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Autore: Francesco    07/09/2003    0 recensioni
Cosa succederà a Derek viaggiando con Vash e il reverendo?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.5

La sala del Consiglio, nella tetra fortezza di Vesperum, era ampia e ben illuminata.
L’ambiente era reso surreale dalle tremolanti fiaccole disposte in doppi ordini , ad ornare le superfici severe…il crepitare del fuoco era uno dei suoni più comuni al suo interno…Oltre alle grida ed ai lamenti provenienti dalle camere di tortura, situate molte leghe più in basso…
- Diavolo, quanto strillano!! Accidenti a loro, mi stanno deconcentrando!!!-
Tale pensiero formulò la mente dell'individuo, giunto solo pochi istanti prima alla sinistra reggia del Gran maestro. Sedeva sgraziatamente su uno dei lussuosi scranni che attorniavano un massiccio tavolo rettangolare ed aveva, poco educatamente, posato i suoi stivalacci di cuoio consumato sul tavolo stesso.
Teneva in mano un mazzetto ordinato di Holocard, ed attendeva, masticando rumorosamente un sigaro maleodorante, che il suo avversario facesse la mossa successiva.
“Vedo il tuo ziclo, e rilancio di quattro”
Con voce pacata e leggermente stridula, l’uomo agghindato in una livrea nera che, aderendo alla pelle, sottolineava la sua corporatura esile e scheletrica, gettò sul ripiano quattro monete color rame.
L’uomo col sigaro imprecò sottovoce, e facendosi coraggio piazzò sul tavolo la propria mano.
Le Holocard scintillarono cangiando colore, rivelando una fila di Diaconi.
Era un punteggio decente, di tutto rispetto…L’uomo si concesse un sogghigno, mentre una nuvoletta di fumo malsano, lasciava la punta accesa del sigaro per volare verso il soffitto lontano.
Senza lasciar trasparire la minima emozione, il suo avversario in nero, posò con delicatezza la sua risposta.
Lo straniero non poté fare a meno di notare, con un brivido, che pallido colorito caratterizzava la mano scheletrica del rivale, e quanto spietatamente lunghi fossero quegli artigli che spiccavano in luogo di unghie ben più rassicuranti.
“Scala di Androni…Hai perso…”
Fu allora che il volto privo di espressione assunse una posa alquanto simile ad un sorriso, ma più tetro e sconvolgente.
Gli occhi rossi lampeggiarono lievemente.
L’uomo col sigaro, colto alla sprovvista, fu sul punto di perdere l’equilibrio, ma lo ritrovò facendo leva con il didietro e postando gli stivali di cuoio puzzolente un centimetro più avanti, sul lavorato tavolo.
Ottenne uno sguardo glaciale da parte del rivale in nero:
“Sento che il padrone sta' per giungere…faresti meglio a togliere da lì i tuoi piedacci…Il padrone non gradisce di essere insultato da tanta maleducazione…”
Quel volto pallido, incorniciato da capelli dalle sfumature violacee, su cui spiccavano occhi rossi capaci di accendersi come tizzoni, fu un motivo sufficiente, a detta dell’uomo col sigaro, per spingerlo ad obbedire.
Si rassettò ,decidendosi ad utilizzare la sedia come tutti gli uomini per bene, ottenendo uno di quei macabri sorrisi in cambio, dal suo interlocutore.
Fu allora che la destra artigliata e magrissima dello strano essere, afferrò fulminea i soldi presenti sul tavolo…Il suo sguardo di fuoco tornò a posarsi sullo straniero.
“Mi devi altri tre zicli, se non sbaglio…”
L’uomo tirò una boccata , e la punta del sigaro si illuminò, di una lucentezza non proprio dissimile da quella che si poteva scorgere negli occhi della creatura in nero.
Le mani corsero alla tasca interna del soprabito lacero, e ne fecero uscire la somma richiesta.
Prima ancora che avesse il tempo di posarla sul tavolo, le monete erano divenute incandescenti nel suo palmo.
Con un grido di sorpresa, l’uomo si alzò in piedi ed aprì la mano dolorante…Le monete erano sparite, al loro posto faceva mostra di sé una bella ustione fumante.
L’essere ghignò, ed i suoi occhi rossi rifulsero, mentre mostrava allo sbigottito straniero le tre monete luccicanti, ora nelle sue mani.
“Ma come diavolo hai fatto, eh? Si può sapere chi sei?!”
la voce inquieta e titubante dell’uomo, fece sorridere con un gusto ancora maggiore la creatura.
“Mi chiamo Mylton Spade e questo ti deve bastare…Ho voluto lasciare un piccolo ricordino del nostro incontro...Marchio sempre le persone che affronto…”
L’uomo aprì le labbra screpolate, ma le richiuse di scatto, per non lasciar cadere il sigaro fumante.
Sentì un’ondata di freddo attraversargli la nuca…Cercò di ricomporsi, per quanto gli era concesso.
Sorrise nervosamente…Sul volto dell’altro, invece, era scesa di nuovo un’ombra di enigmatica indecifrabilità.
“Mylton Spade…non potrei fare proprio a meno di lui…”
Spade si inginocchiò, repentino, tradendo un moto di sorpresa.
Il suo padrone era l’unico essere che fosse in grado di coglierlo di sorpresa…Si, riusciva a percepirne l’imminente arrivo, ma sul momento, il Gran Maestro riusciva sempre a stupirlo, piombando nei momenti più inattesi…Era uno dei motivi per cui Mylton lo serviva.
Gli piaceva stare a fianco di una persona imprevedibile come lui…Altrimenti, se avesse dovuto convivere con le consuetudini umane, sarebbe stato sopraffatto da un senso di noia mortale.
