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Autore: Eyeshant    08/05/2021    3 recensioni
5 volte in cui Bokuto Koutaro sorprende le persone che ama + una volta nel quale non si sorprende di sé stesso.
Bokuaka e fluff. Devo dire altro?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Osamu Miya, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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note: salve a tutt*! 
Visto che l'italiano non è la mia prima lingua, se notate errori o discorsi che tornano poco, fatemi sapere ❤️ Grazie

Hinata

Hinata non era ancora del tutto abituato a non dover sbattere le scarpe contro il pavimento per togliere la sabbia alla fine di ogni allenamento.

Più in generale, non era ancora abituato a non avere sabbia ovunque.

Era strano fare la doccia e non vedere il giallo scurirsi in marrone sul piatto bianco e forse era ancora più strano non contare le ore di fuso orario per chiedere a sua madre quale programma usare per la lavatrice.

Ma non l’impatto della palla contro il palmo della sua mano, la sensazione di volare dopo che il piede aveva trovato il giusto appoggio per saltare, la tensione dei muscoli dopo un lungo allenamento. Tutto ciò che era familiare, dal gusto del cibo, alla lingua fino ad arrivare all’odore di sudore e plastica era un confortante.

Eppure, allo stesso tempo, c’era una piccola parte di sé che continuava a smaniare.
Come se il mondo fosse contemporaneamente troppo grande e troppo piccolo. 

Guardando un oceano diverso da quello al quale si era abituato, non poteva fare a meno di chiedersi che aspetto avessero tutti quegli oceani che non aveva mai visto.

Mangiando i panini al vapore ripieni di maiale che in Brasile gli erano tanto mancati e che ora quasi gli sembravano sciapi a confronto con l’acaraje che ti tanto in tanto Pedro comprava per strada. 

Alcuni giorni il Brasile gli mancava come gli era mancato il Giappone, come se fosse diviso tra due mondi.

Hinata guardò i suoi compagni di squadra muoversi per la palestra e pensò che almeno poteva sentirsi parte di loro. Omi-san a Atsumu stavano battibeccando in un angolo, ma le loro spalle erano rilassate e Hinata aveva iniziato a capire quando stessero litigando sul serio e quando invece era solo un gioco. Barnes era seduto in panchina stringendo una borraccia e annuiva con aria tesa al preparatore atletico, ma anche in quel caso, Hinata era quasi certo che fosse più per un sforzo nel capire la lingua che non per il contenuto della conversazione.

Meian li osservava tutti come un falco, pronto a notare qualsiasi problema che richiedesse il suo intervento e, alla sua destra, coach Foster faceva altrettanto allungandosi di tanto in tanto verso il capitano per commentare qualcosa. Quando i loro sguardi si posarono su Hinata, sentì l’improvviso desiderio di fare qualcosa, di far vedere che non stesse perdendo tempo.

“Mio discepolo,” disse una voce tonante alle sue spalle e una mano lo colpì sulla spalla sinistra prima ancora che potesse reagire.

“Bokuto-san!” Esclamò Hinata girandosi con un sorriso.

“Cosa ci fai con la palla in mano? L’allenamento è finito, vai a fare stretching.”

Hinata esitò e si limitò a giocare con le linee scavate sulla superficie liscia del pallone.

“Volevo chiedere ad Atsumu di provare un nuovo tipo di schiacciata,” disse quasi imbarazzato. Atsumu sembrava molto disponibile, ma era strano doversi porre il problema di chiedere. Con Kageyama bastava uno sguardo dall’altra parte della palestra e in Brasile c’era sempre qualcun altro pronto a prendere il posto dei giocatori troppo stanchi.

Bokuto mormorò pensieroso e scosse la testa.

“È giovedì,” disse come se questo volesse dire qualcosa per Hinata.

Evidentemente notò la confusione sulla faccia di Hinata perché dopo un momento spiegò: “Il giovedì Miya-sam esce prima di lavoro e di solito passano la serata a giocare alla playstation a casa sua. Se tutto va bene, domani Tsum-Tsum dovrebbe avere solo qualche livido.”

Bokuto rise alle sue stesse parole tirando la testa indietro e mettendosi le mani sui fianchi. Dal basso, Hinata pensò che sembrasse veramente un rapace sul punto di spiccare il volo.

“Non riesco nemmeno a pensare di litigare in quel modo con Natsu,” disse Hinata sorridendo al pensiero di sua sorella.

Bokuto smise di ridere ma mantenne il sorriso, “non è forse questo il bello?” Chiese.

Hinata lo guardò con curiosità.

“Ogni fratello, ogni amicizia, ogni relazione,” spiegò Bokuto, “sono tutte diverse e speciali.”

Hinata annuì perché capiva esattamente cosa intendesse. Lo capiva dalle sue sfide con Kageyama, dalle battute passivo-aggressive di Tsukishima quando si scrivevano, dagli abbracci confortanti di Yachi e dalle pacche sulle spalle di Bokuto.

E lo capiva anche dai battibecchi di Omi-san e Atsumu, dalle borracce che Meian si premurava sempre di passare agli altri giocatori durante le giornate più calde e dalle braccia coperte di lividi di Miya-sam quando, senza bisogno che gli venisse chiesto, serviva a suo fratello un vassoio con i suoi onigiri preferiti sempre un filo più grandi di quelli normali e con appena un po’ più di tonno.

Hinata sorrise divertito al pensiero.

“Lascia che alzi io per te oggi,” disse Bokuto dopo un momento. La palestra era ormai vuota e l’unico rumore rimasto era Inunaki che in un pessimo inglese spiegava a Barnes cosa fosse il teatro Kabuki.

