» aggiunse Ivan precipitandosi sul penultimo letto libero.
Yuri riuscì a rinfilare l’anta nei
cardini senza aver prestato ascolta ad una singola parola. Soddisfatto
dell’impresa trovò infatti nella sua ripresa relazionale con la realtà il
sorriso sbilenco di Boris ad accoglierlo. L’amico mestamente gli indicò
dapprima l’ultimo lettino libero sopra la cuccetta di Ivan e poi loro due.
«Perché finisci sempre nel mio
letto?»
«Non è tuo, è nostro ora»
Yuri poggiò il proprio borsone sulla
scrivania impolverata scoccandogli un’occhiata eloquentemente seccata mentre
tirava la cerniera.
«Se vuoi posso sempre accoppare lo
spagnolo» alluse casualmente Boris sedendosi al contrario sulla sedia che
scricchiolò sinistramente «Così puoi dividere il letto con la bella nell’altra
stanza»
«Yuri mi presti una delle tue
maglie?»
«Boris prova a dirlo di nuovo…»
sibilò il capitano passando una t-shirt nera a Kei senza nemmeno guardarlo «…e
stanotte dovrai dormire con un occhio aperto se non vuoi trovarti di sotto»
«Perché ti dà così fastidio ammettere
di essere attratto dalla caliente spagnola?»
«Yuri, mi presteresti anche un
pantalone?»
«Perché sono solo tue fantasie»
ringhiò il russo sbattendo il pantalone fra le mani del bicolore accanto al
tavolo «Non mi piace Julia»
«Però è diventata Julia, lo
scorso anno era solo Fernandez»
«Yuri…anche dei boxer»
«Anche Kinomiya ora chiamo Takao»
rispose seccato cedendo automaticamente il capo estratto dal borsone
arrestandosi interdetto a fissare Boris l’istante dopo. Repentinamente si voltò
insieme a lui vero Kei «Perché stai usando il mio vestiario? Tu non sei
miliardario?»
«Non posso usare le mie cose» Kei strappò
via i boxer dalle mani del russo aggiungendoli al mucchio di vesti preso in
prestito «Non ho la minima idea di dove siano finite»
«Nella valigia?» chiese retoricamente
Boris ricevendo un grugnito in cambio.
«Ho questo nella valigia!» dalla
chiusura del trolley venne tirato fuori un reggiseno giallo limone arricchito
da pizzo nero sulle coppe, una gonna, un top attillato e altri vestiti
decisamente femminili «Devo aver preso la valigia sbagliata quando siamo usciti
da quel maledetto museo»
«Oh, ora puoi farmi la lap dance!»
«Che cosa?»
«Niente, Yu»
«Qui bisogna festeggiare» Ivan
scoppiò a ridere innalzando uno degli ovetti al cioccolato come il calice per
un brindisi «Vediamo cosa dice il nostro personale oracolo come suggerimento…Adesso sbadiglierai»
«Vuoi sapere dove infilare quelle uo-»
Kei non riuscì a terminare la frase
colpito da uno sbadiglio.
«Funziona!»
Esultò Ivan sbadigliando a sua volta
e innescando una reazione a catena in tutti loro senza più riuscire a terminare
un’affermazione di senso compiuto priva di sbadigli. Hiwatari con le lacrime
agli occhi dopo il quarto sbadiglio prese i vestiti di Ivanov catapultandosi a
torso nudo nel corridoio fra i diversi improperi.
Julia uscita dalla cucina inclinò la testa poggiandosi allo stipite della porta
piuttosto interessata alla sfilata non richiesta, particolare che non sfuggì
all’altro russo all’inseguimento.
«Kei!» lo richiamò Yuri andandogli
dietro con ancora la mano sulla bocca «Fra la varia lingerie della valigia hai
almeno Dranzer?»
«Secondo te sarei qui se non
l’avessi?!» urlò in risposta il bicolore chiudendo con foga la porta del bagno.
Julia sussultò allo schianto
scuotendo confusamente il capo verso Raul sbucato fuori dalla camera. Lei non aveva
idea del perché l’algido russo dovesse avere dei completini sexy con sé o più semplicemente,
non riusciva a capacitarsi di come sembrassero normali ragazzi fuori dalle telecamere
dello stadio.
Yuri inspirò a fondo nella camera finalmente
in pace con sé stesso.
Dopo quasi ventiquattro ore di travagliate avventure era rimasto solo.
Stropicciò gli occhi ancora assonnati nella penombra leggendo il messaggio sul
cellulare lasciatogli da Sergej prima di uscire. Lui e Ivan erano andati a fare
la spesa, Kei alla ricerca della sua perduta valigia, Boris a fare la doccia.
Per quanto riguardava gli spagnoli, a Yuri bastava la musichetta orribile
proveniente dalla loro camera per sapere fossero ancora vivi.
Gettò il cellulare sul letto passandosi una mano fra i capelli appiccicati sulla
fronte mentre reprimeva il desiderio di aprire una finestra sprovvista di
zanzariera. Il caldo poteva sopportarlo seppur sofferente, le punture degli
insetti avrebbero soltanto peggiorato il suo umore.
Liberatosi della canotta umidiccia e dei pantaloni afferrò uno degli
asciugamani messi a disposizione dalla donna inquietante per andare a
sollecitare il suo amico. Boris e le interminabili docce erano uno dei frequenti
cliché nel loro appartamento a Mosca, il suo amico restava per mezz’ora sotto
il getto ghiacciato sia in inverno che in estate.
Aprì e richiuse la porta del bagno strizzando gli occhi alla luce al neon fin
troppo forte per chi come lui usciva dalle tenebre appena sveglio.
«Y…Yuri?!»
Ogni barlume di sonno scomparve dalla
pelle del russo quando si rese conto di essersi avvicinato nello strettissimo
bagno-corridoio non al suo virile amico ma un grazioso e alquanto svestito
corpo femminile. All’urletto isterico di Julia istintivamente si coprì
l’orecchio evitando per un soffio una spazzola.
«Ma sei impazzita?!»
«Io?! Ti sembra il modo di entrare?!»
urlò inferocita lei sostituendo nell’attimo di distrazione un asciugamano alle
braccia inizialmente sollevate a copertura del seno «Chiudi gli occhi ed esci
immediatamente da qui!»
«O chiudo gli occhi o esco, deciditi!»
«Devi fare entrambe le cose. Ahora!»
«Se mi dai il tempo e la smetti di
strillare, lo faccio!»
«Tiempo
para qué??!» insistette lei prendendo in un atto
disperato lo scopino del bagno per brandirlo come una spada «Sono mezza nuda,
vedi di sparire!»
Yuri arretrò di un passo all’istante
alla massa batteriologica e probabilmente mortale racchiusa tra le setole di un
oggetto usato da un numero fin troppo elevato di estranei, trattenendo a stento
un conato all’odore di disinfettante misto a qualcosa di cui preferiva non
accertare l’origine.
«Me ne vado se togli questo coso
dalla mia faccia»
«Ivanov, non sei nella
posizione di dare ordini»
«Nemmeno tu se è per questo» rispose pacatamente
il russo alludendo fin troppo chiaramente allo sbilenco asciugamano arancione
che non arrivava a coprire gli slip in pizzo color carne.
«Julia tutto bene?»
Julia sbiancò all’urlo del fratello
proveniente dall’altra camera lanciando di scatto lo scopino del bagno al
proprio posto, non potendo godersi appieno la disgustata espressione di Ivanov
che nel volo se lo era ritrovato quasi stampato sulla faccia.
«Santo cielo, esto es como una telenovela» borbottò frenetica indicando con gesti
fugaci ad un incapiente Yuri i vestiti gettati a terra dietro di lui «Non stare
imbalsamato! Passami i vestiti prima che arrivi qui!»
«Datti una calmata, è soltanto Raul»
rispose perplesso il russo raccogliendo l’abito color pesca dal pavimento, non
troppo incline ad obbedire a quegli ordini isterici «Ed io ho solo sbagliato
bagno, cercavo Boris»
«Oh certo, e secondo te Raul crederà
che per la tua casuale mancanza di buona educazione siamo chiusi qui
dentro mezzi nudi?!» sibilò isterica avventandosi su Yuri per prendere l’abito
«Diavolo Yuri, stai ancora dormendo?!»
«No, vorrei averlo fat-»
«Julia? Ti è successo qualcosa?»
Alla voce di Raul ormai vicino alla
porta Julia afferrò il braccio di Yuri trascinandolo con sé nella doccia. Colto
alla sprovvista il moscovita scivolò sulla ceramica bagnata finendo con la
testa sbattuta contro il rubinetto dell’acqua che azionato riversò su di lui
implacabile il getto gelido. Julia richiuse il pannello opaco del box
nell’istante in cui Raul aprì la porta e Yuri si ritrovò a gambe all’aria e con
i piedi premuti contro la parete a non poter esternare verbalmente il suo
dolore.
Se ne sarebbe invischiato dello spagnolo se Julia non l’avesse supplicato con
gli occhi.
«Julia sei caduta nella doccia?» domandò
titubante Raul scavalcando gli abiti gettati alla rinfusa sul pavimento «Ti sei
fatta male?»
«No! Mi ha solo sorpreso il getto
troppo freddo» ridacchiò lei con una mano premuta sulla chiusura dei pannelli
del box e l’altra sull’asciugamano cercando di ignorare il fatto di essere
rimasta incastrata in piedi fra le gambe del russo.