Come nella piccola mano ad Holocard, di poco prima.
Il Gran Maestro avvicinò una mano uncinata al capo dell’essere dalle nere vesti aderenti.
Non lo accarezzò, gli fece percepire la propria energia, il proprio calore.
Poi la mano si ritrasse e Spade alzò il volto inespressivo sul suo padrone.
“Puoi ritirarti, ora…Grazie per aver intrattenuto il nostro gradito ospite…”
A quelle parole, e sotto gli occhi esterrefatti dell’uomo col sigaro, Mylton Spade svanì nel nulla, con una lieve distorsione dello spazio intorno a lui.
I suoi contorni si fusero con l’ambiente circostante, per poi essere inghiottiti come da una falla nello spazio.
L’uomo stavolta, si lasciò uscire un rantolo strozzato dalla gola, ed il sigaro cadde a terra, senza smettere di produrre fumo.
Il Gran Maestro si voltò ad indirizzo del suo interlocutore.
“La prego di raccoglierlo…E di spegnerlo, se possibile…detesto il fumo, detesto sigari e…”
i suoi occhi gelidi divennero spietati e lucenti, “soprattutto le sigarette.”
L’uomo obbedì con efficienza…Fu tale la furia con cui si affrettò a raccogliere il sigaro mezzo arso, che non si diede preoccupazione d’afferrarlo in modo indolore.
Lo serrò nella mano non ancora ustionata, e si procurò una seconda bruciatura.
Il dolore lo riportò momentaneamente alla lucidità, e per un attimo si chiese perché mai si fosse dato pena di rispondere all’ordine con tanta sollecitudine…
- Che mi sta' succedendo? Sono un cacciatore di taglie, io…Rispondo solo a me stesso ed a Kaynn…perché mi sono sottomesso con tanta docilità…-
il Gran Maestro gli rivolse un sorriso, ed un ennesimo brivido gli scese lungo la schiena.
“Bene…Voglia scusarmi se non mi sono ancora presentato…Sono Lockent, il signore di questa regione e di questa fortezza…Ho contattato il vostro gruppo…la…Gilda dei Cacciatori, se non sbaglio…perché mi occorrono i vostri servigi.”
L’uomo ritrovò la freddezza calcolatoria che gli era propria quando si doveva parlare di affari.
“Spero che il mio più fedele servitore, non l’abbia messa a disagio, signor…”
Ricominciare a discutere dell’essere appena svanito, fece calare di nuovo una cortina di ansia sulle spalle del cacciatore…Cercò di stare al gioco…il suo cliente voleva metterlo alle strette, desiderava forse metterlo in difficoltà in modo da annebbiargli la mente con la paura, per spingerlo ad una contrattazione più vantaggiosa.
“Hergo…mi chiamo Zante Hergo e…No, nessun disagio… Mi ha soltanto alleggerito il portafogli, tutto qui.”
Il Gran Maestro sorrise di nuovo, riducendo le pupille da falco a due fessure rapaci.
“Cosa? Ha giocato ad Holocard con lui? Peggio per lei, signor Hergo…”
Il cacciatore non riusciva a capire il senso di quelle parole, ma decise di dar loro scarsa importanza.
“Dunque, signor Lockent, chi è che dobbiamo…”
“L’ha forse marchiata, in qualche modo?”
Hergo spalancò gli occhi, in un’espressione di viva sorpresa…Non trovò di meglio che dire la verità.
“Sì, beh…Ecco, qui sulla mano…”
Alzò il palmo su cui era ben visibile il marchio a fuoco che ritraeva, quasi a rilievo, la superficie del ziclo incandescente che l’aveva prodotta.
Questa volta, il sorriso del Gran Maestro, si tramutò in un tetro sogghigno, che gli scosse le spalle ammantate di nero raso.
Hergo si irritò…Va bene che era ospite, e doveva comportarsi di conseguenza…che le trattative con uomini potenti e strambi finivano per assumere pieghe inaspettate…ma, rispetto o no, quell’uomo stava ridendo di lui, e la cosa non gli andava a genio.
“Senta…io non la conosco…Non so chi diavolo sia lei, o il suo folletto addomesticato, ma …”
“Silenzio!”, tuonò la voce sottile ma potente di Lockent.
Il riso era degradato nello sdegno.
Quegli occhi così intensi nella loro purezza arcana, avevano il potere di fermare una tempesta, o…di scatenarne una.
Zante Hergo rimase attonito a fissare quegli occhi, perdendosi in essi.
“Vede, signor Hergo…Stavo approfondendo l’argomento, soltanto a suo beneficio…Lasci che le spieghi una cosetta o due sul mio sottoposto…”
il cacciatore annuì stupidamente, come rapito dal suono flessuoso della parole a lui rivolte.
Il Gran Maestro iniziò a camminare teatralmente lungo il perimetro del salone, sfregandosi le mani uncinate, come se stesse pregustando un succulento banchetto.
“Spade non è ciò che può sembrare…Sebbene abbia un corpo simile a quello dei mortali, lui è il mio esperimento più importante…E’ un Homunculus, una creatura da laboratorio…”
Hergo rabbrividì, desiderando trovarsi a cento e più leghe di distanza da quel manicomio.
Quando il suo capo, il signore della Gilda, lo aveva inviato a Vesperum per rispondere alla chiamata di Lockent, non avrebbe mai immaginato di andarsi a ficcare in una fottuta dimora abitata da spiritelli e demoni.
Augurandosi che il Gran Maestro non lo vedesse, fece uno scongiuro e sputò in terra.
