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Autore: Obiter    08/05/2021    1 recensioni
Questa storia è ambientata quattro anni dopo la conclusione dell’ultima stagione.
Sherlock vive nel 221B con John e Rosie e continua in modo proficuo la sua attività di consulente investigativo, sia in proprio che per conto di Scotland Yard. Tutto procede nella norma, fino a quando un pianto disperato irrompe nella notte e sveglia di soprassalto il povero Dottor Watson…
Famoso Head Canon secondo cui il brillante detective Nero Wolfe sia in realtà il figlio illegittimo di Sherlock Holmes e Irene Adler.
POV John Watson.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella mia modesta carriera ho avuto occasione di vedere tanti neonati, di ogni fatta, colore e dimensione. Durante la mia dura permanenza in Afghanistan, ho aiutato delle civili a partorire, mi sono improvvisato pediatra, geriatra e perfino dentista. Un medico militare è anche questo, pronto a tutto e multiforme. Quando sono tornato in patria avevo i nervi a pezzi ed ero solo, completamente solo. I miei genitori erano venuti a mancare tempo prima, la mia unica sorella non mi rivolgeva la parola e non avevo amici a cui rivolgermi.

È stato proprio in quel triste periodo della mia vita che ho conosciuto Sherlock Holmes. 

È piombato nella mia vita come una meteora e l’ha completamente sconvolta. Credevo che a Londra avrei iniziato a vivere una vita monotona, normale oserei dire, da civile qualunque quale ero. Lo credevo ma il solo pensiero mi atterriva. Sono a tutti gli effetti un civile qualunque, ma non sono adatto a questo tipo di vita, lo diceva sempre anche Mary che faccio colazione con caffè e polvere da sparo.

Beh, tutte queste mie "preoccupazioni" in compagnia di Sherlock Holmes si rivelarono completamente infondate.

All’interno di questo appartamento n. 221B in Baker Street ho vissuto le avventure più stravaganti, pericolose e memorabili di tutta la mia vita. Da un elefante indiano bloccato nel salotto a una testa umana mozzata e conservata nel frigorifero, da lance preistoriche sotto al mio letto a mortali (non è un iperbole, letteralmente mortali) esplosioni in cucina, ma ecco il neonato abbandonato in piena notte di fronte alla porta di casa, no, quello ancora mi mancava. Per scaramanzia, non mi azzardo a dire di avere completato l’intero repertorio delle peripezie Sherlockiane, perché altrimenti domani mattina potrei risvegliarmi in mezzo al mare sopra una mongolfiera e non vorrei proprio che accadesse.

Dunque, un neonato.

Costui ci è stato lasciato dentro un passeggino di fronte alla porta di casa, con annesso un bigliettino sulla coperta, una borsa piena di generi di prima necessità e un altro biglietto, riservato a Sherlock. Me lo ricordo come se fosse ieri, ho il ricordo di quella notte impresso a fuoco nella mia memoria. Era per l'appunto notte inoltrata e io dormivo beatamente, quando all’improvviso un pianto stridente e disperato squarciò il silenzio. Mi sono svegliato di soprassalto e sono balzato in piedi prima ancora di riprendere coscienza. Se prima avevo un sonno leggero a causa della guerra, adesso che ero un padre dormivo con un occhio aperto e uno chiuso.

Il primo pensiero andò infatti a Rosie, ma nel dormiveglia realizzai che quello non era il pianto di una bambina di cinque anni, ma di un neonato. Trasecolai, in quell’edificio abitavamo solo noi tre — io, Sherlock e Rosie — e Mrs. Hudson, di chi mai poteva essere un neonato!?

Seguii sbalordito quel pianto e contemporaneamente sentii alle mie spalle la porta della camera di Sherlock che si apriva.

“Jhaun” esclamò, più o meno. Ma sapete com’è, ero troppo preso a trasalire per rispondergli… E infatti aprii la porta di casa e trovai parcheggiato sul pianerottolo un passeggino dall’aria costosa e raffinata. Dentro era adagiato un bambino rosso come un pomodoro, che piangeva e si dimenava senza sosta.

Tutto poi accadde in pochi secondi.

Io ho preso subito in braccio la creatura, ero stravolto come potrebbe essere una qualsiasi persona al mio posto, e poi ho guardato il mio amico, esigevo prontamente delle spiegazioni.

“Oddio! Sherlock! Cosa… Cosa sta succedendo? Di chi è questo bambino?” farfugliai esagitato sopra le grida di quest’ultimo “Mi puoi spiegare, per favore!?”