Hinata lo fissò con sorpresa. Non aveva mai visto Bokuto alzare e, una piccola parte di lui, dubitava che sapesse farlo.

“Pensi di essere l’unico ad essere cresciuto in questi anni?” Chiese Bokuto vedendolo esitare, ma non c’era nemmeno l'ombra di risentimento nelle sue parole.

Bokuto puntò un pollice contro il proprio petto indicandosi. “Sono un campione, non c’è nulla che non sappia fare su questo campo.”

Hinata annuì di nuovo perché capiva anche questo e sorridendogli si mise in posizione.

Lanciò la palla verso l’alto simulando un passaggio e Bokuto la alzò come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Un po’ troppo bassa, pensò Hinata comunque sorpreso mentre colpiva la palla.

“Era troppo bassa,” disse Bokuto prima ancora che Hinata avesse toccato terra. C’era una piega tra le sue sopracciglia, ma si riprese velocemente e prese un’altra palla dal carrello.

“Dammi altri due tentativi per capire come fare e poi spiegami cosa volevi provare.”

Hinata afferrò la palla dalle sue mani e, in qualche modo, si sentì di aver appena accettato una sfida.

Lancio, palleggio, rincorsa, salto e poi il soddisfacente bruciore di cuoio sintetico contro il palmo della mano.

“Perfetta!” Esclamarono entrambi, contemporaneamente.

Bokuto alzò un braccio al cielo per esultare e sorrise in un modo che improvvisamente ricordò a Hinata del sorgere del sulla spiaggia di Rio quando la spiaggia ancora tiepida rifletteva la luce sull’asfalto della strada.

Hinata pensò che Bokuto fosse da solo il meglio dei suoi due mondi.

 

Atsumu

“...e poi ha alzato la palla e swooosh! Era come se fosse fatta apposta per essere colpita.”

Atsumu annuì finendo di sistemarsi i capelli davanti allo specchio. Shouyou si era seduto per mettersi le scarpe dopo la doccia, ma sembrava troppo impegnato a gesticolare raccontando ad Atsumu (per la ventesima volta) di quanto fosse stato bravo Bokkun ad alzare per lui la sera prima.

Atsumu lo guardò dal riflesso dello specchio e sorrise al luccichio eccitato nei suoi occhi. Sapeva bene quanto Bokkun potesse essere bravo ad alzare. Era stato lui, dopo tutto, ad insegnarglielo.

“Bokuto-san è veramente il migliore!”

Di fronte al suo armadietto, Omi-kun sbuffò, ma era troppo impegnato nella sua pulizia settimanale dell’armadietto per partecipare alla conversazione. Aveva una maschera bianca, più spessa di quella che portava di solito. 
Per qualche motivo, Atsumu sapeva che era la maschera che portava per fare le pulizie, ma decise di non chiedersi per quale motivo lo sapesse.

Deve essere per non inspirare i detergenti, pensò, come se avesse senso.

“Bokuto-san, Bokuto-san, Bokuto-san,” disse Atsumu girandosi e puntando gli occhi al cielo, “un giorno dovremo parlare di quanto sia inopportuno da parte tua fare i complimenti ad un altro giocatore per come alza davanti al tuo alzatore preferito.”

Omi sbuffò di nuovo e Atsumu gli fece una linguaccia anche se era ancora girato a guardare il suo armadietto.

“Non mi vorrai mica dire che preferisci Bokkun a me?”

Hinata sgranò gli occhi e arrossì appena, ma quando Atsumu si gettò drammaticamente mezzo sulla panchina e mezzo su di lui, rise.

“Lascia che ti racconti di come Bokkun mi ha rovinato la vita,” disse in un finto sussurro e con la coda dell’occhio notò che anche Omi si era voltato di un po’ a guardarlo.

Vittoria.
“La mia triste storia comincia quando, fresco di diploma, una certa squadra di Osaka continuava a mandarmi scout dopo scout perché non poteva accettare di non avermi,” alle sue parole Inunaki, ormai vestito rise e lasciò lo spogliatoio portandosi dietro la sua risata sgraziata. OmiOmi aveva sbuffato una terza volta e si rimise a pulire, ma Atsumu sapeva che stava ascoltando.

“A quel tempo, mio caro Shouyou, ero ancora ingenuo e puro e mi ero convinto di essere etero.”

Gli occhi di Shouyou si chiusero per il divertimento e il suo piccolo sorriso di allargò fino a mostrare tutti i denti.

Atsumu fece una pausa drammatica poi disse: “Immagina la mia reazione quando entro in questa stessa palestra e mi ritrovo davanti il coach. Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che Mr. Foster sia uno gnocco.”

Shouyou fece una pausa pensierosa e poi annuì. Omi invece si voltò completamente verso di loro e, persino con la maschera, Atsumu riuscì a vedere la sua faccia corrucciata. Era certo che sotto il tessuto bianco le sue labbra stessero formando una smorfia disgustata.

“In quel periodo, avevo una tecnica efficacissima per il mio problema,” continuò Atsumu, “tutte le volte che facevo pensieri “inopportuni” su un uomo mi ripetevo un mantra,” altra pausa drammatica, “lo vuoi sapere?”

Shouyou annuì ancora divertito, “Sì!”

“Tettetettetette!”

“Tettetettetette?” Ripeté Omi girandosi di nuovo verso di loro e Atsumu si dovette prendere un secondo per accettare che nel loro semplice, banale universo, ora avesse la memoria di aver sentito quelle parole uscire dalla bocca di Omi.

