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Autore: Aidarie    09/05/2021    4 recensioni
Accidenti a lei.
Era per colpa sua che il cervello gli si era fuso. Sì, perché lei lo distraeva. Anche senza fare nulla e anche quando non era presente fisicamente, quando lui era da solo e impegnato nelle attività più disparate, tipo studiare -ma non mi dire-, o eseguire una parata a Quidditch o semplicemente mentre camminava, parlava, dormiva -era meglio non aprirlo nemmeno, quel discorso...-, ogni volta, ogni fottuta volta, lei c’era.
Come un chiodo fisso in testa, un’immagine onnipresente, lo sfondo sul quale tutto il resto giaceva.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 


Nota introduttiva:
La storia è ambientata verso la fine del sesto anno, dopo la vittoria di Grifondoro alla finale di Quidditch. Mi sono sempre chiesta come Ron ed Hermione abbiano ricostruito il loro rapporto una volta riappacificati, dopo l’”era Lavanda”. È difficile per me credere che da allora non sia cambiato qualcosa tra loro, perciò, ho immaginato un momento in cui entrambi restano soli in Sala Comune. La canzone che mi ha dato l’ispirazione iniziale è Shiver dei Coldplay. 
Ringrazio chiunque vorrà leggerla e, magari, commentarla. Spero possa piacere!
 
Aidarie


 
***
 
 

SHIVER
 
 
 
 
 
So I look in your direction
But you pay me no attention, do you?
I know you don't listen to me
'Cause you say you see straight through me, don't you?
 
 
Concentrati.
Ronald Weasley chiuse gli occhi, si massaggiò piano le tempie e si cimentò nell’impresa titanica di sgombrare la mente da qualsiasi pensiero non attinente a Difesa Contro le Arti Oscure.
La Sala Comune era avvolta nel silenzio della mezzanotte inoltrata, una luce tenue e dorata, che emanava dal fuoco, si diffondeva proiettando ombre tremule lungo le ampie pareti di pietra.
Ron sedeva per terra, appoggiato con la schiena ad una delle poltrone nei pressi del camino, la pergamena sulle sue gambe riempita solo per metà. Rilesse ciò che aveva scritto e intinse la sua penna nell’inchiostro; aggiunse a fatica qualche altra riga, poi la sua testa fu invasa nuovamente da pensieri ed immagini che non c’entravano un tubo con Difesa.
Hermione era seduta sul divano di fronte a lui. Era l’unica, a parte lui, a non essersene ancora andata a letto. Non aveva alzato gli occhi dal libro che stava leggendo per tutta la sera, nemmeno per ricambiare il saluto di Harry e Ginny quando erano risaliti ai rispettivi dormitori, si era limitata a borbottare qualcosa abbozzando distrattamente un gesto di saluto in loro direzione.
Accidenti a lei.
Era per colpa sua che il cervello gli si era fuso. Sì, perché lei lo distraeva. Anche senza fare nulla e anche quando non era presente fisicamente, quando lui era da solo e impegnato nelle attività più disparate, tipo studiare -ma non mi dire-, o eseguire una parata a Quidditch o semplicemente mentre camminava, parlava, dormiva -era meglio non aprirlo nemmeno, quel discorso...-, ogni volta, ogni fottuta volta, lei c’era.
Come un chiodo fisso in testa, un’immagine onnipresente, lo sfondo sul quale tutto il resto giaceva.
Mandò definitivamente al diavolo Piton e il compito e si arrese ai pensieri che quella sera avevano deciso di vorticargli impazziti nella testa.
Perché doveva essere tanto difficile?
Con lei era facile parlare, prendersi in giro, persino litigare, urlarsene dietro di tutti i colori e mandarsi a fanculo un giorno sì e l’altro pure; eppure riusciva quasi a toccare con le mani il muro invisibile che si ergeva tra di loro ogni volta che si ritrovavano ad essere come in quel momento.
Vicini.
Soli.
E in penombra.
Il massimo che si concedeva era starsene immobile come un coglione a guardarla, come faceva ogni giorno approfittando del fatto che lei fosse sempre troppo impegnata in ogni sorta di attività per accorgersene.
Avrebbe dovuto fregare la Felix ad Harry, ecco cosa. Così forse adesso quella serata da schifo si sarebbe conclusa diversamente.
Come era possibile che le cose, dopo che lei lo aveva addirittura invitato a quella stupida festa di Natale fossero precipitate invece di migliorare?
Per colpa tua, idiota.
Già. Era meglio non rivangare, decisamente.
In quel momento lei stava sorridendo. Alle pagine, ovviamente. A lui non rivolgeva mezza parola da ore, non lo aveva guardato nemmeno per sbaglio da quando erano rientrati dalla Sala Grande.
Era in momenti come quelli che si convinceva di essere troppo stupido, troppo poco interessante, e sì, magari pure troppo brutto per lei.
Beh, ma considerando che lei aveva baciato uno come Krum...
Krum avrà una brutta faccia, ma è un campione di Quidditch famoso e ricco sfondato, gli ricordò una vocina sinistra nella sua testa.
E con questo?
Rivolse di nuovo l’attenzione alla pergamena, ma tutto ciò che i suoi occhi videro furono linee d’inchiostro prive di senso.
 