Ma Sherlock deve avere dedotto il contenuto della lettera prima ancora di aprirla perché, invece di spiegarmi, si è lanciato giù per le scale alla velocità della luce. Talmente veloce che la sua vestaglia si gonfiò come un paracadute alle sue spalle, talmente veloce da far invidia a un ghepardo. Non ho mai visto un essere umano correre così veloce in vita mia. La vista del mio migliore amico che sfrecciava giù per le scale mi lasciò esterrefatto, al tal punto che restai immobile con la bocca aperta. Preciso che erano le tre del mattino e che il mio turno in ambulatorio sarebbe iniziato alle sette. Il giorno prima avevo fatto il turno di notte e avevo una figlia di cinque anni, senza madre. E ora avevo anche un neonato. 

A quel punto decisi di sbrigarmela da solo e di aprire di mio pugno entrambe le lettere, a costo di sembrare sfacciato. La prima era il bigliettino spillato sulla copertina azzurra, in cui c’era scritto, in bella e femminile calligrafia, soltanto il nome del bambino. Ho aperto quindi l’altra lettera, quella che era indirizzata a Sherlock, ma anche qui sono rimasto deluso. C’erano solo due righe:

 

Tornerò.

 

P.s. non azzardarti a corrermi dietro.

 

 

In quel momento compresi perché Sherlock era scappato come un pazzo fuori dal nostro appartamento: stava correndo dietro alla mittente, nonché la madre del bambino. E come il mio cervello registrò le parole “madre del bambino”, realizzai subito di chi stavamo parlando e che cosa fosse successo. Chiusi gli occhi e feci un bel respiro, cosa che non mi riuscì, visto che stavo ondeggiando da un piede all’altro nella speranza di cullarlo.

Cercai di ragionare. Aprii la borsa che Miss Adler (sì, chi altri se no?) ci aveva lasciato e vidi che grazie a Dio c’era un biberon pieno fino all’orlo, appiccicato al quale un foglietto adesivo recava la seguente scritta: microonde, 30 secondi. Avrei voluto ricordare alla signora che A) sono un medico B) avevo avuto una figlia, perciò ero perfettamente in grado di accudire un neonato anche senza le sue istruzioni. Misi quindi il biberon nel microonde — fortuna che l’avevo comprato giusto la settimana scorsa — e ficcai la tettarella di gomma in bocca al pargolo, il quale vivaddio si mise quieto.

Guardai fuori dalla finestra, di Sherlock nemmeno l’ombra. Sperai dentro di me che l’avesse trovata e che la stesse convincendo a tornare qui. L’orologio intanto scoccò le tre e trenta del mattino, io mi sentivo esausto e presto Nero si addormentò col biberon in bocca. Mi accovacciai pieno di preoccupazioni nella mia poltrona, non ebbi il cuore di chiamare Mrs. Hudson a quell’ora della notte, ma decisi invece di telefonare a chi, ero certo, avrei trovato sveglio: Mycroft Holmes.

Quest’ultimo mi rispose al secondo squillo.

“Oh, cielo. Cosa è successo questa volta?” mi domandò subito, diretto e pronto al peggio come al solito.

“Ha un figlio” ho replicato, diretto quanto lui “Ha un figlio con Irene Adler. Lei ha lasciato il neonato sull’uscio della porta ed è sparita, ora è sparito anche lui. Puoi venire gentilmente?”

Mycroft esitò prima di rispondere.

“Ma che terribile sfortuna” esclamò con finto tono dispiaciuto “Sono impegnato”

“Mycroft!”

“Buonanotte, John”

“Non…”

Volevo dire non riattaccare, ma non feci nemmeno in tempo. Nero intanto dormiva profondamente tra le mie braccia, era un bel bambino robusto coi capelli scuri, ma aveva un’espressione accigliata, sembrava imbronciato. Presto mi appisolai anche io sulla poltrona, ma fui svegliato poche ore più tardi dagli strilli del neonato e da un odore che preferisco non commentare e lasciare alla vostra immaginazione.

I suoi strilli presto o tardi svegliarono anche Rosie, mia figlia, la quale si dimostrò subito entusiasta del nostro nuovo ospite. Anche se si è dileguata durante il cambio del pannolino e come biasimarla, dico io.

Ho cambiato e lavato il grosso pargolo (nell’elegante borsone elargitoci dalla signora c’erano ben tre vestitini in tinta e una scatola mezza vuota di pannolini), ma questo non è stato sufficiente per placare il suo pianto. 

Faccio presente che erano le sei e un quarto del mattino e che tra quaranta minuti io dovevo essere in servizio in ospedale. Da una parte avevo Rosie che voleva fare colazione e accusava mal di testa, dall’altra avevo Nero che gridava sonoramente. Di Sherlock Holmes nemmeno l’ombra. Potete immaginare l’enorme sollievo che provai quando vidi Mrs. Hudson comparire sull’uscio della porta. Indossava ancora la camicia da notte e aveva un’espressione a dir poco esterrefatta.