Shouyou rise di nuovo, più apertamente e Atsumu ebbe l’improvviso desiderio di pizzicargli le guance come fanno le comari ai bambini.

“Funzionava!” Esclamò, come se si dovesse giustificare, “me lo ripetevo finché il problema non si risolveva da solo.”

“Comunque,” disse interrompendo Omi-kun prima che potesse aggiungere altro, “un giorno Kodai, il preparatore atletico che aveva a quel tempo, mi dice che devo rafforzare i muscoli delle spalle e Bokkun, quell’infame, si offre di spottarmi.”

Atsumu sospirò e guardò le facce incuriosite di Shouyou e Omi (che ormai aveva smesso di fingere di non star ascoltando).

“All’inizio tutto bene: un po’ di riscaldamento, un po’ di cardio e passiamo ai pesi. Sapete come è Bokuto.” Entrambi annuirono, “poi, verso la fine della sessione, se ne esce che fa troppo caldo e si toglie la maglia come se nulla fosse e si mette alla chest press,” Atsumu avrebbe voluto ride all’improvvisa comprensione che poteva leggere sul volto dei suoi spettatori improvvisati. 
“Da quel momento in poi se penso alla parola tette penso a quei pettorali divini coperti di sudore. Ora tutto ciò che voglio nella vita e appoggiare la faccia tralle sue tette e brrrr,” disse simulando il gesto. Si meravigliò che Shouyou non stesse ridendo, ma continuò indisturbato, “potrei morire felice se potessi fargli motorboating anche solo una volta.”

Sospirò scuotendo la testa come se avesse appena finito di raccontare un evento traumatico, ma quando riguardò gli altri due, anziché vederli divertiti (o inorriditi nel caso di Omi) lo fissavano con occhi sgranati.

Atsumu aprì la bocca per chiedere loro se avessero visto un fantasma, ma prima che potesse farlo una mano lo afferrò per una spalla voltandolo di forza e improvvisamente la sua faccia era spiaccicata contro il miglior cuscino del mondo. Nel secondo che gli ci volle prima che smettesse di provare panico, Atsumu notò tre cose distintamente: l’odore di deodorante e sapone, la sensazione di cotone pulito sulla faccia e uno squittio che, purtroppo, proveniva da lui.

“Bastava chiedere, Tsum-Tsum” disse la voce divertita di Bokkun, ma più che sentirla, Atsumu la percepì nelle vibrazioni del suo petto.

Era ancora meglio di come se lo fosse immaginato. Atsumu era quasi commosso. Senza pensare, si ritrovò ad abbracciarlo affondando la testa sempre di più contro i pettorali e, dopo ripensandoci realizzò che avrebbe dovuto provare almeno un po’ di vergogna, mugolando strusciò la faccia contro il cotone. La mano di Bokkun che lo aveva afferrato per una spalla si spostò ad accarezzargli la testa e Atsumu raggiunse il nirvana per un secondo.

La sua pace interiore fu interrotta quando la punta del suo naso “accidentalmente” strusciò contro uno dei suoi capezzoli e Atsumu, improvvisamente, riscese sulla terra.

“Bokkun,” disse camuffato dalla maglia, “ma hai un piercing sul capezzolo?”

Atsumu sentì il corpo di Bokkun irrigidirsi per un secondo. Poi la mano contro la sua nuca si sposto lentamente verso la sua faccia e Bokuto afferrò il suo mento allontanandolo abbastanza perché potessero guardarsi negli occhi.

Nonostante la posa suggestiva, si aspettava di trovare imbarazzo sul volto di Bokuto. Non sapeva neanche che un ghigno come quello potesse esistere sulla sua faccia. Sentendo le sue guance bruciare, Atsumu guardò l’inesorabile discesa della palpebra destra di Bokuto che, con lo sguardo più malizioso che gli avesse mai visto, gli fece un semplice occhiolino prima di fare un passo indietro e afferrare la sua borsa che doveva aver lasciato cadere a terra prima di realizzare il sogno di Atsumu.

“A lunedì,” disse col suo solito tono gioviale e un placido sorriso. Nessuno rispose e Bokuto se ne andò fischiettando.

Dopo un momento di silenzio qualcuno (Omi) si schiarì la gola e Atsumu si voltò a guardarlo con gli occhi ancora sgranati e le guance in fiamme.

Shouyou era messo peggio di lui e la sua pelle era praticamente del colore dei suoi capelli. Persino Omi-kun, che si era di nuovo voltato a finire di pulire, aveva il collo rosso di imbarazzo.

Shouyou sospirò e rise rilasciando la tensione.

“Bokuto-san è...”disse senza fiato e anziché finire fece un gesto ampio con le braccia.

Sia Atsumu che Omi annuirono.

 

Osamu

“Hey hey hey, Miya-sam!” Disse Bokuto entrando dentro Onigiri Miya come se stesse entrando in un saloon di qualche film western.

Osamu alzò lo sguardo dalla cassa dove stava cambiando gli spiccioli per prepararsi alla folla serale.

“Bokuto,” disse con un cenno della testa e il suo solito “sorriso da lavoro” che ‘Tsumu adorava prendere in giro.

Bokuto si fiondò sull’esposizione di onigiri e bento da portare via e Osamu sospirò di sollievo. Nelle giornate giuste, adorava avere Bokuto in negozio, ma non quando era così stanco da sentire la pelle intorno agli occhi tirare e lo stomaco rivoltarsi per la quantità di caffè bevuti.

La sera prima era uscito prima e, anziché riposarsi come si era ripromesso di fare, alle tre di notte si era ritrovato a colpire Atsumu con il joystick della playstation.