Con lo stivale, poi, oscurò la sua stessa espettorazione.
“Ah, lei è un tipo superstizioso, signor Hergo…Ma la magia ha poco a che vedere con il rigore scientifico dell’alchimia…”
“Senta, lei…Io non ho molto tempo da perdere in inutili chiacchiere…Vogliamo deciderci a concludere? Chi è il tizio che dobbiamo far fuori?”
“Lei è un uomo poco paziente, signor Hergo…”
Gli occhi di Lockent emisero un tenue e sinistro bagliore.
“E lei è un pazzo scatenato, per cui…”
Zante Hergo fece per alzarsi, ma si accorse che il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi.
Lockent si concesse un mezzo sorriso.
“Che diavolo mi ha fatto, mostro?! Che mi succede?!”
Hergo sentì il proprio corpo diventare rigido come un blocco di marmo…Lottò per liberarsi da quella angosciosa sensazione di imprigionamento, ma ogni sforzo risultò vano.
“Se soltanto mi avesse lasciato finire, signor Hergo…Avrebbe compreso. Il mio Homunculus ha dei poteri che trascendono l’umana natura…E’ talmente potente che potrebbe sovvertire anche me…Forse. Ma l’ho creato io, signor Hergo…Mi deve la vita immortale a cui l’ho plasmato, dopo disastrosi tentativi…Fortunatamente, ho avuto modo di studiarne bene la creazione…Sa, le cavie da laboratorio qui a Vesperum…Non sono mai mancate…”
Lockent aprì le braccia in modo teatrale, e gli anelli che incorniciavano le dita pallide e affusolate scintillarono alla luce delle fiaccole.
“Lei è un demonio, un maledett…”
Hergo scoprì con terrore che neppure le labbra gli obbedivano più.
L’unica cosa che poteva ancora controllare erano gli occhi…occhi che ruotavano inquieti all’intorno, preda di un selvaggio terrore.
“Vedo che continua ad interrompermi…Come stavo per dirle, Mylton Spade adora prendere possesso dei corpi altrui, per servirsene come più gli aggrada…e per servire me ed i miei scopi…
lei non ha scommesso soltanto dei soldi, in quell’innocente mano ad Holocard…”
Gli occhi di Hergo presero a lacrimare, mentre mugolava come un cucciolo con la museruola al volto.
Il Gran Maestro gli si fece più vicino, prendendogli il volto dalla barba ispida tra le dita artigliate.
“Lei, signor Hergo, ha messo in gioco la sua anima…E l’ha persa…Il marchio è la prova che ora lei appartiene all’Homunculus…Quando sarà il momento, lei cesserà di esistere…E Spade prenderà pieno possesso del suo misero corpo…”
L’uomo continuava ad agitarsi, gli occhi freneticamente fissi sul volto del Gran Maestro.
Lockent sorrise:
“Spade, fallo parlare, sono curioso di sentire cosa ha da dirci, dopo questa sconvolgente rivelazione…”
Con sua immensa sorpresa, Zante Hergo riprese a muovere le labbra normalmente, come se la forza invisibile che fino a poco prima le aveva sigillate, avesse cessato di esercitare del tutto la sua stretta.
Riprese fiato, quindi ansimò, rivolto verso il Gran Maestro, che non cessava di mostrarsi ironicamente divertito:
“Se siete così potenti, allora…perché servirsi della Gilda?”
Il sorriso di Lockent svanì, ed il suo volto si fece cupo oltre ogni aspettativa:
“Perché…C’è una forza che non sono sicuro di riuscire ad annientare da solo…Ho bisogno degli sforzi congiunti di uomini motivati…Molto motivati…E quale motivazione migliore potrei offrire loro di…Diciamo, sessanta milioni di doppi dollari?”
“Il tifone umanoide?! Lei vuole la pelle di Vash the Stampede?!”
Lockent si fece ancora più tetro, gli occhi da predatore splendevano da sotto il cappuccio alzato.
“Esattamente…Sta' viaggiando in compagnia di un amico…e stanno venendo qui…Voglio che Vash the Stampede esca di scena prima di metter piede nel mio territorio…All’altro, penserò io…”
Un satanico ghigno tornò ad animare il volto color avorio del Gran maestro.
“Se lei, che è tanto potente…teme il tifone umanoide…Quali possibilità potremmo avere, noi?!”
“Non è un caso che l’Homunculus ti abbia scelto come suo corpo ospite, Hergo…Potrai beneficiare dei suoi poteri, ed unire le tue capacità di cacciatore, alla sua energia immortale…”
Hergo sorrise e per la prima volta sentì nascere dentro di se una fiducia mai sperimentata prima.
“Se il tuo capo, il signor Jeremias Kaynn, si fosse degnato di venirmi ad incontrare in prima persona, sarebbe toccato a lui, quest’onore…Invece…Ora sarai tu a condurre le fila dell’operazione…”
Il sorriso di Zante finì per affievolirsi, ed egli replicò, balbettando:
“D…Dovrei scavalcare l’autorità del mio capo?!”
Il ghigno da lupo di Lockent si fece carico di un ammaliante suggestione:
“Quello che sto' cercando di dirti, amico mio…E’ che , se lascerai fare all’Homunculus…Sarai tu il nuovo capo…”
Il volto di Hergo tornò a splendere di ottimismo, aprendosi a quella strana novità…
Posseduto o meno, gli si presentava ora l’occasione di dare la scalata al successo…e se questo avesse significato vendere l’anima al diavolo…Ebbene, che fosse.