“John!” esclamò "Mi sembrava di aver sentito il pianto di un neonato! Ma cosa succede! Di chi è quel bambino?”

Io la guardai negli occhi in un modo rassegnato che ormai doveva esserle famigliare. Di chi mai poteva appartenere un bambino spuntato all’improvviso, così, dal nulla? Lei infatti spalancò la bocca, era incredula.

Sherlock!?” affermò stupefatta, giungendo verso di me “Sherlock ha un figlio? Ma come può essere possibile!”

Stavo per risponderle, ma proprio in quell’istante accadde qualcosa di spaventoso. Uno sparo d’arma da fuoco colpì in pieno il paralumi della lampada che si trovava alla sinistra del camino, a tre metri da noi.  Mi prese un colpo. Mrs. Hudson cacciò un urlo, Rosie pure e Nero rise.

“Ecco, ha smesso di piangere” esclamò Sherlock come se niente fosse, indicando con l’arma fumante il bambino che rideva con le guance ancora rigate di lacrime.

“La mia piantana” ansimò con rassegnazione la nostra padrona di casa, con la mano appoggiata sul cuore. Io ero nella stessa situazione di poco prima della sua fuga, a bocca aperta, ma questa volta avevo pure sfiorato l’infarto. Ero talmente basito e incredulo che non sapevo nemmeno da dove cominciare con le proteste.

“Sherlock!” esclamai solo, ero estenuato "Sherlock, santiddio".

“Lo so” esclamò questi, poi abbassò lo sguardo e fece un’espressione vagamente pentita. Non è mai stato particolarmente espressivo, ma io ormai lo conosco bene. L’ho guardato con tanto d’occhi mentre si dileguava in cucina e si ficcava in bocca una delle merendine di Rosie. Non degnò il bambino di un solo sguardo.

Ho quindi chiesto a Mrs. Hudson di prendere mia figlia e di portarla giù da lei per la colazione. Costei per fortuna ha compreso la gravità della situazione ed è stata comprensiva, ha avuto pietà di me. Dopotutto ero un lavoratore ed ero anche un padre single di una bambina cinquenne e di un bambino quarantenne che aveva appena avuto un figlio, avevo bisogno di comprensione.

Ho guardato in faccia Sherlock senza dire una parola. La cosa che più mi aveva ferito di tutta questa storia era che lui non mi avesse detto niente, come al solito. Conoscendolo, non poteva essere stato all’oscuro dell’esistenza di questo bambino. Ha comunicato a Mary che era incinta prima ancora che lei se ne rendesse conto, figuriamoci se poteva sfuggirgli una cosa del genere.

“Da quanto lo sai?” Gli ho quindi chiesto, per intavolare il discorso.

“Esattamente tre ore e sedici…” 

“Non ti credo” l’ho subito interrotto.

Mesi. Tre ore e sedici mesi”

Io ho scosso la testa, ero davvero rammaricato “Perché non mi hai detto niente?”

“Perché non avresti dovuto scoprirlo” mi rivelò con tono piatto.

“Perché no?” gli ho chiesto, mi ero realmente incollerito “Non so, esiste un motivo al mondo per non dire al proprio migliore amico di aspettare un figlio?”

“Il fatto che non ho mai aspettato un figlio, ad esempio” esclamò criptico. Io ho aggrottato subito le sopracciglia, credetti per un momento di avere frainteso l’intera situazione.

“In che senso?”

“Quello non è mio figlio, John. Non legalmente” ha aggiunto con tono cupo, dandomi le spalle.

“Hai intenzione di non riconoscerlo?”

Sherlock sbuffò “Andiamo, come potrei riconoscerlo?” mi domandò, secco "Come potrebbe lei? Io sono un sociopatico che spesso lavora contro i criminali più pericolosi del mondo, lei è una dominatrice che spesso lavora per i criminali più pericolosi del mondo, come potremo avere un bambino senza metterlo in pericolo di vita almeno una volta al giorno?”

Il discorso era triste ma sensato, ora capivo perché non si era degnato di guardarlo… La verità era che non riusciva a guardarlo. Però la domanda sorgeva spontanea: perché l’avevano messo al mondo, allora? Per carità, questi sono argomenti delicati sui quali non mi voglio inerpicare, ma da due soggetti come quei due non me lo sarei mai aspettato.