Fece una nota mentale di ricordarsi di passare a comprare un nuovo joystick.

Bokuto si avvicinò alla cassa tenendo in mano una quantità assolutamente eccessiva di onigiri e Osamu si augurò che un esercito lo stesse aspettando a casa per finirli. Un paio di onigiri erano in bilico tra le sue braccia e Osamu lanciò un’occhiata ai cestini accanto al frigo chiedendosi perché si fosse preso la briga di comprarli.

Bokuto li lasciò cadere disordinatamente sul banco davanti alla cassa con un sorriso compiaciuto.

“Me ne faresti altri tre al tonno e quattro col mentaiko, per favore?”

Osamu sbatté le palpebre un paio di volte fissando la piccola montagna di riso davanti a sé.

“Certamente,” disse invece mandando indietro un improvviso sbadiglio, “serve altro?”

Bokuto scosse la testa e si mise a sedere al bancone osservando il resto del negozio vuoto fatta eccezione per una ragazza sola intenta a giocare al cellulare con una mano e a mangiare il suo onigiri con l’altra.

Osamu iniziò a passare gli onigiri e imbustarli in silenzio aspettandosi da un momento all’altro che Bokuto iniziasse a parlare dell’allenamento appena terminato. Era strano avere a che fare con Bokuto, o più in generale con i black jackals. Era amico di Atsumu e, fino a relativamente poco tempo prima, questo lo rendeva automaticamente anche amico di Osamu. Non si era ancora abituato all’idea che lui e ‘Tsumu avessero amicizie non comuni. 
Inoltre, c’era la sottile linea tra conoscente e cliente. Se Atsumu, o persino Sunarin, fosse entrato a pochi minuti dall’ora di cena a svaligiargli il frigo li avrebbe rimproverati. Ma Bokuto non aveva lo sconto famiglia e Osamu non era sicuro di quanta confidenza potesse prendersi.

“Ehi, Itsu,” disse Osamu ad alta voce e vide con la coda dell’occhio il suo dipendente nascondere il cellulare tra le pieghe del grembiule, “fammi un po’ di misti da portar via prima che arrivi la gente per la cena.”

Itsu sbuffò e Osamu si chiese perché continuasse ad assumere universitari svogliati.

“Ma li ho appena fatti,” disse col suo solito tono lamentoso che faceva sempre venire voglia ad Osamu di tirargli un pugno ben assestato sul plesso solare.

Imbustò l’ultimo degli onigiri sul banco e scosse la busta in direzione di Itsu a mo’ di spiegazione.

Itsu sbuffò di nuovo e si mise al lavoro.

Osamu scosse la testa e si apprestò a lavarsi le mani per fare a Bokuto gli Onigiri che gli aveva chiesto. Bokuto, che aveva assistito in silenzio sorrise e disse: “scusa, volevo scriverti per avvertirti, ma dopo l’allenamento mi sono messo a chiacchierare con TsumTsum.”

Osamu gli sorrise educatamente e mentalmente maledì suo fratello. Alla fine era sempre colpa sua.

“Ci mancherebbe altro,” disse afferrando il riso ancora tiepido con le mani bagnate e coperte di sale.

“Come mai tutti questi onigiri?” Chiese tentando di cambiare discorso contando i giorni fino alla fine del contratto di Itsu.

Il volto di Bokuto si aprì in uno dei suoi sorrisi accecanti.

“Akaashi viene per il fine settimana!”

“Oh,” rispose spiegandosi improvvisamente la sacchettata di Onigiri.

“Pensavo comunque di passare domenica prima che prenda il treno. Così può fare scorta per Tokyo.”

Osamu tornò a guardare il riso nelle sue mani e sentì un sorriso sincero formarglisi sulle labbra.

Akaashi Keiji era senza esagerazione uno dei suoi migliori clienti anche vivendo a due ore e mezzo di treno.

Di solito ogni menzione di Akaashi era il segnale per Bokuto per iniziare a parlare di ogni singolo sviluppo della sua vita, dal suo ultimo progetto editoriale, fino alla nuova marca di dentifricio che aveva deciso di provare, ma Bokuto rimase in silenzio. Non completamente fermo, comunque. Osamu dubitava che fosse fisicamente in grado di stare completamente fermo.

Osamu guardò il riso compattarsi nelle sue mani e si rese conto di aver perso la cognizione del tempo. Sul banco c’erano due dei tre onigiri al tonno già fatti e perfettamente triangolari, ma non ricordava di averli fatti. Si fermò a guardarli e lanciò un’occhiata a Bokuto che lo stava guardando lavorare in silenzio.

Aprì la bocca per chiedergli se andasse tutto bene, ma in quel momento entrarono due donne ed Osamu diede loro il benvenuto riprendendo a lavorare. Lanciò un’occhiata a Itsu che fortunatamente non era di nuovo al telefono e, quando riuscì a catturare la sua attenzione, indicò il la cassa con la testa.

Itsu abbandonò il tavolo di lavoro dove tre dei mix da portare via erano già fatti e impacchettati. Osamu quantomeno dovette concedergli di essere veloce.

Le due donne sembravano essere deluse dal non essere servite direttamente da lui.

Guardò di nuovo verso Bokuto e vide il suo sguardo divertito. Si scambiarono uno sguardo di intesa e Osamu si chiese se Bokuto lo considerasse un amico e se tutte le sue preoccupazioni fossero inutili.

“Come mai così quieto oggi?” Chiese iniziando gli onigiri al mentaiko.

Bokuto fece un piccolo suono pensieroso e guardò in alto prendendo tempo.