Yuri le lanciò un’occhiataccia
fulminante spalancando le braccia nell’impossibilità di esprimere a voce la
realtà dei fatti: era lui quello che stava incassando acqua proveniente
dall’Alaska. Julia se ne stava rintanata nella porzione di rettangolo in cui il
getto non arrivava se non sottoforma di alcuni schizzi.
«Sei il lupo delle nevi, no?» mormorò
lei a fior di labbra agguantando meglio l’asciugamano sul procinto di
scivolarle via.
«Il mio bitpower
lo è, non io» fu la controrisposta nel
medesimo status mentre l’improvviso piede di Julia sulla gamba gli bloccava il
tentativo di mettersi comodo.
«Sarà saltato di nuovo lo
scaldabagno, te lo controllo»
«Stai fermo!» sibilò Julia con fin
troppa enfasi tanto da bloccare Raul.
«Non devo controllarti lo
scaldabagno?»
«Non tu!» rispose di scatto
mordendosi la lingua un secondo dopo «Dicevo all’elastico! Non voglio bagnarmi
i capelli prima del previsto»
Alla falsissima e isterica risata
Yuri si chiese se Raul non fosse scemo per non aver colto la strampalata bugia,
sarebbe stata palese persino a lui che la conosceva da un anno. Ma il fratello
tontolone era l’ultimo dei suoi problemi e il maggiore non era rappresentato
nemmeno dall’acqua congelata. Il problema più grande era l’angolazione in cui
si era ritrovato a osservare Julia, trovata interessante non solo dal suo
cervello ma dall’altra parte del corpo in cui il sangue stava affluendo.
«A quanto pare avevo ragione, si è
staccato»
Nemmeno l’acqua cascante sul viso
riusciva a offuscare completamente la vista del profilo snello e di alcuni
dettagli divenuti improvvisamente interessanti. Dal basso verso l’alto il corpo
di Julia era una continua scoperta e fonte di inaspettato calore non solo per
la faccia. Attratto dalle atletiche gambe a contatto con le sue, Yuri ne aveva
seguito i contorni fino alla fascia alta della coscia dove tre piccole stelle
adornavano la pelle abbronzata, da lì era poi passato alla curvatura delicata
del sedere a malapena coperto dal pizzo della biancheria, fino ad arrivare alla
linea del bacino oscurata dall’appariscente asciugamano.
Yuri avvertì la testa farsi leggera, persa, sedotta da quell’unico strato di
cotone ricamato posto sulla zona inguinale. D’istinto serrò gli occhi
deglutendo a fatica. Aveva il bisogno di rimuovere dalla sua mente la sottile
fascia di rose ricamate attorno alla vita.
Julia non poteva avere della
biancheria semplice e casta?
Le immagini che cercava di rimuovere
si ripresentarono più nitide che mai e l’acqua iniziò a non essere abbastanza
fredda per i suoi gusti. Yuri rimpianse di aver lasciato Wolborg in camera
promettendo a sé stesso di portarselo sempre dietro da quel momento in poi. Aveva
bisogno della tempesta di ghiaccio del suo lupo, della neve, di una tormenta,
di una landa ghiacciata, della temperatura sotto lo zero.
Perché era andato in Italia?
«Oh, ecco fatto! Ora dovrebbe
funzionare!»
Yuri aprì di scatto gli occhi
all’improvvisa pioggia bollente sulla testa e sul petto scattando
immediatamente seduto, o almeno provandoci. Nella foga per l’improvviso bruciore
sulla pelle aveva schiaffeggiato il ginocchio di Julia intimandole di
spostarsi, con gesti goffi e alquanto sconnessi che ad occhi socchiusi a causa
del cloro l’avevano portato a creare un danno più grande. Julia colta alla
sprovvista era scivolata sulla ceramica del box finendogli completamente
addosso e per una volta nella vita Yuri si era ritrovato a ringraziare
mentalmente Vorkov e le sue torture per averlo reso incapace di urlare ad ogni
forma di dolore. Julia era atterrata con un ginocchio premuto sul suo interno
coscia rammentandogli in un prossimo futuro di ricordare ai propri figli –
semmai ne avrebbe avuti – chi aveva tentato di porre fine alla loro progenie.
«Julia, sei caduta?! Tutto bene?»
domandò preoccupato il gemello scendendo velocemente dal lavandino sul quale si
era arrampicato per controllare lo scaldabagno.
«Benissimo!» balbettò Julia distesa
cavalcioni su una gamba del russo, con il volto a pochi centimetri dalla faccia
di Yuri troppo impegnato a maledirla a occhi chiusi «E non azzardarti ad aprire
questa doccia o è l’ultima cosa che farai!»
Yuri inspirò a fondo provando a
scacciare il dolore con brevi e profondi sospiri presto inefficaci per placare
un altro tipo di emozione. I due occhi azzurri si erano ritrovati a fissarne
due verdi a disagio quanto i suoi. L’asciugamano ormai zuppo gli impediva di
avere il seno della ragazza a contatto con il suo petto ma non di averla seduta
accanto al punto più sbagliato di tutti. Dubitava di poter utilizzare le scuse
inizialmente inventate per celare i suoi perversi pensieri, il ginocchio di
Julia a contatto con il leggero rigonfiamento aveva potuto appurare da solo
l’effetto che gli aveva fatto.
«Ok, ok! Volevo solo dare una mano»
Julia si limitò a rispondere con un
mugugno scontroso d’assenso incapace di muoversi. Non sarebbe affogata a causa
dell’acqua cadutale addosso ma negli occhi celesti davanti a lei.
Tra il vapore sollevato dall’eccessivo calore e la gelida distesa azzurra
dinanzi a lei, Julia si sentiva in bilico fra l’inverno più rigido e un’infernale
pioggia rovente.
Sempre più vicina alle sottili labbra bagnate dalle gocce scivolate sul viso.
«Passare troppo tempo con i russi ti
fa male»
Yuri sollevò una mano scostando
delicatamente la ciocca ramata che ostacolava la visione completa del volto di
Julia. Solleticato sul viso dalle punte del ciuffo biondo bagnato lasciò
scivolare le dita lungo il morbido fianco avvicinandosi alla bocca della
ragazza tanto da sentirne il respiro sulla pelle.
«Non sai quanto…»
Il sussurro di Julia venne coperto
dallo scrosciare dell’acqua, interrotto da due labbra premute sulle sue in un
contatto leggero. Un bacio fugace, uno sfioramento insicuro che non si addiceva
per nulla alla risolutezza a cui era abituata con il moscovita.
Yuri aveva allontanato le labbra attraversate dalla scia d’acqua cullato dal
picchiettio bollente arrivato al di sotto della pelle, giù in profondità nel
petto verso qualcosa che aveva dimenticato di avere anni addietro. Immerso in
un mare smeraldo restò ad ascoltare i battiti rumorosi del suo cuore non sicuro
di poterli trattenere.
Le ciglia brune di lei sbatterono ritraendosi piano a quella vicinanza, il filo
di corrente entrò dalla piccola finestrella facendolo rabbrividire e in
un’istante quell’ultima circostanza superflua svanì quando l’istinto prese il
sopravvento.
Ogni sfumatura del bagno venne
inghiottita dal colorato mondo sotto le palpebre.
«Mi stai facendo parlare da solo?!...Sai
cosa ti dico? Fai come ti pare!»
Yuri ricongiunse le labbra con quelle
di Julia in un bacio decisamente più sicuro del precedente, fatto di sospiri e
labbra assaporate. La follia diventò più interessante della logica
nell’avvertire le braccia di Julia passargli attorno al collo e le dita
infilarsi tra i capelli bagnati galleggianti nel sottile strato d’acqua. Quelle
attenzioni servirono a spegnere quell’ultima reticenza. Abbassate le proprie difese
Yuri lasciò scorrere la mano sulla schiena nuda della ragazza perdendosi nel
sapore al cioccolato delle labbra, nel tocco soffice sotto le dita e in uno
sfregamento di corpi permesso da un asciugamano ormai scivolato via.
Yuri non si era mai sentito tanto felice in tutta la sua vita.
Boris girò il chiavistello ricreando
la pista d’autoscontro nel corridoio dell’appartamento.
La porta di ingresso da lui spalancata andò a sbattere contro quella del bagno
aperta da Raul rendendo evidente che l’architetto della casa la laurea l’aveva
trovata nell’uovo di Pasqua.
«Cosa ci facevi nel bagno con Yuri?» chiese perplesso tirando un colpo secco
alla maniglia d’ingresso sganciata che rientrò al proprio posto.
«Yuri?» lo spagnolo inclinò il capo confuso spostandosi lungo il corridoio «Ti
sbagli, c’è Julia, è andata a lavarsi poco fa»
Boris restò a riflettere tra sé riscuotendosi dopo alcuni attimi, ricordava di
aver stabilito in modo diverso l’ordine d’uso della doccia. Scrollane le spalle
fischiò verso lo spagnolo lanciandogli le chiavi che vennero intercettate al
volo solo grazie ai continui acrobatici allenamenti.
Raul però non sapeva cosa farsene delle chiavi.
«Sergej e Ivan ti cercano alla
pizzeria dietro l’angolo»
«Perché cercano me?»
«Vogliono sapere che pizza comprare a
te e Julia, non conosciamo i vostri gusti» Boris l’oltrepassò affacciandosi
nella cucina alla ricerca di una bottiglietta d’acqua «In realtà non abbiamo
nemmeno i vostri numeri, per questo sono dovuto tornare qui»
Raul sbatté gli occhi sorpreso per tale
gentilezza, non pensava davvero di poter auspicarsi una convivenza tanto
piacevole con una squadra che perennemente si credeva al di sopra di tutto e
tutti.