“Credo che…Abbiamo raggiunto il nostro accordo, signor Lockent…”
Le pupille del Gran Maestro si dilatarono, mentre lo scintillio delle torce si rifletteva in esse:
“Ne sono felice…”

Un nuovo giorno stava morendo, ed il sole che aveva incendiato la superficie monotona del deserto, stava svanendo, inghiottito dall’orizzonte tremolante.
Per tutta la giornata, avevo vegliato il reverendo Nicholas Wolfwood, alternandomi a Vash ed a Moryia.
Il sonno era piombato benefico a sanare le terribili sofferenze che il mio amico aveva dovuto fronteggiare, ed ora, dopo aver riposato incessantemente per tutto il giorno, lo sentii muoversi sul proprio giaciglio di fortuna.
Vash, che stava solitario in un angolo, il volto serio perso in chissà quali pensieri, si rianimò di scatto.
La pelle rossa della lunga veste si distese con uno schiocco, quando, rimessosi in piedi, si accostò a Nicholas per vedere come stava.
“Amico…Che bella dormita ti sei fatto! Come va la testa?”
Nicholas sorrise, socchiudendo le palpebre:
“Sono sopravvissuto a cose peggiori, mammina…Me la sono cavata anche stavolta…”
Vash trasse un sincero e sonoro sospiro di sollievo.
“Ehi, Galt…Passami la giacca, per favore…”
La richiesta del reverendo, formulata a mio carico, mi fece riscuotere dai pensieri che stavano abitando la mia mente.
La preoccupazione di Vash riguardo le condizioni di salute del reverendo non pareva dettata unicamente dal fortissimo legame che li univa...Sono certo che il tifone umanoide si comporterebbe con la medesima sollecitudine, persino di fronte ad uno sconosciuto; e’ il suo grandissimo rispetto per la vita umana a sconvolgermi…Non riuscirò mai del tutto ad abituarmici.
Forse la leggenda delle sue dispotiche gesta è nata proprio perché gli uomini comuni temono ciò che non conoscono ed hanno un terrore infinito del diverso.
“Allora…Questa giacca?!”, ripeté, stavolta con voce un po’ più fredda il reverendo.
“lascialo stare, poverino…Non ha fatto altro che vegliarti, mentre tu dormivi come un sasso…Sarà stanco…”
Vash, il famigerato tifone, che prende le mie difese…Sentii nascere un sorriso spontaneo, che decisi di spendere a tutta bocca.
“Ecco la sua giacca, signore…Scusi, ero soprappensiero…”
Gliela lanciai e risi di gusto quando, molto probabilmente a causa dei riflessi appannati dal sonno, il reverendo ne fu investito.
“Che splendido appendiabiti saresti stato!! Hai sbagliato carriera, reverendo, lo sai?”
Al commento sarcastico di Vash, Nicholas Wolfwood si tirò via la giacca dal volto, e, assumendo un’aria contrariata, mi squadrò con severità:
“Sta un po’ più attento, cacciatore di taglie…Spero che la tua mira in combattimento non sia tanto sfalsata…Sai, non vorrei ritrovarmi con una pallottola amica piantata in fronte…Con tutti i nemici che abbiamo, non sarebbe certo una cosa salutare…”
Sorrisi a mia volta, tentando di imitare una delle smorfie ironiche così spesso esibite dal reverendo:
“Vorrà dire che mi allenerò con le giacche…”
Wolfwood e Vash si guardarono per un attimo con aria perplessa…poi scoppiarono a ridere di gusto:
“Il ragazzo è pieno di spirito, eh reverendo?!” gridò il tifone umanoide, tra le risa che gli deformavano grottescamente il viso.
“Già…e speriamo per lui che se lo sappia tenere stretto, il suo spirito…”
Mi avvicinai ai due compagni d’avventura, mentre ,ridendo ancora come un ossesso, Wolfwood cercava a tentoni qualcosa nella tasca interna della giacca.
“Cercavi queste, per caso?”
Gli sventolai davanti al naso, con aria insuperbita, il pacchetto delle Lightning, lievemente spiegazzato…la sommità di una invitante sigaretta faceva capolino, occhieggiando, dall’involucro plastificato.
Il reverendo deglutì rumorosamente, tendendo la mano.
Vash mi sorrise con aria complice:
“Bella pensata, Derek…Io non avrei saputo fare di meglio…”
Magari fosse vero, pensai con una fitta d’ammirazione rivolta all’uomo dai capelli a spazzola.
Wolfwood ricevette la cicca che gli lanciai, fermandone la corsa con dita veloci ed esperte.
“Solo una, reverendo…Almeno finché non ti sarai rimesso in sesto…”
“Ordini del dottore?”
mentre lo guardavo accendersi la amata bomba di nicotina e sorridere al fumo esalato come un bambino di fronte ai fuochi d’artificio, risposi:
“Più o meno…”
Vash si rabbuiò e, scrutando l’estremità della caverna mormorò, rivolto più a se stesso che a noi:
“A proposito di dottore…Dov’è Moryia?”.
La luce della luna si insinuava tra le dune del deserto, rendendone la superficie luminosa e calda.
Il vento ululava accarezzando la distesa monotona e pianeggiante e recava con sé l’eco vibrante dei suoni smorzati prodotti dai predatori in cerca di cibo.
Moryia stava in silente concentrazione, la katana riposta nel fodero che gli pendeva al fianco, come un cane fedele che attende il comando del padrone per trasformarsi in feroce guardiano.
La brezza della notte gli scompigliava la capigliatura ribelle , schiacciandogli il kimono contro il corpo robusto ed elastico da spadaccino.