“Hai un aspetto orribile,” disse dopo un po’.

Osamu lo guardò sbattendo velocemente le palpebre in sorpresa.

“Cioè, sembri veramente esausto,” spiegò Bokuto con un gesto vago della mano, “e non sono così tonto da non sapere quanto stancante possa essere avere a che fare con...” Bokuto esitò come se stesse cercando la parola giusta, “me.”

Se Osamu fosse stato una persona migliore, lo avrebbe rassicurato. Gli avrebbe detto che, era vero che era stanco, ma che se avesse voluto chiacchierare era tutto orecchi.

‘Tsumu, parlando di Bokuto, adorava nascondere piccoli preziosi complimenti nelle sue litanie di “è troppo rumoroso,” (“senti chi parla!”), “si deprime per ogni piccola cosa,” (“disse la Drama queen...”), “parla sempre di Akaashi. Akaashi qui, Akaashi li,” (“Sai quante volte hai detto la parola Omi da quando sei arrivato?”). Una volta, dopo una sconfitta particolarmente dolorosa, ‘Tsumu si era messo con la testa appoggiata al bancone tra le sedie alzate sul tavolo mentre Osamu puliva i pavimenti.

“Sai,” gli disse, “penso che Bokkun faccia solo finta di essere così tonto.”

Osamu continuò a spazzare in silenzio, ma Atsumu c’era abituato.

“A volte penso che capisca più di chiunque altro.”

Osamu non gli aveva creduto quella sera.

Nel negozio, davanti allo sguardo vigile di Bokuto e con Itsu che sbuffando era tornato a finire gli onigiri da asporto, Osamu impacchettò gli onigiri per Bokuto e Akaashi.

Se fossi una persona migliore, pensò, vorrei essere come Bokuto.

“Lo sai, Bokuto,” disse, “credo che tu abbia diritto allo sconto famiglia.”

Bokuto lo guardò sorpreso.

“Sicuramente mi piaci più di ‘Tsumu.”

Bokuto rise e Osamu si sentì di avere un amico in più.

 

Sakusa

Pulire non era divertente per Sakusa.

La gente dava per scontato che per uno “come lui” pulire fosse il massimo della gioia, ma ogni volta che vedeva lo sporco accumularsi nello scomparto dell’aspirapolvere, ogni volta che un panno usato per pulire si sporcava di nero, tutto quello a cui riusciva a pensare era che quello sporco fosse prima su tutte le superfici con le quali era entrato a contatto.

Sapeva che il fine settimana una ditta esterna sarebbe passata a pulire a fondo tutta la palestra, ma nonostante le rassicurazioni del coach e del capitano, non riusciva a fare a meno di pensare che quello che loro (gli altri) consideravano pulito e quello che lui considerava pulito, fossero due cose completamente diverse.

Miya e Hinata se n’erano andati in silenzio da poco più di mezz’ora proprio quando Sakusa aveva iniziato ad adocchiare la panca su cui erano seduti. C’era un laniccio di polvere attaccato ad una delle gambe che sembrava supplicarlo di essere rimosso.

Generalmente, Hinata provava ad invitarlo da qualche parte. Non perché pensasse veramente che Sakusa gli avrebbe detto di sì, ma perché era la cosa giusta da fare.

C’ere qualcosa nella disarmante onestà di Hinata che Sakusa trovava avvincente. Forse un giorno gli avrebbe detto di sì solo per vedere la sua espressione spiazzata. Miya sarebbe esploso. Non c’era giorno in cui non provava a trascinarlo da qualche parte e, l’unico motivo per cui c’era riuscito era che ogni tanto lo seguiva fino al suo appartamento e si piazzava sul suo divano finché Sakusa non cedeva.

Ma ora che la panca era pulita e il suo armadietto sterilizzato, non gli restava altro che farsi una doccia, pulire la doccia e tornare a casa. Forse sarebbe passato da Onigiri Miya a prendere un paio un bento per cena. Più per mandare una foto della sua cena a Miya (Atsumu) e farlo arrabbiare. Stava giusto mettendo via i prodotti per la pulizia quando notò con la coda dell’occhio che lo sportello dell’armadietto di Bokuto era rimasto aperto. Era sufficientemente in ordine per gli standard della squadra (non per i suoi), notò.

Sorprendentemente, il più organizzato di loro era Hinata. Il suo armadietto era pieno di bottiglie e snack organizzati per forma e colore e cambi di vestiti per ogni occasione (incluso un completo perché “non si sa mai”). Inoltre era anche l’unico che almeno una volta ogni due settimane vuotava tutto il contenuto sulla panca al centro dello spogliatoio per spolverare le pareti metalliche e controllare la scadenza degli snack e lo stato dei suoi vestiti.

Miya invece era il peggiore. Sakusa adocchiò lo sportello chiuso del suo armadietto e rabbrividì al pensiero di panini marci e vestiti sporchi accartocciati sul fondo.

Con un sospirò, si apprestò a chiudere lo sportello dell’armadietto di Bokuto quando notò un libretto verde acqua fin troppo familiare. Cosa ci facesse Bokuto con un libretto contabile era un mistero troppo grosso per Sakusa per poter essere lasciato in pace. Si guardò intorno per controllare di essere effettivamente da solo e lo afferrò.

Se la scena di poco prima di Bokuto col suo occhiolino malizioso non avesse cambiato irrevocabilmente l’impressione di Sakusa nei suoi confronti, il contenuto del libretto sarebbe stato il colpevole.