«Oh, ti ringrazio…allora vado a
raggiungerli!»
Boris annuì aprendo il quarto
sportello della credenza in cui oltre a una vecchia scatola di cracker scaduta
lo scorso anno trovò un biberon abbandonato lì da qualche vecchio soggiornante.
Sconfortato dall’infruttuosa ricerca lasciò perdere la cucina in attesa del
ritorno di Sergej a cui aveva lasciato le buste della spesa.
Raul uscì dall’appartamento lasciandolo vagare da solo verso la sua stanza in
cui non c’era alcuna traccia di Yuri al di là dei vestiti della giornata
ordinatamente riposti sulla sedia.
Dubbioso si guardò intorno scorgendo Wolborg appoggiato sul cuscino e il
telefono abbandonato sul bordo del letto. Sbloccò l’apparecchio ritrovandosi il
messaggio lasciato un’ora prima al loro capitano cominciando a fare due più due
nella sua testa. Yuri non sarebbe uscito senza portar dietro il cellulare in
una città sconosciuta, non con Hiwatari incline alle sparizioni già presente in
squadra.
Ritornava l’ipotesi originale.
Estraendo l’ultimo uovo dalla scatola comprata quel mattino ritornò verso il
bagno indeciso sull’approccio da adottare per testare le sue teorie. Se Raul era
andato via certo che all’interno ci fosse Julia, non gli risultava difficile
pensare alla presenza del suo migliore amico. Seppur l’ida di Yuri finalmente
aperto ad esternazioni amorose fosse difficile da prendere sul serio e lo
spazio ristretto del bagno non gli spiegava come avesse fatto a sfuggire allo
spagnolo.
«Capitano?» chiamò mellifluo
battendo due colpi sul telaio a cui si era poggiato «Vorrei ricordati che il
nostro programma di allenamento non include gli avversari»
Tutto quello che ricevette dallo
stanzino oltre la porta fu il rumore dell’acqua.
Si era sbagliato e Yuri non c’era?
«Va bene, dato che sono pazzo parlerò
da solo» continuò spaccando l’ovetto di cioccolata al pistacchio «In casa ci
sono solo io al momento ma tra circa venti minuti sono certo che torneranno
tutti gli altri»
All’interno del bagno l’acqua cessò
di scorrere, ci furono lunghi minuti di silenzio prima che la maniglia venisse
abbassata costringendolo a spostarsi.
Boris restò interdetto con l’ultimo pezzetto di cioccolata penzoloni.
Yuri completamente fradicio dalla testa ai piedi con addosso solo la biancheria
gli aveva rivolto un’occhiata seccata richiudendo la porta alle sue spalle.
Avrebbe pensato a un modo alternativo di far la doccia se non avesse notato il leggero
rossore sulle guance e il respiro affannato prima che si defilasse come un
fulmine nella loro camera grondando acqua ovunque.
Lo scroscio all’interno del bagno riprese.
Aveva indovinato.
«Sai Yu, mi ricordo una frase detta
te» disse con finta noncuranza raggiungendo la camera in cui Yuri era cascato
sulla sedia con l’asciugamano fra i capelli «Non vorrei sbagliarmi ma avevi
esplicitamente detto “Non mi piace Julia”»
Yuri strofinò con foga la testa
sembrando un barboncino appena lavato.
«Sì, e con ciò?»
«Oh, nulla. Mi chiedevo solo cosa
faceste insieme sotto la doccia» batté le mani soddisfatto poggiando le braccia
sul tavolo «Discorrevate dei massimi pensieri? Della pace del mondo? Del voto
di castità? Yu aiutami a capire, proprio non so di cosa poteste parlare»
Per tutta risposta l’asciugamano
bagnato gli venne sbattuto poco carinamente in faccia.
«Permaloso» borbottò inseguendo la
sua preda in giro per la stanza, deciso a non fargli recuperare i vestiti in
tranquillità «Non puoi scappare per sempre, te lo dice pure l’uovo!»
Boris infilò l’accurato fogliettino
ripiegato nell’elastico dei boxer di Yuri, propendendo per una fuga istantanea
verso la cucina all’occhiata gelida.
«Non
mentire»
Yuri restò a fissare corrucciato la
scritta sbilenca.
«Riprenderai a parlarmi prima o poi?»
Yuri ignorò il sussurrò all’orecchio voltandosi verso la parte opposta del
letto, per quanto la stazza di Boris glielo consentisse. Nel buio della camera
fissò il muro preda dei mille tormenti a causa dei quali la cena gli era
rimasta sullo stomaco.
Aveva mangiato la pizza più buona della sua vita senza riuscire appieno ad
apprezzarla, Julia a cena si era comportata come al solito ignorando però ogni
possibile sguardo e interazione con lui. Al bicchiere di coca cola rovesciato
quando l’aveva involontariamente toccata sulla spalla per chiamarla era
fortunatamente intervenuto Boris a evitargli uno straziante e disagiato
silenzio. Tutti avevano attribuito il suo successivo malumore a una discussione
con lui e non al piccolo incidente in bagno con Julia.
Forse poteva anche concedergliela la grazia.
«Dormi adesso»
Boris dietro di lui si mosse facendo
sobbalzare l’intero materasso con poca grazia, quasi fossero sul giro mortale
delle montagne russe.
«Mi hai parlato? È una tregua?»
«Stai zitto e dormi» ribadì
scrollandosi la mano che gli stava fastidiosamente scompigliando i capelli in
un gesto palesemente non richiesto.
«Sapevo che il lupo solitario non poteva
fare a meno dello zio Boris»
«Ti ho detto di dormire» ringhiò
stringendo la fodera del cuscino per non colpire il ragazzo alle sue spalle
togliendosi così il capriccio di rompergli il naso.
«Ehi, giovanotto non parlarmi così,
sono pur sempre tuo zio!»
Alla finta e forzata voce grossa Yuri
decise di girarsi per mostrare tutto il suo disappunto con una semplice
occhiataccia che purtroppo al buio sembrò non essere recapita.
«Boris vuoi far silenzio?!» sbottò
Ivan torcendosi per calciare il sottile materasso sopra di lui che gli procurò
un richiamo fin troppo elevato del suo capitano «Scusa Yuri, volevo prendere
solo il deficiente»
«Volete stare zitti tutti quanti?!»
Un cuscino volò dal letto di Kei
diretto a quello di Yuri e Boris centrandoli in pieno anche nella penombra
della camera.
«Musone, questo è confiscato!» il
grido di Boris nell’orecchio di Yuri non fu particolarmente gradito dalla
vittima improvvisamente sorda «Ehi, no!...Yuri!»
Boris volò giù dal letto al calcio in
pieno stomaco schiantandosi di faccia sul pavimento su cui rotolò supino per
inveire contro il suo capitano comodamente tornato disteso.
«Questo è troppo»
Kei al limite dell’esasperazione
scostò via le coperte balzando giù dal letto, squadrando per un istante Sergej
placidamente addormentato e incurante di tutto il disagio circostante.
«Io me ne vado»
«E dove vorresti andare?» chiese
perplesso Ivan seguendo i movimenti nervosi del bicolore mentre si infilava il
pantalone.
«Ovunque» rispose lui seccato indossando
la maglietta presa in prestito a Yuri in assenza del suo ancora introvabile
vestiario «Basta che non resti qui un altro minuto»
«Esagerato» sbuffò Boris sistemandosi
sotto la testa il cuscino portato nella caduta «Anzi no, non tornare così mi
prendo il tuo letto»
Kei chiuse la cintura fermando la
possibile risposta all’improvviso flash bianco proveniente dalla finestra sgangherata.
Un lampo di luce accecante che fu certo di non aver immaginato dato il volto
confuso di Ivan sedutosi sul letto.
«Cos’è stato?» chiese incerto
scostando la sedia della camera e udendo un boato proveniente dall’esterno, un
suono simile a uno scoppio.
Kei restò in ascolto non riuscendo a
distinguere altro se non urla improvvise dette in un dialetto stretto che non
era in grado di comprendere. Un brutto presentimento cominciò a farsi largo
nella testa accentuato dalla serietà riassunta da Boris. La fredda mente
calcolatrice doveva essere arrivata alla stessa conclusione: una luce più uno
scoppio con conseguenti grida poteva significare solo una cosa. Lo sparo di una
pistola.
Una voce sovrastò il restante vociare concitato, più forte delle altre.
«Calì?...Catarì?» ripeté assorto Boris provando a dare un
senso alle parole sconnesse provenienti dal basso «Patarì?...Polizì?» ai passi cauti di Kei verso la finestra si
precipitò da lui spingendolo a terra «No! Non muoverti, dicono polizì! Polizia!»
«Ne sei certo?»
«Hiwatari non farmi rimpiangere di
salvarti»
«Forse Boris ha ragione» si aggiunse
Ivan scivolato fuori dalle lenzuola per avvicinarsi al duo al centro del
pavimento mentre Yuri si metteva seduto osservandoli dall’alto.
«Veco
n'ombra e chest'ombra si'
tu»
«Aspettate!» Ivan zittì i due
litiganti per cercare di cogliere il significato della frase
«Un’ombra! Sì, qualcuno ha detto che
ha visto un’ombra!»
«Da quando siete diventati
intenditori di napoletano?»