Assaporò i suoni che gli giungevano sottili ma distinti, respirò a pieni polmoni l’aria fresca, carica di odori misteriosi.
E sorrise…un ampio sarcastico sorriso gli dipinse il volto, carezzato dalla lieve luce delle stelle.
Era una notte serena ma…Stava per farsi assai movimentata.
Allargò le gambe, impiegando la classica posizione difensiva adottata dai guerrieri bushido, e quando si sentì ben postato, trasformò il sorriso in una risata aspra ma compiaciuta.
“Che bella nottata…e che buon profumo il vento porta con sé…peccato che mi debba sorbire anche il vostro insopportabile fetore…”
Aspettò una reazione, ma non ebbe soddisfazione immediata.
Calcò il terreno sabbioso con maggiore pressione…Non sapeva dire con certezza da quale direzione sarebbe partito l’attacco.
Non osò guardarsi intorno…Avrebbe concesso agli avversari il vantaggio di far loro sapere che non era certo di dove si trovassero…e sebbene fosse vero, desiderava far loro credere il contrario.
Alzò la voce, e continuò la provocazione:
“Neppure le carogne di animali morti da giorni puzzano tanto…Evidentemente i killer di professione non hanno tempo per l’igiene personale…”
Un lieve tremolio sotto i suoi sandali, rivelò a Moryia che i suoi aggressori cominciavano a perdere la pazienza, e si agitavano inquieti, pronti per fare la loro mossa…
“Avanti, la commedia è finita…smettetela di giocare a nascondino e mostratevi…”
la sabbia esplose con un ruggito, sia davanti che dietro di lui…ed il giovane samurai si trovò nella morsa di due guerrieri dalle armature lucenti, ingobbiti come animali che stessero per scattare.
Quello di fronte aveva un’armatura di un azzurro intenso, simile a quello di un cielo che minacciava tempesta.
L’altro, nella retroguardia, ne sfoggiava una simile, ma di un rosso cupo che assomigliava al colore del tramonto.
“Sei stato davvero abile, giovane guerriero…”
la voce del guerriero dall’armatura azzurra pareva un sibilo sgraziato, prodotto da un serpente velenoso.
“Già…Non pensavamo che ci avresti individuato…”,replicò l’altro con voce altrettanto sgradevole.
Moryia sorrise con un gusto ancora maggiore…era da un po’ di tempo che non imbracciava la katana per sostenere la giustizia ed all’idea di tornare ad onorare il codice dei veri samurai, si sentiva particolarmente elettrizzato.
“Vi ho già detto che puzzate più dei cadaveri putrefatti…Anche un bambino avvertirebbe la vostra presenza…”
“Quanta falsa modestia…Non ci piacciono gli spacconi…e non piacciono nemmeno al nostro Maestro…”
il guerriero azzurro fece scattare fuori una coppia di artigli lunghi e ricurvi , sinistri e scintillanti.
Moryia notò che erano ancora incrostati di sangue.
Un brivido di sdegno l’attraversò, e la mano destra, flessuosa ma determinata, iniziò a farsi più vicina alla guaina che custodiva la katana.
Uno scatto secco, simile al primo, fece capire a Moryia che anche il guerriero rosso alle sue spalle aveva estratto le proprie armi e si preparava al combattimento.
“il vostro maestro, avete detto…E’ per suo ordine esplicito che vi trovate qui, suppongo…”
“Che acutezza…hai anche un cervello, oltre a quel visino pulito da donnicciola, dunque…”
i due guerrieri in armatura postarono a loro volta i piedi sulla distesa sabbiosa, pronti per darsi lo slancio che avrebbe inaugurato la lotta.
“E’ un peccato che tu sia capitato qui da solo, ragazzo…Non potrai contare sull’aiuto dei tuoi amici…ma non preoccuparti…”
Alla voce sibilante del guerriero azzurro, fece seguito quella stridula e non meno spiacevole del guerriero rosso:
“Dopo aver sistemato te, prenderemo anche loro…”
era il momento decisivo…Moryia snudò con uno schiocco impetuoso l’elsa della katana, avvolgendola con una presa salda, proprio mentre i due iniziavano a girargli vorticosamente intorno.
La girandola dei due, con le loro armature dai colori accesi ed opposti, si trasformò presto in un indecifrabile intrico di immagini confuse.
Il suono delle risate acute che i due producevano, stizziva Moryia disorientandolo più di quanto non facesse la sarabanda visiva inscenata intorno a lui.
Decise di chiudere gli occhi e di astrarre l’anima…solo così avrebbe potuto tendere i suoi sensi da guerriero esperto e risparmiarsi per l’atto decisivo.
Assestò la presa sulla katana accompagnandola anche con la mano libera.
Lasciò che le grida sguaiate prodotte dagli assalitori scivolassero inerti sulle sue orecchie, occupate ora soltanto a registrare il battito un po’ accelerato del suo cuore.
Fu inghiottito da un marasma di sensazioni ed immagini partorite dalla sua mente, trasportato in u altro tempo della sua pur giovane esistenza…
La scena intorno a lui cambiò, vorticando…si ritrovò bambino, una spada di bambù stretta tra le dita inesperte e la voce di suo padre che lo guidava.
“No, Moryia…fai leva con i piedi, slancia il busto in avanti…se ti affidi solo alla forza delle mani, non riuscirai ad imprimere vigore ai tuoi colpi…”
“ma padre…Come posso sperare di spaccare una roccia con una misera spada di bambù? E’ impossibile! Anche se ci mettessi tutto me stesso, non ci riuscirei…”
Suo padre, il cui volto gentile sapeva assumere contorni spaventosi quando era deformato dalla severità, incrociò le braccia con un espressione che non ammetteva repliche, indicando la roccia davanti a lui.