Non riuscì a nascondere la sorpresa nello scoprire che Bokuto era...bravo con i soldi. Il libretto era pieno di risparmi e investimenti inclusi un paio che improvvisamente spiegarono la capacità di Bokuto di permettersi un appartamento di due stanze nella zona più carina della città. Sakusa aveva dato per scontato che, come nel suo caso, Bokuto avesse soldi di famiglia, non che fosse un investitore in borsa.

Nell’ultimo mese, ogni singola cena fuori con la squadra o senza, il regalo di compleanno per Tomas, un nuovo paio di scarpe, era tutto segnato e calcolato nelle spese mensili. L’unica eccezione era una cifra assolutamente esorbitante la cui causale era rimasta vuota. C’era un segno a penna come se Bokuto fosse stato sul punto di scriverla e avesse cambiato idea all’ultimo secondo.

Sakusa guardò quella cifra mordendosi le labbra dalla curiosità. Se ci fosse stato Miya se ne sarebbe già partito con qualche teoria sulla yakuza o droga (“Dai, ha senso! Non è normale avere tutta quell’energia.”)

Sakusa scosse la testa e rimise al suo posto il libretto cercando di rimetterlo nella stessa identica posizione in cui lo aveva trovato. Facendolo smosse una piccola scatola scura e Sakusa si lamentò con sé stesso. Quando esattamente era diventato così curioso? Ne dubbio diede la colpa a Motoya. E Miya. Era sempre almeno un po’ colpa di Miya.

La scatolina era chiaramente proveniente da un gioielliere. Ne aveva viste decine sul comò di sua madre.

“Oh,” sentì la sua voce rimbombare nello spogliatoio.

Forse non sapeva un granché di gioielli, ma era praticamente certo che quel cerchietto di oro bianco fosse un anello di fidanzamento.

“Oooh,” ripeté.

Sotto la mascherina spessa da pulizie sentì la sua bocca aprirsi sempre di più in sorpresa.

Improvvisamente, sentì il suono della porta principale sbattere e i passi pesanti di qualcuno a corsa.

Sakusa lasciò cadere la scatolina dove l’aveva trovata e chiuse lo sportello quasi sbattendolo giusto in tempo.

Bokuto entrò nello spogliatoio senza nemmeno rallentare e per un secondo Sakusa temette che si stesse per schiantare contro il muro di armadietti e, peggio ancora, contro di lui.

“OMIOMI,” disse decisamente troppo forte, “sei ancora qui??”

Sakusa annuì e si girò verso il suo armadietto facendo finta di niente.

“Ehm,” Bokuto si schiarì la voce avvicinandosi al suo armadietto. Non sembrava possibile che fosse la stessa persona che aveva segnato il costo di uno spazzolino nuovo nel proprio libretto contabile.

“Ho dimenticato...una cosina.”

Sakusa annuì e sperò che, qualsiasi espressione la sua faccia stesse facendo senza il suo controllo, la mascherina la nascondesse.

Bokuto aprì lo sportello e si mise di lato, come per nascondere la vista del contenuto da Sakusa e Sakusa si sentì sorridere.

Una volta che la scatolina fu messa al sicuro nella tasca della sua giacca (e Bokuto aveva fatto un pessimo lavoro a nasconderla comunque), Bokuto si girò col la faccia rossa d’imbarazzo ma con un sorriso accecante. Sakusa lo guardò pronto a salutarlo e dirigersi verso la doccia quando notò un enorme sacchetto pieno di onigiri con il simbolo di Onigiri Miya stampato sul lato.

Bokuto doveva aver notato il suo sguardo perché alzò il sacchetto e disse: “Sai, tra un po’ arriva Akaashi.”

Sakusa annuì un po’ passivamente, ma nella sua testa c’era un tumulto di sentimenti che non sapeva spiegarsi.

Si meravigliò di sé stesso nel realizzare che era emozionato per Bokuto, ma ancora di più si meravigliò del fatto che Bokuto fosse irrevocabilmente il più adulto di loro.

Se solo poche ore prima avesse saputo che intendeva chiedere ad Akaashi-san di sposarlo, Sakusa avrebbe scosso la testa pensando che fosse una di quelle ossessioni infantili che ogni tanto gente come Bokuto tirava fuori dal nulla, ma ripensò al suo libretto perfettamente compilato, al suo piano spese mensile e settimanale nel quale teneva conto anche di spese improvvise e inaspettate e si ricordò che giusto la settimana prima, le sue scarpe da corsa si erano rotte e di aver chiamato sua madre per farsi mandare “qualche spicciolo” per ricomprarle.

Si sentì profondamente immaturo e c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel mondo se la persona che poteva farlo sentire così era Bokuto Koutaro.

“Buona fortuna,” disse dirigendosi verso la doccia.

Bokuto non rispose, ma dopo un po’ sentì di nuovo il rumore della porta principale sbattere.

Sakusa sospirò sotto il getto d’acqua e decise di chiamare Miya. Aveva il disperato bisogno di parlare con qualcuno di più immaturo.

 

Keiji

Il treno andava troppo veloce per potersi godere le distese di campi coltivati e le città che ogni volta si riprometteva di visitare.

Keiji lo sapeva, ma in quel momento non avrebbe comunque potuto permettersi il lusso di guardare il suo paese scorrere al di la del vetro.

Era la quinta email che riceveva dall’ufficio da quando era salito sul treno ed erano già le nove di sera.

Non che potesse giudicare troppo i suoi colleghi: di solito anche lui era con loro a rimpiangere un altro venerdì sera sprecato a tentare di far ragionare qualche mangaka in piena crisi di nervi.