«Da quanto tu anziché stare con noi
ti sei messo a cercare la tua stupida valigia» sibilò il più piccolo
guadagnandosi uno sguardo contrito alla menzione della parola “valigia”
«Julia ha tradotto un’intera giornata»
«Saglie 'ncielo
e cchiù ghianca addeventa»
«Cielo…Dicono: Santo cielo!»
«Lo scoppio di prima…polizì…un’ombra…santo cielo» Boris
ripeté in sequenza le parole contandole sulle dita scambiandosi un’occhiata
d’intesa con Kei «Mi sembra chiaro che qualcuno stia chiedendo aiuto»
Yuri corrugò le sopracciglia
scendendo con un salto dal letto per richiamare i tre prima che facessero qualche
sciocchezza mettendosi in pericolo. Lui aveva una squadra del campionato da
salvaguardare, compreso il compagno che bellamente continuava a dormire.
«Ok che non ce ne importa degli
altri» rimbeccò Ivan guardando i due «Ma non possiamo seriamente lasciar morire
qualcuno sotto la nostra finestra!»
Al termine della frase i vetri della
finestra tremarono allo schianto lasciando intravedere i pioli di una scala. In
un istante Boris tirò un calcio al piede del tavolo rovesciandolo a mo’ di
barricata da possibili intrusioni, nascondendosi dietro di esso con Kei e Ivan.
«Abbiamo tergiversato troppo» Ivan
tirò fuori il lanciatore, la sua fedelissima riproduzione di un mitra,
puntandolo verso la finestra «Ci hanno scoperto»
«Hiwatari chiama la polizia» ordinò Yuri
catapultandosi dietro il tavolo dove caricò la pseudo pistola in cui inserire
Wolborg.
«Lo sai che non ho un-» la frase
venne interrotta dal cellulare scagliatogli addosso dal capitano «-telefono»
«Ti ci pulisci il culo con i soldi ma
non sai comprarti un dannato telefono?»
«Boris non è il momento» il braccio
di Yuri sullo sterno bloccò ogni possibile rimostranza «Dobbiamo prepararci ad
affrontare qualcuno di realmente armato. Se lo cogliamo alla sprovvista possiamo
farcela»
Il lanciatore produsse un sinistro “clic”
al perfetto innesto di Wolborg, adagiato sul bordo del tavolo per prendere la
mira. A Kei sembrò non solo di rivivere l’attacco a sorpresa dei russi durante
il primo campionato ma una squadra dei servizi segreti in azione. Soprattutto
osservando Yuri che si era calato perfettamente nel ruolo di generale di
truppe.
«Hiwatari la polizia. Ivan mira alla
base della finestra appena lo vedi arrivare. Boris tu pensa alla faccia» Yuri
semi inginocchiato ruotò nuovamente sui talloni puntando la pistola fittizia
verso i vetri «Io mirerò al petto»
«Ricevuto!» risposero insieme Ivan e
Boris aumentando i silenziosi pensieri di Kei sul perché lui avesse un
comunissimo lanciatore mentre il resto della squadra la riproduzione dell’armamentario
di un plotone d’esecuzione.
La luce della camera si accese
improvvisamente mettendoli in allarme.
Kei alzatosi di scatto mollò un calcio
all’indietro all’assalitore, Ivan scagliò il proprio beyblade alla cieca verso
la porta nella medesima traiettoria di Falborg sparato dalla sottospecie di
mitraglietta e una lastra di ghiaccio si alzò all’istante andando in frantumi
quando i due beyblade ci finirono contro. All’impatto, Wolborg finì schizzato
nel corridoio, Falborg contro un quadro di San Gennaro che si staccò dalla
parete mentre Wyborg centrò in pieno una lampada mandandola
in frantumi.
Julia in piedi sulla soglia alternò
sconcertata lo sguardo da Raul con il naso sanguinante steso per terra al gruppo
di terroristi davanti a lei. Se non fosse stato per i riflessi di Yuri sarebbe
stata trafitta dalle lame dei due pseudo assassini.
«Estás
loco?!» urlò infuriata chinandosi verso il fratello «Stavate cercando di
ucciderci?!»
«Non noi, qui fuori lo sta facendo
qualcuno!» gridò in risposta Ivan prendendo il suo cellulare «Hai rovinato il
nostro piano accendendo la luce!»
«Yuri abbiamo un problema, la scala
si muove» sussurrò Boris senza perdere di vista la finestra.
«Raúl, estás bien? Respóndeme!»
«Sergej vuoi svegliarti?!» proseguì
Boris lanciando il cuscino trovato atterra addosso all’amico che si rigirò
tranquillo dall’altro lato.
«Dov’è finito Dranzer? Era sul
tavolo…Kuznestov!»
«Qual è il numero delle emergenze in
Italia?» chiese Ivan catapultandosi verso la porta dove Julia inginocchiata a
terra dava piccoli schiaffetti sul volto del fratello.
«Il 112» rispose lei sconcertata
accettando il fazzoletto datole da Yuri per tamponare il sangue dal naso di
Raul «Si può sapere cosa sta succedendo?»
«Stavamo per andare a dormire quando
abbiamo sentito del caos provenire da fuori» Yuri si guadagnò
un’occhiata scettica al “fuori” che lo spinse a guardarsi intorno nella
caotica camera in cui svolazzavano le piume di un cuscino trucidato da Sergej
ormai sveglio «Dicevo, qualcuno deve aver sparato e come puoi vedere ora sta
tentando di entrare»
«No…no, non avete capito niente!»
Julia si affrettò ad aiutare il fratello a star seduto squadrando Ivanov dal
basso in alto «Nessuno ha sparato a nessuno, stanno semplicemente cantando
una serenata!»
«Una cosa?»
«Una serenata» ribadì con foga
sorreggendo il fratello per un braccio «È un’usanza di queste zone, la notte
prima delle nozze l’uomo fa una serenata sotto il balcone della futura sposa»
si voltò per andare verso la sua camera in cui far sdraiare il ragazzo aggiungendo
in un sospiro «Non guardatemi così voi due, stanno semplicemente cantando»
«Cantando» si ripeté Yuri per
nulla convinto che le grida dal basso potessero essere definite delle canzoni, accompagnato
da un’espressione ancora più perplessa di Ivan.
«Pronto, polizia. Qual è l’emergenza?»
Ivan sobbalzò perdendo per un attimo
la presa sul cellulare dove la centralinista aveva appena risposto. In gesti
frenetici cercò di attirare l’attenzione del suo capitano che era rimasto
imbambolato a fissare il corridoio propendendo infine per staccare il telefono
in faccia alla donna con la scusa di “aver sbagliato numero”.
«Si può sapere cosa sta succedendo
qui?!»
«Alla buon’ora Sergej, eri andato in
coma?»
Boris e gli altri – compreso Kei prossimo
ad un nuovo tentativo di fuga – restarono bloccati e totalmente senza parole ad
osservare la finestra al leggero “toc toc” sul
vetro. Un uomo di circa trent’anni con una rosa fra i denti li salutò
allegramente come se trovarsi su una scala a oltre dodici metri da terra in
piena notte alla finestra di estranei fosse la cosa più normale del mondo. Yuri
provò a dire qualcosa repentinamente bloccato dallo sconosciuto che con un
colpo ben assestato spalancò i vetri invitandoli a scendere e ad unirsi alla
festa in un confuso suono di parole, per poi proseguire la sua scalata del
condominio.
«Sbaglio o ha detto che possiamo
andare quaggiù a mangiare?»
«Boris, abbiamo cenato nemmeno un’ora
fa» commentò sconsolato Sergej all’ormai inesistente figura dell’amico
defilatosi oltre la porta con un recalcitrante Hiwatari al seguito, poco
incline all’essere trascinato senza consenso «Yuri devi fare qualcosa per
questa sua ossessione, deve smetterla di voler assaggiare tutto in ogni meta
del campionato!»
«Perché, ti sembra ancora di essere
in un campionato?» fu l’atona risposta del capitano voltatosi per tornare a
morire sul proprio letto «A me sembra di essere in un circo»
Attimi di tranquillità seguirono una
serie di inespresse domande nel silenzio della camera, nettamente contrapposto
al baccano esploso sotto la loro finestra fra scrosci di applausi e musica
alzata a tutto volume.
«Mi stavo solo chiedendo..»
esordì dopo un po’ Ivan ancora intento a girare in tondo con un’espressione
totalmente seria da mettere in allarme gli altri due rimasti lì «Noi siamo al
quarto piano, dove hanno trovato una scala tanto alta?»
Sergej guardò preoccupato il suo
capitano tentare di auto soffocarsi con un cuscino.
Julia toccò con la punta dei piedi
nudi la carta da parati sul muro.
L’angusto salottino immerso nel buio non era sicuramente la meta perfetta se si
considerava la flebile luce rossastra proveniente dal corridoio. Al
supermercato l’assenza di normali lampadine li aveva costretti ad acquistarne
una rossa della giusta tonalità per ricreare il set di un film horror. Tra il
corridoio e la sua camera, Julia era sicuramente stata felice che i russi non
avessero scelto la seconda.
«Non fare il melodrammatico, non ti
serve il pronto soccorso»
La voce di Ivan giunse attutita dal
muro e dal caos sottostante facendole salire i sensi di colpa. Aveva lasciato
suo fratello nelle mani dei Neoborg dopo il piccolo incidente, Ivan si era
proposto di sistemare il danno compiuto – o qualunque altra cosa fosse il
significato delle parole russe borbottate – per mettersi a posto la coscienza e
lei aveva acconsentito gettando nel terrore più assoluto il suo povero
fratello. Il pensiero che il russo potesse voler approfittare della guardia
abbassata per finire l’opera iniziata da Hiwatari e mettere fuori gioco uno dei
loro prossimi avversari l’aveva persino sfiorata per poi essere accantonato.