 
And it's you I see
But you don't see me
And it's you I hear
So loud and so clear
I sing it loud and clear
 
 
D’un tratto Hermione sospirò. Adesso leggeva con un’espressione più seria. Ron provò a tossicchiare e la ragazza mugugnò qualcosa in un tono che sembrò vagamente interrogativo, ma quando lui restò in silenzio, non aggiunse altro, né alzò lo sguardo dalle pagine.
Era così immersa nella lettura, con un’aria così tranquilla e rilassata ed era snervante, era snervante, maledizione, quando invece ogni cellula del suo corpo stava andando a fuoco e lui non aveva concluso un beneamato cazzo perché il suo cervello era troppo intento a torturarlo con scenari che non si sarebbero realizzati mai.
Sarebbe mai cambiata quella situazione ridicola?
Lei che lo ignorava e lui perso nelle sue seghe mentali.
Che aspettava ad andarsene da lì? Non stava concludendo niente e comunque Piton gli avrebbe affibbiato l’ennesimo voto merdoso a prescindere. Poteva salire, farsi una doccia -e a quel punto non solo-, filare a letto e domani sarebbe stato un altro giorno.
Invece se ne stava lì a guardarla, a fissare il suo cipiglio serio e concentrato.
Quel cipiglio che avrebbe voluto far sparire dalla sua faccia, tramutarlo nell’espressione estasiata che avrebbe seguito l’incastro dei loro corpi.
A osservare la danza delle fiamme riflettersi in un bagliore aureo sul suo viso, i capelli che le ricadevano sulle spalle, la linea del collo, la curva dei seni, le dita che, delicatamente, accarezzavano le pagine del libro.
Mani che avrebbe voluto sentire su di sé. Mani che avrebbe voluto intrecciare alle sue.
Se solo avesse potuto, sarebbe andato da lei, le avrebbe strappato quel libro del cazzo dalle mani e l’avrebbe baciata.
Chissà come sarebbe stato baciare e toccare lei. Se non fosse stato così cretino forse l’avrebbe scoperto mesi prima e magari ora sarebbero stati distesi insieme sul tappeto soffice su cui era seduto da solo.
Forse avrebbe potuto stringerla a sé, e spogliarla, sentirsela nuda addosso, respirare quel profumo, quello che lui le aveva regalato l’anno prima e che lei aveva chiaramente ricominciato ad usare.
Dio, sarebbe fuggita da lui a gambe levate se avesse potuto leggergli la mente...
O forse no, forse aveva il cervello più fottuto del suo e avrebbe infranto una ad una le regole di Hogwarts durante una delle loro ronde, soltanto per poter stare con lui.
«Ron?»
La voce alta di Hermione lo strappò bruscamente dalle sue fantasie.
«Mmh, sì?» mugugnò lui, cercando di dissimulare l’imbarazzo, le orecchie che gli andavano a fuoco come al solito. Probabilmente doveva aver stampata sulla faccia l’espressione da maniaco peggiore del suo repertorio.
«Hai una faccia...»
Appunto.
«Niente, pensavo.»
«A cosa?»
«Ammazzare Piton lentamente e dolorosamente.» Ecco, pensare a Piton era d’aiuto in quel frangente. Sbuffò e si lasciò andare contro la poltrona alle sue spalle, aggiungendo subito dopo, senza pensarci troppo: «Mi aiuti?»
Hermione sollevò un sopracciglio. «Ad ammazzarlo o a finire il compito?»
Lui fece un piccolo sorriso sghembo. «Be’, se lo facciamo fuori posso pure bruciare ‘sta roba» e afferrò bruscamente la pergamena, avvicinandola al fuoco, «quindi…»