Quella settimana i suoi autori erano stati tutti in tempo con le consegne e Udai aveva addirittura già mandato la bozza del prossimo capitolo.

A quanto pare, aveva visto un documentario sulle balene che lo aveva ispirato. Per rispetto alla propria sanità mentale, Keiji aveva deciso di lasciare la correzione della bozza al viaggio di ritorno.

Koutaro non meritava di averlo distratto tutto il fine settimana.

Il treno iniziò a rallentare e un gruppo di studenti con un accento marcatamente del Kansai iniziò a programmare rumorosamente cosa avrebbe fatto quella sera.

Keiji guardò il proprio riflesso nel finestrino e rimpianse di non aver avuto tempo nemmeno per farsi una doccia o vestirsi un po’ meglio. Era raro che Koutaro lo portasse fuori la sera del suo arrivo, ma era dal loro ultimo incontro due settimane prima che continuava a parlargli di una “grande sorpresa”.

Sospettava che avesse qualcosa a che fare col fatto che era da ormai un mese che Koutaro rifiutava di togliersi la maglietta in sua presenza, ma con lui non si sapeva mai.

Se era ciò che immaginava, non sarebbe stato necessario andare fuori ma forse avrebbe voluto farsi bello lo stesso.

Con orrore, si rese conto di essere arrossito e sperò che nessuno lo notasse. 

Ora che Koutaro era al top della condizione fisica mentre i segni di un lavoro sedentario si facevano vedere sul suo corpo, Keiji si sentiva sempre un po’ a disagio. Era stata una sorpresa scoprire questo lato di sé stesso.

Il treno si fermò nella stazione centrale di Osaka e Keiji si impose di smettere di pensarci.

Sulla piattaforma affollata nonostante l’ora, Keiji controllò il telefono sospirando alla vista di una nuova email dall’ufficio ma l’ignorò guardandosi intorno alla ricerca di Koutaro che era in piedi alla fine della piattaforma e si stava sbracciando per attirarlo con la borsa della palestra ancora sulla spalla e un grosso sacchetto di carta con il logo di Onigiri Miya.

Keiji sentì la propria faccia tendersi in un sorriso e quasi avrebbe voluto essere il tipo di persona che gli corresse incontro per baciarlo li, sulla piattaforma, circondato da pendolari stanchi.

Alcuni di loro li avrebbero guardati male, altri avrebbero sorriso e tutto ciò che Keiji avrebbe voluto, era sbattere loro in faccia quanto fosse felice. Si chiese se si sarebbe mai stancato di sentirsi così a vedere Koutaro e, nonostante tutto, accelerò il passo come se quei pochi secondi di differenza fossero inaccettabili.

“Akaaashi!” Urlò Koutaro facendo girare alcune persone. Keiji arrossì, ma se fosse di imbarazzo o piacere non ne era sicuro.

“Bokuto-san,” disse più piano ma avrebbe voluto urlarlo e abbracciarlo così forte da farli diventare una cosa sola.

Koutaro esitò come se anche lui avesse dovuto forzarsi a non abbracciarlo.

“Ti ho preso così tanti onigiri che Miya-sam stava per mettersi a piangere,” disse Koutaro scuotendo il sacchetto e nascondendo nel gesto una carezza contro il suo braccio.

“Bokuto-san,” disse Keiji, un po’ per rimproverarlo e un po’ perché voleva dire il suo nome.

“Lo sai,” continuò incamminandosi verso l’uscita della stazione, “tutte le volte che ti nomino Miya-sam sorride.”

Keiji lo guardò con sorpresa, “non sapevo che Osamu-san sapesse sorridere.”

Koutaro rise rumorosamente e un altro paio di persone si girarono a guardarlo. Un paio di giovani donne ridacchiarono e iniziarono a parlare sotto voce lanciando loro sguardi interessati.

“Secondo TsumTsum sorride solo quando pensa al cibo, quindi attento a non farti mangiare.”

Keiji scosse la testa. A volte si chiedeva se fosse troppo malizioso o se Koutaro si rendesse conto del doppio senso. C’erano giorni in cui quasi sperava che Koutaro potesse essere un po’ più geloso, ma dava la colpa di questo ai troppi libri (e ai drama se nessuno era presente per giudicarlo. Era colpa di Kuroo in ogni caso).
L’appartamento di Koutaro era a pochi minuti dalla stazione appena fuori dalla zona di Izakaya e Karaoke dove gruppi di impiegati stanchi e studenti si spostavano da un locale all’altro in vari stati di ebrezza.

Camminavano lentamente e Keiji si prese il tempo di rispondere velocemente all’ufficio lanciando a Koutaro un sorriso di scuse.

Koutaro scosse la testa, “è il tuo lavoro,” disse, ma sembrava quasi che dovesse ripeterselo più per la sua pace mentale che altro. 

Nella quiete della zona residenziale, Keiji sospirò e spense il telefono. Qualsiasi altra emergenza in ufficio avrebbe dovuto aspettare. 

“Come stanno andando gli allenamenti?” Chiese, come se Koutaro non lo chiamasse tutte le sere per potersi addormentare ascoltandolo parlare. 

Anziché rispondere, Koutaro aspettò il passaggio di un piccolo gruppo di uomini in completo e, una volta rimasti soli, afferrò la sua mano.

“Mi sei mancato,” disse piano, come un segreto.

Keiji deglutì. 

“Anche tu mi sei mancato,” rispose altrettanto piano. Forse ancora di più.

Con la coda dell’occhio, Keiji vide Koutaro sorridere e provò di nuovo quel fortissimo impulso di baciarlo. 

“Koutaro,” mormorò e, ovviamente, Koutaro capì e lo baciò. 