Moryia smise di piagnucolare, ed assestò la presa sull’elsa di quello che, a suo giudizio, era solo un inoffensivo fuscello.
Chiuse gli occhi, e cercò di concentrarsi.
Udì la voce speranzosa di suo padre che lo incoraggiava:
“Bene, Moryia…Così…lascia che sia il tuo animo forte e determinato, carico di energie, a trasmettere potenza alla spada…Lascia che essa si nutra di te, del tuo Ki…”
Moryia sentiva la voce del padre farsi sempre più flebile, mano a mano che la concentrazione interiore lo rapiva agli stimoli consueti del mondo esterno…
Immaginò di avere tra le braccia una spada vera, come quella che suo padre aveva levato tante volte per combattere contro i nemici…Quella spada leggendaria che si diceva potesse dividere persino i fulmini celesti, la stessa che aveva servito per generazioni la sua famiglia, senza fermarsi davanti a niente e a nessuno…
Ed improvvisamente, Moryia ne avvertì il caldo tocco dell’elsa lavorata in madreperla, ne saggiò il peso consistente, assaporando l’ottimo bilanciamento della lama.
Era pronto per colpire…le sue mani, le sue braccia pulsavano in corrispondenza del ritmo del suo cuore…Era il momento.
Vibrò il colpo con violenza, incontrando una resistenza più misera di quanto si fosse aspettato.
Aprì gli occhi e…Vide la roccia distrutta e la spada di bambù che l’aveva colpita, miracolosamente illesa.
“Bene, figliolo…ottimo colpo…sei riuscito a non farti ingannare dalle apparenze, e la tua energia spirituale ha reso il bambù più robusto dell’acciaio…Vieni qui…”
Moryia, ancora incredulo per la prodezza compiuta, guardò perplesso la spada, poi il volto sorridente di suo padre…ce l’aveva fatta!
Gettò a terra quello che era ritornato ad essere un semplice pezzo di bambù, e corse tra le braccia del padre…Braccia forti e vigorose, che seppero accoglierlo e trasmettergli sicurezza e calore…
“davanti a te, si apre un lungo cammino irto di ostacoli e di difficoltà, Moryia…ma se saprai affrontarlo con lo stesso spirito guerriero che mi hai dimostrato oggi, riuscirai a percorrerlo con agilità ed onore, figlio mio…”
Il volto di suo padre gli apparve chiaro e distinto nella mente
“Non dimenticare ciò che hai appreso oggi, Moryia…Custodiscilo nel tuo cuore…”
L’eco di quella voce calda e rassicurante si stava spegnendo, quando Moryia, brutalmente riportato al presente, aprì gli occhi giusto in tempo per vedere i due esagitati guerrieri in armatura che gli si gettavano addosso, convinti di averlo confuso a sufficienza…
Poveri illusi…
“BAKURETSUSHINKEN!!! Sacro colpo della Danza delle mille Lame!!”
L’immagine di Moryia sembrò sdoppiarsi, mentre il samurai faceva roteare una lama ora incandescente ed invisibile, simile ad una folgore punitiva contro i colpi degli assalitori.
I due guerrieri rimasero perplessi…era come se stessero simultaneamente affrontando lo stesso uomo, eppure due uomini distinti.
Gli artigli guaivano a contatto con le lama scintillante della katana, e se prima avevano inaugurato l’attacco, ora erano costretti ad assumere schemi di difesa.
Moryia era veloce, sorprendentemente metodico e preciso…
La lama non era più intercettabile, sprizzava scintille ogniqualvolta venisse fermata più per fortuna che per attento calcolo, o fendeva le armature dei rivali provocando pesanti incrinature sulla loro superficie.
I due assalitori compresero che la situazione stava volgendo in loro sfavore e con una strabiliante capacità di simbiosi, saltarono verso l’alto per sfuggire alle mortali giravolte della katana di Moryia.
Atterrarono in una posizione identica a quella con cui avevano aperto il duello…il guerriero azzurro davanti all’avversario, quello rosso dietro.
Avevano le armature pesantemente danneggiate; incredibile come i tagli riportati dall’una, fossero quasi l’immagine speculare di quelli riportati dall’altra.
Ansimavano e non solo per la fatica dell’assalto… Avvertivano l’ombra della paura scendere a cancellare le loro misere certezze…dopo averle subdolamente costruite annientando decine di deboli innocenti, incapaci di difendersi.
Ora tremavano come trema il predatore che, dopo aver divorato centinaia di esseri più piccoli, viene colto dal terrore alla vista di un’animale più forte e più grande.
Moryia abbassò la lama, ancora infuocata per l’attrito con l’aria che aveva subito durante l’esecuzione della tecnica.
Rivolse ai due uno sguardo freddo e perentorio:
“Andatevene finché potete ancora farlo…Altrimenti non vi garantisco la vita…”
i due si squadrarono incerti, come a sforzarsi di esprimere una decisione comune che li cavasse dall’impiccio in cui si erano andati a cacciare con leggerezza.
Quindi, il guerriero azzurro proruppe in una risata scombinata e quasi isterica:
“Bene, giovane samurai…hai dato prova del tuo valore…devo dire che ci hai…”
“Impressionato…”, suggerì il guerriero dall’armatura rossa, con tono piuttosto sincero.
“ma ti sei salvato solo temporaneamente dalla nostra furia…Ora assaggerai la nostra tecnica finale…E non credo che riuscirai a fermarla con tanta facilità…Guerriero Azzurro ZENITH…”
“…e Guerriero Rosso NADIR…”
“DISCIPLINA DEGLI OPPOSTI: Pioggia Celeste del Nord!!!”