I russi non sarebbero ricorsi a quei
mezzucci per vincere.
Non in quel momento, non per come li
aveva conosciuti lei.
Forse tre anni prima, l’aveva vista
anche lei la diretta del primo campionato mondiale. Aveva visto la pericolosità
di quei ragazzi, la violenza riversata su Takao e compagni, ma Yuri non le
aveva ancora sradicato alcun albero addosso né Boris aveva tentato di ucciderla
con il coltello con cui aveva giocherellato tutta la sera.
Erano strani sì ma non li riteneva pericolosi per la sua incolumità. Dei “demoni”
da cui l’avevano messa in guardia Mao ed Emily era rimasta solo l’ombra.
«No, non voglio scendere!»
«Andiamo e non fare storie» obbiettò scocciato
Ivan continuando a camminare con la mano stretta attorno al polso di uno
scontento Raul che tentava di andare nella direzione opposta «Non ti mangiano
sai? Hanno altro di più commestibile e ti serve del ghiaccio che qui non
abbiamo»
Julia sorrise leggermente alla
scenetta appena svoltasi davanti la porta della stanza ringraziando il buio che
aveva celato la sua presenza al fratello. Raul poteva cavarsela da solo
lasciandola a risolvere i suoi problemi, per lei decisamente più importanti e
imminenti.
Non era passata inosservata alla
terza persona sopraggiunta davanti l’uscio.
Al pari di un lupo in allerta in
mezzo alla foresta Yuri aveva lasciato perdere il suo compito di pedinamento
precedente bloccandosi a guardarla. Lasciandole la sensazione di trovarsi
davanti proprio l’ombra evanescente di un demone tanto il colore dei capelli si
era fuso con quello della lampadina.
Julia distolse a disagio lo sguardo
nell’oscurità circostante, strizzando gli occhi alle spiacevoli macchioline
colorate formatesi a causa della luce fissata troppo a lungo, spostandoli verso
la porta solo quando lo avvertì muoversi. Passi non diretti verso l’uscita dove
erano andati Raul e Ivan, e prima ancora tutti gli altri, ma verso di lei.
Era rimasta da sola con il demone.
Di nuovo.
«Serata movimenta, vero?» si
costrinse a parlare per alleggerire il prossimo e lungo silenzio che di lì a
poco sicuramente avrebbe preso piede.
Non le piacevano i silenzi.
«Già» fu la coincisa risposta del
ragazzo fermatosi accanto al bordo del tavolo, ad una discreta distanza di sicurezza,
quel tanto necessario per osservare chiaramente il volto illuminato dalle luci
esterne.
Perfetto, ed eccolo il silenzio.
Julia batté leggermente i palmi sulle
ginocchia in un mero tentativo di prestare più attenzione alle note provenienti
dal cortile in cui si ritrovò a ricercare speranzosa un qualche aiuto divino
per uscire dalla contorta situazione in cui si era infilata con le sue stesse
mani, anzi, con la sua stessa bocca poche ore prima.
«Uhm…credo che dovresti salvare i
tuoi compagni» borbottò incerta attirandosi un’espressione scettica dal russo
piuttosto distratto, Yuri sembrava avere la testa da un’altra parte e per
chiarire la sua risposta dovette indicargli un punto in basso oltre la finestra
«Penso che Boris abbia intenti suicidi»
Yuri contrariamente alle sue iniziali
ed inesatte previsioni non uscì dalla stanza ma si avvicinò velocemente al
davanzale per constatare la realtà dei fatti. A Julia mancò il respiro ed ogni
precedente osservazione sul perché Boris avesse legato la sciarpa di Kei
attorno alla tromba di uno dei musicisti della piccola banda passò in secondo,
terzo, quarto piano.
Yuri nella sua dismessa tuta usata come pigiama era di nuovo troppo vicino in
una casa in cui pure le finestre erano state progettate male. Troppo piccole
per consentire due persone affacciate contemporaneamente, troppo strette per
consentirle di ritrarre ulteriormente le gambe senza che il russo vi poggiasse
le mani sopra per sporgersi, troppo limitanti per impedire a Yuri di ignorare
il leggero sussulto quando le dita gelide incontrarono la pelle.
«Tutto normale, sopravviverà»
Julia restò a fissare il profilo
niveo del volto chiedendosi se la risposta fosse stata reale o frutto della sua
fantasia, le labbra si erano mosse ma il suono era arrivato in ritardo. Era
strano vedere quell’indifferenza dopo averlo visto intromettersi in mezzo ai
propri compagni al minimo accenno di rissa un’intera giornata. Realmente
convinto o meno della sua decisione, Yuri era tornato a toccare terra con i talloni
e le mani erano lentamente state ritratte per tornare inermi lungo i fianchi.
Yuri però non si era allontanato, era rimasto impalato davanti al davanzale con
lo sguardo fisso sulla baldoria sottostante.
Non era chiaro a chi dei due stesse impedendo una fuga.
«Oh, che fortuna!» commentò con finta
leggerezza evitando di incrociare lo sguardo a pochi centimetri da lei «Sembra
che abbiano trovato il ghiaccio!»
«Fortuna…» ripeté Yuri in un
sussurro distante quanto la presa della realtà nei suoi occhi.
Julia si limitò a osservare di sbieco
la mano infilata nella tasca sgualcita e il piccolo oggetto trovato nell’uovo
quel pomeriggio. L’unica vera sorpresa mai uscita da quelle uova che per tutta
la giornata avevano riversato consigli di vita sconclusionati. Nelle migliori
ipotesi aveva creduto che il peperoncino rosso facesse compagnia a qualche
altra cianfrusaglia in uno dei secchi dell’immondizia oltrepassati durante il
loro girovagare.
«Pensavo non credessi agli amuleti
portafortuna»
Julia si morse le labbra a quel
pensiero non rimasto tale nella testa. Si era fatta cogliere in fallo mentre
l’osservava, di nuovo.
«Infatti, non credo a queste cose»
«Queste cose» ripeté facendo
il verso all’acidità intrisa su quelle due parole «Ne parli come se fossero il
male del mondo. Tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa»
«La stai prendendo sul personale?»
«No!...Anzi,
sì!» ribatté di scatto ricevendo in cambio un sopracciglio inarcato su un volto
corrucciato ben lontano dall’afferrare la situazione «Se una cosa non rientra
nella tua striminzita fascia di “cose accettabili e tollerabili ” la
tratti come se fosse insignificante. Lo hai fatto anche oggi, alla stazione
metropolitana e al museo. Ti sarai anche ricreduto in secondo momento e no, por
el amor de Dios non sto
provando a fartelo ammettere» agitò le mani per zittire il russo decisamente
contrariato non solo per le parole ma anche per il tono sarcastico «Dovrei
aspettare la glaciazione della terra per tale evento. Io voglio solo
sottolineare che non dai alle cose lo stesso peso che ve ne danno altri»
e la lingua batté l’urlo della ragione «Non quanto ne dia io»
Julia restò ad osservare controvoglia
gli ormai stramaledetti occhi azzurri puntati su di lei.
Nel suo inappropriato e fuori luogo sfogo Yuri aveva letto tra le righe.
Tacitamente racchiuso nel suo bozzolo di riservatezza era rimasto a fissarla
con quell’intensità tale da bloccarla sul posto provocandole brividi lungo la
schiena.
Il museo e la metro non c’entravano nulla, il vero fulcro della sua accusa risiedeva
nella mancanza di interesse mostrata da Yuri nel chiarire lo scambio
d’effusioni nella doccia. Senza l’intromissione di Boris non si sarebbero
fermati ai semplici baci, lei per prima non si sarebbe accontenta. Avrebbe
voluto chiarire la questione nell’immediato, dopo essere uscita dalla doccia,
approfittando dell’inusuale occasione di pace fornitagli da Boris prima che
tornassero tutti gli altri. Ma, sperare nel picco d’intelligenza di due russi
contemporaneamente era risultato paragonabile all’idea di vedere Takao a dieta.
Il russo dei suoi pensieri si era defilato via con nonchalance alla seconda
telefonata del presidente Daitenji rientrando in sala quando la cena era ormai
in tavola.
«Lasciamo stare…» mormorò infine
Julia stanca di quelle innumerevoli parole non dette alleggianti fra loro in un
vortice senza fine, affranta dalla velata ammissione di tenere a lui in un modo
decisamente diverso e non corrisposto «Semmai ti verrà voglia di parlarne sai
dove trovarmi. Ora, cortesemente, potresti farti da parte? Vorrei scendere»
Yuri immerso nel suo ingarbugliato mondo
di pensieri non prestò attenzione alle parole di Julia né a qualunque altro
suono, riscuotendosi dal torpore solo al piede premuto sull’addome nel dolce
invito a spostarsi. Intento a riflettere sullo strano discorso fatto da lei si
era ritrovato a guardare meccanicamente il peso contro il suo stomaco per poi
far ricadere l’attenzione sul piccolo cornetto rosso ridotto a mero antistress
ancora rigirato fra le dita.
