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Autore: OhMyGod_    29/08/2009    7 recensioni
Morte?
La luna sospirò nuovamente, guardando l’erba appassita.
Si, morte. Una stella muore se nessuno l’ammira.
E tu, tu non muori?
Morire io? Come potrei? A me non è concesso di morire.
Genere: Generale, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna e la nuvola


C’era una volta, quando il cielo si colorava di rosso ogni sera, un piccolo lago in fondo ad una distesa d’erba. Il vento ne scompigliava i fiori e la pioggia ne faceva nascere sempre di nuovi.
Piccoli animali venivano a rinfrescarsi nel laghetto e ad abbeverarsi nella sua fresca acqua. Il sole splendeva alto ogni di, ed il caldo costringeva le piccole creature attorno all’unica fonte d’acqua. Un giorno, però, il sole smise di sorgere. Rimase notte. Le stelle brillavano alte in quel cielo scuro, avvolgevano una luna solitaria e malinconica, la cui luce non bastò ai fiori della vallata. Acqua non ne piovve più, ne vento fu più tirato.
Il piccolo laghetto, non avendo più acqua da cui poter vivere, cominciò ad essiccarsi. E in quella notte che pareva non finire mai, sparì.
Le piccole gocce che lo componevano, s'innalzarono in cielo, unendosi. Nacque una nuvola. Soffice, candida, pura. Gli animaletti della vallata guardavano il cielo e quell’unica nuvola che prima era la loro fonte di vita.
Cominciarono a morire. Morirono a poco a poco che il tempo passava e l’acqua non arrivava. La luna restava alta, le stelle brillavano, e del sole non ve n’era traccia. Morirono, fino a quando non vi fu più nemmeno una creatura.
L’erba appassì, divenendo secca e tramutandosi in paglia.
Dei fiori, già morti da tempo, rimasero soltanto i cadaveri.
Nulla più viveva in quella vallata che pareva toccata dalla morte.
La nuvola, allora, iniziò a vagare nel cielo. Si avvicinava alle stelle, cercava in loro conforto. Ma quei piccoli puntini raggianti, spaventati da qualcosa di così diverso, diffidavano da lei. Non le prestavano attenzione, si allontanavano, facevano finta di non sentirla.
Allora la nuvola andò dalla Luna.
Le si avvicinò, spinta da un lieve vento che ancora sopravviveva.
Ciao, le disse. La luna la guardò malinconicamente. Era sottile e splendente.
Ciao, rispose. Continuava a guardare a terra, la vallata ormai morta.
Come stai, chiese allora la nuvoletta.
Male, e la Luna sospirò.
Ma come, tu sei la Luna, la regina del cielo. Come puoi essere triste.
Non sono nulla, io. Porto solo morte, lo vedi? Sono solo bella, una sfera che incanta ma che uccide.
E ora, non mi rimane neanche quello. Le stelle, che mi vedono ogni notte, mi temono.
Perchè ti temono?
Perchè sono diversa. Temono tutto quello che è diverso da loro, le stelle. Vivono insieme, quando m'innalzo nel cielo, loro si separano da me. Tendono a unirsi sempre più.
Non l’avevo mai notato, osservò la piccola nuvola.
Questo perchè chi guarda il cielo non vede quello che succede davvero. Voi, laggiù, vi addormentate prima che tutte le stelle nascano e si uniscano. Se voi guardaste la notte, come me che ne sono succube, vi accorgereste che la luce della vallata non la creo io, ma loro.
Ma perchè non si uniscono più, allora?
Ma come, non le vedi? Sono la, tutte unite.
Ma non c’è luce nella valle.
Perchè molte sono morte.
Morte?
La luna sospirò nuovamente, guardando l’erba appassita.
Si, morte. Una stella muore se nessuno l’ammira.
E tu, tu non muori?
Morire io? Come potrei? A me non è concesso di morire.
Perchè no?