“Fuoco Rovente del Sud!!”
Urlando come invasati, i due presero direzioni opposte.
L’azzurro scattò verso il cielo stellato e la sua corazza parve fondersi con esso.
Il rosso si insinuò con l’agilità di una talpa sotto la sabbia color ocra del deserto.
Moryia tornò ad impugnare la spada con ambo le mani, predisponendosi ad affrontare quello strano attacco combinato.
Con un grido da far rabbrividire, il guerriero azzurro stava piombando dall’alto, ad artigli sguainati.
L’altro, ebbe modo di riflettere con celerità Moryia, era di certo sotto di lui, pronto per gemellare il suo colpo a quello del compagno.
Fino all’ultimo secondo, il giovane samurai attese, per dare al nemico l’illusione di essere caduto nella trappola dell’attacco congiunto…poi rivolse la punta della katana al cielo intercettando la traiettoria del guerriero azzurro che stava cadendo su di lui.
Quando l’ebbe infilzato con violento impatto, fece leva sul suo corpo ferito, utilizzando l’elsa della katana come un asta.
Balzò oltre la portata del guerriero rosso, che proprio in quel momento stava facendo la sua elegante entrata in scena, con gli artigli protesi a colpire il bersaglio…venendo travolto dal peso morto del corpo trafitto del gemello.
Moryia ricadde a terra, ed i sandali produssero nell’impatto una nuvola di polvere.
Si voltò ad indirizzo dei due guerrieri, le cui armature sembravano aggrovigliate in un intrico complesso ed insolubile di parti.
Nadir, il guerriero rosso, riuscì a liberarsi dalla carcassa senza vita del fratello e, ancora scosso, ritrovato faticosamente l’equilibrio, estrasse la katana insanguinata che aveva ucciso il suo compagno.
Il dolore e la rabbia lo accecarono…strinse nelle dita artigliate la lama incriminata, ululando come un ossesso.
Scagliò la spada lontano, non riuscendo a spezzarla con la sua stretta.
“Tu…maledetto!!! Me la pagherai cara per la morte di mio fratello Zenit!!!”
Si scagliò con ferocia e virulenza contro Moryia, ora disarmato.
Il samurai non si spostò di un millimetro.
La carica disperata e scordinata del rivale continuò.
“Crepa, bastardo!!! “
protese gli artigli lucenti contro la gola candida del ragazzo, sperando di annegare nel sangue la sofferenza per la terribile perdita subita.
Non ne ebbe mai modo…il suono di un’esplosione secco e sferzante rivoltò l’aria, e la corsa di Nadir trovò un punto di arresto…eterno.
Sull’elmo rosso cupo, all’altezza della fronte, un rivolo di sangue rosso vivo si faceva prepotentemente strada da un foro di proiettile buio e sinistro.
Il corpo racchiuso dall’armatura rovinò a faccia in giù nella polvere, in esatta corrispondenza dei piedi di Moryia…Che rivolse un sorriso di complicità e gratitudine al nuovo venuto.
Avevo visto la scena dipanarsi davanti ai miei occhi con una tale rapidità da sconvolgere persino un uomo dal temperamento di ghiaccio…
Moryia disarmato che stava affrontando un uomo ferinamente proteso verso il terreno, dotato di una robusta armatura rossa…che gli si stava lanciando contro con un ruggito spaventoso.
Tante volte nella mia breve carriera di cacciatore di taglie, ho esitato un istante di troppo…Non che le mie esitazioni abbiano prodotto disastri o tragedie insanabili, però…Mi hanno lasciato nel cuore un senso di vuoto per ciò che avrei potuto fare e non ho fatto…per una responsabilità che mi sarei dovuto addossare e che avevo rifuggito per egoismo personale o, peggio…Per codardia.
Questa volta, invece, fui guidato da un’ispirazione che mai prima di allora era giunta a soccorrermi…mi chiesi come avrebbe reagito il reverendo Wolfwood se si fosse trovato in una situazione simile…la mano è corsa a snudare la Rave dal suo fodero polveroso, ha teso l’arma nera e lucente, baciata dal freddo calore delle miriadi di stelle lontane, ed ha premuto il grilletto.
La massiccia armatura rossa è precipitata nel mare di sabbia del deserto.
Una strana esaltazione si impadronì di me…Derek Galt aveva finalmente abbandonato l’apatia, ed aveva scelto l’azione…
Il sorriso di Moryia mi gratificò…Mi sentivo realizzato, vivo e pulsante…Una volta, alla Gilda dei Cacciatori, Jeremias Kaynn mi aveva parlato dell’euforia che l’adrenalina trasmette a tutto il corpo dopo che si è compiuta un’uccisione…E’ una sensazione tanto bella quanto sconvolgente…Ma poi, diceva sempre Jeremias, con la consueta voce sorniona, ti senti vuoto quanto un pupazzo di segatura, le gambe non ti reggono…E ti accorgi di aver compiuto qualche passo in più verso l’inferno; col tempo ci si abitua, ma…la prima volta resta a segnare tutte le altre.
Ed era vero…Un mare di lacrime calde e travolgenti, minacciava di tracimare dal greto dei miei occhi…Moryia mi si fece vicino, dopo aver recuperato la katana.
Ne distinguevo a fatica la sagoma, mentre le palpebre inumidite cessavano di opporre resistenza e lasciavano scorrere i fiumi brucianti della frustrazione e del pentimento.