Hermione alzò gli occhi al cielo, ma era divertita.
«Dai, fammi vedere che hai combinato!» disse, abbandonando il libro sul divano per sedersi accanto a lui. Ron le passò la pergamena e la osservò mentre leggeva. La sentiva blaterare qualcosa su come avrebbe potuto avvalorare le sue argomentazioni, ma captò quei suggerimenti per metà, visto che era più concentrato sui movimenti della sua bocca, che sulle parole che ne fuoriuscivano.
O meglio, sui cento modi diversi in cui gliel’avrebbe voluta tappare.
«Ed è tutto. Che ne dici?»
«In realtà non ci capisco più niente, lo consegno così e fine della storia.»
La ragazza lo fissò con un’espressione di muto rimprovero mentre lui iniziava ad arrotolare la pergamena.
«Che ti prende?» gli chiese.
«In che senso?»
«Sei strano.»
«È che sono stanco. Che leggevi tu di tanto interessante?» chiese lui di rimando, giusto per alleggerire l’atmosfera. E anche perché se lo stava chiedendo davvero.
«Saggi sui Filtri d’Amore.»
Che diamine...?
«Vuoi rifilarne uno a qualcuno?»
Doveva essere una domanda ironica, e allora perché gli era uscito un tono sarcastico e infastidito? Era già pronto alla replica stizzita di Hermione, che, però, sorprendentemente non giunse; invece, lei prese a giocare con una ciocca di capelli, sorridendo in modo enigmatico.
«Beh, sì, è possibile» ribatté.
Era fuori di testa lui -probabile- o quella era una provocazione bella e buona?
«E sentiamo, a chi?»
«Indovina.»
«Chiunque sia, scommetto che gioca a Quidditch…» Di nuovo, si rese conto che il tono gli era uscito, senza volerlo, cupo e un po’ risentito. Hermione abbassò lo sguardo, uno strano sorriso increspò appena le sue labbra.
«E adesso perché ridi?»
«No, è che… in effetti hai ragione, sul Quidditch…»
La familiare, dolorosa sensazione di ricevere un pugno nello stomaco tornò suo malgrado a farsi sentire, e non gli era affatto mancata.
«Ottimo, buon per te.»
Lei continuò come se non si fosse accorta di tutto il sarcasmo che, malcelato, trasudava dalle parole del ragazzo.
«Sai, si tratta di una pozione particolarmente complicata…»
«…che purtroppo ti riuscirà alla perfezione.»
Per la terza volta nell’arco di un minuto, Ron desiderò rimangiarsi ciò che aveva detto, ma Hermione sorvolò sul suo commento e continuò: «Avrò bisogno di rubare dalle scorte di Lumacorno, perché non mi aiuti tu? Così ricambi il favore di averti praticamente detto cosa scrivere nel tema e…»
«Ah, ma vai a cagare!»
Di fronte all’esasperazione di Ron, Hermione smise di trattenersi e scoppiò a ridere, poi lo colpì non proprio delicatamente con un pugno su un braccio. Ma ad un tratto si zittì e si morse il labbro, come se si fosse ricordata di qualcosa.
«Che succede?» chiese lui, allarmato.
«Ron, scusami! Tu, tu avevi bevuto un filtro proprio prima di...»
Oh. Si riferiva al giorno del suo compleanno.
«T-tranquilla, ora è tutto ok.»
Non fece nemmeno in tempo a completare la frase che lei, inaspettatamente, lo abbracciò.
Sulle prime Ron rimase esterrefatto -non era esattamente cosa da tutti i giorni che Hermione lo abbracciasse-, poi si rilassò e ricambiò la stretta, sorridendo come un idiota.
 