Perchè io sono la Luna, e quando io e Sole siamo nati, ci è stato detto che avremo vissuto l’eternità senza morire mai.
Ma, Luna, da quant’è che sei viva?
Luna rise sottilmente, e con occhi malinconici, rispose.
Non me lo ricordo più.
La nuvola si rattristò.
Iniziò a piangere, lentamente.
Piccole gocce ricaddero sulla vallata.
Raccontami la tua storia, Luna.
Disse la nuvola.
Luna la guardò piangere, e poi parlò.
Nacqui quando due stelle, quella di Hikreon e di Gyomet, si scontrarono. Ne seguì un’enorme esplosione. Molti pianeti andarono in frantumi, a causa dell’impatto. Eppure, da quella distruzione, nascemmo io e Sole. Io, nata dalla miscela di Hikreon e Peta, la stella più famosa prima di me, dovetti ricoprire il suo dovere di essere sempre bella e splendente. Sole, nato da Gyomet e Luto, la stella più calda fino a quel momento, sostituì il suo ruolo, quello di scaldare la vita sugli altri pianeti.
Io e Sole, seppur in qual modo fratelli, non legammo mai. Ci furono affidati compiti completamente diversi, ci fu detto che al nostro avvicinarsi saremmo morti. Ci fu ordinato di nascere uno durante il giorno e l’altro durante la notte. E dato che Sole, luminoso com’era, di notte non poteva stare, a me fu obbligata la presenza nel cielo buio.
Così, appena nata, iniziai a vivere una vita fatta di barlume e silenzio. Cercai anch’io, come te, di far amicizia con le stelle. Ma loro si mostrarono sempre ostili e cattive verso di me. Mi chiamarono Palla di Luce e si convinsero che la mia vicinanza avrebbe compromesso il loro albore. Divennero sempre più maligne, fino quando decisi di rinunciare alla loro amicizia.
Una notte, poi, nacque la Terra.
Si sviluppò in essa l’essere umano.
Uomini e donne di ogni età cominciarono ad ammirare la mia figura alta nel loro buio.
Vidi la trasformazione che essi misero in atto in ogni luogo da loro abitato. Crearono case di mattoni, fabbriche, automobili. Vidi l’aria inquinarsi mentre il tutto si evolveva. Vidi palazzi alti trecento piani venir costruiti in città tanto grandi quanto cento delle tue vallate.
Ma vidi anche l’amore. Vidi giovani e anziani baciarsi sotto la mia luce. Carezzarsi con sentimenti mai visti prima, guardarsi con una luminosità tale che nemmeno io riuscivo a raggiungere. Vidi la forza dell’amore nascere sotto di me, e vidi quanto io alimentavo emozioni d’affetto mai viste negli animali.
Mi innamorai anch’io, allora.
Vidi un giovane seduto su un ponte, una notte. Quella sera non vi erano molte stelle vivide nel cielo, nuvole scure le coprivano.
Gli occhi grandi e chiari del ragazzo si posarono con interesse su di me. Mi fissarono per ore, non curandosi delle nuvole che andavano a mostrare le stelle al mio fianco e del buio che si affievoliva. Rimase la, seduto sul ponte, a guardarmi morire alla luce di Sole.
La notte successiva, ritrovai quel giovane sullo stesso ponte.
Rimase anche quella sera a guardarmi.
E così fu per molto, molto tempo.
Una sera, allora, provai a parlagli.
Ciao, dissi incerta.
Lui mi guardò e gli occhi si trasformarono in paura. Distolse lo sguardo dalla mia figura luminosa, cominciò a guardarsi intorno terrorizzato. Ma ovviamente, nessuno vi era al suo fianco.
Allora dissi Sono Quassù, Nel Cielo.
Il giovane alzò lo sguardo.
Sorrise e vidi una lacrima che gli solcava il viso.