“L’avete messo al mondo comunque, però…”

Sherlock comprese cosa intendessi dire. “Io non sono eterno. Sarebbe stato da egoisti privare il mondo di una mente come quella” esclamò apparentemente gelido e sfacciato, indicando il bambino. 

No, non me la raccontava giusta. Io lo conoscevo, vuole passare per l’uomo d’acciaio calcolatore e anaffettivo, ma in realtà non lo era, non lo era nemmeno lontanamente. 

“Pare sia già un genio per essere un neonato” continuò come se niente fosse.

“Ah sì?” ho domandato con ostentato scetticismo “A me sembra solo grassoccio e pelato come tutti gli altri”

“Ha preso da Mycroft”

Ammetto che mi fece sorridere. 

“Avrebbe dovuto chiamarsi Hamish” continuò Sherlock, lanciandomi uno sguardo “Ma Miss Adler è stata irremovibile”

“Nero invece è proprio un nome meeeraviglioso” esclamai sarcastico, ma meno duramente. Sherlock sorrise.

“È italiano. È il suo colore preferito”

“Non potevo aspettarmi niente di diverso da una psicopatica egocentrica” gli ho detto francamente “Ma è perfetta per te. Quindi mi confermi finalmente che state insieme?”

“Avevo anche proposto Johnlock” mi interruppe di nuovo Sherlock “Un mix dei nostri due nomi di battesimo. Ma ho temuto che un’imprudenza del genere lo avrebbe condotto direttamente qui da noi a chiederci spiegazioni”

“State insieme oppure no?” ho insistito.

“Sheron, se fosse stata una femmina…”

“Sherlock, mi vuoi rispondere?” non avevo intenzione di gettare la spugna.

“…È più raffinato di Sharon, dopotutto”

A me venne da ridere, niente, non c’era niente da fare. Dovevo rassegnarmi, non si sbottonava.

Il lattante poi fece uno strano fischio e Sherlock spostò gli occhi su di lui, il bambino ricambiò di scatto il suo sguardo. Ci fu un breve ma intensissimo momento di stallo, un attimo surreale nel quale i due parvero studiarsi e soppesarsi a vicenda. Mi sentii improvvisamente di troppo, ebbi l’impressione di stare assistendo a un momento epico.

“Chi è il miglior detective di tutto il mondo?” gli domandò Sherlock. Io sbuffai disilluso, capirai se un neonato di… Otto mesi? Poteva capire una cosa del genere. Eppure quest’ultimo guardò il padre e si tirò il bavaglino con la manina tozza. Sherlock assottigliò pericolosamente lo sguardo.

“No, non ha preso da Mycroft” ho constatato “Ha preso da te

 

 

Potrei dire che Sherlock lo diede in affido con serenità, ma mentirei. Io lo conoscevo, aveva il cuore spezzato, anche se lo negava. Riteneva un atto di generosità e di amore nei suoi confronti affidarlo a un’altra famiglia e forse col senno di poi aveva avuto ragione. Personalmente, gli ho solo ricordato che io comunque ci sarei stato per quel bambino, esattamente come lui c’è sempre stato per Rosie. Tuttavia, se lui e la madre avevano preso questa ardua decisione, io potevo solo rispettarla e sostenerlo.

Sappiate però che quello non fu mai un vero addio. Il tempo passò, e presto anche a Londra cominciò a giungere la voce di un ragazzino prodigio che risolveva intricati casi investigativi in New Jersey, America. Questo ragazzino prodigio rispondeva al nome di Nero Wolfe e indovinate un po' chi era il suo mentore, colui con cui intratteneva una fitta e segreta corrispondenza?

Sì, esatto.

Non ho mai visto Sherlock rispondere così velocemente a qualcuno come alle lettere del giovane collega statunitense.

“Hai intenzione di dirgli la verità, prima o poi?” gli ho chiesto una sera mentre eravamo di fronte al caminetto.

“No, voglio vedere se ha talento” mi ha risposto con la pipa in bocca, in età più matura era diventata un accessorio immancabile “Se ce l’ha, la scoprirà da solo”

Non rimasi nemmeno troppo stupito da questa risposta. Dopotutto lui è Sherlock, fa sempre così.

 

 

 

 

 



 

Note dell’autore

Ciao, spero che questa storia vi sia piaciuta. Questo famoso Head Canon (sostenuto da diversi critici letterari ma mai stato confermato) mi è sempre piaciuto e ho voluto provare a scrivere due righe anche nell’universo di Sherlock BBC. Su questa storia posso dirvi che Sherlock non ha corso dietro a Irene Adler per convincerla a tornare, ma piuttosto per sostenerla e per decidere definitivamente sul fatto di darlo in adozione.

Direi che ho detto tutto.

A presto,

Obi

   
 
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