 
But on and on, from the moment I wake
'Til the moment I sleep
I'll be there by your side
Just you try and stop me
I'll be waiting in line
Just to see if you care
 
 
«E questo?»
Hermione scrollò le spalle. «Mi andava…» E poi, come se stesse aspettando da una vita di pronunciare quelle parole, aggiunse, stringendolo più forte: «Mi sei mancato, stupido!»
La voce arrivò attutita dal maglione di Ron, contro cui la ragazza aveva appoggiato il viso.
Il suo tono era dolce, eppure lui percepì a pieno anche tutta l’amarezza, il biasimo e la delusione che vi si celavano dietro.
Si ricordò delle vacanze di Natale. Non le aveva detto di aver pensato a lei ogni giorno, arrovellandosi il cervello pur di trovare il modo di farsi perdonare e di sistemare le cose tra di loro. Non glielo disse nemmeno in quel momento, però la strinse forte a sé sperando che avrebbe capito...
«Sicuro di non volere una mano con il compito?» gli chiese Hermione di punto in bianco, mentre scioglieva l’abbraccio. «Posso finirtelo io, solo per stavolta.»
 Ron, stupito, la guardò a bocca aperta.
«Che hai da guardarmi così?»
«È solo che non è da te tanta magnanimità...»
«Ma sta’ zitto, prima che cambi idea!» sbottò lei, afferrando la pergamena da terra.
Era circa l’una quando ebbe terminato.
«Guarda che l’ho fatto per il bene di Grifondoro» stava dicendo a Ron, mentre questi sistemava le sue cose. «Cerco solo di non rendere la vita facile a Piton, sai com’è, scommetto che passa le notti a pregare di avere l’occasione perfetta di sottrarci punti il giorno dopo.»
«Sì, probabile» concordò Ron, appoggiandosi pigramente con la schiena alla poltrona dietro di lui. «Voglio dire,» il suo viso assunse un’espressione accigliata, come se un pensiero profondo l’avesse colto, «di certo non le passa a lavarsi.»
Entrambi risero, e c’era qualcosa che riecheggiava nelle loro risa, un’allegria e una spensieratezza che non avevano niente a che vedere con le prese in giro rivolte al loro insegnante.
«Parlando seriamente,» fece Hermione, senza perdere il tono ilare, «non è che gli serva la scusa perfetta per…»
«…essere un bastardo infame» concluse Ron.
Hermione annuì. «Rendi l’idea, sì.»
«Quindi, alla fine, soltanto il terrore di arrivare secondi alla Coppa delle Case ti ha convinta a staccare gli occhi dal tuo prezioso libro e venire a soccorrermi?» chiese il ragazzo dopo un momento di silenzio.
Hermione lo guardò per qualche secondo e poi chiese: «Cos’altro avrebbe dovuto?»
«Non so, dimmelo tu...»
Lo sguardo di lei divenne così penetrante che lui fu costretto a distogliere il suo, a disagio.
«Ron, mi sembra quasi che tu voglia sentirti dire qualcosa...»
«Ma no, volevo solo... insomma, è stato strano da parte tua aiutarmi, ecco. Non lo fai mai, non così tanto, cioè insomma, “non si copia” è tipo una regola sacra per te...»
Hermione sorrise di nuovo in quel modo strano e poi rivolse l’attenzione al camino.
«E allora ritieniti fortunato.»
 