Dissi di non aver paura, che ero solo io, la Luna. Gli chiesi, come tu hai fatto con me, la sua storia. Con tono grave disse che il suo amore stava morendo.
Dissi che non capivo, come poteva morire un amore, e lui rispose che lei, quella ragazza in cui nella mia luce vedeva il volto, sarebbe morta. Disse che una malattia se la sarebbe portata via.
Chiesi che cosa potesse fare questo a una persona come lui, e il giovane, fissando il mio albore, rispose che era un tumore.
Tumore? Interruppe nuvola.
E’ una malattia molto grave, nuvola... fa morire la gente.
Nuvola guardò tristemente Luna e le disse di continuare la sua storia.
Luna riprese.
Bè, il giovane e io rimanemmo a parlare tutta la notte. Mi disse che il suo amore si chiamava Julia, aveva lunghi capelli rossi e occhi verdi. Raccontò di come il suo riso gli facesse battere il cuore, di come le sue mani lo facessero rabbrividire. Con occhi stanchi, narrò della sua bocca rosea e dell’animo puro che aveva. L’amava. Sapeva di amarla. E in me vedeva lei. Per questo, ogni notte, non potendo vedere il suo viso perchè rinchiusa in una stanza d’ospedale, veniva li, sul ponte, a guardare me.
Gli chiesi perchè quel ponte, e lui mi disse che era li che Julia aveva detto lui che sarebbe morta. Il giovane tornò ogni notte, mi guardava, piangeva, raccontava di volta in volta quello che lo faceva sentir bene e male. Ed io, succube del suo dolore, ammiravo le candide guance bagnarsi di lacrime ed ascoltavo quelle parole colme di sofferenza.
Una notte, quando il buio calò ed io salii in cielo, lui non mi disse nulla. Non mi guardò neanche. Illuminai la sua figura, e vidi che aveva gli occhi colmi di pianto. Gli chiesi cosa fosse successo, e con tono fievole, disse che il suo amore era morto.
Poi si alzò in piedi, la sua figura oscillò sul ponte, e ricadde veloce nel fiume che vi scorreva sotto. L’acqua lo rapì in un istante, e invano tentai di scorgere il suo corpo. Qualche ora dopo, quando le stelle si erano già unite nella loro crudeltà, lo vidi.
Era steso sulla terra, vicino al corso d’acqua. Privo di vita, gli occhi chiari spalancati. Mi guardava. Fissava la mia figura senza che io potessi impedirglielo. Mi sentii morire, in quel momento. Volevo che quegli occhi si chiudessero e la smettessero di guardarmi.
Ma non lo stava facendo apposta. Sapevo era morto. Sapevo che il suo sguardo si perdeva fra me e la morte. E con immenso dolore, capii che non stava neanche guardando me. Guardava il suo amore, quell’amore perso e ritrovato.
Così, dopo essermi innamorata ed aver perso per sempre quello che di buono avevo trovato, smisi di prestare attenzione alla Terra e agli umani. Mi limitai a regalare la mia luce a chi ne avesse bisogno. Passarono molte notti, ed io andai ad illuminare anche questa vallata, a cui prima non avevo fatto caso. Notai che gli animaletti mi guardavano ammirati e si addormentavano sotto il mio bagliore. E poi, senza saperne il motivo, questa notte ha smesso di finire.
Continuo a vivere, senza sapere perchè...
Luna si guardò intorno alla ricerca di nuvola, ma quella non c’era più.
Sotto la sua luce, un piccolo laghetto. E nell’acqua immobile vi si specchiava la sua figura luminosa. Luna fissò il laghetto per un pò, senza capire cosa fosse successo.
Una stella, avvicinatasi a lei, diede risposta alla sua incertezza.
E’ morta, disse la stella.
E’ morta di lacrime, si è disfatta mentre tu raccontavi.
Luna guardò per un ultima volta il laghetto, e prima di scomparire per far posto a Sole, giurò di aver visto nella sua limpida acqua una lacrima.
  
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