Piano piano, come si baciano le cose più preziose. 

“Andiamo a casa, Keiji” disse a mala pena staccato dalle sue labbra, “ti aspetta una tonnellata di onigiri e più baci di quanti tu ne possa contare.”

Keiji rise coprendosi la bocca in imbarazzo.

“E la mia sorpresa?” Chiese riprendendo a camminare, ma ora così vicino che sentiva tutto il calore del braccio di Koutaro contro il suo.

“Domani,” disse Koutaro con un sorriso delicato che, nonostante gli anni, lo sorprendeva sempre.

 

Koutaro

Keiji si era addormentato masticando un onigiri al mentaiko. 
Koutaro lo aveva accompagnato verso il letto sostenendo la maggior parte del suo peso col suo corpo e, per quanto amasse andare in palestra, questa era decisamente la sua parte preferita.

Il sacchetto di Onigiri Miya era ormai vuoto e i pochi Onigiri avanzati erano stati messi in frigo nonostante Keiji non adorasse la sensazione del riso raffreddato dal frigo. 

Non era molto prima di quando Koutaro sarebbe comunque andato a dormire, ma non riusciva a smettere di guardare Keiji dormire. Una volta Kuroo gli aveva detto che era come il vampiro di Twilight e Koutaro gli aveva risposto che avrebbe accettato di essere un vampiro se questo avesse voluto dire spendere l’eternità con Keiji. 

Aveva quindici anni al tempo e Kuroo aveva puntato gli occhi al cielo, Kenma aveva sbuffato e Keiji, arrossendo lo aveva colpito su una spalla. 

Non stavano nemmeno insieme e Bokuto già sapeva che avrebbe voluto spendere tutta la vita con lui. 

Per l’ennesima volta quella sera, Koutaro si toccò la giacca all’altezza della tasca per sentire la piccola scatola stondata con dentro l’anello.

Se Keiji fosse stato il tipo di persona da volere un diamante, avrebbe cercato di convincere la regina d’Inghilterra a vendergli il suo (aveva cercato su internet quale fosse e quanto costasse il diamante più grosso. Kuroo, che era venuto a trovarlo, aveva riso di lui.)

Keiji si mosse nel letto e Koutaro ebbe un primo piano dell’inizio di un filo di bava nonostante Keiji negasse sempre di sbavare nel sonno. Koutaro non era bravo con le parole, ma avrebbe voluto dirgli che era solo una cosa in più per lui da amare. 

Come quando alla fine di un progetto lungo i suoi capelli fossero sempre sporchi e spettinati, come quando mangiava così velocemente che le sue guance si arrotondavano come quelle di un criceto, come quando si spogliavano prima di fare l’amore e Keiji tentava di nascondere quanto poco definiti fossero adesso i suoi addominali pensando che Koutaro non se ne accorgesse. 

E Koutaro amava ognuna di queste anche quando le odiava. 

Tirò fuori la scatolina aprendola per vedere l’oro bianco brillare nella penombra della stanza. 

Il giorno in cui aveva comprato l’anello si era anche fatto il piercing. Aveva perfettamente senso, spiegò a Kuroo: se avesse perso il coraggio di darlo a Keiji, avrebbe avuto qualcosa da fargli vedere come sorpresa. Si conosceva troppo bene per non sapere che avrebbe detto a Keiji di avere una sorpresa.

Ripensò a OmiOmi nello spogliatoio. Probabilmente aveva visto la scatola con l’anello.

Se lo aveva visto sicuramente lo aveva detto a TsumTsum quindi probabilmente sia Hinata che Miya-sam lo sapevano già. Inoltre, se lo sapeva Kuroo era impossibile pensare che Kenma non lo sapesse.

Koutaro sospirò. Si era scavato la fossa da solo.

Per la prima volta da quando aveva comprato l’anello, si stava ponendo il dubbio che Keiji avrebbe potuto rispondere di no.

D’altronde non è che si potessero veramente sposare, ma Bokuto si era già immaginato la loro piccola cerimonia circondato dai loro amici. 
Poi, magari, presto il Giappone avrebbe passato la legge per le unioni civili e allora avrebbero solo dovuto confermare i voti che si erano già scambiati. Forse avrebbero fatto un’altra festa. 

E se anche Keiji avesse detto di no, pensò, avrebbe semplicemente continuato ad amarlo come avevano sempre fatto. Senza anelli e senza voti.

Sua madre diceva sempre che dove c’è amore c’è famiglia (anche se poi, quando le aveva detto di Keiji, la sua faccia si era riempita di rughe preoccupate). 

Koutaro nascose l’anello dietro il suo frullato proteico che Keiji odiava e si buttò sul letto facendo sbuffare Keiji.

“Scusa,” disse piano, ma Keiji non si era nemmeno svegliato.

Koutaro sorrise e si spostò fino ad abbracciarlo. Spesso, nel corso della notte, finivano separati nel letto e, quando era stato più insicuro della loro relazione, lo aveva preso come un brutto segno.

Quando glielo disse, Keiji si limitò a scuotere la testa.

“Non è forse più importante che quando siamo svegli vogliamo abbracciarci?”

Koutaro lo strinse facendolo mugolare e piantò un bacio sui suoi capelli (un po’ unti, perché non si era ancora fatto la doccia).

“Vorrei essere un vampiro,” disse piano, “così potrei stare sveglio e abbracciarti tutta la notte.”

Keiji fece un piccolo suono e si abbandonò contro le sue braccia come se lo avesse sentito.

“Domani,” disse chiudendo gli occhi.

   
 
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