 
I wanted to say
Don’t you shiver
Don’t you shiver
 
 
Qualche ciocca di capelli le era scivolata fuori dalla coda e ora le incorniciava il viso nascondendo parzialmente il suo sguardo. Ron si ritrovò a studiare il suo profilo come ipnotizzato.
Forse doveva osare.
Poteva avvicinarsi e provare a baciarla.
Sì e poi? Stavolta che cosa gli avrebbe scagliato contro, avvoltoi?
Ma soprattutto con che faccia, con quale coraggio avrebbe potuto azzardare un gesto simile, se fino a ieri Lavanda si strusciava su di lui davanti a tutti?
Hermione tirò fuori la sua bacchetta e la agitò in direzione del fuoco. Le fiamme, che si erano quasi estinte, ricominciarono a divampare in un bagliore accecante.
Riflessi dorati sulla sua pelle e sui suoi capelli.
«Perché mi fissi?»
«No, è che…»
«È venuto bene, no?» chiese Hermione senza permettergli di terminare la frase, alludendo al fuoco.
Ron, preso dai suoi pensieri, non le rispose. La verità era che di cose da dire ne aveva anche troppe e forse il coraggio l’avrebbe pure trovato, se non fosse stato così stupido da buttarsi dritto tra le braccia di un’altra solo per dimostrare che... che poteva farlo, punto.
Gran bella mossa da coglione, adesso erano tornati indietro di un’infinità di passi, sempre poi che quell’invito alla festa di Lumacorno avesse effettivamente significato un passo in avanti.
Lei aveva baciato Viktor Krum...
Due anni prima.
«Ti si è annodata la lingua?»
«Sì, è v-venuto bene.»
La verità era che aveva bisogno di un segnale, di un cenno da parte sua, di qualsiasi cosa potesse convincerlo del fatto che no, non era l’unico a star tremando, lì in quella stanza. Se lei avesse fatto davvero una cosa simile, lui, se lo sentiva, si sarebbe buttato senza pensarci due volte e poi dopo, dopo si sarebbe visto. 
«Ron, io vado. Si è fatto tardi.»
Come non detto.
«Ok.»
La vide sciogliersi i capelli, ravviarseli con una mano; spostare lo sguardo verso la finestra della torre e poi verso l’orologio appeso al muro e si chiese quando diavolo fosse successo. No, sul serio, non riusciva a capire.
La sera del Ballo del Ceppo, quando aveva passato tutto il tempo a maledirsi per non aver avuto le palle di invitarla?
Oppure a Grimmauld Place, l’estate scorsa?
«Buonanotte, Ron.»
Quando si era reso conto di essere geloso di un qualsiasi McLaggen osasse metterle gli occhi addosso? E che niente, niente lo faceva più a pezzi, che saperla insieme ad un altro?
Aveva baciato Viktor Kru…
E smettila con questa storia, cazzo!
«Hermione?»
No, forse ancora prima, quando aveva vomitato lumache nel tentativo di difenderla o quando l’aveva vista pietrificata su un letto dell’infermeria e si era ritrovato da un giorno all’altro senza di lei, senza nessuno che puntualmente gli rompesse le palle per qualcosa.
Forse in un certo senso addirittura dal primo giorno in cui aveva messo piede sull’Hogwarts Express.
«Che altro c’è?»
L’espressione con cui lo stava guardando in quel momento era la stessa di quel giorno. Sopracciglia sollevate, sguardo severo e autoritario.
Qualunque sarà la mia Casa, spero non sia anche la sua.
Aveva detto più o meno così, se lo ricordava.  
«Io… Mi dispiace per tutti questi mesi, ecco. Per averti allontanata.»
Da quando avevano ricominciato a parlarsi, dopo il giorno del suo compleanno, non avevano affrontato esplicitamente la “questione Lavanda”. Era tipico: ogni volta che litigavano era come se poi tra loro scattasse la stipula di un patto implicito: archiviare il tutto e ricominciare.
Hermione si passò nervosamente una mano tra i capelli. «Però l’hai fatto.»
«Già…»
«Mi sono chiesta se ti avessi fatto qualcosa, magari anche senza volerlo.»
No, no e no! Nemmeno se l’avessero cruciato avrebbe confessato che a farlo uscire di testa era stato un maledetto bacio di ben due, due fottutissimi anni prima. Giusto quello doveva farsi scappare, poi poteva star certo che sarebbe stata la volta buona in cui lei l’avrebbe mandato a fanculo, considerandolo ancor più cretino di quanto non si ritenesse già da solo.
«No, ero io, era un periodo un po’ così, sai, il Quidditch e tutto il resto. Ero nervoso, me la prendevo con tutti…»
 