«Ora capisco perché ti sono piaciute
così tanto quelle sculture di marmo» all’amara constatazione di Julia tornò a
osservarla mentre lei incrociava nuovamente le gambe che il corto pigiama non
copriva adeguatamente «Siete identiche. Rigide e posate, bloccate nella
medesima e perenne espressione»
«Sei contraddittoria» si decise
infine a parlare ricevendo in risposta un’occhiataccia per nulla incline ad
accettare l’offesa «Ti stai sbagliando. “Nessuna sarà mai uguale all’altra”,
l’hai detto tu, non io»
«A fatti tuoi parli»
Julia finì per sospirare affranta al
desiderio scemato di abbandonarlo lì solo soletto, ricaduta nel giogo malato
scaturito da quelle poche parole che mostravano la faccia meno scontrosa,
quella vera. Il lato meno visibile che appariva raramente come nella
piccola confidenza del pomeriggio, nei fugaci momenti in cui Yuri smetteva di
avercela con il mondo.
Potevano non piacerle le frasi ritortole contro ma sapeva ormai riconoscere
l’assenza della cruda e dura freddezza quando si trovava ad ascoltarla.
D’altro canto, Yuri non si era allontanato.
«Prima dicevo sul serio» esordì lei
dopo un profondo sospiro accennando col capo verso il piccolo portafortuna
«Tutti abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Chi in un Dio onnipotente, chi
nell’esistenza di un destino, chi nell’esistenza di una felicità superiore, chi
negli ovetti di Pasqua magici» un risolino leggero le sfuggì dalle
labbra all’ultima allusione spingendo il russo a sbuffare al sol ricordo delle
stramberie dell’amico «Io credo nei portafortuna, in un bacio sincero, è
così sbagliato?»
«No» fu
la strana e alquanto immediata risposta di Yuri «C’è chi ha creduto in cose peggiori.
Non intendevo offenderti prima, sei tu che hai capito male»
«Aspetta, aspetta, aspetta» Julia
rizzò la schiena sporgendosi con il capo verso il ragazzo in tono fin troppo
allusivo «L’egocentrico e presuntuoso Yuri Ivanov mi sta chiedendo scusa?»
«No»
chiarì lui aspro senza riuscire ad intaccare il sorrisetto sfacciato della
madrilena che sembrava aver rimosso ogni traccia di imbarazzo «Non ho niente di
cui scusarmi, hai frainteso e fatto una scenata tutta da sola. Non credo nella
fortuna, essa non è altro che una diversa manifestazione della casualità. Si
induce la gente a crederci con sciocche frasi fatte come quelle che ci siamo
sorbiti nell’arco dell’intera giornata o con oggetti come questo a cui si
finirà per attribuire la grazia di ogni evento definibile come “fortunato”»
«C’è un “ma” dico bene?»
«Sì, ognuno è libero di credere quel
che vuole. Tu sei libera di credere quello che ti pare… »
Yuri lasciò la frase in sospeso facendosi sfuggire un verso stizzito «Compreso
il significato attribuito a quel bacio»
Julia trasformò il ghigno divertito
in un sorriso più morbido contemplando la figura apparentemente cinica davanti
a lei. Yuri era come il bucaneve trovato durante la vacanza in montagna, il
piccolo fiore a cui nessun altro oltre lei aveva prestato attenzione. Candido
come la neve in cui era sbocciato, forte al punto da sopravvivere nei luoghi
più ombrosi anche a rigidissime temperature sotto lo zero. Esteriormente
imperturbabile al soffio più gelido ma internamente delicato. Il bianco
fiorellino invernale incapace di sopportare la calda luce solare…o nel caso di
Yuri, l’acqua bollente.
Julia l’aveva colta quella delicatezza nelle piccole carezze e nei morbidi baci
sulla pelle in quello sfuggente momento nel bagno. Aveva tastato il lato più
fragile nelle ammissioni scivolose della giornata e ancora prima visitandolo in
ospedale lo scorso anno senza dirlo al diretto interessato. C’era altro oltre
la tenebrosa e glaciale aura che Yuri aveva forgiato intorno a sé, qualcosa di
cui nemmeno il diretto interessato era a conoscenza.
Lei non era disposta a rinunciare, ad
arrendersi senza provare.
Un chiaro e diretto rifiuto non lo
aveva ancora ricevuto.
«Quindi…» Julia si umettò le labbra
allungandosi per sollevare la mano di Yuri stretta intorno al portafortuna «Per
tutte le mie insistenze ormai… questo lo devi considerare proprio un
magnete di sfortuna»
«No, il contrario»
Per la seconda volta nell’arco della
serata Julia non fu certa di aver udito o immaginato le parole. Avevano girato
intorno al discorso fino ad un secondo prima, Yuri aveva appena terminato di
sottolineare la sua avversione. Non poteva aver appena ritrattato il tutto
definendo le sue insistenze una fortuna.
La sua silenziosa espressione confusa
parlò al suo posto.
Yuri sembrò sul punto di voler
rimangiare quanto appena detto osservando un punto imprecisato dei ghirigori
floreali stampati sul muro, indeciso come non l’aveva mai visto per una semplice
elaborazione di una frase.
Julia inspirò cercando invano di non farsi coinvolgere emotivamente da quel
contatto a cui non era ancora riuscita a rinunciare o dalla piccola luce di
speranza che aveva ripreso forza. Per la sorpresa aveva stretto involontariamente
la mano tra le sue propendendo per non lasciarla finché non avesse incontrato
resistenza.
Un’opposizione inesistente, Yuri non
aveva ritratto il braccio ma aveva ricambiato delicatamente la stretta procurandole
un’accelerazione dei battiti.
«Se proprio devo credere in qualcosa,
allora preferisco affidarmi unicamente al mio istinto»
Yuri forzò le sue corde vocali nel
mettere insieme frammenti vaganti di frasi provate e riprovate mentalmente nel
suo rigirarsi nel letto prima che Boris iniziasse a tormentarlo. Julia aveva
surclassato il suo migliore amico nella brevissima scala di persone per lui
importanti dalla fine dello scorso campionato. Parlare, discutere, persino litigare
con lei era stato divertente nei brevi scambi sull’aereo, nell’arena o nel loro
primo incontro avvenuto proprio sul campo di gioco, l’uno contro l’altro.
L’eccentricità della ragazza l’aveva travolto lasciandolo persino interdetto al
termine dell’incontro. Julia gli aveva teso la mano in un gesto che di
innocenza sportiva aveva solo la facciata, dopo aver ricambiato la stretta si
era ritrovato a vederla andar via con un’ostentata aria d’indispettita
superiorità come se fosse stata lei la vera vincitrice dell’incontro. Ed era
stato forse proprio da quel commento che il carattere peperino si era insinuato
sempre più frequentemente nei suoi pensieri.
«Non fraintendermi, non è l’istinto
di Takao. Quello di cui parlo io è diverso, un istinto più regolato,
controllato il più delle volte. Potrei definirlo più un sesto senso su cui
faccio affidamento…con qualche falla come hai avuto modo di costatare tu stessa
nel bagno»
Yuri per tutto il tempo delle sue
parole non aveva staccato gli occhi da Julia, alla ricerca di un qualunque
barlume di derisione o traccia di emozione scettiche per frenare il suo
discorso fuori dal comune. Incerto si era bloccato a metà non per aver scoperto
un giubilo malsano nascosto ma per l’esatto opposto.
Lo sguardo di Julia era indescrivibile
nel senso più positivo del termine.
Yuri era certo di non essere mai
stato guardato in quel modo da tempo immemore, forse nemmeno era certo di
averne mai ricevuto davvero uno così caldo e accogliente.
«Anche se non l’ho seguito, credo che
quanto accaduto non sia del tutto sbagliato ma…» Yuri si ritrovò la frase
smorzata dall’improvvisa stretta accentuata attorno alla mano «…non capisco il
perché di tutta questa incertezza. Non mi capisco e questo non mi piace»
Forse per il troppo sole da inizio
campionato, forse l’eccesso di zuccheri ingerito nella giornata, forse anche a
causa della bibita corretta rifilatagli da Boris a cena, Yuri per la prima
volta non si sentì sbagliato nell’ammettere a qualcuno una sua debolezza.
Forse l’avrebbe rimpianto a notte
fonda nel suo letto, ma quel momento sembrava fin troppo distante per acquisire
importanza o probabili ripensamenti. C’erano troppi forse e poche
certezze per ammettere che sopprimere quel sentimento nato per Julia fosse più
importante del suo orgoglio intatto.
«Io avrei una spiegazione diversa»
mormorò Julia con voce roca accarezzando il dorso pallido stretto ora in una
sola mano «Solitamente ti fidi della ragione» il braccio venne sollevato fino a
che le dita non toccarono la fronte «Ora ti sei affidato al cuore» concluse
lasciando scivolare l’arto fino all’altezza del petto.
Yuri si ritrovò a socchiudere gli
occhi sotto la delicata carezza dei polpastrelli discesi lungo la guancia, sul
collo fino alla stoffa su cui si fermarono. Erano troppi diversi, lui e Julia
non avevano nulla in comune, nemmeno la temperatura corporea. Poteva sentire il
calore irradiarsi dove adesso si era adagiato l’intero palmo, era ingiusto
trascinarla con sé e farle del male. Inevitabilmente l’avrebbe ferita.
Provò a sottrarsi senza riuscire a spostare le suole di un millimetro.
Le dita strette attorno alla maglietta glielo impedirono, gli occhi lucidi di
Julia lo bloccarono smorzando il suo coraggio. Come supposto l’aveva già fatta
star male.