Avevo ucciso per difendere, non per attaccare e la vita che il proiettile vomitato al pari di una scheggia impazzita aveva spento, era la vita di un mentecatto…eppure, mi sentivo vuoto…Come un pupazzo di segatura…ed avvertivo, nelle acute fitte che il rimorso mi costringeva a sperimentare, che non soltanto mi ero avvicinato di una buona lunghezza all’inferno originale, ma ne avevo inaugurato uno personale, sulla terra.
Le mie labbra si muovevano, senza emettere suono, i miei occhi rugiadosi scorgevano a mala pena Moryia che mi scuoteva le spalle e…neppure le sue labbra pronunciavano suono, o forse ero io che non l’udivo.
Mi sentii afferrare da tergo…Braccia forti e vigorose mi tennero stretto, costringendomi poi a voltarmi…Mi comparve davanti lui…l’uomo da sessanta miliardi di doppi dollari.
Parte della mia tristezza svanì, ne fui alleggerito…e penso che questo accadde perché Vash the Stampede aveva unito le sue lacrime alle mie…
 
La mano dagli artigli lucenti passò con un gesto di stizza innanzi allo Specchio della Rivelazione.
La scena cui il Gran Maestro aveva appena assistito lo aveva lasciato con l’amaro in bocca…Non tanto per la sconfitta di Zenit e Nadir…Quei due avevano agito più per generare un azione di disturbo che per nuocere a tutti gli effetti.
No…Lockent era rimasto sopraffatto dallo sguardo triste e compassionevole di Vash the Stampede, l’uomo che si vedeva costretto a temere più di ogni altro…E che lo faceva sentire un misero codardo offrendogli quell’immagine tanto lontana da come le leggende lo dipingevano…Il tifone umanoide.
“Maestro…”
la voce ruppe la meditazione interiore di Lockent ed egli si voltò con un fruscio della veste nera, per fronteggiare il suo interlocutore.
I capelli argentei luccicarono alla luce delle candele.
“Sì, Watsuki…i tuoi allievi sono morti…Mi dispiace di questo, davvero…”
L’uomo che rispondeva al nome di Watsuki fece un passo avanti, avvicinandosi al suo signore.
Era alto, agghindato da una livrea marziale riccamente decorata.
Una treccia nerissima era stata drappeggiata intorno al collo robusto e nerboruto, e faceva da contorno ad un volto spietato, che aveva bandito per sempre ogni tipo di emozione.
Gli occhi dell’uomo erano fissi sulla superficie dello Specchio, ora nuovamente mutata in un’innocua lastra riflettente.
Parlò con voce ferma e neutrale:
“ Zenit e Nadir sapevano a cosa sarebbero andati incontro…Hanno sottovalutato il nemico e sopravvalutato loro stessi…La morte ha cancellato la loro insolenza, come il loro errore di valutazione.”
Lockent fissò l’uomo e non riuscì a frenare un lieve sorriso.
Sogetzu Watsuki era uno dei pochi umani al suo servizio…ma di umano possedeva solo l’aspetto esteriore…nel cuore di ghiaccio albergava l’anima di un demone freddo e calcolatore.
Il Gran Maestro ignorava il passato del suo sottoposto…ma era ben cosciente delle sorprendenti capacità dell’uomo e lo aveva reclutato proprio per la sua impassibilità…
Aveva reagito con un commento del tutto lucido e razionale, ad un evento che non mancherebbe di scuotere il maestro d’arti marziali più severo e compassato…
“Bene, Watsuki…Allora, cosa intendi fare?”
L’uomo si inginocchiò con deferenza alla domanda del superiore.
“Mio signore, se lei lo consente , desidererei affrontare in combattimento i nostri nemici…”
Lockent sorrise…Si era aspettato una richiesta del genere; con un lieve senso di ironia nella voce, replicò:
“Capisco…desideri prenderti una meritata vendetta per lo morte di Zenit e Nadir…”
Gli occhi di Watsuki scintillarono intensi…Come la lama di un coltello che rinviasse la luce di un fuoco ardente.
“NO, Gran maestro…Mi sento solo…combattivamente stimolato…”
“Ah, ora è tutto chiaro…Quel samurai…Quel Moryia…”
L’uomo inginocchiato alzò lo sguardo inespressivo sul volto di Lockent…A pochi altri collaboratori sarebbe stato concesso un gesto simile…Spade era uno di questi…
Il Gran maestro sostenne lo sguardo, quindi snudò i canini in un tetro sogghigno.
“Sai bene che la tua presenza a Vesperum è indispensabile Watsuki, ma…”
L’uomo continuava a fissare il viso del suo maestro, senza ombra di supplica che ne velasse l’indefinibile espressione.
Aveva inoltrato una richiesta…Che gli fosse negata o accordata, il suo cuore di pietra non ne avrebbe affatto risentito.
“Sono curioso di vederti all’opera…E’ da molto tempo che non ti batti con avversari imprevedibili come questi…hai il mio permesso e la mia benedizione.”
Solo allora Watsuki si degnò di chinare il capo, più per abitudine che per autentico senso di gratitudine.
Il Gran maestro sollevò la destra dai lunghi artigli e dalle dita inanellate e lo benedì.
Con uno scatto felino, Watsuki si rimise in piedi e fissò di nuovo Lockent…nel suo sguardo, al Gran Maestro parve di scorgere, per un istante brevissimo, una luce nuova, mai registrata prima…determinazione, soddisfazione…Chi poteva dirlo? Del resto, se quella luce si era effettivamente accesa per animare quegli occhi ineffabili, nello spazio di un secondo svanì, con la rapidità con cui muore un carboncino ardente sepolto dalla fuliggine.

CONTINUA ...

  
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