 
So you know how much I need you
But you never even see me, do you
And is this is my final chance of getting you
 
Coldplay, Shiver
 
«Va bene, Ron, ho capito, non parliamone più, ok? È passato e comunque ho esagerato anch’io...»
Ron non riuscì a trattenersi. Sollevò eloquentemente le sopracciglia, mostrandole le sue mani, che ancora portavano i segni dell’attacco dei canarini. Lei arrossì, colpevole, e disse, con una vocina appena percettibile: «Scusami…»
«Solo se farai i compiti al posto mio per il resto dell’anno» disse lui, con un ghigno.
«Sinceramente, Ronald, vaffanculo
«Come siamo volgari!»
«Beh, ho imparato da un maestro…»
Si fissarono per un po’, senza parlare, e con uno strano imbarazzo di sottofondo; alla fine, Hermione si voltò e con un ultimo saluto sparì lungo le scale della torre. Ron attese qualche istante, estremamente combattuto, poi si precipitò ai piedi delle scale, ricordandosi appena in tempo dell’allarme magico che trasformava la scalinata che conduceva ai dormitori delle ragazze in uno scivolo non appena un ragazzo ci metteva piede.
Stupidi fondatori bigotti!
«Hermione!!» si ritrovò ad urlare dalla Sala Comune.
Lei fece capolino con uno sguardo perplesso.
«Dimmi.»
«Ehm… gra-grazie di nuovo per il compito.»
Si ritrovò a balbettare quella scusa ridicola perché il coraggio di dire ciò che realmente intendeva gli era venuto meno proprio all’ultimo secondo.
«Figurati… ma non ti ci abituare, eh?»
«No, certo.»
La ragazza si morse le labbra e sembrò sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma poi lo salutò per la terza volta e se ne andò.
Ron provò un senso di frustrazione e fastidio. Si lasciò cadere sul divano della Sala Comune, sbuffando, e sentì qualcosa cadere a terra. Era il libro di Hermione. Lo raccolse e vide che effettivamente parlava di filtri d’amore, o meglio, delle implicazioni etiche, dei pericoli e delle sanzioni legati al loro utilizzo, non certo della loro fabbricazione. Si mise a sedere e prese a sfogliarlo distrattamente, finché l’occhio non gli cadde su un capitolo che parlava in particolare dell’Amortentia e iniziò a leggerlo. Dopo qualche pagina vide che Hermione aveva appuntato qualcosa al margine.
Erba tagliata, pergamena fresca, il profumo dei suoi capelli.
I primi due erano gli odori che lei sentiva emanare dalla pozione, e lo sapeva, mentre quello… doveva essere il terzo, porca miseria.
Il profumo dei suoi capelli.
Diamine, i capelli di chi? Per Merlino, era un suo libro, chi voleva lo andasse a leggere -il fatto che l’avesse appena fatto lui era irrilevante-, perché non aveva anche scritto di chi?
Girò e rigirò le pagine, ma non trovò altri appunti, così verso le tre si alzò per andare a letto, ancora più pensieroso di qualche ora prima: adesso sapeva che sicuramente c’era qualcuno da cui lei era attratta al punto tale da sentirne l’odore attraverso la pozione d’amore più potente al mondo.
Onestamente non riusciva a capire come lo facesse sentire la cosa.
Perché certe volte non poteva fare a meno di pensare che lei provasse per lui qualcosa di più di un’amicizia, e se una parte di lui, che sentiva di non controllare, sembrava sapesse già dove il destino avrebbe finito per condurre entrambi, prima o poi, -insieme-, un’altra, più dolorosamente vicina alla coscienza, era immobilizzata dal terrore, perché era fin troppo facile convincersi di aver rovinato tutto con le sue stesse mani ancor prima che potesse iniziare. E soprattutto, bastava che ricordasse chi fosse.
Ronald Bilius Weasley.
Quando mai qualcosa gli era davvero andato per il verso giusto?
Forse si sbagliava, forse, semplicemente, l’amore ti faceva vedere cose che non esistevano.
La cosa certa, pensò cupamente, era che gli faceva fare stronzate.
 

 
  
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