«Yuri…non è rifiutando il tuo cuore
che starai bene» la voce di Julia tremolava, a tratti si incrinava ma
rilasciava una sicurezza che Yuri involontariamente sentì di voler ascoltare
nonostante l’udito cominciasse a fargli brutti scherzi «Posso non capire appieno,
non potrò mai riuscire a immedesimarmi completamente nel dolore che ti porti
dentro…ma vorrei tanto poterlo allievare e farti andare avanti. La tua vita non
deve fermarsi pensando che tutto sia orribile come il posto in cui hai
vissuto…mentre eri in coma lo scorso anno ho sentito Takao parlarne con Rei
durante il torneo professionistico contro Vorkov e lo so che quella era solo la
punta dell’iceberg, loro non hanno vissuto con te»
Yuri sentì il panico scorrergli nelle
vene alle veloci immagini che iniziarono ad attraversagli la mente alla sola
menzione del suo passato. Sarebbe scappato se l’orgoglio non gli avesse
ricordato la codardia dell’atto. Lui non era il tipo da scappare. Ci aveva
convissuto. Aveva imparato ad affrontare le sue paure.
Le sue paure ma non l’interesse per
una ragazza.
Al Monastero non c’erano ragazze. Erano
sempre stata una presenza sporadica ed evanescente che Vorkov non era mai stato
convinto di voler davvero utilizzare. Soprattutto, le reclute femminili non
avevano mai avuto oltre gli otto o nove anni, non si provava interesse a
quell’età. Non che Vorkov l’avrebbe comunque permesso, era una futilità.
Tutte quelle nuove interazioni le
aveva provate in particolar modo con Julia. Boris l’aveva preso in giro per non
aver rivolto la parola a nessuna delle altre ragazze del campionato se non
strettamente necessario agli incontri. Yuri aveva invidiato il repentino
adattamento del suo migliore amico e degli altri due componenti della sua
squadra. Erano riusciti a gettarsi alle spalle il passato molto più velocemente
di lui, avevano mostrato più forza anche se Boris gli aveva dato dell’idiota
quando aveva confidato tali pensieri.
Ed ora, non riusciva a lasciare
andare, ad accettare quel cambiamento proposto da Julia.
«Quel dolore fa parte di te, anche
quello ti ha reso ciò che sei ora…la persona di cui io mi sono innamorata»
Julia mordicchiò il labbro inferiore cercando ossigeno improvvisamente inesistente,
era riuscita ad ammetterlo e ora sentiva mancare la terra sotto i piedi anche
se tecnicamente seduta su un davanzale, quella comunque non l’avrebbe sentita
«Non hai idea di quanto sia bello vederti sorridere come hai fatto oggi al
museo. Vederti discutere con i tuoi compagni senza quell’aura truce che cerchi
di mantenere in ogni occasione. Guardarti finalmente rilassato mentre eravamo
nella piazza. Vedere quella scintilla quando parlavi di Wolborg a quei bambini
che ti hanno chiesto l’autografo… queste ed altre cose sono quei piccoli
dettagli di cui non riesco più a fare a meno»
«No…non è così» Yuri si ritrovò a
negare convinto dopo l’iniziale attimo insicuro, Julia si era fatta un’idea
completamente sbagliata «Questo è ciò che credi di vedere, ciò che
vuoi vedere ma non puoi dimenticare tutt-»
Yuri si ritrovò zittito e se fosse
stato un’altra persona a compere l’azzardo probabilmente ora avrebbe provato
l’ebrezza di un volo dal quarto piano. Julia scuoteva lentamente la testa non
accennando a voler spostare le dita poggiate gentilmente sulla sua bocca.
«Sei sicuro che invece non si tratti
di ciò che non vuoi vedere tu?»
Yuri restò in silenzio colto impreparato
dalla domando a bruciapelo.
Per una vita intera si era chiesto chi fosse senza ottenere una risposta
soddisfacente. Prima era stato l’errore, il bambino di cui i genitori si
erano sbarazzati. Poi era diventato Yuri l’orfanello delle strade ed infine
l’arma della Borg. A conti fatti dell’indipendenza di cui amava vantarsi non
aveva nulla, era sempre stato quello che avevano voluto gli altri.
Era la sconfitta dell’essere umano.
«Julia, io sono sicuro di quello che
sono. Hai sbagliato persona»
«No»
«No?»
«No»
Yuri si costrinse ad ammettere a sé
stesso che Julia non aveva nulla da invidiare alla sua testardaggine. Avrebbe
potuto anche dirle di aver ucciso qualcuno e lei sarebbe rimasta convinta della
sua idea.
Lei aveva lo stesso sguardo, la stessa convinzione di quel pomeriggio.
«Yuri…sei più umano di quello che
credi»
Le parole più belle che avesse mai
osato chiedere.
Julia non lo vedeva come il contenitore vuoto e sterile in cui avevano provato
a trasformarlo, aveva persino ammesso di essere innamorata di lui.
Innamorata di lui.
Doveva essere una cosa buona, no?
Erano le stesse parole sentite in un telefilm, le stesse urlate da Mao a Rei
nell’atrio dell’hotel a Rabat. Cosa spingeva una persona a capire di essere
innamorata di un’altra? Curioso aveva provato a cercare la definizione su
internet arrivando alla conclusone che significasse nutrire amore per qualcuno.
Poteva lui provare amore per qualcuno non avendolo mai provato in prima persona
sulla sua pelle?
Yuri non ne era per nulla sicuro.
Era soltanto certo di pensare
costantemente a Julia più di quanto fosse disposto ad ammettere. Di voler ringraziare
persino le dimenticanze del presidente Daitenji per avergli dato l’occasione di
passare un’intera giornata e le prossime seguenti tre in sua completa
compagnia. Perché in un modo o nell’altro con lei si sentiva bene, era come
trovare la pace.
Julia era come il bicchiere di
limonata nelle giornate estive.
Acida e dolce al contempo.
Indispensabile.
Rinfrescante.
Bastava il suo sorriso per fargli
desiderare di non perderla mai.
«Julia…»
No, Yuri si convinse di non essere
proprio bravo con le parole.
Inaspettatamente Julia aumentò il suo sorriso.
Il verde acquoso contornato da ciglia inumidite sembrò brillare nella penombra.
«Cosa ti suggerisce il tuo istinto
ora?»
Era stato poco più che un sussurro.
Una sorta di invito che Yuri non riuscì a rifiutare.
La musica divenne un suono lontano,
un accompagnamento cullante per la nuova presa sulle labbra in cui il burro
cacao alla ciliegia finì presto di cessare di esistere. Yuri racchiuse fra le
mani il volto di Julia desideroso di non staccarsi mai più, di non smettere mai
di provare quell’emozione sgorgata dal cuore in grado da fargli tremare ogni
fibra del corpo.
Voleva quello come prossimo ricordo
dei suoi sogni.
Le mani di Julia risalirono lungo il
petto con una lentezza quasi esasperante ma di cui si sarebbe beato per il
resto della vita affinché non finisse mai. Le braccia gli cinsero il collo e
nella perdita di coscienza della realtà si ritrovò circondato dalle gambe
strette attorno alla vita, schiacciato per metà contro il muro sotto la
finestra.
Un sospiro.
Un bacio.
Yuri avrebbe potuto continuare
all’infinito, con i sospiri divenuti sempre più corti e i baci sempre più
lunghi finché l’aria nei polmoni non l’avesse completamente abbandonato.
Affannato si distaccò leggermente dalle labbra umide poggiando la fronte a
stretto contatto con quella di Julia perdendosi nel contemplare la distesa
smeraldo, le guance arrossate, la piccola fossetta nell’angolo della bocca.
Il più dolce dei sorrisi.
Si sarebbe preso a schiaffi da solo in un’altra realtà per il sol desiderarne
uno sempre più zuccheroso, ma quella era la sua mente, poteva giudicarsi da
solo.
E davanti a lui c’era Julia.
Lei meritava una vera risposta.
«Cosa?...»
Julia allentò la presa attorno al
collo alternando confusa lo sguardo dal piccolo peperoncino rosso sollevato tra
loro agli occhi azzurri puntati su di lei. Sentiva già la mancanza del tocco
sulle guance, dei baci mozzafiato, del corpo leggermente distanziato da lei.
Sollecitata da quella tacita richiesta afferrò l’oggetto tra i battiti tumultuosi
e il sangue salitole al volto chiedendo altrettanto silenziosamente una
risposta.
«Tu credi veramente tanto a queste
cose»
Il cuore di Julia se ne avesse avuto
opportunità avrebbe fatto una capriola al sorrisetto maliziosamente scherzoso,
così vero e sincero da arrivare a colorare quelle iridi celesti di una
sfumatura meno gelida.
Tanto speciale da farle porre da parte il leggero sfottò sulle ultime parole.
Queste cose.
Yuri
non se lo sarebbe dimenticato facilmente.
«Funziona solo se regalato, giusto?»
Julia avrebbe voluto chiedere il perché di tale regalo ma si ritrovò la
risposta prima di arrivare a formulare la domanda «Ti servirà tutta la fortuna
del mondo per tollerare il sottoscritto»
Julia sbarrò gli occhi certa di aver
sbagliato a sentire per la terza volta, promettendosi di tornare in Spagna a
fare visita all’otorino alla quarta perplessità. Non poteva continuare a
restare come un pesce fuori dalla boccia ogni volta che Yuri le rivolgeva la
parola.
«È il tuo modo per dire che ricambi i
miei sentimenti?»
All’otorino avrebbe aggiunto anche il
neurologo.
Era diventata pazza.
«Sei arrossito, vero? Non me lo sto
immaginando»
Allo sguardo di puro orrore il
colorito roseo assunse una sfumatura decisamente vermiglia ricordandole
l’esatto tipo di persona che aveva davanti. Yuri avrebbe negato fino alla morte
anche se avesse avuto spiattellata in faccia una fotografia.
Doveva accontentarsi della certezza appurata da sola.
Yuri guardò contrariato l’improvviso
scoppio di risa davanti a lui.
Julia rideva appoggiandosi sulla sua spalla per non andare all’indietro,
sghignazzando per il quel colorito fin troppo appariscente sulla sua pelle
chiara. Tornato in Russia si sarebbe chiuso in un solarium, tanto nel caso
peggiore sarebbe diventato interamente del colore dei suoi capelli.
«Sì Yuri, io voglio stare con te»
Yuri non fece in tempo a registrare
il termine delle risate e la frase appena mormorata ad un soffio dal collo che
si ritrovò le labbra rapite da un tenero bacio.
«Perché devo restare qui con voi?!»
«Hiwatari che ti piaccia o no, purtroppo,
fai parte della squadra»
Kei assottigliò pericolosamente gli
occhi nella speranza di mettere fuoco a Boris con la sola forza dello sguardo.
Con uno strattone provò a tirar via la sciarpa legata attorno ai suoi polsi
senza successo, il tubo ove era ancorata l’altra estremità si limitò a un
leggero tremolio imbrattando il candido tessuto di ruggine.
Non ne aveva nemmeno di ricambio.
«Lo hai preso per un cane?»
Ivan saltò sul piccolo muretto con un
piatto di pasta in mano accennando in direzione del pazzo che aveva iniziato a
prendere a calci il tubo con l’intento di romperlo.
«E tu lo hai preso per un cameriere?»
rimbeccò infastidito Kei alludendo ad uno sconsolato Sergej che al seguito del
piccoletto era giunto portando quattro pieni ricolmi di svariati stuzzichini.
«Me lo domando anche io» bofonchiò il
biondo appoggiandosi con la schiena al medesimo muretto «La mamma della futura
sposa…com’è che si chiamava? Catarì mi sembra»
non capendone bene il perché decise di soprassedere alle occhiate incenerirtici
di Ivan e Kei dirette a Boris improvvisamente interessato a guardarsi le unghie
«La signora non si allontanava più da noi, continuava a insistere che Ivan era
troppo deperito e dovevo farlo mangiare di più. Gli ha persino regalato dei
biscotti, caramelle e…cos’era? Un lecca-lecca?»
Ivan riscossosi annui soddisfatto
agitando una piccola bustina poggiata accanto a lui.
«Adoro questo posto» ammise estasiato
fra un boccone e l’altro.
«Chissà come mai» borbottò Sergej
massaggiandosi la tempia per poi voltarsi verso un fin troppo divertito Boris
con ara scettica «Ci credi che lo hanno pure invitato al matrimonio di domani?
Nemmeno lo conoscono!»
«Veramente hanno invitato anche te e
il resto della squadra»
«Non andremo a quel matrimonio Ivan»
«L’ultima parola non è tua» ammise
candidamente il piccoletto infilandosi l’ennesima forchettata di spaghetti in
bocca «Spetta a Yuri e ho le mie carte da giocare per convincerlo»
«Certo, credici pure»
«In ogni caso, lasciatemi in Italia»
«Non dirlo piccoletto, potremo farlo
davvero» lo punzecchiò Boris poggiandosi innocentemente sulla spalla di Kei che
per tutta risposta provò infruttuosamente a scrollarselo di dosso «Hiwatari non
fare così, te l’avevo data la scelta»
Kei scosse la testa per allontanare
il ciuffo dalla fronte sudaticcia desiderando immensamente anche una sola mano
libera. Boris l’aveva bloccato dopo lo stupido scherzetto della tromba
impedendogli di andare via, annunciando a quel popolo di scalmanati lui come
nuova ballerina della serata. Ovviamente li aveva mandati tutti al diavolo non
aspettandosi l’assalto alle spalle del gorilla della squadra che l’aveva legato
al primo appiglio disponibile.
«Kuznestov, questa te la faccio
pagare»
«Sì? Risparmia le energie per allora»
Kei provò a tirar via la sciarpa con
i denti ancora una volta senza esiti.
«Tu e le tue maledette perversioni»
«Non ho alcun interesse nei tuoi
confronti» rispose annoiato Boris incrociando le braccia poggiato contro il
muro «Voglio solo evitare che Yuri debba mettersi alla tua ricerca per tutta
Napoli»
«A proposito, dov’è Yuri?» domandò
Sergej improvvisamente conscio dell’assenza del suo capitano, aveva bisogno di
un po’ di sana razionalità in quel momento.
«In casa»
Al lugubre tono proveniente da sotto
il muretto si sporse per osservare Raul rannicchiato a terra con una bustina di
ghiaccio premuta sulla faccia. Sergej si era completamente dimenticato di
quella compagnia aggiuntiva, d’altro canto pensava che dopo un’ora il dolore al
naso fosse passato.
«Pensavo fossi tornato in camera, non
eri stanco?»
Raul riscossosi come una molla si era
voltato decisamente lontano dalla migliore versione di sé stesso: pallido,
assonnato e nevrotico.
«Infatti, volevo andare a dormire»
sottolineò con enfasi l’ultima parola lanciando un’occhiataccia alle corte
gambe penzoloni sopra la sua testa «Stavo salendo tranquillamente le scale
finché Ivan non mi ha travolto facendomi sbattere la faccia sul corrimano.
Chiedi al tuo compagno quale droga ha assunto salendo a prendere la giacca
nell’appartamento. Mi ha praticamente impedito di andarmene»
Al livido violaceo mostrato sulla guancia
Sergej ebbe il brutto presentimento che metà delle squadre avrebbero pensato a
una loro volontaria aggressione verso il più docile degli spagnoli anziché ad
un incidente. Colto dall’illuminazione si guardò intorno alla ricerca della
sorella del ragazzo malconcio venendo fermato da un calcio dietro la sua
schiena prima di poter dare aria alla bocca.
Ivan che aveva attirato poco
gentilmente la sua attenzione con gli spaghetti penzolanti alla bocca gli stava
intimando con gli occhi di far silenzio. Perplesso si era rivolto a Boris che
impercettibilmente aveva scosso il capo muovendo la bocca in un’unica parola
che paradossalmente aveva colmato tutti i suoi dubbi.
Yuri.
Il suo capitano era rimasto solo con
Julia.
Ivan era salito in casa.
Ivan vantava di avere una scusa per il matrimonio.
Dubitava di poter ancora chiedere
aiuto al suo capitano per un po’ di sanità quella sera.
Kei osservò esasperato il film muto a
due passi da lui scivolando affranto lungo il tubo fino a sedersi a terra.
Finché il trio non avesse deciso di aver lasciato abbastanza da soli i due
piccioncini non avrebbe potuto vedere nemmeno il suo letto.
L’unico a non aver capito niente era
solo Raul.
Iniziava a rimpiangere la scelta di
quella squadra per il campionato.
«Mi manca Takao»
Note finali
(1) «Ascoltami,
ti voglio bene come se fossi mio fratello»
(2) «Questa
scatola di cioccolatini è speciale, non ne trovi così in giro. Questi ovetti di
cioccolato sono capaci di leggerti l’anima!»
«Dentro ad ognuno di questi potresti trovare la verità su di te! Leggono il
passato, il presente e il futuro»
(3) «Ascoltami
Boris, ti chiami così no?»
«Non ti sto dicendo una bugia, per me sei come un figlio»
(4) «Boris
fammi capire, hai la moglie gelosa?»
(5) «Boris,
non te l’ho detto prima ma ora so che tu puoi capirmi»
«Vivo una vita difficile, la mia famiglia composta da undici figli sopravvive
grazie alla vendita di queste scatole di cioccolata»
(6) Sí, claro,
no eres un viejo gruñón = Sì,
chiaro, non sei un vecchio brontolone
(7) Aprende español para entenderlo = Impara lo spagnolo, così lo capirai
(8) Ochen' khorosho. Vy uchite russkiy = Benissimo. Tu impara il russo
(9) Por
el amor de Dios, Boris, estás viendo piezas
de historia de valor incalculable = Santo cielo Boris, sei davanti a pezzi
preziosissimi di storia
Buona Pasqua!! ^o^
Come sempre sono in perfetto orario non trovate anche voi?
Ma chi voglio ingannare, non so più se ridere o piangere per essere
puntualmente in ritardo. Anzi, lo so benissimo cosa provare. ç.ç
Ad ogni modo prima di perdere il filo del discorso, in queste note volevo
precisare soprattutto a eventuali lettori partenopei che non ho nulla contro
Napoli o i napoletani, anzi, tutt’altro! Ho studiato in quella città e me ne
sono innamorata 💚
Tendo spesso a far vivere ai poveri protagonisti delle mie fanfiction cose che
mi capitano e ammetto che in questa qui ho giocato molto su questo aspetto,
all’interno ho inserito più di una cosa vissuta in prima persona ma…lascio a
voi capire cosa sia realmente vero e cosa no :p
Mi concedo un po’ di
mistero rimpiangendo tutto il cioccolato che ho mangiato durante la stesura di
questa storia.
Ringrazio tutti coloro
che hanno letto la storia, spero vi siate divertiti! 💚
Inoltre, ringrazio anche
il mio squilibrato fidanzato che con le sue frasi gettate a caso continua ad aumentare
i deliri che poi siete costretti a sorbire voi…
“Pensa se finivano a Napoli”
Oh, sì, ci ho pensato
caro >.>
Alla prossima!
Aky